2. I dibattiti: la prima metà degli anni Venti
2.3. Dni di V Šul’gin sulle pagine di Russkaja Mysl’: intelligencija e asemitismo (1922)
Un altro caso di discussione che coinvolgeva gli ebrei russi è connesso alla pubblicazione nel 1922 della prima tranche dell’opera memorialistica Dni (“Giorni”) sulle pagine della rivista diretta da Struve Russkaja mysl’ e riguarda di nuovo l’ipotesi di un avvicinamento di alcuni esponenti dell’emigrazione a posizioni di destra.
Il testo in questione appartiene a V.V. Šul’gin, un noto pubblicista, nonché deputato, famoso per le posizioni monarchiche e nazionaliste e per il suo antisemitismo di matrice politica. Šul’gin era originario di Kiev, dove aveva lavorato e poi diretto il giornale conservatore
Kievljanin (“Il kieviano”) fondato dal padre. Durante gli anni della guerra civile era stato uno
degli ideologi del movimento Bianco ed era poi vissuto in vari centri dell’emigrazione in Europa per stabilirsi infine nel regno di Jugoslavia. In esilio aveva continuato l’attività giornalistica, collaborando in particolare con Russkaja Mysl’, Vozroždenie e Novoe vremja. La sua fu una vita lunga e ricca di rivolgimenti: dopo anni di esilio, durante la seconda guerra mondiale verrà arrestato dai sovietici, passerà dodici anni in carcere per poi venire liberato e stabilirsi a Vladimir, dove sarà oggetto di un vero e proprio pellegrinaggio da parte di molti intellettuali interessati alla sua testimonianza. Per quanto riguarda il periodo dell’emigrazione, particolarmente nota è la vicenda del suo viaggio in incognito nella Russia sovietica tra il 1925 e il 1926, descritto nel libro Tri stolicy (“Tre capitali”). Quando risultò che la presunta organizzazione antisovietica Trest, che aveva condotto Šul’gin in Russia, era in realtà una provocazione della GPU, lo scandalo che ne derivò lo portò a ritirarsi dalla vita politica. Šul’gin era anche l’autore di uno dei testi cruciali dell’antisemitismo russo novecentesco, il libro Čto nam v nich ne nravitsja (“Che cosa non ci piace di loro”), pubblicato in emigrazione nel 1929. Su tutte queste vicende torneremo in dettaglio nel prossimo capitolo.
In questa parte ci concentreremo invece su un episodio minore e del tutto dimenticato, ovvero la polemica che la pubblicazione di Dni aveva suscitato sulla stampa d’emigrazione. In questo testo l’autore narrava prima gli episodi di Kiev successivi alla pubblicazione del Manifesto del 17 ottobre 1905 per poi rivolgersi alla Rivoluzione di febbraio, all’esperienza del Governo provvisorio e all’abdicazione di Nicola II, di cui Šul’gin era stato protagonista in prima persona, trovandosi tra coloro che ricevettero il testo di abdicazione dalle mani dello zar. La struttura stessa dell’opera rifletteva dunque la convinzione dell’autore che “dall’alfa (1905) si
potesse determinare l’omega (1917) della rivoluzione russa”,318 convinzione che conferiva
particolare importanza alla descrizione fatta della prima rivoluzione. Era evidente l’interesse che le vicende narrate presentavano per l’emigrazione, impegnata a capire cosa fosse effettivamente successo in Russia. L’interpretazione che dava l’autore era incentrata sulla questione della responsabilità ebraica in queste vicende, che egli riteneva centrale per la comprensione degli avvenimenti. Šul’gin infatti, descrivendo ciò che aveva visto nelle strade di Kiev nell’ottobre del 1905, presentava i disordini nelle piazze quali opera principalmente di ebrei. Scriveva: Я вышел пройтись. В городе творилось нечто небывалое. Кажется, все, кто мог ходить, были на улицах. Во всяком случае, все евреи. Но их казалось ещё больше, чем их было, благодаря их вызывающему поведению. Они не скрывали своего ликования. Толпа расцветилась на все краски. Откуда-то появились дамы и барышни в красных юбках. С ними соперничали красные банты, кокарды, перевязки. Все это кричало, галдело, перекрикивалось, перемигивалось. Но и русских было много. Никто хорошенько ничего не понимал.319 E ancora: И вдруг многие поняли… Случилось это случайно или нарочно – никто никогда не узнал… Но во время разгара речей о «свержении» царская корона, укреплённая на думском балконе, вдруг сорвалась или была сорвана и на глазах у десятитысячной толпы грохнулась о грязную мостовую. Металл жалобно зазвенел о камни… И толпа ахнула. По ней зловещим шёпотом пробежали слова: – Жиды сбросили царскую корону…320
In questo primo passaggio è già evidente l’intenzione dell’autore di isolare il gruppo ebraico dal resto della popolazione protagonista delle manifestazioni di piazza. I russi erano di umore festoso, “per ordine dall’alto”321 come si esprimeva l’autore, ed era stato solo l’episodio della
corona a svelare loro il carattere antigovernativo delle manifestazioni. Mentre in questo primo brano la narrazione, per quanto tendenziosa, era piuttosto apertamente soggettiva, nel brano subito successivo il confine tra ‘visto’ e ‘sentito dire’ veniva, parrebbe appositamente, celato, e si rimandava a una presunta assodata Verità storica:
Это многим раскрыло глаза. Некоторые стали уходить с площади. Но вдогонку им бежали
