2. I dibattiti: la prima metà degli anni Venti
2.1. Lo S’’ezd nacional’nogo ob’’edinenija e la querelle su Armata Bianca e pogrom (1921)
Il primo dibattito della diaspora che vedeva coinvolta la minoranza ebraica è particolarmente interessante perché mostra le difficoltà che emersero fin dal principio nell’elaborare un discorso patriottico antibolscevico senza escludere questa componente.
Nel giugno del 1921 il gruppo di Obščee delo, capitanato dall’infaticabile Burcev, era riuscito a riunire a Parigi un’assemblea collegiale nella speranza di creare un organizzazione rappresentativa unica per la diaspora russa. Il problema dell’inconciliabilità dei gruppi politici era considerato centrale per una lotta efficace contro il bolscevismo e i tentativi di coordinamento si sarebbero ripetuti ciclicamente, ma con scarsi risultati. Queste iniziative sollevavano la questione della diversa concezione di Stato propugnata dai vari schieramenti. Lo scontro che ne derivava coinvolgeva le tradizionali questioni nazionali, tipiche della storia russa, e si rifletteva in una polemica intorno al significato dei termini “nazionale” (национальный) e “statale” (государственный).
L’assemblea collegiale organizzata da Burcev – denominata appunto S”ezd nacional’nogo
ob”edinenija (“Congresso per l’unione nazionale”) – è un esempio significativo di tale
processo: in quest’occasione, infatti, si era innescata una discussione tra le varie parti, discussione che non poteva lasciare indifferenti gli ebrei russi, poiché quella ebraica era una delle minoranze storicamente principali nel panorama imperiale e poi perché i pogrom durante la guerra civile avevano mostrato come dal prevalere dell’una o dell’altra interpretazione dipendesse la sopravvivenza stessa della popolazione ebraica nelle nuove condizioni.
Prima di rivolgerci alla ricostruzione degli episodi del congresso che avevano a che fare con la questione ebraica – e al loro significato, faremo una digressione sull’interpretazione dei termini offerta dalle diverse parti, cercando brevemente di capire come ciò coinvolgesse le questioni nazionali e la minoranza ebraica in particolare.
Il significato del termine nazionale era divenuto subito parte della discussione sul congresso, ancora prima dell’apertura dei lavori, avvenuta il 5 giugno. I cadetti di sinistra (raccolti intorno a Miljukov) e i socialisti si erano rifiutati di prendervi parte poiché lo ritenevano
reazionario. Alla base di tale accusa stava la campagna di sostegno all’Armata bianca portata avanti sulle pagine di Obščee delo. Poslednie novosti, invece, trovava del tutto fuori luogo l’appoggio all’Armata bianca data la sua deriva autoritaria e le violenze di cui questa si era macchiata durante la guerra civile. Tale impostazione era stata fatta propria dal giornale fin dal 1920, quando era diretta da Gol’dštejn. Quest’ultimo, infatti, sosteneva che, se al momento del colpo di stato bolscevico si fronteggiavano due chiare opzioni contrapposte – bolscevismo o democrazia –, col passare del tempo si era presentata una terza opzione: quegli stessi generali che inizialmente avevano servito la comunità contro i bolscevichi avevano cominciato a schierarsi con le “forze oscure” dell’opinione pubblica russa. Tertium datur: la via della Reazione, connessa con i pogromščiki, era divenuta un’alternativa sempre più verosimile, da cui il direttore metteva in guardia i suoi lettori.238
La presa di distanze dall’Armata bianca e dai suoi comandanti – da Vrangel’ in particolare – era propria anche di Miljukov239 e su questo terreno, e su quello dell’accusa di reazione
connessa, si giocava la polemica fondante tra Poslednie novosti e Obščee delo. Miljukov, infatti, a partire dalla disfatta di Denikin, aveva abbandonato ogni speranza nella tattica di lotta armata, riconoscendone la sconfitta pratica e l’allontanamento progressivo dagli ideali liberali che egli auspicava.240 Si trattava, ormai, di una lotta tra “nuova” e “vecchia” Russia,
una lotta in cui il centro invano tentava di non prendere posizione. Di conseguenza, il congresso, che del centro era espressione, non sarebbe riuscito a rimanere in bilico, ma secondo la redazione di Poslednie novosti, avrebbe di certo dovuto schierarsi da una parte o dall’altra. In questo senso era da comprendere la riflessione, condotta in un articolo di fondo, sul significato dell’aggettivo “nazionale”:
Что можно возразить против идеи ‘национального объединения’? Разумеется, ничего… кроме одного предварительного вопроса: что разумеется под словом ‘национальный’. Это слово можно производить от «нации» (в смысле единой государственной нации), от «национальности» (в смысле одной из российских национальностей), и, наконец, от «национализма» (в смысле узкого шовинистического течения мысли некоторых представителей этой национальности).241
L’ampiezza dello spettro ideologico del movimento antibolscevico poteva in effetti dare adito
