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Antonio Badile (1424/25-ante 1512): l’antico del Comune »

Il primo richiamo va fatto ad Antonio Badile, pittore affatto esemplare per i legami intrattenuti con una parte dei canonici e dell’aristocrazia civica. Se molto poco si può dire dei suoi primi anni di attività (che parzialmente pare essersi svolta fuori città)1, è tuttavia di estremo interesse seguirne lo sviluppo a partire dal nono

e dall’ultimo decennio del Quattrocento, allorquando la produzione assunse quei caratteri di maturità, e soprattutto di coerenza interna, che ne possono giustificare l’apprezzamento da parte di una clientela vasta e socialmente qualificata.

La versatilità dell’antico

1 Sul pittore bastino GUZZO 1993 (b); M. MOLTENI, in Dizionario anagrafico 2007, pp. 263-264; GUZZO

2008, pp. 345-350. Antonio Badile è ancora vivo il 14 gennaio 1507 e risulta morto il 10 maggio 1512: CAVAZZOCCA MAZZANTI 1912, p. 22. Il primo estremo risale all’emancipazione dei figli Girolamo e France- sco: «Constitus prudens vir magister Antonius Badilus pictor q. Joannis de Sancta Cecilia Verone Hieroni- mum intagiatorem et Franciscum pictorem ambo filios suos legitimos et naturales ibidem presentes et genu- bus flexis procumbentes ac humiliter et cum omni reverentia petentes emancipari»; ASVr, Pergamene, Badi- le, busta 1, n. 6; il secondo si evince da una donazione effettuata da don Giovanni Badile di Bartolomeo di Santa Maria Antica al cugino «Bartholomeo Badillo pictori q. magistri Antonii»: oggetto della transazione era una casa posta a Santa Cecilia, confinante per tre lati con la via comune e per il quarto con l’abitazione di Girolamo Badile; per sé il donatario riservava una «camera in primo solario suprascripte domus et sallata ibi prope cum duabus fenestris versus viam cursus et alia versus magistrum Jacobum ab Horologiis et una cam- pata in terreno cum uno solario supra»: ASVr, Pergamene, Badile, busta 1, n. 7. Informazioni circa un viaggio a Trani (collocabile verso il 1456-57) inducono a ipotizzare un passaggio nelle Marche, dove Antonio avreb- be potuto accostare Carlo Crivelli, rafforzando alcune inclinazioni decorative: da ultimo, GUZZO 1993 (b), pp. 203, 209 nota 29. Di fatto, i rapporti della famiglia con varie regioni, fra cui le Marche e la Puglia, dovevano essere frequenti: il 27 giugno 1463, Pietro di Bartolomeo Badile, cugino del nostro, era nominato «nuntium, missum et procuratorem, factorem et negotiatorem gestorem» per il drappiere Battista detto Liz- zario di Ognissanti, con ogni facoltà di concludere gli affari di quest’ultimo «in marcha, labrucio, apulia, patrimono, romagna, ducato spoletano»; in particolare, l’atto consentiva a Pietro Badile di trattare la vendita di panni «in civitate Bari»: ASVr, Pergamene, Badile, busta 1, n. 3. Del resto, i rapporti con le Marche non saranno rari per i pittori veronesi, come attesta ad esempio la produzione di Liberale da Verona, per cui si veda il recente VINCO 2008.

Una delle opere più significative può essere considerato il trittico di Santa Cecilia, dipinto per la piccola chiesa della contrada di residenza, databile alla metà degli anni Ottanta e oggi esposto al Museo di Castelvecchio2. A quasi vent’an-

ni di distanza dall’esposizione del trittico di San Zeno, Badile non appare per nulla intimorito nel trarre ispirazione dal lavoro mantegnesco sia nella scelta della tri- partizione, sia nella costruzione di una spazialità interna al quadro, evidenziata prospetticamente dalle mattonelle digradanti e conclusa da una bassa, quasi inuti- le, balaustra, entro la quale sono inseriti sei tondi con profili imperiali.

