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1. Il mito del giudeo-bolscevismo: pro et contra

1.5. Evrejskaja tribuna e il cammino democratico della Russia

L’immagine del mondo ebraico come ‘cittadella’ dell’Occidente trovava effettiva dimostrazione nella linea della rivista Evrejskaja tribuna, che nei primi anni successivi all’emigrazione si ergeva quale organo di controcanto ai discorsi antisemiti. Sebbene la rivista entrasse raramente in polemica diretta con Novoe vremja, le cui argomentazioni riteneva indegne di un serio dibattito, essa dava espressione a un ‘progetto russo’ alternativo, in cui gli interessi delle diverse nazionalità non entravano in conflitto. Le posizioni della testata russo- ebraica coincidevano in buona misura con quelle tradizionali del partito cadetto.

Per quanto riguardava le contestazioni al mito giudeo-bolscevico sulla rivista si ricorreva soprattutto alla condanna del principio di responsabilità collettiva e alla distinzione tra bolscevismo e bolscevichi, che permettevano di aggirare del tutto la questione della cospicua partecipazione ebraica al nuovo regime.

Questo approccio emergeva fin dal primo numero della rivista, in un articolo di Moisej Leont’evič Gol’dštejn intitolato significativamente Krugovaja poruka, (“Responsabilità collettiva”),189 in cui l’autore, uno dei redattori capo della rivista, enumerava le sofferenze

inflitte dal bolscevismo agli ebrei e affermava l’estraneità di Trockij e Zinov’ev al resto del popolo ebraico. Gol’dštejn non negava l’esistenza di speculatori e commissari che avevano effettivamente tratto vantaggio dalla rivoluzione, ma respingeva l’identificazione di questi con gli ebrei nel loro insieme. Tale identificazione scaturiva, a suo parere, da una scorretta impostazione della questione, che negava la natura russa del fenomeno bolscevico. Al contrario, Gol’dštejn proponeva una spiegazione affine a quella di Pasmanik: nell’epoca moderna erano i popoli a decidere la politica del loro Paese e, nel 1917, quando era divenuto un soggetto politico, il popolo russo voleva solo la fine della guerra e la terra. Schiacciato da secoli di gretto dispotismo, aveva seguito l’unico partito che aveva promesso entrambe le cose: i bolscevichi.

Insomma, il bolscevismo era espressione degli umori popolari e dunque, incontrovertibilmente, russo nella sua natura. Riconosciuto questo punto, la questione della nazionalità di singoli esponenti del partito bolscevico diveniva superflua poiché essi, russi o ebrei che fossero, erano solo attori di quella massiccia adesione al bolscevismo che era frutto di una congiuntura storica.

Per rafforzare questa tesi, di tanto in tanto veniva affrontata sulle pagine della rivista anche la

questione numerica. Nell’articolo Istočniki antisemitizma (“Le fonti dell’antisemitismo”),190

St. Ivanovič (pseudonimo di S.O. Portugejs, che si firmava anche V.I. Talin) prendeva spunto dalla pubblicazione sulla Pravda del censimento dei membri del partito comunista in 31 governatorati della Russia (escluse Mosca e Pietrogrado), secondo il quale solo il 6% dei responsabili sarebbero stati ebrei. L’incremento dell’antisemitismo non poteva dunque dipendere dalla percentuale di ebrei nelle fila bolsceviche e non poteva essere interpretato quale forma traslata di antibolscevismo. Al contrario, l’autore avanzava l’ipotesi che l’antisemitismo, in assenza di ebrei al potere sarebbe forse emerso ancor più violentemente:

“Может быть, из тайной болезни большевистских кругов антисемитизм стал бы официальной частью официальной идеологии, как это было при самодержавии и как это, пока только в виде робкой тенденции, заметно уже и сейчас в лоне большевизма”.191 Del resto, era innegabile che l’antisemitismo in Russia ci fosse anche

quando non c’erano ebrei al governo, il che suggeriva che l’immaginario non scaturisse necessariamente da una situazione reale. O meglio, l’ideale terreno di coltura di fantasmi antisemiti era l’ignoranza delle masse, incapaci di comprendere complessi rivolgimenti storici: Нужно понять вещь простую и наглядную: антисемитизм вырастает там, где есть массы, неспособные разбираться в причинах обрушивающихся на них бедствий, неспособные к систематической и организованной борьбе за свои интересы, совпадающие с интересами прогресса. Времена кризисов и всякого рода потрясений – это времена наибольшего расцвета антисемитизма. Нынешний расцвет его во всем мире достаточно наглядно связан с разрушительными последствиями войны. А так как в России именно при большевизме и благодаря большевизму жизнь дошла до крайних пределов расстройства и разложения, то не удивительно, что здесь при наибольшей темноте населения антисемитизм принял и наиболее опасные формы.192

Come mostra questo brano, veniva avanzata una sorta di teoria dell’antisemitismo quale ‘socialismo degli imbecilli’ e si affermava che non sarebbe stata la quantità di ebrei nelle fila bolsceviche a suscitare l’antisemitismo, ma l’antisemitismo preesistente a far notare tra le fila bolsceviche in particolar modo gli ebrei. Questa ostilità era incrementata da agitatori professionisti che, sfruttando l’ignoranza del popolo, cercavano di presentare l’antisemitismo come espressione di uno spontaneo movimento di liberazione dal bolscevismo.

Come notava Petr Jakovlevič Ryss, però, l’ideologia antisemita non aveva portato benefici alla causa russa. L’autore, esponente cadetto, storico e giornalista, nell’articolo Političeskoe

190 St. Ivanovič, “Istočniki antisemitizma”, Evrejskaja tribuna, n. 104, pp. 1-2 (22 dicembre 1921). 191 Ivi, p. 2.

bezumie (“Follia politica”)193 gettava uno sguardo di insieme sulla politica delle nazionalità

messa in atto nel sud dell’Impero e in particolare riguardo alla questione ebraica. La mancata distinzione tra bolscevichi e bolscevismo era considerata uno dei principali fattori che avevano causato il fallimento della lotta ‘bianca’. L’adozione di una retorica antisemita aveva condannato il movimento antibolscevico a una sostanziale povertà ideologica e aveva impedito una seria riflessione sulle dinamiche profonde che avevano portato al bolscevismo:

Сколько мне пришлось убедиться, в Добр. Армии существовала вера, что большевизм – не органическое явление, свойственное природе русских потрясений, – а посему глубоко- национальное и естественно-развивающееся, – а какое то наносное явление, изобретённое на предмет гибели России. Изобрели-же большевизм евреи, тем паче, что во главе красной армии находится еврей Троцкий. Поэтому борьба и велась не с большевизмом, который победить можно реформами и разумной государственностью, а с большевиками, которым мстили, отталкивая от Добр. Армии целые классы, целые народы.194

L’identificazione tra ebrei e bolscevichi durante la guerra civile aveva permesso, secondo Ryss, da una parte di ‘semplificare il quadro’ per le persone semplici, dall’altra di evitare un’assunzione di responsabilità da parte degli ambienti governativi zaristi. A suo parere, infatti, incolpare gli ebrei era stata la scelta di minor resistenza: in un contesto in cui nessuna parte politica aveva intenzione di assumersi la responsabilità di quanto era avvenuto in Russia, la spiegazione ebraica era facilmente assimilabile da persone semplici, di tradizione cristiana e, inoltre, reduci dalla guerra mondiale e dai suoi umori antisemiti. L’idea di un complotto ebraico era assai più intellegibile delle complesse dinamiche storiche e il conflitto si era ridotto a un’opposizione stereotipata tra borghesi e “giudei”, senza che venisse elaborata una costruttiva politica alternativa a quella bolscevica:

Люди стали неузнаваемы, и старые либералы, и демократы мало чем разнились от Пуришкевича, лишь только речь заходила о евреях. Получалось, что дикому и невежественному лозунгу “бей буржуев” противополагался столь же дикий и невежественный лозунг “бей жидов”.195