318 V. Šul’gin, “Dni”, Russkaja mysl’, kniga I-II, Praga, 1922, p. 137. 319 Ivi, p. 140.
320 Ivi, p. 142-43. 321 Ivi, p. 144.
рассказы о том, что делается в самом здании думы. А в думе делалось вот что. Толпа, среди которой наиболее выделялись евреи, ворвалась в зал заседаний и в революционном неистовстве изорвала все царские портреты, висевшие в зале. Некоторым императорам выкалывали глаза, другим чинили всякие другие издевательства. какой-то рыжий студент-еврей, пробив головой портрет царствующего императора, носил на себе пробитое полотно, исступлённо крича: Теперь я – царь!322
Proseguendo la sua narrazione, l’autore continuava a riportare episodi di rabbia popolare nei confronti degli ebrei e insinuava progressivamente l’idea che il pogrom di Kiev si facesse inevitabile.
Lasciamo da parte in questa sede gli altri passaggi dedicati alla descrizione del pogrom e al ruolo svolto da Šul’gin in quanto “aspirante ufficiale” (прапорщик) nella repressione di tali movimenti, soffermarci sui quali, malgrado l’indubbio interesse, ci porterebbe troppo lontano ai fini dell’individuazione dei contorni della polemica. Ci limiteremo dunque a notare lo schema ideologico sotteso al testo: la rivoluzione era vista quale “assalto alla Russia storica” da parte degli ebrei in primo luogo. I pogrom, in quest’ottica, erano per l’appunto la risposta di questa ai suoi attentatori e, per quanto l’autore condannasse la violenza popolare come risposta inaccettabile, non celava di condividere le ragioni dei pogromščiki. Scriveva infatti:
Ведь идёт грозная борьба, борьба не на жизнь, а на смерть. Вчера начался штурм исторической России. Сегодня… сегодня это её ответ. Это ответ русского простонародного Киева – Киева, сразу, по «альфе», понявшего «омегу»… Этот ответ принял безобразные формы еврейского погрома, но ведь рвать на клочки царские портреты было тоже не очень красиво… А ведь народ только и говорил об этом… Только и на языке: – Жиды сбросили царскую корону.323
Ora, la questione sulla quale ci concentreremo riguarda non tanto le opinioni dell’autore sulla questione ebraica (argomento su cui, come si è detto, ritorneremo in seguito), quanto l’affidabilità delle notizie riportate in un testo che voleva accreditarsi come frutto di un’osservazione diretta degli eventi, e pertanto aspirava a un’assoluta veridicità. In tal modo il testo di Šul’gin tentava di porsi quale tramite tra la microstoria della vita dell’autore e la Storia russa con la esse maiuscola.
Proprio su tale punto si concentrava la nota della redazione attribuibile alla penna di P. Struve,
322 Ivi, p. 143. 323 Ivi, p. 154.
che presentava il testo quale “fondamentale documento umano e storico, che, in tutta la sua rilevanza sarà apprezzato sia dai contemporanei che dalla storia che aspira alla verità”. 324 Era
il piano collettivo a essere coinvolto dunque, la costruzione della “Storia che aspira alla verità”, a cui le memorie davano a parere di Struve un prezioso contributo, in quanto “sincere, veridiche e di grande forza espressiva”.325
A questa versione della Storia, tuttavia, alcuni si opposero. Per meglio comprendere il dibattito che seguì, bisogna fare un passo indietro, e rivolgersi al periodo successivo alla prima rivoluzione. Nel 1909, infatti, si era aperta sulla stampa una discussione sul nazionalismo russo e il suo rapporto con le minoranze imperiali. Ne riassumeremo i punti principali, non solo per capire la ‘preistoria’ dei dibattiti in emigrazione, ma anche perché a questo episodio si faceva spesso riferimento ed è dunque fondamentale alla comprensione degli sviluppi successivi.