Tuttavia, la distanza dallo spirito di Mantegna è altrettanto solennemente evidenziata dal clima cortese che aleggia nella scena, laddove le anatomie sono innaturalmente longilinee, i gesti appaiono aggraziati fin quasi all’affettazione, il trattamento delle vesti e delle strutture architettoniche è condotto con fare pret- tamente decorativo; e anche per le effigi cesaree della balaustra, non si può dire se servano di più a rievocare la consueta morale edificante, in virtù della quale la religione dei martiri trionfa su quella dei Gentili, o l’interesse antiquario che via via si diffondeva in città.

Più in generale, comunque, in tutti i casi che ci sono pervenuti, Badile si era soffermato sul fatto antico, interpretandolo secondo una lettura che per qualche tempo si rivelò congeniale ai committenti veronesi: tanto che il suo disinvolto classicismo, accompagnato da un’eleganza allettante – che fosse nel tratteggio dei personaggi o nelle scenografie architettoniche – sembrava fatto apposta per soddisfare quei clienti che faticavano ad abbandonare il decorativismo tardogo- tico, ma che del pari non volevano privarsi di ostentare un nuovo, indovinato vocabolario.

D’altro canto, Antonio Badile non poteva certo dirsi artigiano sprovveduto o avulso dalle dinamiche artistiche della città, in quanto titolare ed erede di una delle più note botteghe, che nei suoi giorni migliori risaliva al padre Giovanni. Anche del livello sociale e culturale della sua committenza nessuno potrebbe dubitare. In essa devono essere annoverati innanzitutto i canonici, che si serviro- no della sua pittura per creare nella cattedrale un polo di classicità da opporre alle iniziative vescovili: Francesco Mazzanti fu sicuramente il committente della Madonna con Bambino (oggi a Castelvecchio)3; i Dionisi e gli Abazia gli affidaro-

no la decorazione delle loro cappelle. E richieste vennero anche per le chiese del

2 Sul trittico si veda la scheda in Proposte e restauri 1987, pp. 86-88; S. MARINELLI, in Mantegna e le arti

2006, pp. 259-261.

3 Sebbene sia improbabile che la tavola potesse essere esposta nella cappella familiare, dove lo spazio, a

causa dell’arca di Sant’Agata, sarebbe stato troppo esiguo: GUZZO 1993 (b), pp. 207-208 nota 5. È stato peraltro segnalato un pagamento effettuato da Francesco Mazzanti a Pier Paolo di Francesco Badile, nipote di Antonio, per una pala dell’altare maggiore della cattedrale, per la quale dubitativamente è stata proposta l’identificazione con la pala Mazzanti di Castelvecchio: ROGNINI 1994, p. 17. Una datazione al 1499 è asse- gnata alla tavola in Proposte e restauri 1987, pp. 98-99.

LAVERSATILITÀDELL’ANTICO

Capitolo, tant’è che Badile consegnò trittici a Santa Cecilia, a Santa Maria Con- solatrice, a San Fermo e Rustico, a San Giovanni in Fonte, a Sant’Elena4.

Evidentemente, non tutto filava liscio, se è vero che, nel 1488, il nostro era citato dal canonico Callisto Montagna, rettore di San Faustino, affinché gli con- segnasse l’ancona promessa entro il tempo stabilito5. Ma l’evidenza conferma

trattarsi di un episodio destinato a non intaccare il trend prestigioso della botte- ga, che anzi continuò a lavorare senza interruzione fino allo scadere del Quattro- cento.

