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Le motivazioni dell’antico “mantegnesco” a San Bernardino »

Molte delle osservazioni condotte sinora, però, lungi dal risolvere la questio- ne, sono sembrate alla critica foriere di dubbi e riserve sull’operazione realizzata a San Bernardino; tant’è che, a questo punto, può essere utile approfondire l’ana- lisi. È sufficiente, allora, continuare a concentrarsi sui caratteri più retrivi del- l’ancona? O non si pone forse l’esigenza di valutare da altri punti di vista quella che rimane l’evidenza sostanziale, ovvero l’innegabile fedeltà esteriore della pala di Francesco Benaglio al modello mantegnesco? Perché non bisogna dimentica- re che un pittore come il nostro, che nel seguito si rivelerà tutto sommato lonta- no da “copie” tanto palesi, era stato capace di licenziare un lavoro articolato, e per di più a date precoci dall’apparizione della pala Correr. Chi e perché, dun- que, aveva dato direttive così vincolanti affinché si tenesse presente l’esempio della pala Correr? E, soprattutto, che senso aveva tutto questo nel recupero del- l’antico a Verona?

Per quanto concerne le motivazioni che portarono la chiesa di San Bernardi- no a ricevere, già nel 1462, un lavoro così mantegnesco, può essere di qualche aiuto partire da alcune evidenze documentarie, in particolare, dalla rilettura di

L’ANTICODIMANTEGNA. CORRER, SANBERNARDINOEFRANCESCOBENAGLIO

alcuni episodi che contrassegnarono i primi anni di vita del complesso osservan- te veronese. Come spesso accadeva alle fondazioni recenti, ben presto sorsero dei problemi di vicinato con le monache di San Giovanni della Beverara, timoro- se di essere disturbate nelle loro orazioni – questa era la versione ufficiale – dal trambusto della costruzione e dalle attività dei frati24.

La causa era stata addirittura portata a Roma; a risolvere la contesa, venne interpellato Niccolò V, che espresse il suo parere conciliatorio in una lettera del 23 giugno 145225. Una prassi comune, in base alla quale si demandava al pontefice il

compito di sanare quelle discordie che fossero fonte di imbarazzo o di disordine; e che potrebbe essere tranquillamente annotata tra le informazioni collaterali se non fosse per un dettaglio da porre in evidenza: il papa, infatti, aveva, sì, appoggiato il monastero di San Bernardino, ma il suo sostegno si era fatto forte dell’intervento mediatore di Gregorio Correr, l’abate di San Zeno26. Di più, tale episodio, per

quanto clamoroso, non deve destare meraviglia: anzi, che il vicino e potente mona- stero benedettino dovesse essere legato, per più di un episodio e per più anni, alle vicende degli Osservanti lo aveva dimostrato, sin dal principio, l’ausilio finanziario offerto all’atto della fondazione della chiesa bernardiniana27; e lo ribadiva ulterior-

mente Francesco Della Torre, che nel 1466, per contribuire alla fabbrica, vendeva un terreno a Parona con l’intermediazione di due monaci di San Zeno28.

Sotto questa luce, allora, non doveva apparire affatto incongruo – una volta giunto il momento di dotare l’altare maggiore – un riferimento alla massima com- missione di Correr, che al contrario poteva essere inteso quale doveroso omag- gio per il suo contributo al felice proseguimento dei lavori a San Bernardino. Considerazioni queste che possono aiutare a intendere meglio una filiazione tan- to immediata e diretta, altrimenti in contrasto sia con le capacità espressive degli artisti, sia con le potenzialità della committenza cittadina dell’epoca.

Da queste basi, dunque, emerge come la scelta per la prima e più importante opera della nuova chiesa francescana non dipendesse semplicemente da commit-

24 BIANCOLINI 1752, p. 337; BIANCOLINI 1771, p. 336.

25 DALLA CORTE ed. 1744, p. 89; BUSTE PERINI, Padri minori, ms., 22, I.10.

26 ZAMPERINI 2006, pp. 33-36. L’episodio è segnalato, quale fonte per la scelta di Benaglio come artista

incaricato di “copiare” il trittico, anche da ROSSI 2006, p. 106.

27 DALLA CORTE ed. 1744, p. 89: «Il papa, per conoscere le proteste delle monache, scrisse al cardinale

Gregorio Correr Protonotario Apostolico che della fabbrica di questa Chiesa, e del luogo ove s’avesse a fabbricare, diligentemente s’informasse, e facesse sì che le ragioni delle dette Monache rimanesser salve, concedendogli nel resto libera, ed Apostolica licenzia di fare, e concedere quanto gli paresse»; qualche riga più avanti, lo storico precisa che «fra gli altri che questa fabbrica aiutarono, furono i Reverendi monaci di San Zeno, che in due volte gli diedero 50 ducati». I fabbricieri di San Bernardino, tra i quali vi era Giovanni Schioppo, «Sindico e Procuratore del Borgo di San Zen», agirono di conseguenza, ascoltando le motivazioni del papa e di Correr (pp. 88-89). Le notizie relative all’intervento del veneziano furono analogamente raccol- te nelle BUSTE PERINI, Padri minori, ms., 22, I.10.

