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Rossija i evrei e il dibattito sulla responsabilità ebraica nella rivoluzione (1924)

2. I dibattiti: la prima metà degli anni Venti

2.5. Rossija i evrei e il dibattito sulla responsabilità ebraica nella rivoluzione (1924)

Le difficoltà a inserire la minoranza ebraica nel discorso del fronte antibolscevico, che si stavano profilando nell’emigrazione, avrebbero suscitato una risposta da parte di alcuni ebrei. Nel contesto post-rivoluzionario sembrava necessaria una nuova articolazione dell’identità russo-ebraica, che ne riaffermasse il patriottismo e l’anticomunismo. Proprio alle riflessioni in questo senso sono dedicate le prossime pagine, che tentano di seguire le riflessioni di un gruppo di ebrei russi e le reazioni che suscitavano.

Nel 1923 alcuni intellettuali ebrei di orientamento conservatore crearono l’Unione patriottica

degli ebrei russi all’estero (Отечественное объединение русских евреев заграницей).400

Dell’Unione facevano parte alcuni esponenti di spicco della vita culturale dell’emigrazione: il dottor Pasmanik, più volte citato in questo lavoro; il famoso giornalista ebreo antisionista I.M. Bikerman, fervido sostenitore dell’Armata bianca;401 lo storico I.O. Levin, già collaboratore di

Russkaja mysl’ in patria e di Rul’ (“Il timone”) e Russkie zapiski (“Gli annali russi”) in esilio,

che verrà poi deportato in campo di concentramento, dove morirà; G.A. Landau, membro del comitato centrale del partito cadetto e in esilio vice-direttore del quotidiano Rul’; infine, tali D. Linskij e V. Mandel’, sui quali mancano precise informazioni. Il gruppo intendeva rispondere alle discussioni sulla questione ebraica condotte fino a quel momento, raccogliendo gli ebrei antibolscevichi e attuando quella formale condanna del bolscevismo che tanto aveva fatto discutere in seno all’emigrazione.

Bikerman stesso descriveva così il fine principale del gruppo:

Нашей задачей – по крайней мере, ближайшей задачей – является показать, что евреям, как таковым, продление смуты грозит более страшными последствиями, чем любой способ преодоления её, что большевики, как сказано в нашем воззвании, и для евреев наибольшее зло.402

L’attività del gruppo era dunque rivolta in primo luogo ai correligionari, e infatti la sua prima iniziativa fu la diffusione di un appello intitolato K evrejam vsech stran (“Agli ebrei di tutto il mondo”), che verrà in seguito posto in apertura della famosa antologia Rossija i evrei,

400 Cfr. A. Solgenitsin [Solženicyn], Due secoli insieme, Napoli, Controcorrente, 2007, v. II, p. 218 (originale

russo 2002).

401 Ivi, p. 218. Tutte le notizie biografiche sugli autori sono tratte da questo stesso testo.

pubblicata a Berlino l’anno successivo.

L’appello si apriva con l’affermazione della fine del miraggio della rivoluzione bolscevica: lo spettacolo che ormai si presentava in Russia era definito dagli autori quale “sconfinato deserto”, punteggiato di rovine e cimiteri.403 Lo “spirito di distruzione” si era impossessato

della Russia, trascinando con se’ i principali valori umani. Pur non negando la sofferenza specifica del popolo ebraico in conseguenza degli avvenimenti rivoluzionari, gli autori sottolineavano tuttavia in modo particolare la stretta connessione degli ebrei russi con la loro patria, alla quale erano legati da “vincoli stretti e multiformi”.404 Essi si trovavano perciò in

“doppio esilio” (рассеяние в рассеянии). Di tutte le sventure abbattutesi sugli ebrei russi negli ultimi anni, la peggiore a detta degli autori era “la partecipazione eccessivamente solerte degli ebrei bolscevichi all’oppressione e distruzione della Russia”.405 Questa partecipazione,

per quanto fosse essa stessa una punizione per il popolo ebraico, che si vedeva sottratti i suoi figli, era enormemente aggravata dall’imputazione che suscitava. Molti erano infatti coloro che interpretavano il regime sovietico quale manifestazione del predominio ebraico, e le ondate di giudeofobia si facevano sempre più minacciose. Il quadro delineato nell’appello era quanto mai fosco, e, a posteriori, alquanto lungimirante:

