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Una reazione “all’antica”: il portale del Vescovado »

Del resto, che una contrapposizione delle parti esistesse, è provato da un’al- tra impresa. Nel 1502, il vescovo Michiel faceva innalzare il solenne portale di ingresso del Vescovado141. Poggianti su alti plinti, due colonne per parte termi-

nano in capitelli riccamente decorati con delfini, mentre la trabeazione presenta, in corrispondenza delle colonne, due maschere vegetali. Svetta sull’arco la statua di San Michele Arcangelo con lo stemma del committente, mentre ai lati si ergo- no gli apostoli Pietro e Paolo. All’interno della lunetta dell’arco, la Vergine in trono regge in braccio il Bimbo benedicente. Sul fregio e sull’architrave sono

p. 226): trattandosi di una tomba collettiva, è evidente che non veniva concessa nessuna preminenza a singoli o a famiglie particolari.

137 Come mettono in luce le ricerche di Cipriani, è impossibile generalizzare, parlando di un gruppo

monolitico nell’avanzare pretese contro il vescovo: all’inizio dell’episcopato, anzi, alcuni canonici appaiono più vicini al Barbaro (come rivelano, tra l’altro, i canonici Abazia e Cartolari, per i cui comportamenti, tendenzialmente filoepiscopali, si rinvia a CIPRIANI 1990-91, p. 85). Un quadro generale dei primi anni del- l’episcopato del Barbaro è delineato da DE SANDRE GASPARINI 1991, pp. 79-81; che, tuttavia, mette in luce come, dal 1463, le discordie si facessero più aspre, accrescendo il dissidio tra il vescovo e le famiglie veronesi (pp. 90-92). D’altronde, tutte le cappelle si collocano dopo questo periodo, arrivando in alcuni casi fino all’epoca del vescovo Michiel, che governava la diocesi per mezzo di suffraganei, lasciando inevitabilmente molto più spazio alle iniziative del Capitolo.

138 Nel 1451, il giurista Bartolomeo Cipolla aveva sostenuto le ragioni di Lionello Sagramoso contro le

pretese di Bartolomeo Cartolari, trasformando una causa privata nella difesa delle prerogative “comunali”: VARANINI 1992, pp. 380-381. E, ancora, nel 1498, il Comune aveva ripreso il canonico Mazzanti, colpevole di voler esagerare nella celebrazione del proprio intervento a favore della cattedrale: BRUGNOLI 1987, p. 214.

139 A riprova del protagonismo del Capitolo nella cattedrale, preme sottolineare che, nel 1512, la stessa

cappella era stata oggetto di una sistemazione patrocinata dal canonico Girolamo Mazzanti: BRUGNOLI 1987, p. 212.

140 Le trattazioni più recenti sono i lavori di SERAFINI 1996; SERAFINI 1998; CONFORTI 2002. 141 Sul portale, per quanto attiene agli argomenti pertinenti al nostro studio, si veda GUZZO 1995.

LECAPPELLEDELLACATTEDRALE. L’ANTICODEICANONICI

5.39 Portale del Vescovado, Verona 5.40 Ambito di Marco Zoppo,

Studio per un altare 5.41 Pola, Arco dei Sergi

5.39

5.41

iscritti il nome del committente e la data di esecuzione; sul plinto di destra viene ricordato l’impegno del vicario Matteo Ugoni di Brescia, mentre su quello di sinistra si legge PROBIS IMPROBISQ / PARADITUS / DISPAR / EXITUS. L’esecutore, quantomeno dell’arcangelo e dei due apostoli – sulla scorta dei confronti stilisti- ci – è stato riconosciuto nel veneziano Giovanni Buora142.

Già una prima lettura di questi elementi, sinteticamente elencati, permette di rinvenire un tono prettamente veneziano. Basti il nome dello scultore (e della sua bottega), che infonde un andamento classicamente elegante alle sculture, lontano dal linguaggio di tanta produzione locale, facendosi, nel contempo, am- basciatore di una cultura dai tratti volutamente distinti; basti il rimando del por- tale a un monumento come l’arco dei Sergii, considerato “veneziano” sia per la sua collocazione istriana, sia ancor più per il suo riutilizzo all’ingresso dell’Arse- nale143; bastino alcuni rimandi antiquari, come quello dei delfini sui capitelli: il