28 Gli intermediari furono frate Enrico, priore claustrale, e frate Giovanni di Francia, «celerario capituli

tenti ambiziosi o da un pittore privo di invenzione, bensì fosse un’esigenza legata a molteplici considerazioni: da riferire naturalmente alle aspirazioni dei frati, che per l’altar maggiore della loro chiesa, sorta da poco e che pure ambiva a inserirsi tra i grandi cantieri della città, ricercavano risultati d’effetto; da connettere alla sensibilità antiquaria che andava prendendo piede e della quale difficilmente i con- fratelli più colti avrebbero potuto prescindere; da ultimo, ma non di minor conto, da riportare a più sottili riguardi diplomatici, che legavano la fondazione di San Bernardino alla protezione dell’abbazia di San Zeno.

Da questo punto di vista, la ripresa dell’antico esibita nella pala si poneva non soltanto quale istanza di novità, bensì come affermazione di un’appartenen- za che si ostentava a segno di privilegio e a monito contro potenziali nemici. L’antico diventava un mezzo: presente nel modello, doveva comparire nella co- pia, a ribadire una vicinanza di intenti culturali, che diveniva qualificazione “po- litica”. A rendere ancor più stringente il nesso San Zeno-San Bernardino, del resto, stava il terzo medio rappresentato dall’oligarchia cittadina. Nessuno igno- rava che le autorità civiche avessero sempre visto di buon occhio Correr, del quale avevano addirittura auspicato la nomina a vescovo della città29. E non era

nemmeno un mistero che molti dei maggiorenti cittadini avessero sostenuto con richieste a Venezia e a Roma la fondazione del nuovo complesso osservante, al quale, poi, avevano lasciato beni e risorse finanziarie30. Se, dunque, i francescani

avevano scelto il modello della pala di San Zeno, era per omaggiare Correr; e, di riflesso, anche per calamitare quell’aristocrazia cittadina che di lì a poco avrebbe cercato nella chiesa un luogo di rappresentanza “funeraria” alternativo alle sedi tradizionali di San Fermo e Santa Anastasia31.

29 Il clima di aperto sostegno all’abate veneziano è stato descritto e puntualmente analizzato da PUPPI

1972, pp. 38-39; cf. VARANINI 2006, p. 49. Per contro, troppo poco si conosce degli interventi e dei rapporti di un altro abate commanditario di San Zeno, il cardinale Battista Zen, autore di alcuni lavori per basilica databili all’ultimo decennio del secolo (JESTAZ 1995, pp. 339-340), per poterli inserire in un prolungamento delle manovre che ruotavano attorno a Correr. A riprova di legami più ampi con i circuiti sinora delineati, può essere utile aggiungere che un pittore di nome Donato, identificabile nel fratello di Francesco Benaglio, lavorerà per San Zeno nel 1476 quale aiuto del pittore Bernardino: ROGNINI 1993, p. 98; DE MARCHI 2006, pp. 91, 96; VINCO 2006 (a), pp. 87-88.

30 Nel 1451 Giovanni Schioppo, Galeotto del Formento, Francesco Della Torre e Bonmartino Verità si

recavano a Venezia a perorare l’inizio della nuova fabbrica: BIANCOLINI 1752, p. 334; i primi tre si recarono anche a Roma: DALLA CORTE ed. 1744, pp. 89-90. Quanto alle risorse giunte alla fabbrica, il 77% circa era stato apportato dalle classi ottimizie, così come provenivano da famiglie patrizie Giacomo Aleardi e Leonar- do Maffei, rispettivamente procuratore e banchiere della fabbrica: TAGLIAFERRI 1964-65, p. 95. Su Francesco Della Torre: VARANINI 1993, p. 38

31 Sui rapporti di alcune famiglie con San Bernardino (Sagramoso, Della Torre, Pellegrini, Banda, Medi-

Certo, il gusto locale iniziava ad accettare con sempre maggiore entusiasmo gli spunti dall’antico, purchè, ben inteso, fossero modulabili secondo le declina- zioni più consone alla cultura cittadina. A suo carico, dunque, può essere posto un intervento quasi coevo alla pala di Benaglio, realizzato per volere di Matteo Canato, vicentino, priore e rettore di San Lorenzo dal 1446, commendatario del- la chiesa dal 1452 al 1477, vescovo di Tripoli in Siria dal 1449, nonché suffraga- neo di Ermolao Barbaro almeno dal 14601.