Ricapitolando, a parere dei collaboratori di Evrejskaja tribuna, dunque, il bolscevismo era un fenomeno profondamente radicato nella storia russa e nella psicologia delle masse ed era dunque assurdo imputarne la colpa agli ebrei. Tale interpretazione scardinava l’idea proposta dagli antisemiti di una coincidenza tra antibolscevismo e antisemitismo: se per gli strati ‘bassi’ della popolazione l’antisemitismo era figlio dell’ignoranza, per i quadri dirigenti si trattava di un’occasione per manipolare le masse ed era quindi strumento politico della

193 P. Ryss, “Političeskoe bezumie”, Evrejskaja tribuna, n. 22, 1920, pp. 1-2. 194 Ivi, p. 1.

reazione, da cui era inscindibile. Come si era espresso il barone Nesel’rode sulle pagine della testata: “La reazione no è sempre antisemita, ma l'antisemitismo è sempre reazionario. […]”.196 Sul legame tra antisemitismo e monarchismo la testata non nutriva dubbi e vi

ritornava spesso, come ad esempio in questo brano di Verax:

Монархизм европейских и русских врагов революции генетически и психологически связан с антисемитизмом узами неразрывными. Реакционным формам монархизма сопутствуют грубые проявления антисемитизма: более либеральным оттенкам монархизма соответствуют смягчённые антисемитские тенденции; культурные представители идеологического монархизма – вчерашние столпы русского либерализма – свой антисемитизм искусно маскируют, иногда от самых себя.197

In questa lettura, quindi, l’antisemitismo poteva fungere da ‘indicatore del grado di reazione’: quanto più ci si spostava verso destra, tanto più esso aumentava. Persisteva invece un certo pudore tra l’intelligencija di formazione liberale a esprimere opinioni antisemite, eredità della tradizionale alleanza tra questa e l’ebraismo. In sostanza, era convinzione della testata che l’unica ‘terapia’ possibile per l’antisemitismo fosse la democrazia, che avrebbe garantito la pacifica convivenza dei popoli sulla terra russa. Su Evrejskaja tribuna trovava espressione continua l’idea della coincidenza di interessi tra democrazia ed ebraismo russi.

Демократическая Конституция, писали мы в статье о программе журнала, основанная на принципах свободы и равенства для всех народов России, обеспечивающая права человека и гражданина всему её населению. Это мы считаем главнейшей задачей момента…. Только при демократическом строе возможно мирное сожительство разно-племенных народов России.198

Conseguentemente, il riemergere della questione ebraica e di un virulento antisemitismo era messo in connessione con la caduta del Governo provvisorio: le tendenze autoritarie del nuovo regime non potevano che risvegliare la tradizione antisemita dello zarismo.199

Nasceva in questo modo un parallelismo tra regime zarista e bolscevico, che sarebbero stati, a parere di molti autori di Evrejskaja tribuna, accomunati dallo stesso disprezzo per i principi democratici e per questa ragione entrambi contagiati dall’antisemitismo:

Об этом сродстве [tra monarchici e bolscevichi mgr] писалось уже много; здесь и общий отказ от западных демократических государственных форм и общий уклон в самобытность, и между формулами Ленина и истерическими возгласами Шарапова “Земля и царь!„, – отметая внешние черты различия, – конечно, не трудно найти внутренние черты духовного сродства, черты единой азиатской тяги к деспотизму и единого

196 A.D. Nesel’rode, “Antisemitizm i reakcija”, Evrejskaja tribuna, n. 57, 1921, pp. 4-5:4. 197 Verax, “Na slučajnye temy”, Evrejskaja tribuna, n. 99, 1921, pp. 5-6:5.

198 “Sotyj nomer”, Evreiskaja tribuna, n. 100, 1921, pp. 1-2:1.