Вряд ли в России остался ещё такой слой населения, в который не проникла бы эта не знающая границ ненависть к нам. И не только в России. Все, положительно все страны и народы заливаются волнами юдофобии, нагоняемыми бурей, опрокинувшей Русскую державу. Никогда ещё над головой еврейского народа не скоплялось столько грозовых туч.406

Nulla del recente passato dunque poteva essere considerato positivamente agli occhi degli autori, che attaccavano anche chi accoglieva con favore il regime bolscevico poiché aveva concesso agli ebrei la parità di diritti: “Мы искали равенства в жизни, а не в смерти, в созидании, а не в разрушении”,407 affermavano, volendo giustificare la partecipazione

ebraica al movimento di liberazione russo, che, agli occhi di molti, aveva portato dritto alla rivoluzione.

Dopo questo lungo preambolo si giungeva al cuore dell’appello: gli autori ritenevano che, nonostante le sofferenze inflitte dal regime, la maggior parte degli ebrei continuasse a dare un appoggio indiretto al bolscevismo, considerandolo “il minore dei mali”. La rivoluzione era da molti ritenuta un evento fondamentalmente positivo, per il quale si era lottato e che aveva

403 Per le citazioni dell’appello faccio riferimento alla ristampa del volume Rossija i evrei, Parigi, YMCA-press,

1978. Tale edizione non indica una data precisa di pubblicazione dell’appello, ma la versione pubblicatane su

Novoe vremja è datata 23 maggio 1923 (“K evrejam vsech stran”, Novoe vremja, n. 724, 1923, 25 settembre).

404 Ivi, p. 5. 405 Ivi, p. 6. 406 Ivi. 407 Ivi, p. 7.

infine concesso la parità di diritti. Era contro questa posizione che insorgevano gli autori dell’appello, sostenendo che esso fosse invece il male peggiore, non solo per la Russia, ma anche per il popolo ebraico, che in condizioni di barbarie diffusa risultava essere la parte maggiormente indifesa. Il loro scopo era dunque quello di far prevalere questa convinzione tra l’ebraismo mondiale e “mobilitare l’opinione pubblica ebraica di tutti i paesi per la guerra contro i bolscevichi e per la ricostituzione della Russia”.408 Da un punto di vista politico

l’associazione si dichiarava non schierata, ma mirava a coinvolgere chiunque volesse lottare con il bolscevismo. Tale precisazione era ben lungi dall’essere superflua, date le relazioni estremamente ostili che intercorrevano tra i diversi gruppi in emigrazione. Del resto, come raccontava Bikerman, proprio questa mancanza di schieramento era stata vista con diffidenza in campo liberale, dove si insinuava che dietro al gruppo berlinese si celassero in realtà dei monarchici. Rispondeva Bikerman riaffermando l’assenza di un programma del gruppo, ma aggiungeva: Безспорно, сошлись в Отечественном Объединении люди не случайно. В нашей среде вряд ли найдутся люди, приходящие в восторг при одном слове республика, а слово монархия боящиеся к ночи произнести; бесспорно, всех нас интересует Россия и судьбы русского еврейства больше всех “завоеваний революции”, но “программы” не имеем, земельного вопроса не решаем.409

Già dall’appello emergeva dunque il carattere di estrema novità rappresentato dalle posizioni del gruppo rispetto al panorama ebraico in emigrazione: la massiccia partecipazione ebraica al bolscevismo – così come un indiretto ma diffuso supporto – non veniva affatto negata, ma riconosciuta, sebbene interpretata quale sventura in primo luogo per l’ebraismo stesso. A tale partecipazione si faceva risalire l’esplosione dell’antisemitismo, che non era dunque visto quale fenomeno ‘endemico’, ma almeno contestualizzato anche se non certo giustificato. L’affermazione della necessità di ‘ripudiare’ la rivoluzione, nonostante avesse concesso i diritti, era una posizione alquanto discutibile per la parte progressista dell’emigrazione, che usava distinguere tra febbraio ed ottobre e con la condanna dei bolscevichi non intendeva condannare la rivoluzione stessa, ma il corso che questa aveva preso.