238 M.L. Gol’dštejn, “Kto vinovat?”, Poslednie novosti, n. 47, 1920 (20 giugno).
239 Cfr. P.N. Miljukov, “Otvet V.V. Šul’ginu”, Poslednie novosti, n. 299, 1921 (10 aprile).
240 “Nacional’nyj s”ezd”, Poslednie novosti, n. 347, 1921 (5 giugno): “Все попытки и после этого цепляться за
старую тактику были, очевидно, осуждены на полную неудачу, тем более, что, чем дальше, тем больше, потытки эти делались под политическим знаменем, все более чуждым новой России. Либерализм добровольческих армий постепенно таял по мере отдаления от первоначального толчка, – русской революции. При Алексееве он был искренен; при Деникине правящая кучка ещё считала нужным сохранять его, как ширму; при Врангеле, за исключением первых дней, и ширма была отброшена в сторону”. Cfr. anche W.G. Rosenberg, Liberals in the Russian Revolution. The Constitutional Democratic Party,
1917-1921, Princeton, Princeton University Press, 1974, p. 435 e ss.
a tali dubbi, sebbene gli organizzatori avessero escluso dai lavori i cosiddetti “restauratori” (реставраторы), ovvero quelle frange di estrema destra che non riconoscevano la Rivoluzione di febbraio né l’Assemblea costituente.
Un dibattito dell’anno successivo sulla democrazia russa ci aiuta ad approfondire la posizione di Miljukov e di alcuni esponenti ebraici. A suscitarlo era stato un articolo del sionista Šechtman,242 pubblicato sul primo numero della rivista redatta da Žabotinskij, Rassvet
(“L’alba”). L’autore vi affermava l’importanza degli umori prevalenti tra la democrazia in diaspora per il futuro della Russia, ragionamento che spiega l’attenzione ebraica per il congresso:
[…] То, что она [la democrazia russa, mgr] думает и чувствует теперь, будет она в той или иной мере осуществлять в своей государственной деятельности завтра. И если политика есть искусство предвидения и если savoir c’est prevoir, то знать, что думает теперь в эмиграции русская демократическая интеллигенция различных течений о национальной проблеме и судьбах народов бывшей России, – значит в значительной мере, уяснить себе и будущую национальную политику завтрашней России.243
Šechtman riprendeva – senza citarlo apertamente – il dibattito del 1909 sul volto nazionale dell’intelligencija liberale russa (che vedremo in dettaglio più avanti) e asseriva che la tradizionale rappresentazione dell’intelligencija come cosmopolita era divenuta fallace. Questa rappresentazione era stata indotta dalla situazione imperiale, quando l’intelligencija non aveva necessità di preoccuparsi del proprio carattere nazionale. La catastrofe russa aveva però innescato tra le sue fila un “rinascimento nazionale” che ne stava svelando “l’autoritarismo padronale nei confronti di tutte le nazionalità che un tempo vivevano sotto l’egida dello Stato Russo”.244 In questa chiave dovevano essere lette a parere di Šechtman le
reazioni negative a ogni anelito indipendentista delle province dell’ex impero: l’intelligencija russa sembrava in preda a quella che l’autore definiva una “mania da grande potenza” (великодержавная мания). Che fossero democratici di destra, di centro o di sinistra, unanimemente tutti negavano il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Come precisava in un testo successivo, Šechtman era convinto che questi umori derivassero dall’abitudine imperiale dell’intelligencija a considerarsi “panrussa” (общероссийский), ovvero sovranazionale:
Они привыкли считать себя символом России, обнимающим, как составные части, все народности страны. А когда эти составные части сами окрепли, выкристаллизовались и
242 I.B. Šechtman (1891-1970). Originario di Odessa, membro attivo del movimento sionista, vicino a
Žabotinskij, pubblicista ed esperto di questioni di migrazione. Si era occupato in particolare di questione ucraina. In emigrazione uno dei direttori della rivista Rassvet.