Naturalmente, non mancarono nemmeno i contatti con la “parte” di Santa Anastasia: a prescindere dal fatto che i Badile avevano la loro sepoltura nella chiesa6, nel 1466, alla professione di frate Giacomo (al secolo Bernardino di Gia-

como Faella), Antonio figura tra i testimoni assieme a Leonardo Pellegrini (per la cui cappella avrebbe lavorato in seguito) e a Pierantonio Boldieri, quest’ulti- mo figlio del Gerardo per la cui cappella il pittore realizzerà la partitura affresca- ta7; nel 1472 compare, assieme a Giacomo Degli Orologi e all’intagliatore Loren-

zo da Salò, al testamento di Lucia Della Seta8; nel 1484, figura, con Antonio

Giolfino, Gregorio Lavagnola, Piergiovanni Boldieri e Giovanni Abazia, al te- stamento di Pietro di Alessandro di Santa Cecilia9; nel 1492, assieme al figlio

Girolamo intagliatore e a Lorenzo da Salò, testimonia alla stesura delle volontà di Paola Faella, moglie di Pietro Bonaveri10; nel 1497, presenzia ai testamenti di

Pietro e Bernardino Salerni, titolari della cappella di San Nicola11.

È singolare, dunque, per decifrare i sentieri entro cui si muove il recupero dell’antico di Badile, constatare come i suoi codici espressivi trovino speciale apprezzamento in un ambiente ben preciso, da collocare lungo l’asse Capitolo- Santa Anastasia-Comune, i cui legami sono già stati analizzati, ma che possono rivelare nuove conferme.

4 Per l’elenco delle chiese del Capitolo, che includeva, oltre a quelle menzionate nel testo, anche San

Giovanni in Valle, San Paolo in Campo Marzio e San Clemente: BUSTE PERINI, Padri minori, ms., 22, I.10.

5 FAINELLI 1910, p. 220.

6 Come denota il testamento di Giovanni Badile: ASVr, T, m. 40, n. 110, 1448, citato da SIMEONI 1907

(a), p. 10 nota 1; CAVAZZOCCA MAZZANTI 1912, p. 19; BRENZONI 1972, p. 21; GUZZO 1989, p. 43. Ma si veda anche il Sepulturario: ASVr, Santa Anastasia, reg. 68, f. 11. Sulla sepoltura della famiglia: CIPOLLA 1916, pp. 90-91; DE BETTA, ms., I, p. 5. Lo stesso Antonio Badile vorrà essere deposto nella chiesa: ASVr, T, m. 96, n. 154, 1504. A conferma dei rapporti dei Badile con Santa Anastasia, si osservi che Francesco di Bartolomeo Badile entrerà nei domenicani col nome di Nicola, effettuando la sua professione nella chiesa di San Pietro Martire de Observantia, meglio nota come San Giorgetto: ASVr, T, m. 58, n. 56, 1466.

7 ASVr, T, m. 58, n. 133, 1466.

8 ASVr, T, m. 64, n.29, 1472, riportato in ROGNINI 1994, pp. 18-19. 9 ASVr, T, m. 76, n. 59, 1484.

10 ASVr, T, m. 84, n. 121, 1492, menzionato da ROGNINI 1994, p. 20.

11 ASVr, T, m. 89, n. 144, 1497. Il testamento di Pietro si legge in ASVr, Santa Anastasia, Processi, 684

(pubblicato da CIPOLLA 1916, pp. 62-63 nota 4). Si noti che nel 1469, Pietro Paolo di Francesco Badile figurava al testamento di Nicola Salerni (ASVr, T, m. 61, n. 43, 1469; ASVr, Santa Anastasia, Processi, 684). Ancora nel 1522, tre figli di Antonio, Girolamo (intagliatore), Bartolomeo e Francesco (pittori), presenzie- ranno al testamento di Maria Salerni, vedova di Agostino Maffei: ASVr, T, m. 114, n. 59, 1522.