Rispetto all’impostazione russo-ebraica liberale, data sulle pagine di Evrejskaja tribuna, che abbiamo visto, non si poteva andare più lontano. Non stupisce dunque che sulla rivista russo- ebraica le posizioni del gruppo venissero duramente criticate. La replica – del sionista revisionista A. Kulišer (già sostenitore della posizione dell’intelligencija russa nella polemica con Šechtman e collaboratore di Poslednie novosti) – risaliva a prima ancora della

408 Ivi.

pubblicazione dell’appello, e precisamente all’epoca di due interventi pubblici fatti da Bikerman e Landau a Berlino il 3 e l’8 marzo dello stesso anno. Il giornalista, sarcasticamente, rilevava un ‘progresso’: se finora la questione della responsabilità ebraica nella rivoluzione era stata posta solo dagli antisemiti, ora se ne occupavano gli ebrei stessi. Particolare indignazione suscitava appunto la critica alla rivoluzione, che Bikerman aveva messo in connessione alle violenze antiebraiche. Egli affermava infatti che “la colpa dei pogrom ricade non solo sul popolo russo e sul potere prerivoluzionario (e meno ancora sui dirigenti del movimento antibolscevico), ma anche su coloro che hanno idealizzato la rivoluzione, traendo in inganno sia i russi che gli ebrei”.410 Come giustamente notava Kulišer

erano questi gli elementi di maggiore novità nelle posizioni del gruppo, che per il resto ribadiva la coincidenza degli interessi russi con quelli ebraici e le posizioni filo-stataliste (государственные) tipiche dell’intelligencija liberale. Per quanto riguardava il cuore del discorso, ovvero la questione della responsabilità, la strada scelta da Kulišer era quella di ribaltare le affermazioni degli esponenti berlinesi. Ricordando il loro apporto alla politica massimalista prerivoluzionaria, egli li invitava a riconoscere le loro responsabilità nel processo rivoluzionario, con il quale avevano “civettato” fino a quando “il gioco non si era fatto serio e tremendo”. Il loro intervento era giudicato quindi irresponsabile poiché, senza offrire alcun nuovo e concreto spunto, non avrebbe fatto che rafforzare la posizione degli ebrei quali imputati. Gli ebrei tuttavia, non costituivano né allora né oggi un corpo unico a cui muovere accuse, ragion per cui ogni tentativo in questo senso era considerato frutto della mala fede o dell’irresponsabilità:

Разговоры об “ответственности” в применении к неопределённым и неорганизованным группам, не имеющим никакой единой “воли” и не могущим ни совершать преступлений, ни каяться в них, - эти разговоры не могут иметь никакого смысла и никакой цели, кроме возбуждения дурных страстей. Антисемиты, говоря о “еврейской ответственности”, знают, для чего они это делают. Г.г. Ландау и Бикерман этого не знают, и их выступления являются совершенно безответственными.411

Il timore principale espresso da Kulišer era che alla fine, “dopo tutta la polvere sollevata resterà soltanto l’idea che gli ebrei hanno preso parte a ogni forma e sfumatura di movimenti d’opposizione e rivoluzionari”.412 La linea della rivista da questo punto di vista era unitaria: la

partecipazione ebraica al bolscevismo veniva ridimensionata a fenomeno marginale e si negava la possibilità di imputare al popolo ebraico nel suo complesso le azioni di suoi singoli

410 Cito da A. Kulišer, “Ob otvetstvennosti i bezotvetstvennosti”, Evrejskaja tribuna, n. 160, 1923 (6 aprile), pp.

3-4:3.

411 Ivi, p. 4. 412 Ivi.

esponenti sulla base del principio di responsabilità collettiva. Veniva utilizzata inoltre l’immagine dell’“ebreo non ebreo”, suggerendo che coloro che si erano uniti ai bolscevichi non potessero essere più considerati ebrei. L’appello e il gruppo stesso erano sorti proprio quali controcanto di protesta nei confronti di tale impostazione e con essa erano destinati a scontrarsi. Per certi versi il dibattito stesso in ambito ebraico suffragava la tesi di Kulišer a proposito dell’impossibilità di considerare l’ebraismo quale entità unitaria: nel gruppo berlinese egli vedeva i “pentiti” del popolo ebraico, che si distaccavano nettamente dalle opinioni della maggioranza.