È evidente che la discussione sul nazionalismo apriva immediatamente il problema delle questioni nazionali: la questione ebraica, in ragione del profondo legame che univa questa minoranza alla storia dell’intelligencija russa e dei suoi movimenti radicali, fu la prima a emergere. Pretesto per l’inizio della discussione era stato il cosiddetto “incidente Čirikov”: lo scrittore, durante una serata di discussione di un’opera di Š. Aš, aveva infatti sostenuto che solo un russo potesse giudicare ‘con cognizione di causa’ un’opera letteraria russa ed era stato poi accusato di antisemitismo da parte di alcuni intellettuali ebrei.326 Questo genere di
dibattito, sul carattere nazionale della letteratura, era pienamente nello spirito dell’inizio del secolo, e l’anno precedente aveva occupato numerose pagine del giornale sionista Rassvet, nel tentativo di decidere quali lingue potessero garantire a un’opera letteraria l’appellativo di ‘ebraica’.327
L’incidente Čirikov aveva suscitato sulla stampa un ampio dibattito, cui avevano partecipato lo scrittore V.S. Golubev328, il filosofo liberale P.B. Struve, ma anche il fondatore del sionismo
revisionista V.E. Žabotinskij, il leader del partito costituzional-democratico P.N. Miljukov, il poeta e filosofo N.M. Minskij, l’importante esponente del partito costituzional-democratico E.D. Kuskova, D.A. Levin collaboratore della stampa cadetta, M.M. Vinaver, membro del
324 Ivi, p. 136: “первостепенный человеческий и исторический документ [который] будет, во всей его
значительности, оценён и современниками и стремящейся к живой правде историей”.
325 Ivi.
326 Per una dettagliata descrizione dell’incidente cfr. Elektronnaja Evrejskaja Enciklopedija, alla voce “Russkaja
literatura načala XXogo veka”, http://www.eleven.co.il/article/13623#05 .
327 Cfr. a questo proposito l’articolo di I. Serman, “Spory 1908 goda o russko-evrejskoj literature i
posleoktjabr’skoe desjatiletie”, Cahiers du monde russe et sovietique, vol.XXVI(2), aprile-giugno 1985, pp. 167- 174.
328 Vasilij Semenovič Golubev (1862-1910), durante gli anni Ottanta dell’Ottocento esponente del marxismo e
comitato centrale del partito costituzional-democratico e alcuni altri.
La polemica aveva preso le mosse da due articoli di Golubev, Intelligentskaja obosoblennost’ (“L’isolamento dell’intelligencija”) e Soglašenie, a ne slijanie (“Intesa, non fusione”). Nel primo articolo, il pubblicista sosteneva che la mancanza di un “volto nazionale” dei russi era alla radice della fragilità del movimento di liberazione: proprio il cosmopolitismo, infatti, sarebbe stato alla base della separatezza dell’intelligencija russa dal resto del Paese.
Это обособление русской интеллигенции в отдельный класс с её космополитическими идеалами много содействовало тому, что и наша российская революция получила бесплодную космополитическую идеологию, имевшую немало вредных последствий для “освободительного движения” с одной стороны, и классовую подкладку с классовой же идеологией в борьбе против старого режима – с другой.329
A parere di Golubev, dunque, le caratteristiche dell’intelligencija si erano trasferite alla rivoluzione russa stessa, che era divenuta profondamente antipatriottica e antimilitarista, condannandosi in tal modo a perdere nello scontro con il regime.