199 “Еврейский вопрос в русской революции, собственно говоря, был поставлен одновременно с

крушением Временного Правительства. […] Во временном правительстве, при всем его пресловутом “безвластии„, – была здоровая демократическая идея, которая без всякого внешнего принуждения одерживала и обуздывала антисемитские инстинкты”, B. Mirskij, “Urok istekšego goda”, Evrejskaja tribuna, n. 54, 1921 (7 gennaio), pp. 1-2:1.

восточного отталкивания от совершенных западных демократических форм.200

L’autore di questa citazione era tra i più attivi nel respingere l’idea che fosse possibile l’identificazione tra ebrei e bolscevichi. Boris Mirskij, pseudonimo di Boris Sergeevič Mirkin-Gecevič, giurista, già professore all’Università di Pietrogrado, collaborava a numerosi perdiodici émigré ed era uno degli autori di punta di Evrejskaja tribuna.201 Nel 1921 aveva

pubblicato in francese un libro intitolato Les Juifs et la révolution russe (“Gli ebrei e la rivoluzione russa”) in cui esponeva in maniera sistematica le tesi fondamentali del circolo di

Evrejskaja tribuna contro il mito del giudeo-bolscevismo. La scelta di pubblicare questo

libretto in francese era già di per sé piuttosto eloquente: non si trattava solamente di rinsaldare le relazioni franco-russe in un momento, quello seguito alla pace separata, in cui esse vacillavano; il punto era fare da contrappeso alla propaganda antisemita in Europa che andava diffondendo sempre più l’equazione tra bolscevismo e giudaismo.

Mirskij cercava di correggere questa errata interpretazione spiegando al lettore occidentale le linee di separazione all’interno della vita politica russa. In primo luogo sottolineava come non gli ebrei, ma i generali e gli ufficiali russi avevano permesso la sopravvivenza del regime bolscevico prestando servizio nell’Armata rossa.202 Anche nella visione di Mirskij, infatti, i

poli estremi della vita politica russa, “i rossi e i neri”, erano assimilabili gli uni agli altri, così come, dall’altra parte, esisteva un legame tra Alleati ed ebrei.203 Mirskij proponeva

un’interpretazione del bolscevismo quale fenomeno “asiatico”, di natura orientale e in questo senso più simile appunto al regime zarista che alla democrazia occidentale e forse anche al socialismo di stampo europeo. Per molte pagine e mediante diversi esempi tratti dalla storia partitica russa pre-rivoluzionaria, Mirskij illustrava il carattere antistatale dei movimenti rivoluzionari russi, in questo a suo parere del tutto accomunabili alla destra e opposti insieme

200 Bor. Mirskij, “Restavratory i evrei”, Evrejskaja tribuna, n. 87, 1921, pp. 2-3:3.

201 Proprio su questo giornale veniva pubblicata in traduzione russa la prefazione al libro di Mirskij, scritta da

Salomon Reinach, un ebreo francese, di formazione archeologo, attivo nella lotta contro l’antisemitismo in Francia: “Evrei i russkaja revoljucija. (Predislovie k knige našego sotrudnika Borisa Mirskogo togo že nazvanija)”, Evrejskaja tribuna, n. 108, 1922 (18 gennaio), A proposito di un’altra prefazione di Reinach cfr. anche articolo di Mirskij, “Černaja sotnja”, Evrejskaja tribuna, n. 58, 1921, dove scrive il recensore: “Русские реакционеры, – им, собственно, и посвятил свою работу И. Исаевич, – не только клевещут, обвиняя евреев в каком то всемирном заговоре, но совершенно извращают картину русских политических настроений; западный читатель, под влиянием соответствующей прессы, может, действительно, поверит, что евреи погубили Россию, что евреи командуют красной армией, что евреи всегда стремили к сепаратному миру с Германией и т.д.”.

202 A questo proposito cfr. anche Bor. Mirskij, “Statistika”, Evrejskaja tribuna, n. 89, 1921 (9 settembre), pp. 2-3:

“После того, как русское общество знает, как пошли на советскую службу генералы, полковники, офицеры генерального штаба, организаторы и начальники красной армии, т.е., подлинные охранители советского строя, в нем заинтересованные и в его преступлениях преуспевающие, – еврейская “статистика„ есть наиболее неумная реакционная выдумка” (p. 3). Per una testimonianza si veda anche A. Vetlugin, “Pošlaja vydumka”, Evrejskaja tribuna, n. 68, 1921, pp. 1-2.