Sul fronte monarchico Novoe vremja non perdeva l’occasione di riproporre ai suoi lettori la questione. La testata riceveva notizia dell’appello circa quattro mesi dopo che era stato reso pubblico e la reazione appariva sul numero del 25 settembre del 1923, nella forma di un articolo di fondo, seguito dalla ristampa integrale dell’appello stesso.413 Novoe vremja lo

definiva una risposta tardiva, commentando sarcasticamente “meglio tardi che mai”, ma lo riteneva nonostante tutto degno di sostegno. L’elemento che risultava maggiormente gradito alla redazione era proprio quello che – non a caso – aveva particolarmente colpito il commentatore di Evrejskaja tribuna: questi “onesti e coraggiosi ebrei”, come li si definiva nell’articolo, avevano finalmente messo in connessione l’antisemitismo con la sua vera causa, la partecipazione degli ebrei alla rivoluzione. Essi non raccontavano la “favola” – a parere della redazione del tutto infondata – dell’esistenza di un “antisemitismo zoologico”, alla base del mito del giudeo-bolscevismo. Il testo veniva dunque interpretato quale “manifesto” di un movimento nuovo in seno all’ebraismo, finalmente pronto all’autocritica:

Это новое течение – самоанализ еврейства, анализ своих отношений к христианским народам, которого недоставало еврейству, и на что мы неоднократно указывали. До сих пор еврейство усиленно занималось только анализом отношений к ним других народов, не затрагивая своей сущности и рассматривая себя, как нечто совершенное, не нуждающееся ни в каких коррективах.414

La redazione del periodico esprimeva compiacimento per il fatto che, finalmente, un gruppo di ebrei avesse raccolto il suo invito a percorrere l’unica strada per la lotta all’antisemitismo, ovvero un’attiva opposizione contro il regime bolscevico. Abbiamo visto come fosse convinzione spesso ripetuta sulle pagine di Novoe vremja l’idea che il regime sovietico si reggesse solo grazie all’appoggio dell’ebraismo mondiale, che, se solo l’avesse voluto, avrebbe potuto renderne i giorni contati. Veniva quindi sottolineata con forza quella che, secondo la linea del quotidiano, era la maggiore pecca dell’ebraismo: “la tendenza al dominio,

413 “K evrejam vsech stran”, cit.. 414 Ivi.

che, in sostanza, è la causa prima del’antisemitismo”.415 Nessun popolo poteva reggere un tale

antagonismo al suo interno, ragion per cui la lotta all’antisemitismo dipendeva dalla “coscienza e buona volontà” del popolo ebraico, che poteva decidere se seguire o meno la via di “autocritica” suggerita da questo gruppo di intellettuali. Anche in questa sede, dunque, emergeva una concezione del popolo ebraico quale organizzazione compatta, capace di far propria una politica in maniera coerente e determinata. Sebbene quest’immaginario sfociava nell’idea che l’antisemitismo fosse frutto dei comportamenti degli ebrei stessi, si tentava di far intuire un’apertura nei confronti di un’eventuale cambio di rotta. Tale possibilità, tuttavia, veniva presentata quale altamente improbabile e la comparsa stessa di questo nuovo gruppo era considerata – a ragione, del resto – un fenomeno isolato nel panorama ebraico.

Gli interventi pubblici e la stampa dell’appello avevano già permesso alle varie parti di indovinare le posizioni principali del gruppo, ma era nella raccolta Rossija i evrei che sarebbero state approfondite e argomentate. I sei contributi che la componevano affrontavano tutti – con diversi procedimenti argomentativi e concentrandosi su aspetti leggermente differenti – la questione della responsabilità ebraica negli eventi rivoluzionari, avviando quel processo di riflessione e revisione che a parere degli autori mancava nell’ebraismo contemporaneo, che sembrava “affetto da paralisi”416. Con le parole di Bikerman – il cui

saggio Rossija i russkoe evrejstvo apriva la raccolta e ne rappresentava il contributo più corposo – scopo precipuo dell’ebraismo doveva essere l’“autocoscienza” (самопознание),417

ovvero la comprensione degli avvenimenti russi e delle dinamiche relazionali tra russi ed ebrei. La raccolta voleva segnare l’apertura di questo processo di revisione, reso particolarmente urgente non solo dalla necessità di salvare la patria, ma anche dalla vertiginosa diffusione dell’antisemitismo, che stava “contagiando” anche cerchie che prima ne erano immuni. Come si esprimeva Mandel’, autore del saggio Konservativnye i

razrušitel’nye elementy v evrejstve:

Не только исконные антисемиты, но и значительные группы дотоле неповинной в антисемитизме интеллигенции пострадавших от революции стран, усмотрели в “еврейских вождях революции” подтверждение субверсивных качеств еврейского народа.418

415 “K evrejam vsech stran”, cit..