243 I. Šechtman, “Russkaja demokratija”, Rassvet, n. 1, 1922 (16 aprile), pp. 8-9-10. 244 Ivi, p. 9.
ушли, – когда от этого мозаичного целого осталась только вышелушенная его великорусская часть, – ее представители никак не могут отделаться от старых навыков, низвести себя на роль такой же национальности, как другие, и, принимая pars pro toto, до сих пор еще считают себя “общерусской демократией”.
A. Kulišer245 e N. Sorin (sionisti anch’essi), in risposta a questo intervento, inviavano alla
redazione di Rassvet una lettera di protesta.246 A parere dei due ‘dissidenti’ l’intelligencija
democratica manteneva il suo storico carattere “panrusso”, come dimostrava il fatto stesso che anch’essi, seppur ebrei, se ne sentivano parte. Negavano inoltre che la volontà di mantenere l’integrità del territorio russo fosse dettata da una tendenza “imperialista”, bensì da un’aspirazione patriottica, del tutto compatibile con gli interessi dell’ebraismo russo, che non aveva nulla da guadagnare – come mostrava l’esperienza di Polonia e Paesi Baltici – dalla nascita di nuovi staterelli intrisi di nazionalismo locale. Infine, da un punto di vista interno al sionismo, Kulišer affrontava una questione centrale, ribadita anche nel suo successivo articolo su Evrejskaja tribuna: Мы думаем также, что неумение проводить различие между такими двумя понятиями, как государственный патриотизм и национальный шовинизм, едва ли может принести пользу и национальному строительству в Палестине, где еврейству приходится создавать новую государственность при участии населения другой национальности и под руководством Британской Империи, явившей миру пример свободного союза и сотрудничества многих национальностей, на почве единой демократической государственности.247
L’autore auspicava dunque una separazione tra principio nazionale e principio statale, e, in questo secondo testo, affermava anche il diritto alla doppia appartenenza per gli individui e per il luoghi. La possibilità stessa di tale fenomeno era infatti stata messa in discussione da Šechtman, che sosteneva che i democratici ebrei dovevano essere parte della democrazia ebraica: “Двойного же национального и демократического подданства я не приемлю. Или – или. Tertium non datur”.248
I temi sollevati dal dibattito erano all’ordine del giorno anche per l’intelligencija russa, e non a caso dunque Miljukov stesso intervenne. La sua replica249 era incentrata, come suggerisce il
titolo, Nacional’nost’ i nacija (“Nazionalità e nazione”), sull’opposizione tra questi due concetti. Miljukov vi esplicitava il modello a cui guardava per rapporto alle questioni nazionali: evocando l’esempio britannico e svizzero e riallacciandosi alla tradizione
245 A. Kulišer (1890-1942), giurista, sociologo, attivista del sionisimo revisionista, collaborava in particolare con
Poslednie novosti.
246 “Russkaja demokratija i nacional’nyj vopros”, cit. (punto 1).
247 A. Kulišer, “Russkaja demokratija i russkoe evrejstvo I. Nacionalizm do poteri soznanija”, Evrejskaja tribuna,
n. 131, 1922 (13 luglio), pp. 2-3.
L’articolo viene pubblicato sulle pagine di quest’organo perché la redazione di Rassvet, a detta dell’autore, si è rifiutata di pubblicarlo.
248 “Russkaja demokratija i nacional’nyj vopros”, cit., punto 2, p. 8.