203 B. Mirsky (Mirkine-Getzevitch), Les Juifs et la révolution russe, Paris, J. Povolozky & C. editeurs, s.d.

a questa al principio liberale occidentale espresso da Struve con le parole “Je suis pour l’Europe, voilà pourquoi je suis pour l’État”.204

Questo punto era fondamentale perché una tesi molto diffusa negli ambienti di destra era, come abbiamo visto nel caso di Meller-Zakomel’skij, che il bolscevismo fosse filiazione diretta del socialismo europeo e che gli ebrei, in maggioranza occidentalisti, fossero dunque da ritenere responsabili della disfatta della Russia anche perché vi avevano introdotto principi occidentali che avevano un effetto disgregante sulla cultura tradizionale. Sul carattere filo- occidentale degli ebrei russi erano dunque tutti d’accordo, a variare era la valutazione che di questo aspetto si dava e le conseguenze che ne scaturivano. Da democratico quale era, Mirskij non poteva che valutarlo favorevolmente, poiché auspicava per la Russia un processo di occidentalizzazione accompagnato dalla crescita della legalità e della democrazia. Sul carattere occidentale dell’ebraismo russo Mirskij riveniva spesso, affermando che: “Вне- государственность еврея диалектически привела его к религии государственности, […] русский еврей – западник, всегда европеец, часто даже больше европеец, чем русский, иногда больше европеец, чем европейцы”.205 La mancanza di diritti civili in Russia avrebbe

dunque spinto gli ebrei verso una mitizzazione del principio legale e dunque verso l’Occidente che ne era simbolo.

L’impostazione della questione in questi termini – bolscevismo a est ed ebraismo a ovest – permetteva tra le altre cose di asserire che gli ebrei russi non potevano essere schierati con il bolscevismo. A ulteriore conferma di tale posizione, Mirskij adduceva il fenomeno dell’antisemitismo rosso e i pogrom, che altro non sarebbero stati – come in epoca zarista – che un sintomo della barbarie “orientale” del nuovo regime e un’eredità dello zarismo. Per questa ragione Mirskij ribadiva che la soluzione della questione ebraica coincideva con la soluzione della questione russa in senso democratico e legalitario. Quest’ultima tesi in particolare era ovviamente molto invisa alla destra russa che, specialmente sulle pagine di

Novoe vremja, tentava di dimostrarne l’infondatezza.206

Se gli interventi finora citati erano opera di intelligenty di origine ebraica, a occuparsi di smentire il carattere ebraico del bolscevismo fu anche il russo F. Rodičev, affiliato al gruppo

204 Ivi, p. 36.

205 B. Mirskij, “O putjach Rossii”, Evrejskaja tribuna, n. 61, 1921 (25 febbraio), pp. 2-3. Cfr. anche la sua

recensione della raccolta Ischod k Vostoku: “Evropa i Evrazija”, Evrejskaja tribuna, n. 98, 1921 (10 novembre), pp. 2-3.

206 Cfr. ad esempio gli articoli “Evrei i demokratija”, Novoe vremja, n. 363, 1922 (14 luglio); “Prazdnik

evrejskogo naroda”, Novoe vremja, n. 377, 1922 (30 luglio); “Pušečnoe mjaso evrejstva”, Novoe vremja, n. 407, 1922 (5 settembre); “Puti russkoj i evrejskoj demokratii”, Novoe vremja, n. 476, 1922 (24 novembre).