Nel secondo articolo, Soglašenie, a ne slijanie, Golubev intendeva affrontare apertamente l’incidente Čirikov, che, a suo parere, non costituiva affatto un caso isolato, quanto un segnale di una problematica assai più profonda, quella nazionale. Egli ammetteva che l’impostazione delle questioni nazionali era cambiata dalla prima rivoluzione russa in poi, poiché le fratture che dividevano il Paese si riflettevano anche nelle relazioni tra le nazionalità che ne facevano parte. I conflitti degli ultimi anni, inoltre, avevano favorito il processo di “autodefinizione” delle diverse nazionalità, compresa quella russa:
Под гнетом старого режима русский человек, естественно, не разъединял себя от всех других недержавных и в большей или меньшей степени угнетённых национальностей. Но хотя старый гнёт и остался, зато яснее стали отношения русского человека к другим национальностям. И вот, когда недержавные национальности стали самоопределяться, явилась необходимость самоопределения и для русского человека. И это самоопределение необходимо, ибо русский человек, в особенности русский интеллигент, меньше всего задумывался над собой.330
Il risveglio della nazionalità russa, dunque, sarebbe stato solo conseguente a quello delle altre nazionalità, e, come suggeriva il titolo dell’articolo, doveva essere colto come uno stimolo a sostituire alla precedente “fusione” tra le diverse nazionalità una più fertile “contrattazione”. L’incidente Čirikov, di conseguenza, non doveva essere interpretato quale sintomo di antisemitismo, ma quale manifestazione di quella nuova dinamica interna tra le parti fino a
329 V.S. Golubev, “Intelligentskaja obosoblennost’”, in M.A. Kolerov (a cura di), Nacionalizm. Polemika 1909-
1917, Moskva, DIK, 2000, p. 26. Pubblicato originariamente in Slovo, n. 720, 1909.
330 V.S. Golubev, “Soglašenie, a ne slijanie”, in M.A. Kolerov, op. cit., p. 29. Pubblicato originariamente in
quel momento schiacciate dall’autocrazia. Il compito dell’intelligencija russa era dunque di sviluppare la propria nazionalità quale nazionalità “di stato” (государственная) che cercasse l’accordo con le altre parti senza ignorare le differenze.
Per parte ebraica, era stato Žabotinskij il primo ad aver ripreso l’incidente Čirikov e ad averlo analizzato in un articolo che introduceva nel dibattito russo il concetto di “asemitismo”. Žabotinskij accusava la stampa liberale russa di nascondersi dietro un ambiguo silenzio a proposito della questione ebraica, silenzio che celava, a suo parere, un processo più profondo della semplice volontà di non abbassarsi a polemiche antisemite. Se difendeva Čirikov dall’accusa di antisemitismo, d’altra parte andava ben più lontano:
Повторяю: то, что назревает в некотором слое русской интеллигенции, не есть ещё антисемитизм. Антисемитизм – очень крепкое слово, а крепкими словами зря не следует играть. Антисемитизм предполагает активную вражду, наступательные намерения. Разовьются ли эти чувства когда-нибудь в русской интеллигенции, предсказать нелегко; но пока до них ещё, во всяком случае, далеко. То, чем веет теперь, чем так сильно пахнуло из- за завесы, чуть чуть приподнятой гг. Чириковым и Арабажиным, то не антисемитизм, а нечто отличное от него, хотя родственное и, быть может, служащее предтечей антисемитизму. Это – асемитизм. В России это слово мало известно, зато за границей, где куда лучше знают толк в разных оттенках жидоморства, оно давно в ходу. Смысл его легко понятен. Это не борьба, не травля, не атака: это – безукоризненно корректное по форме желание обходиться в своём кругу без нелюбимого элемента.331
L’accusa di Žabotinskij era piuttosto diretta, e perfettamente coerente con le sue posizioni nazionali. Se gli ebrei continuavano a costituire un elemento chiaramente indesiderato, non potevano fare altro che ‘mettersi in proprio’, organizzarsi quale nazionalità a sé stante e dividere le proprie sorti da quelle altrui. La definizione di asemitismo usata da Žabotinskij, inoltre, superando la dicotomia tra filosemitismo e antisemitismo, ben descriveva le posizioni di alcuni liberali russi, e in particolare quella di Struve. Questi, infatti, nell’articolo
Intelligencija i nacional’noe lico (“Intelligencija e volto nazionale”),332 criticava duramente il
carattere “sovranazionale” dell’intelligencija. Egli sosteneva che, in nome del principio statale (государственный) e della convivenza con le minoranze, l’intelligencia fosse divenuta portatrice di un’identità imperiale, e non nazionale (российская e non più русская). Tale metamorfosi era dovuta alla fedeltà al principio statale, ed era giustificata nella misura in cui “gli allogeni [инородцев] non si possono né sterminare fisicamente, né abolire in quanto tali facendone dei «russi», ma si possono solo accogliere in seno all’Impero [в единое «российское лоно»]”.333 Allo stesso modo, tuttavia, non si poteva pretendere dai russi che si
“derussificassero”. Ciò che egli vedeva dunque nell’episodio di Čirikov era l’emergere di un
331 Vladimir Ž., “Asemitizm”, in Kolerov, op. cit., pp. 33-34. Pubblicato originariamente in Slovo, n. 731, 1909. 332 P. Struve, “Intelligencija i nacional’noe lico”, in Kolerov, op. cit., pp. 36-39.