precedente il 1917, sosteneva la possibilità che la Russia futura potesse diventare una “nazione multinazionale”. Egli non negava che ci fosse un’inversione nazionalista in molti membri dell’intelligencija precedentemente sovranazionale (che avevano optato per gli interessi della loro nazionalità), ma considerava ancora del tutto in auge l’alleanza con la diaspora ebraica: Я мог бы назвать ещё немало лиц, “общерусский демократизм” которых сменился “узко- национальным” толком вследствие необыкновенных событий последних годов и в результате весьма болезненного процесса. В частности, еврейской диаспоре не было просто надобности так подчиняться последствиям этих событий, и этим я объясняю, почему “общерусский демократизм” сохранился в их среде чаще и прочнее, чем в среде лиц, принадлежащих к отделившимся национальностям.250
Per quanto riguarda invece la questione del nazionalismo “grande-russo” e delle tendenze “imperialistiche” Miljukov ne negava il legame con la democrazia russa: le posizioni nazionaliste erano sempre appartenute a frange che democratiche o liberali non si potevano definire. Ma aggiungeva: “finora”. Gli pareva infatti fuor di dubbio che il vecchio approccio imperiale dovesse cambiare e, nel vivo di questo processo, Miljukov proponeva una coalizione di forze contro queste tendenze.
Il monito di Miljukov, Kulišer e Sorin era teso dunque al mantenimento della separazione tra principio statale e principio nazionale tipico della sinistra liberale. A destra, invece, i due termini tendevano a sovrapporsi. Per la componente ebraica questi discorsi rivestivano un’importanza primaria, poiché, come mostra il dibattito, dalle soluzioni della questione proposte dipendevano la possibilità per gli intellettuali russo-ebrei di continuare a sentirsi parte dell’intelligencija russa, nonché, più concretamente, le future politiche nazionali adottate da un eventuale governo post-bolscevico. Proprio questo aspetto emergeva con chiarezza anche nel dibattito intorno al congresso del 1921.
A causa dell’esclusione dell’estrema destra dai lavori collegiali, anche da parte di Novoe
vremja l’iniziativa era stata accolta polemicamente fin dall’inizio e, già nel primo articolo
dedicato alla prima giornata di lavori,251 si sollevava la questione della legittimità stessa del
congresso. Nella corrispondenza successiva la sala veniva descritta semi-vuota, sempre allo scopo di mettere in dubbio il sostegno popolare su cui l’iniziativa avrebbe dovuto fondarsi.252
A. Kartašev aveva dichiarato che lo scopo del congresso era di “trovare un «principio statale» per l’unione delle forze russe, al fine di creare un fronte antibolscevico unitario”.253
250 Ivi.
251 Reporter, “S”ezd nacional’nogo ob”edinenija (Vpečatlenija)”, Novoe vremja, n. 41, 1921 (12 giugno). 252 Reporter, “Parižskaja chronika”, Novoe vremja, n. 43, 1921 (15 giugno).
Riprendendo questa affermazione, la redazione di Novoe vremja, per parte sua, si interrogava sul significato del termine “statale”: cosa significava per gli organizzatori? Nei dibattiti dei primi anni Venti esso era inteso dai liberali in termini di difesa di un principio statale che prescindesse dalle distinzioni nazionali. Un tale significato del termine – e di quelli connessi – non poteva certo essere condiviso da un entourage come quello di Novoe vremja, che, in un articolo di fondo, finiva per associarlo pienamente alla Terza Internazionale.
Слиозберг, Карташев – оба выставляют принцип “государственного” объединения, совершенно не поясняя, что именно они разумеют под этим термином. Карташев, впрочем, оговаривается, что термин “нация” берётся съездом “не в его этнографическом и культурном значении, а только в государственном”. Значит – ни народ с его гением и душою, с его миросозерцанием, историческим прошлым, ни вековая работа народа в его умственном, художественном и бытовом творчестве – не будут приняты во внимание при определении государственного начала? Что же его составляет? Государственное объединение – т.е. механическое сцепление отдельных особей или целых народностей под единою государственною властью? Так, ведь, это Ш интернационал, не более.254
L’equazione di Novoe vremja era chiara: ciò che non si fondava su un principio nazionale era semplicemente antinazionale, ovvero internazionalista. Il “principio statale” poteva solo essere espressione dell’unità etnografica e culturale di una nazione. Per quanto possa sembrare a prima vista strano, a brillante esempio di capacità di tutelare il principio spirituale nazionale di un popolo veniva apportato proprio il caso del popolo ebraico: i due discorsi – quello sul principio statale e quello ebraico – venivano connessi sulle pagine del quotidiano in maniera estremamente esplicita. Veniva infatti introdotta la tematica seguente: coloro che sostenevano il principio statale come superiore a quello nazionale, facevano di fatto – sebbene in forme più sfumate – lo stesso gioco dei bolscevichi, il cui governo si basava appunto sulla supremazia del principio statale su qualunque altro valore; la ripetizione dello stesso slogan non poteva che essere un inganno o un modo per permettere lo sfruttamento della Russia da parte di altri popoli. I lettori di Novoe vremja – che, dopo un paio di mesi della sua esistenza esilica, aveva ripreso con fervore la tradizione antisemita prerivoluzionaria – potevano facilmente decifrare il riferimento agli ebrei stessi che, se custodivano gelosamente il loro spirito nazionale, distruggevano invece l’unità degli altri popoli.