di Miljukov e oratore piuttosto apprezzato del partito cadetto. Egli aveva pubblicato nel 1921 una piccola brochure dal titolo Bol’ševiki i evrei (“I bolscevichi e gli ebrei”),207 che era stata

poi recensita da P. Ryss su Evrejskaja tribuna.208 Come Pasmanik, ma con un linguaggio e

uno stile più divulgativi, Rodičev passava in rassegna i momenti salienti dell’Ottobre e sosteneva che i protagonisti ne erano stati i russi, non gli ebrei. Di nuovo, la presenza di molti ebrei tra i commissari non veniva negata, ma veniva paragonata a quella delle altre nazionalità, accomunate dal bisogno di servire i bolscevichi per garantirsi la sopravvivenza. Nel caso ebraico, ammetteva Rodičev, si aggiungeva una caratteristica connessa alle passate persecuzioni:

Все они воспитаны в страхе, в унижении, в лучшем случае они были объектом снисходительного покровительства, а теперь они агенты власти. Вино этой власти пьянит их. Их высокомерная заносчивость бросается в глаза вместе с наружностью. Впечатление сделано: жиды – владыки. И все еврейство делают за них ответственными.209

Seguiva l’abituale condanna del principio di responsabilità collettiva grazie alla distinzione operata tra singoli esponenti ebraici e il popolo nel suo complesso. Passando poi in rassegna tutte le disgrazie che il bolscevismo aveva portato in sorte agli ebrei, Rodičev tentava di demolire il mito dell’alleanza tra il primo e il secondo. Lo faceva anche con un paradosso riuscito, quando affermava: “Если все, что случилось, дело рук еврейства – правильнее было бы сказать, что это не господство евреев, а их самоубийствo”.210 Come

nell’esposizione di Pasmanik, si sosteneva la tesi che gli ebrei fossero “proprietari per eccellenza” e per questa ragione non potessero sostenere il bolscevismo. Ricorrente era nell’esposizione di Rodičev il riferimento all’aspetto esteriore che avrebbe reso gli ebrei più visibili. Rodičev vedeva dunque nella partecipazione ebraica al bolscevismo un mito prodotto dagli oscuri istinti delle masse, facilmente condizionabili dall’antisemitismo. La stessa visione, del resto, era quella da lui esposta in Privet Evrejskoj tribune (“Un saluto a La

tribuna ebraica”), dove, constatando la diffusione dell’antisemitismo in seguito alle

impressioni suscitate dalla partecipazione ebraica al bolscevismo, sosteneva che fosse necessaria una strenua lotta contro le “passioni selvagge” che vedeva alla base di tali

207 F.I. Rodičev, Bol’ševiki i evrei, Ob-vo imeni A. Gerzena, Lausanne, s.d. [1921]. Al 1922 risale una sua

traduzione tedesca: Bolschewismus und Juden, Wien - New York, Interterritorialer Verlag “Renaissance”, 1922. (A questa versione aveva collaborato un ebreo tedesco di origine polacca, Alfred Nossig. Per la sua visione della questione cfr. Gerrits, op. cit., pp. 101-102).

208 P. Ryss, “Vdochnovennaja reč’ o bol’ševikach i evrejach” , Evrejskaja tribuna, n. 76, 1921 (10 giugno), pp. 1-

2.

209 F.I. Rodičev, Bol’ševiki i evrei, cit., p. 9. 210 Ivi, p. 13.

posizioni.211

Le spiegazioni proposte da Evrejskaja tribuna erano efficaci per quanto riguardava l’antisemitismo di destra e quello bolscevico latente, ma non erano affatto adeguate a dar conto dell’emergere di un antisemitismo che non era né ignorante, né utilitaristico: come spiegare l’antisemitismo dell’intelligencija? Occorreva capire perché “i vecchi liberali e democratici” erano divenuti “irriconoscibili”. Il giornalista Gurovič, in un articolo, Ložnyj

put’ (“Falsa strada”),212 metteva il fenomeno in connessione con le dure prove che i russi

avevano dovuto superare negli anni recenti:

Объяснение этому надо искать в чрезмерной тягостности выпавших ныне на русскую долю житейских испытаний. Под бременем этой тяжести надломилась русская душа и её прежние постоянные качества на время уступили место переживаниям прямо противоположным: прежние терпимость, добродушие и мягкость, извечно свойственные русскому характеру, под натиском жестокой катастрофы осели глубоко на невидимое дно, а на их место всплыли на поверхность и шумно проявляются порождения душевной мути – бесконечная раздражённость против всего и всех, раздирающая всеобщая взаимная озлобленность и ненавидящее недоброжелательство ко всякому ближнему своему.213

Secondo l’autore, dunque, l’aggressività dimostrata dai russi negli ultimi anni doveva essere messe in connessione con le vicende che avevano vissuto. La tendenza degli émigrés ad attaccarsi continuamente tra loro e l’impossibilità di raggiungere una tanto auspicata unità erano tratti della diaspora che venivano spesso evocati; in questo caso però, in maniera piuttosto originale, vi si vedeva l’origine della crescita dell’antisemitismo. Gurovič riteneva che un cambiamento di carattere in determinate condizioni fosse un fenomeno umano e del tutto comprensibile e che, al ristabilimento della nuova Russia, le antiche qualità russe sarebbero tornate a prevalere. Allora “sprofonderanno nel Lete le fonti che nutrono l’antisemitismo odierno e insieme sparirà anch’esso”.214 Sebbene l’antisemitismo fosse quindi

un fenomeno meno radicato di quanto sembrava, esisteva un pericolo concreto che penetrasse definitivamente nella coscienza russa, a causa dei processi di inerzia della società:

Настроения обывательских масс обладают некоторой силой инерции и могут порою сохраняться, несмотря на гибель порождавших их причин, если эти настроения продолжают находить пищу в потаканиях им со стороны руководящего культурного общественного слоя. Не об антисемитской политике реакционного правительства и не о погромной травле правых кругов идёт здесь речь: не может новая Россия оказаться в когтях реакционной власти, и не страшны погромные кривляки, когда за ними нет покровительства правящей в государстве руки, – но есть нечто, гораздо менее заметное и

211 F. Rodičev, “Privet Evrejskoj tribune”, Evrejskaja tribuna, n. 5-6 (6 febbraio 1920). Come commento alle

posizioni di Rodičev, cfr. invece Budnickij, “Evrejskij vopros v emigrantskoj publicistike 1920-1930-ch”, cit..

212 A. Gurovič, “Ložnyj put’”, Evreiskaja tribuna, n. 105, 1921, pp. 1-2. 213 Ivi.

бесконечно более грозное. Есть опасность уступок антисемитизму со стороны передовой русской общественности. Увы, такая опасность, действительно существует, и нельзя закрывать на неё глаза.215

Nonostante l’apparenza, Gurovič non si riferiva qui ai “liberali pentiti” – a proposito dei quali, a mio parere, queste considerazioni sarebbero state ancora più pertinenti – ma a una tattica specifica di alcuni intellettuali liberali, del tutto estranei all’antisemitismo, che consisteva nel prendere atto del fenomeno e ‘farci i conti’, riconoscendo in tal modo ad esso il ‘diritto all’esistenza’. L’autore sembrava dunque suggerire che l’antisemitismo andasse sostanzialmente ignorato.

Sulle pagine della rivista era poi apparso un intervento di M. Osorgin, il noto scrittore e giornalista, esperto di questioni italiane e a lungo corrispondente proprio da questo paese, per convinzioni politiche vicino ai socialisti rivoluzionari. Nel 1913 per sposare la figlia del teorico del “sionismo spirituale” Achad-Ha’am, Rachil, si era convertito al giudaismo; sebbene Osorgin rimanesse ateo, questo episodio dimostra le sue posizioni filo-semite. In un articolo del 1923, intitolato Osoboe mnenie (“Un’opinione individuale”),216 Osorgin esordiva

esplicitando il suo scarso interesse per il dibattito intorno a “ebrei e rivoluzione russa”. A parere dell’autore, la rivoluzione russa non era fatta dai circoli dell’intelligencija o dai commissari (in cui riconosceva che la componente ebraica giocava un ruolo importante), bensì era un fenomeno spontaneo, popolare, in cui gli ebrei svolgevano un ruolo non diverso da quello di altre nazionalità dell’impero. La campagna portata avanti dai circoli monarchici di estrema destra non meritava dunque, secondo lo scrittore, alcuna considerazione perché rivelava una totale incomprensione dei fenomeni storici riguardati il popolo russo. La reazione dei circoli democratici ebraici, gettatisi a capofitto a dimostrare la scarsa presenza ebraica nella rivoluzione, suscitava quindi il suo stupore:

Прежде всего – почему нужно отмахиваться от участия в революции? В чьих глазах она – зло? В глазах прежних зубров и новых ренегатов? В глазах усталых, разбитых, лично пострадавших людей? Зачем смешивать металл революции со шлаками большевизма, стремление народа к освобождению – со стремлением партий к власти, Россию с “совдепией”?217

Osorgin era infatti convinto che a lungo andare la rivoluzione si sarebbe di certo rivelata un

215 Ivi.

216 M. Osorgin, “Osoboe mnenie”, Evrejskaja tribuna, n. 174, 1923 (2 novembre), pp. 1-2. Mentre questo

intervento pare dimenticato, noto è il suo articolo del 1925 Russkoe odinočestvo su Rassvet, ripubblicato e commentato da A. Razgon in Evrei v kul’ture russkogo zarubež’ja, cit., vol. I.

progresso, un movimento attraverso cui il popolo russo si era liberato in un colpo solo di falsi idoli di cui altrimenti avrebbe impiegato lunghissimo tempo a disfarsi. Era dunque giunto il momento, secondo lui, di cominciare a distinguere tra processi negativi e manifestazioni deteriori di processi positivi; anche i distinguo qualitativi “tra rivoluzioni di mesi diversi” gli parevano ridicoli: Мы называем плюс февралём, а минус – октябрём, революция же шла и идёт своим порядком через все месяцы. Но не можем же мы судить, оправдывать или обвинять евреев в том, что они мешали культурному развитию России, просвещению народа, воспитанию в нем гражданских чувств! Это даже зубры монархизма не утверждают зная евреев за наиболее культурную нацию России.218

Le responsabilità delle rivoluzioni ricadevano principalmente sulla componente etnica slava, mentre minori erano quelle di tutte le altre nazionalità. Per quanto riguardava i bolscevichi, Osorgin esprimeva un’accorata solidarietà per la loro strategia, messa in atto fino a quel momento, di ignorare l’antisemitismo. Purtroppo le sue proiezioni sul futuro della loro politica delle nazionalità erano tutt’altro che rosee, ma si sarebbero rivelate estremamente lungimiranti. Egli era infatti convinto che il bolscevismo, come ogni regime dispotico, avrebbe presto o tardi cominciato ad attaccare gli ebrei: se questo non avrebbe significato la reintroduzione della Zona di residenza, avrebbe però comportato – l’autore ne era certo – l’applicazione di leggi restrittive. Questa convinzione scaturiva evidentemente da una lettura dell’antisemitismo quale conseguenza dell’autoritarismo ed era dunque in linea con le posizioni degli ebrei democratici e con quelle di Mirskij in particolare. A differenza di queste ultime, tuttavia, le posizioni di Osorgin parevano più orientate al realismo nel senso di un riconoscimento della rivoluzione quale avvenimento a lungo auspicato dall’intelligencija e del bolscevismo quale fenomeno piuttosto ‘saldo’. Certo, l’articolo risaliva al 1923, quando, passati i momenti di maggiore difficoltà, appariva improbabile che il regime bolscevico cadesse sua sponte. Osorgin, convinto che l’unica possibilità di scalzare i bolscevichi fosse a quel punto un intervento militare, auspicava dunque un’evoluzione interna del bolscevismo che portasse a una nuova rivoluzione. In questa prospettiva – l’unica non temibile per gli ebrei, perché l’avvento della restaurazione o un altro intervento militare avrebbero significato per loro nuovi pogrom – si augurava che essi avrebbero preso parte alla ricostruzione del