Si è parlato del trittico di Santa Cecilia. Certo, esso venne commissionato per una chiesa appartenente al Capitolo; ma va pure detto che il dies natalis della santa era stato dichiarato festa comunale nel 1480 (collocazione cronologica che conferma la datazione di poco posteriore assegnata tradizionalmente, su base stilistica, al lavoro), suggellando quel rapporto che, tra alti e bassi, aveva conno- tato una fascia dell’aristocrazia veronese12. Lo stesso meccanismo, d’altronde, si

ritrova nelle vicende che coinvolsero San Rocco a Quinzano: inizialmente intito- lata a Sant’Alessandro, la chiesa fu dedicata al taumaturgo di Montpellier al mo- mento della cessazione della peste che colpì Verona dal 1477 al 1480 circa. Dopo che il comune aveva disposto la celebrazione della festa del santo, ordinando lo svolgimento di una processione annuale da San Giovanni in Valle fino a San Rocco, nel 1486 aveva chiesto al Capitolo il patronato della chiesa: non desterà meraviglia, allora, sapere che nella chiesa figura un lavoro di Badile, rappresen- tante la Natività con i santi Rocco, Sebastiano e Martino13.

Per contro, non sono giunte sino a noi le commissioni eseguite per la cappel- la di San Biagio, sebbene ne resti una traccia cospicua nella contabilità della Compagnia, dalla quale Badile appare impegnato nella consegna di gonfaloni e, fatto meno scontato ma altrettanto interessante per delineare il profilo dell’im- presa da lui capeggiata, di stampe e di santini14. Però, nessuna partecipazione

all’affrescatura o in altre operazioni pittoriche di rilievo: sarà un caso? Va da sé che ogni risposta potrebbe essere smentita, data l’assenza di testimonianze pro- banti e l’età avanzata del pittore, che potrebbe essere stata di per sé stessa l’osta- colo principale all’assunzione di imprese gravose. Francamente, però, sembra inimmaginabile che un’orchestrazione come quella inventata per i canonici po- tesse soddisfare il palato antiquariale dei benedettini.

Badile restava, sì, il cantore della cultura classica cittadina, ma purché essa si inserisse in una narrazione piana e senza scosse. Era, però, un’epoca che stava

12 La festa di Santa Cecilia venne dichiarata di importanza civica con decisione del consiglio comunale il

21 novembre 1480: ASVr, Atti del Comune, 1480, c. 228v. Del resto, il testamento, più volte riportato, di Pietro di Santa Cecilia, al quale presenziava Antonio Badile, prevedeva, oltre alla sepoltura del testatore nella chiesetta, anche dei lasciti «in reparatione et subventione dicte ecclesie»: la chiamata del pittore, dun- que, ne perfezionava i legami con quel circuito.

13 Per la chiesa di San Rocco: ASVr, Atti del Comune, 1480, c. 217; PIGHI 1887, p. 12. Per il dipinto di

Badile: GUZZO 1993 (b), p. 199.

14 I pagamenti sono registrati in ASVr, SNC, b. 14, reg. 36, cc. 9v-10r (1489: PERETTI 2001, p. 122 nota

20); c. 17r (1490), c. 21v (1491), c. 26r (1491; per stampe); cc. 38r e 39r (1490, per un gonfalone); cc. 85v-86r (1493, per un gonfalone: PERETTI 2001, p. 122 nota 20). Nel 1490, nella cappella Del Gaio veniva posizionata una statua lignea di San Sebastiano, intagliata da Antonio Giolfino e dipinta da Bartolomeo Badile, figlio di Antonio. Nella sacrestia della chiesa, si trova tuttora una pala raffigurante Cristo passo con i santi Benedetto e Alberto, che dovrebbe appartenere alla bottega: GUZZO 1993 (b), p. 200; E. GUZZO, in Itinearari 2006, pp. 100-102. I rapporti dei Badile con San Nazzaro non si interruppero nelle generazioni successive: Francesco Badile aveva dipinto un gonfalone per San Nazzaro nel 1533-34, mentre Antonio Badile consegnerà un altro gonfalone alla Compagnia di San Biagio nel 1541 e una tela per la chiesa nel 1543: MARINELLI 2001, p. 37.

LAVERSATILITÀDELL’ANTICO

tramontando. Alla fine del secolo, i gusti dei committenti stavano irrimediabil- mente cambiando, e non si sarebbero più accontentati di contaminazioni intona- te sulle note di un blando antiquarianismo.