Se queste erano le posizioni dei due estremi politici, esclusi dai lavori collegiali, il congresso doveva cercare una posizione di sintesi che ricucisse le fratture. L’impresa era tutt’altro che
semplice: il discorso nazionale russo pareva scontrarsi immediatamente, sia da destra che da sinistra, con la questione delle nazionalità – in primis quella ebraica – e non è dunque un caso che l’incidente principale occorso durante l’assemblea vertesse intorno a questo tema. Come aveva scritto Miljukov, infatti, “non si poteva parlare della liberazione dal regime bolscevico senza affrontare la questione del metodo di liberazione e del programma dei liberatori”.255 La
questione era stata sollevata, in prima istanza, dal cadetto V.D. Nabokov che si era schierato contro le violenze anti-ebraiche e contro l’utilizzo della retorica antisemita come fattore unificante dei gruppi antibolscevichi. A tale proposito egli aveva già espresso la sua preoccupazione sulle pagine di Evrejskaja tribuna,256 in un articolo in cui, prendendo le mosse
dalle notizie dei pogrom nel sud dell’Impero, metteva in connessione l’antisemitismo con il “basso livello morale” degli strati inferiori della popolazione. Il sospetto che tali umori stessero prendendo piede anche in ambito liberale gli faceva tuttavia aggiungere: “И только среди людей, находящихся с этими низами на одном моральном уровне, кровавые побоища воспринимаются”.257 Il pericolo maggiore, secondo Nabokov, era la diffusione di
una tendenza non alla giustificazione dei pogrom, ma a una loro “spiegazione” che sarebbe risultata in un’attitudine passiva nei confronti dell’antisemitismo dilagante. Nessuno, secondo l’autore, avrebbe potuto difendere razionalmente il principio di responsabilità collettiva secondo cui tutti gli ebrei dovevano pagare per i ‘peccati’ degli ebrei bolscevichi, ciononostante, la responsabilità collettiva come fattore psicologico rappresentava un pericolo da non sottovalutare. Non tanto dei pogrom, dunque, dovevano preoccuparsi gli ebrei, quanto del rischio di un “isolamento morale” nella Russia futura:
Их [gli ebrei, mgr] должно страшить другое: перспектива нравственной изолированности в новой, восстановленной России. Если те чувства, которые приходится теперь сплошь и рядом констатировать в самых неожиданных сочетаниях, будут развиваться, не встречая отпора, положение еврея – подлинного гражданина, любящего родину, желающего ей служить, – сделается по истине трагическим, безвыходным”.258
Per questo motivo le parti “sane” dell’intelligencija sia russa che ebraica dovevano impegnarsi in una lotta su tutti i fronti contro l’antisemitismo – sia “attivo” che “passivo”. Sull’intervento di Nabokov al congresso non sappiamo molto, ma non aveva provocato reazioni particolari. Era stato invece l’intervento del dottor Pasmanik ad aver toccato un nervo scoperto delle file antibolsceviche. La questione – oltre che legata all’idea nazionale che si voleva promuovere – era infatti anche concreta, poiché cominciavano a giungere le prime
255 “Nacional’nyj s”ezd”, Poslednie novosti, n. 347, 1921 (5 giugno).