416 Era Landau in particolare a esprimersi in questi termini: ai processi di revisione messi in moto

dall’intelligencija russa nell’emigrazione, infatti, corrispondeva una totale assenza di autocritica da parte ebraica. Al contrario, a detta di Landau gli oppositori del gruppo berlinese accusavano chiunque piuttosto che se stessi, dimostrando in tal modo disinteresse per una reale comprensione degli avvenimenti.

417 È curioso notare come questo termine assomigliasse in maniera piuttosto rilevante a quello di “autoanalisi”

utilizzato sulle pagine di Novoe vremja.

Sulla connessione tra antisemitismo (o giudeofobia, come preferiva esprimersi Bikerman, che la definiva “paura dell’ebreo come di un devastatore”)419 e partecipazione ai movimenti

rivoluzionari gli autori non nutrivano alcun dubbio.

Ciononostante, notavano, gli ebrei russi parevano reagire in maniera piuttosto compatta con la teoria del capro espiatorio, negando ogni tipo di responsabilità. Era in particolare Bikerman a criticare duramente la stampa ebraica, che, a suo parere, occupava per i suoi 9/10 tali posizioni (Evrejskaja tribuna, per quanto non citata, era di certo al centro della polemica). A causa di questa polarizzazione le due posizioni, quella russa e quella ebraica, che parevano di primo acchito contrapposte, venivano inaspettatamente a unirsi: “Так сходятся формула русская и формула еврейская, на первый взгляд противоположные: та и другая порождены чувством безответственности, вернее – отсутствием чувства или сознания ответственности”.420 La diffusa mancanza di senso di responsabilità era dunque alla base

della rovina russa, e solo lavorando su questo aspetto si poteva immaginare un futuro per la patria. Alla domanda “è vero che gli ebrei hanno responsabilità del crollo dello stato russo e, di conseguenza, delle sventure occorse al popolo russo?”,421 gli autori rispondevano

affermativamente: la responsabilità morale andava riconosciuta, senza cedere a facili vittimismi. Con questo non si voleva negare il carattere profondamente nazionale della rivoluzione russa, ma ammettere e analizzare il contributo ebraico in queste vicende.

Il riconoscimento del ruolo particolare dell’ebraismo negli avvenimenti rivoluzionari russi costituiva dunque la cifra comune degli interventi della raccolta. Bikerman tentava ad ogni modo di ridimensionarla rispetto al quadro degli antisemiti, ricorrendo all’argomento del contrasto, secondo cui la presenza ebraica si notava particolarmente nei tempi post- rivoluzionari a causa della disabitudine dei russi a vedere gli ebrei al potere; Levin, autore del contributo Evrei v revoljucii, andava invece più in là su questo punto e sosteneva che “il numero degli ebrei [tra le fila dei rivoluzionari, mgr] non corrisponde assolutamente alla loro presenza percentuale tra la popolazione della Russia”. E aggiungeva: “è un fatto incontestabile”.422

Assodata l’esistenza di un fenomeno particolare, si doveva dunque indagarne le cause. Gli autori criticavano le spiegazioni essenzialiste molto diffuse tra gli autori antisemiti (e non solo, come abbiamo visto nel caso di Amfiteatrov nel capitolo precedente) e negavano particolari qualità sovversive al popolo ebraico; era Mandel’ ad affrontare lungamente la

419 I.M. Bikerman, “Rossija i russkoe evrejstvo”, cit., p. 12. 420 Ivi.

421 Ivi, p. 13.

questione per sfatare questo mito. Lo faceva in maniera assai persuasiva, sostenendo, in primo luogo, l’impossibilità di parlare di tendenze di un intero popolo:

Разве можно говорить о политическом мировоззрении, о политических и социальных тенденциях целого народа? […] Разве не ясно, что народ не составляет одного целого, а складывается из разных слоёв и элементов, интересы и взгляды которых коренным образом расходятся, и в разное время и при разных обстоятельствах проявляют наклон то в одну, то в другую сторону?423