“volto nazionale” (национальное лицо), che stava mettendo in discussione il tradizionale cosmopolitismo dell’intelligencija russa e si poneva quale argine alle tendenze laiche e internazionaliste.
Restava il problema di capire in cosa consistesse esattamente la “nazionalità” (национальность). A parere di Struve tale categoria non poteva essere compresa in termini razziali, di colore di pelle e forma del naso, ma coinvolgeva principi spirituali profondi molto più fondanti e imprescindibili. Andava di conseguenza affermato, all’interno dei principi di “giustizia statale”, il diritto delle nazionalità ad avere le proprie, come le definiva con un’espressione ripresa più volte in seguito, “attrazioni е repulsioni” (притяжения и
отталкивания). Struve riteneva dunque che si dovesse distinguere tra la necessità di
riconoscere i diritti delle minoranze, e il diritto di non negare i propri sentimenti nazionali. Per quanto riguardava gli ebrei russi, la situazione era tra le più complesse. Se la “repulsione” di larghi strati della popolazione nei loro confronti era un fatto innegabile, era anche vero che gli ebrei erano la minoranza più strettamente legata all’intelligencija.334 Struve riteneva infatti
che una “cosciente iniziativa di repulsione”335 provenisse dagli ambienti sionisti, non certo
dall’intelligencija russa. Rispetto al caso tedesco, inoltre, la particolarità di quello ebraico consisteva nel fatto che questi mantenevano una spiccata identità nazionale. La situazione che ne risultava era dunque estremamente ambigua: l’esempio del pittore Levitan era preso da Struve a modello di tale difficoltà di risoluzione. Se da una parte egli era senza dubbio ebreo, in quanto pittore non poteva che essere definito “russo” (русский) e proprio in questa sua “russità” stava la ragione della sua evocatività agli occhi di Struve.
La posizione di Struve, dunque, era incentrata su una separazione tra principio “legale” e legittime pulsioni nazionali. Per quanto sulla carta distinguere i due aspetti fosse immediato, nel concreto la questione poteva assumere contorni assai più ambigui. Da quanto detto risulta dunque chiaro quanto la categoria di asemitismo fosse calzante per descrivere tale approccio. Lo stesso Struve, infatti, nell’articolo successivo dedicato allo stesso dibattito affermava: «Этот самый ужасный «асемитизм» – гораздо более благоприятная почва для правового решения еврейского вопроса, чем безысходный бой, мёртвая сватка «антисемитизма» с «филосемитизмом»”.336
A parere dunque dei due autori russi finora citati, la rinascita di una coscienza nazionale russa innescata dagli avvenimenti dell’inizio del Novecento poneva il problema di una separazione
334 Ivi, p. 38. 335 Ivi.
336 P. Struve, “Polemičeskie zigzagi i nesvoevremennaja pravda”, in Kolerov, op. cit., p. 46. Pubblicato
tra principio statale e principio nazionale (cosa teoricamente fattibile in un impero multietnico), ma suggeriva una frattura ulteriore, la fine della “fusione” tra nazionalità tra le fila dell’intelligencija. Come suggeriva Žabotinskij, però, quella che nasceva come fessura rischiava di trasformarsi in burrone se le condizioni fossero mutate. Vedremo che forme avrebbe preso l’approccio di Struve nel nuovo contesto esilico.