256 Cfr. V.D. Nabokov, “Bol’noj vopros”, Evrejskaja tribuna, n.1, 1920 (27 febbraio), pp. 6-7. 257 Ivi, p. 6.
notizie d’insieme riguardo ai pogrom perpetrati durante la guerra civile.259 Pasmanik si era
fermato in dettaglio sulla descrizione dei pogrom in Ucraina e in Bielorussia e aveva poi esplicitato, pur attribuendo l’opinione ad altri, uno dei paradossi del congresso: se gli organizzatori e gli oratori erano principalmente progressisti, lo stesso non si poteva dire del pubblico: – Мне пришлось слышать такое мнение, – говорит Пасманик: – на эстраде сидят прогрессивные люди, а вот в зале съезда – ох, как черно. (Возгласы с мест: верно!) Будет ужасно, и национального объединения не будет, если и впредь будут еврейские погромы (На местах ропот и недовольство). Одна из причин гибели ген. Деникина – это допущение еврейских погромов. (Возгласы с мест: это не так! Шум и ропот).260
La tesi principale di Pasmanik, era riassunta nella frase “Sul sangue ebraico non costruirete la felicità della Russia”,261 e sviluppava l’idea di Nabokov che l’antisemitismo non potesse
fungere da base del discorso nazionale. Si affermava, inoltre, che la sconfitta dell’Armata bianca fosse dipesa in buona misura dalla tolleranza nei confronti delle violenze antiebraiche. Questa convinzione era stata espressa da Pasmanik anche in altre occasioni.
Secondo il resoconto di Poslednie novosti, la reazione del pubblico era stata particolarmente ostile e in sala regnava un’atmosfera da circolo di estrema destra. Il resoconto del giornale aveva creato una catena di ‘fraintendimenti’, il cui momento finale era stato un articolo di G. Sliozberg, pubblicato su Obščee delo.262 Il giurista, esponente di punta dell’intelligencija
russo-ebraica, smentiva seccamente le accuse di Poslednie novosti, sostenendo che le sparute grida di protesta erano da interpretare come rivolte contro alcuni specifici passaggi del discorso di Pasmanik. Infatti:
Если сопоставить этот эпизод с тем фактом, что резолюция по докладу Набокова, осуждающая политику насилий, мести и слабое подавление погромов и т.д. принята единогласно, что также единогласно приняты резолюции об основных принципах строительства русской государственности и, между прочим, полное равноправие всех граждан без различия национальности и исповеданий и свободное культурное развитие национальностей (культурная автономия), то станет ясно, что чайная Союза Русского Народа была в голове правдолюбивого корреспондента “Посл. Нов.”, а не в зале заседания Съезда Национального объединения.263
A posteriori è difficile ristabilire con certezza il corso delle cose. Occorre comunque notare che l’ostilità del gruppo di Miljukov nei confronti del congresso era manifesta e porterebbe a mettere in dubbio l’obiettività della fonte. Sliozberg, per parte sua, tentava di ridimensionare l’episodio che, altrimenti, sarebbe andato a suffragare le tesi di Miljukov e avrebbe inficiato il senso stesso del congresso per i suoi organizzatori. Si noti tuttavia come anche il quotidiano
259 Su questa vicenda riverremo nella parte dedicata all’omicidio di S. Petljura
260 Riporto il resoconto pubblicato su Poslednie novosti da “Sredi gazet i žurnalov”, Novoe vremja, n. 45, 1921
(17 giugno).