Poiché però tale interpretazione caratterizzava molte opinioni a proposito dell’ebraismo, egli si rivolgeva a considerare globalmente la storia dell’ebraismo a partire dalla Bibbia, che dimostrava come non solo gli ebrei fossero vissuti sotto la monarchia fino a quando avevano avuto un loro stato, ma addirittura come essi fossero gli inventori della monarchia non dispotica di carattere occidentale. Da quando avevano cominciato a vivere in diaspora erano divenuti nella loro maggioranza “apoliticizzati”, ma comunque ben disposti nei confronti del potere, come dimostrava la preghiera per il re inserita nella liturgia. L’eccezione a tale regola era costituita dai cosiddetti “ebrei di corte” che al potere erano ancor più legati da una relazione privilegiata. Inoltre, e su questo punto tornavano tutti gli autori a modo loro, la vita stessa dell’ebraismo diasporico ne faceva un popolo particolarmente conservatore, ripiegato sui ritmi dettati dalla sua antica religione e caratterizzato da una profonda diffidenza nei confronti dell’esterno. Il ghetto e il ristretto ambito delle occupazioni permesse agli ebrei accentuavano ulteriormente questa tendenza, determinando un ulteriore livellamento sociale e l’assenza di un proletariato. Era solo con l’emancipazione, tra fine Settecento e inizio Ottocento, che tale unità aveva cominciato a incrinarsi e singoli elementi avevano iniziato a interessarsi alla politica del paese ospitante, in particolar modo per quanto riguardava il riconoscimento dei loro diritti. Se nella storia dell’ebraismo non se ne trovava traccia – ed era dunque da escludere una spiegazione essenzialista –, dove aveva le sue radici la recente tendenza al radicalismo degli ebrei russi?

Le cause, secondo gli autori della raccolta, andavano ricercate nella storia prerivoluzionaria: il regime di restrizione giuridica cui erano sottoposti gli ebrei aveva determinato l’attribuzione di un’importanza eccessiva all’uguaglianza dei diritti. Nella raccolta il “mito dei diritto” veniva condannato unanimemente. Mandel’, ad esempio, riportava un aneddoto diffuso tra gli ebrei russi che, si raccontava, anche in caso di terremoto si ponevano una sola domanda: “А как это отразится на черте осёдлости?”.424 A parere di Mandel’ tale ‘ossessione’ era stata

decisiva nel determinare la ferrea alleanza con la sinistra, dai cadetti e oltre, e a siglare anche

423 V.S. Mandel’, “Konservativnye i razrušitel’nye elementy v evrejstve”, cit., p. 176. 424 V.S. Mandel’, “Konservativnye i razrušitel’nye elementy v evrejstve”, cit., p. 201.

la definitiva ostilità del governo zarista nei confronti degli ebrei.

Sempre il mito della parità di diritti era alla base del tacito ma prolungato sostegno dato alla rivoluzione da parte degli ebrei nel loro complesso. Bikerman insisteva lungamente su questo punto. Egli sosteneva che tra gli ebrei un atteggiamento favorevole alla rivoluzione si riscontrava anche negli strati alti della popolazione, a cui prima era sbarrato l’accesso al potere. A parere dell’autore questo appoggio non era dettato da considerazioni politiche in senso stretto, quanto piuttosto da considerazioni di questo genere: “При советской власти плохо, но при ней нам не хуже, чем другим, моя гордость еврея при ней не страдает”.425

Contro l’esaltazione della parità di diritti, che si scontrava del resto con la totale assenza di diritti sotto il regime bolscevico, Bikerman ricordava come ai tempi prerivoluzionari “era considerato sintomo di arretratezza politica parlare di parità di diritti; allora si pretendeva la pienezza di diritti”.426

Se era senza dubbio riconosciuto il contributo decisivo delle politiche zariste all’affermazione del radicalismo ebraico, gli autori della raccolta – allontanandosi in questo dall’interpretazione liberale più diffusa, quella storicista – consideravano tuttavia tali spiegazioni insoddisfacenti: la reazione alle restrizioni, infatti, non era obbligata, ma andava anzi sottoposta ad analisi. Inoltre, l’esperienza di altri paesi (in primis Ungheria e Baviera) mostrava come l’adesione ebraica al radicalismo fosse avvenuta anche quando le restrizioni erano assenti.427 Pertanto, tendenza generale della raccolta era quella di indagare, accanto alle

cause esterne del radicalismo, i fattori interni al popolo ebraico stesso.

Da questo punto di vista si può dire che, nel complesso, le tendenze radicali venivano lette quale sintomo della decadenza dell’ebraismo, indebolito dalle sfide della modernità e dell’integrazione. Ci soffermeremo un po’ più a lungo su questo aspetto, poiché, mentre le