Se gli interventi di Struve e di Žabotinskij erano in un certo senso sulla stessa linea, quello del leader cadetto Miljukov esprimeva una posizione diversa, centrale per la comprensione della lettura liberale che in emigrazione sarà riflessa su Poslednie novosti e Evrejskaja tribuna. Nell’articolo Nacionalizm protiv nacionalizma (“Nazionalismo contro nazionalismo”)337 e in
quello successivo, “Ottalkivanie” ili “pritjaženie”? (“«Attrazione» o «repulsione»?”),338
Pavel Nikolaevič rompeva la dinamica circolare tra nazionalismo ebraico e nazionalismo russo. Riducendo all’osso la sua argomentazione (in gran parte contingente alla disputa specifica) si può dire che egli, estremamente critico nei confronti di entrambi i nazionalismi, prediceva che essi si sarebbero trasformati in aperto e contrapposto sciovinismo: la logica di “repulsione” si alimentava in un circuito chiuso. Del resto, il diritto individuale a difendere il proprio “volto nazionale” era a parere di Miljukov espressione della crescente “apoliticità” dell’intelligencija russa, che stava attraversando una profonda crisi e tendeva a ripiegarsi in soluzioni elitarie: “Аполитизм нашего интеллигента последней формации непосредственно ведет его по наклонной плоскости эстетического национализма, быстро вырождающегося в настоящий племенной шовинизм”.339 Si trattava dunque a suo
parere della fine dell’intelligencija nelle forme che le erano state proprie fino a quel momento. Inoltre, Miljukov sottolineava con preoccupazione gli eventuali esiti reali di tali teorie, ma chiudeva – con eccessivo ottimismo – su una nota di fiducia nei confronti della futura intelligencija che tali pericoli avrebbe saputo a suo parere evitare.
È evidente da quanto è stato detto che la reazione di Miljukov non conteneva concrete indicazioni sulla posizione da prendere nell’opposizione tra i due nazionalismi. La mancanza di una discussione del merito della questione veniva notata anche da Struve nella sua replica e suscitava un nuovo intervento di Miljukov. Qui veniva esplicitato il sostegno di Miljukov alla causa dello statalismo (государственность) liquidata da Struve, che ne fu uno dei maggiori propugnatori a suo tempo, quale ormai eccessiva. In accordo con E. Kuskova340, Miljukov
337 P. Miljukov, “Nacionalizm protiv nacionalizma”, in Kolerov, op. cit., pp. 40-43. Pubblicato originariamente in
Reč’, n. 68, 1909.
338 P. Miljukov, «”Ottalkivanie” ili “pritjaženie”?», in Kolerov, op. cit., pp. 68-71. Pubblicato originariamente in
Reč’, n. 70, 1909.
339 P. Miljukov, “Nacionalizm protiv nacionalizma”, cit., p. 42. 340 E.K., “Sumerki”, Naša gazeta, n. 59, 1909.
sosteneva che il tipo di nazionalismo intellettuale di Struve non avesse nulla in comune con lo “spontaneo” antisemitismo popolare (coltivato, anch’esso, ma dal governo) e fosse solo una manifestazione della crisi che stava attraversando l’intelligencija. Questi sentimenti andavano invece contrastati poiché portavano a restringere vieppiù il ‘campo identitario’, sfociando infine in un nazionalismo “grande-russo” (великорусский). L’intelligencija, auspicava Miljukov, doveva invece proteggere il suo “volto onesto e buono”, difenderlo dai “baci di
Novoe vremja” e continuare a essere strumento di unione delle nazionalità.
Il delinearsi di una spinta nazionalista in parte dell’intelligencija russa innescava dei meccanismi ‘centrifughi’ difficili da arginare: la posizione di un nazionalista ebraico trovava in tali teorie giustificazione e conferma dei propri impulsi; assai più scomoda diventava invece la posizione di quegli intellettuali che vivevano e teorizzavano una doppia appartenenza. Il caso di M.M. Vinaver, avvocato, membro del comitato centrale del partito cadetto e della Duma, era in questo senso molto rappresentativo.