261 Ivi.
262 G. Sliozberg, “Novaja taktika i starye priemy”, Obščee delo, n. 340, 1921 (21 giugno). 263 Ivi.
diretto dai cadetti I. Gessen, A. Kaminka e V. Nabokov Rul’ (“Il timone”), che all’iniziativa era favorevole, avesse confermato la versione di Poslednie novosti.264
Di certo, se la redazione di Poslednie novosti esultava, non era da meno quella di Novoe
vremja, che pure descriveva l’umore dell’assemblea quale reazionario e coglieva al volo
l’occasione di ribadire i punti chiave della sua visione politica. L’attenzione dedicata dal giornale al congresso inizialmente era stata scarsa, ma le cose erano mutate velocemente e il 16 giugno all’iniziativa era addirittura dedicato l’articolo di fondo, che sentenziava con mal celata soddisfazione: Задуманный год тому назад г. Пасмаником съезд Национального Объединения в Париже, несмотря на все старания Бурцева и его сотрудников сохранить его в неприкосновенности от “реставраторов”, пошёл по пути, не предвиденному его устроителями. Напрасно предостерегает от правых большевиков г. Маклецов, твердя из детства заученный урок, напрасно г. Пасманик бьёт себя в грудь, распинаясь за страдающее от русского варварства еврейство, - съезд ведёт себя все более неприлично: аплодирует Гурко, проявляет такую “черноту”, что “Последние новости” злорадствуют […].265
Riguardo all’episodio di Pasmanik, il commento era lasciato a una corrispondenza dell’anonima firma Reporter: questi esordiva riconoscendo a Pasmanik il diritto di affrontare la questione, tanto più in quanto ebreo, liquidava però immediatamente il suo intervento come “avventato e indelicato”.266 A suscitare particolare scandalo era l’affermazione di Pasmanik a
proposito del fatto che proprio i pogrom erano stati tra i principali motivi di insuccesso dell’Armata volontaria: non solo infatti quest’interpretazione sarebbe stata infondata, ma gli eventi stessi del tutto non dimostrati. Nell’atmosfera estremamente tesa seguita alle sconfitte militari, l’intervento di Pasmanik veniva interpretato quale attacco all’Armata bianca stessa, e dunque quale lavoro contro il ‘cuore’ del movimento antibolscevico. Reporter si soffermava dunque lungamente sulla descrizione delle obiezioni sollevate a sessione conclusa dalla platea e dagli stessi collaboratori di Pasmanik e concludeva:
Нет, гг. обвинители, не армии и её защитникам и братьям доказывать, что это огульное обвинение – вопиющая ложь, а вы должны привести доказательства тому, что вы так легкомысленно преступно бросаете публично в лицо национальной армии, уже четвёртый год геройски защищающей честь и восстановление Родины! Такие бездоказательные обвинения – клевета и преступление! Теперь большевики и их друзья заграницей могут ссылаться на болтовню Пасманика. Но, к счастью и весь съезд (в зале) и некоторые ораторы на трибуне, (например г. Недошивин) протестом своим и заявлениями подчеркнули клеветнический характер таких обвинений.267
264 Cfr. St. Ivanovič, “S”ezd nacional’nogo ob”edinienija”, Evrejskaja tribuna, n. 78, 1921 (24 giugno), pp. 1-
2:1.
265 “Komu prinadležit vlast’?”, Novoe vremja, n. 44, 1921 (16 giugno).
266 Reporter, “Parižskaja chronika. S”ezd nacional’nogo ob”edinenija (Vpečatlenija)”, Novoe vremja, n. 45, 1921
(17 giugno).
Come ormai sappiamo, le accuse erano in realtà ben lungi dall’essere infondate.Durante la guerra civile, infatti, all’antisemitismo latente dei dibattiti politico-culturali prebellici si era aggiunta anche una pratica consistente e massiccia di persecuzioni antiebraiche perpetrate dalle forze antibolsceviche. Sebbene non molto note al largo pubblico, le ondate di pogrom occorse nella zona meridionale dell’ex Impero Russo (in particolare a cavallo tra 1919 e 1920), sono considerate da alcuni studiosi una sorta di ‘preludio’ alla Shoah. 268 Questa
considerazione è suscitata non solo dalle proporzioni dei pogrom stessi – le stime variano tra i 50-60 ai 200 mila morti 269 – ma anche dal fatto che molti dei ‘capi d’accusa’ mossi in
seguito nei confronti degli ebrei nacquero o si diffusero in questo frangente. Il caso dei
Protocolli dei Savi di Sion, prodotti all’inizio del Novecento, ma ristampati massicciamente
nelle zone occupate dall’Esercito volontario e da lì diffusisi nel resto d’Europa, è il più noto, ma non certo l’unico.270 L’accusa mossa agli ebrei di essere i ‘promotori’ e i più influenti
esponenti della Rivoluzione bolscevica, prese le mosse tra le file dei Bianchi, si diffuse con successo in tutta l’Europa occidentale. La facilità con cui si scatenarono gli umori antisemiti, del resto, aveva a sua volta radici più remote (per non parlare di quelle remotissime, legate all’antagonismo giudaico-cristiano). Come suggerisce Budnickij, tale fenomeno non può essere compreso senza tener conto dell’eredità della propaganda antisemita negli anni della Prima Guerra mondiale. Le voci a proposito dei tradimenti delle “spie ebraiche e filo- tedesche”, la pratica di deportazione a cui erano sottoposti gli ebrei residenti nella zona del fronte, spianarono senza dubbio la strada alle credenze complottistiche successive. A partire dagli anni della Grande guerra, passando per la rivoluzione di febbraio, fino all’apice della