Vinaver aveva indirizzato a Struve una lettera aperta,341 in cui, pur non condannando di per sé
la separazione tra Stato e cultura proposta da Struve, rilevava un immotivato atteggiamento difensivo e sottolineava soprattutto come tale distinzione potesse apparire tutt’altro che scontata dato il regime di restrizione dei diritti ancora in vigore nell’Impero. L’aspetto di gran lunga più interessante però era quello che toccava l’ambito artistico evocato da Struve con l’accenno al pittore Levitan. Per Vinaver, Levitan (come Antokol’skij, Rubinštejn) era il simbolo perfetto del gruppo nazionale russo-ebraico: “группы, дорожащей своим унаследованным от веков добром, но питающейся самым интенсивным образом окружающей ее культурой”.342 Era proprio la reciproca attrazione tra due popoli e due
culture a costituire la vittima dell’ “asemitismo” introdotto nel dibattito da Žabotinskij e propugnato da Struve: Предлагаю вам, с точки зрения этого деления на “своих” и “не своих” (а ведь деление – и притом грубое – придётся и вам, в конце концов, установить), – предлагаю вам с этой точки зрения подойти к Левитану. Для сиониста Левитан есть парадокс, ненужная, досадная помеха, перекрашивающая утлую ладью государственно-культурной концепции сионизма. Но для нас, для огромной массы русского еврейства и Левитан, и Антокольский есть живые воплощения здорового процесса, который мы желаем продолжать и укреплять не в холодной “асемитической” замкнутости и отчуждённости, а в сфере согретого любовью (именно любовью), свободного взаимного культурного воздействия. И потому, Петр Бернардович, вам следовало бы ещё призадуматься раньше, чем с такой решимостью говорить о ползи “асемитизма” для “еврейских сограждан” – и прибавлю от себя: и для русских сограждан.343
341 M.M. Vinaver, “Otkrytoe pis’mo P.B. Struve”, in Kolerov, op. cit., pp. 72-75. Pubblicato originariamente in
Reč’, n. 70, 1909.
342 Ivi, p. 73. 343 Ivi, p. 75.
In questa fase dunque, Vinaver poteva ancora considerare le posizioni di Struve quale frutto di una non sufficiente riflessione. La seconda lettera, come vedremo, assumerà dei toni più definitivi di irriconciliabilità tra quegli intellettuali che predicavano un ritorno ad ideali nazionali e religiosi e i loro colleghi ebrei che della ‘contaminazione’ erano frutto e apostoli. Nel 1909, dunque, nella fase di stretta reazionaria seguita alla prima rivoluzione russa, si potevano già scorgere alcune delle contraddizioni che attendevano l’intelligencija nel momento in cui avesse smesso di considerarsi super partes da un punto di vista nazionale. Il terreno su cui si muoveva Struve e chi ne condivideva le convinzioni era, per la convivenza e collaborazione tra le nazionalità, a dir poco scivoloso: tale piano d’azione poteva reggere finché la conflittualità si fosse ridotta a dibattiti letterari, ma sarebbe entrato in un’altra fase nel momento in cui la posta in gioco fosse divenuta di ben diversa – e più importante – natura.
Riveniamo dunque al 1922 e vediamo il contenuto della seconda lettera aperta indirizzata a Struve da Vinaver, prima reazione alla pubblicazione di Dni. Il fatto che questi ripetesse il gesto fatto nel 1909 funge da segnale piuttosto esplicito delle affinità riscontrabili tra le due fasi post-rivoluzionarie.
Il cadetto accusava Struve di sottoscrivere, a posteriori, una realtà ben diversa da quella che condivideva con i liberali all’epoca degli eventi. Egli ricordava come allora l’intelligencija fosse concorde nel ritenere che i pogrom fossero stati organizzati dal governo centrale. Il procedimento era infatti sempre lo stesso:
Когда в октябре 1905 г. по всей России прокатились в один день погромы, организованные в сотне мест по одному и тому же трафарету, ни у кого не было сомнений, что ими руководит из центра та же рука, которая печатала и распространяла Комиссаровские прокламации из департамента полиции министерства внутренних дел. До того шаблонны были приёмы. Всюду процессия с царским портретом, всюду “еврейский студент” (непременно рыжий или чёрный) рвущий этот царский портрет и всюду – чуть ли не в 100 или 200 местностях в один и тот же час – внезапный “взрыв народного гнева”: еврейские трупы, пух из еврейских перин, а главное - бесшабашный грабёж еврейского добра. Эта картина давно для всех стала “живою правдой истории”. О ней свидетельствуют целые томы погромных материалов. Она была по-видимому, такой правдой и для Вас. А теперь Вы прозрели и с радостью аттестуете перед человечеством другую шульгинскую правду.344
Dai toni di Vinaver emerge chiaramente quanto la posta in gioco fossero non tanto le convinzioni politiche di Šul’gin, quanto la testimonianza “davanti all’umanità”, la costruzione della Storia.
Le posizioni di Šul’gin erano infatti ben note, era il sostegno datogli da Struve a essere