motivo non era raro nell’architettura romana, ma può essere suggestivo – onde evidenziare una meditata ripresa archeologizzante – ricordare che un capitello affine era stato ritrovato nel Padovano e si trovava, secondo quanto annotato in un disegno che lo riproduceva nella corte di tale «Andrea», giustappunto a Pa- dova144; e bastino le figure dei santi: Michele rammentava non soltanto il nome

del committente, ma anche la sua carica di cardinale di Sant’Angelo; Pietro e Paolo erano con ogni probabilità un omaggio allo zio pontefice Paolo II (al seco- lo Pietro Barbo) che aveva assicurato la nomina vescovile al nipote Michiel: dun- que, un’affermazione di appartenenza a una famiglia forte e una rivendicazione di legittimità della propria carica, che in tal modo si legava anche alla Santa Sede; la figura di Maria corroborava la destinazione del veneziano Michiel giustap- punto alla chiesa consacrata alla Sancta Dei Genitrix, come, infatti, era chiamata la Vergine titolare della cattedrale veronese secondo un’espressione in uso sin dal XII secolo.

Indubbiamente, come detto poc’anzi, questi elementi qualificavano il porta- le – e dunque l’antico qui dispiegato – in un’accezione specificamente veneziana. Ma è del tutto evidente che tale connotazione non era accidentale: e per l’appun- to allorquando veniva ribadita una disparità di “uscita” per i buoni e i cattivi

142 L’attribuzione delle sculture del portale al lapicida veneziano Giovanni Buora spetta a MARKHAM

SCHULZ 1983, pp. 59-60; MARKHAM SCHULZ 1991, pp. 9, 92. Peraltro, sono documentati dei rapporti tra la famiglia Michiel e lo stesso Buora, che era citato tra i creditori nel testamento di Mosè Michiel: PAOLETTI

1893, pp. 115-116. Per contro, GUZZO (1995, pp. 11-13) ritiene che sussistano delle divergenze formali fra il gruppo di sculture attribuibili a Buora e la Madonna col Bambino, che risentirebbe di un’altra mano, pur essa, tuttavia, collegabile se non all’entourage del Buora, quantomeno all’ambiente veneziano.

143 Sull’arco dei Sergii quale modello per l’Arsenale veneziano e sulla sua importanza nella mitologia

della Serenissima, si rinvia a LIEBERMANN 1991.

145 Del capitello tratta TOSI 1986; per il riconoscimento di «Andrea» nello scultore Andrea Riccio, coll.

883-884; da ultimo, si veda la scheda di G. ZAMPIERI, in Rinascimento e passione per l’antico 2008, pp. 374- 375. Sulla ripresa dei delfini nel Rinascimento: JACOBSEN, ROGERS-PRICE 1983.

LECAPPELLEDELLACATTEDRALE. L’ANTICODEICANONICI

144 GUZZO (1995, p. 7) sollevava il problema di «motivazioni contingenti» con le quali giustificare le

parole iscritte su uno dei plinti dell’ingresso. A nostro avviso, forse, non è necessario documentare puntual- mente un singolo episodio per riconoscere espressa in questo manifesto l’eco dei dissapori che costellarono il rapporto del vescovo con l’aristocrazia laica e religiosa della città.

– giusta le severe, quanto risentite, parole iscritte su uno dei basamenti, ispirate non casualmente ai versetti di un salmo – sembrava di sentir riecheggiare ancor più forti quei mugugni che avevano segnato il rapporto dell’episcopato con il Capitolo e con il Comune, ovvero, in pratica, tra il vescovo veneziano e i maggio- renti (laici o clerici) veronesi145.

La diffusione delle cappelle affrescate non fu prerogativa della committenza canonicale. Anzi il modello non mancò di essere adottato in altri luoghi e da altre famiglie, come fecero i Medici a San Bernardino o i Nichesola a San Fermo1. Di

seguito, sarebbero state le discendenze di pieno Cinquecento (a Santa Anastasia, a San Fermo, a Santa Maria in Organo, a San Zeno) a continuare un processo che, se veniva progressivamente inserendosi nei modi di un più maturo classicismo, avrebbe nondimeno mantenuto quella griglia collaudata con successo2.

Per contro, l’altro centro dove, nel Quattrocento, esempi analoghi si fecero largo in maniera coerente e diffusa fu la chiesa di Santa Anastasia, nella quale i prospetti architettonici comparvero nelle cappelle dei Boldieri, dei Manzini, dei Bonaveri e dei Miniscalchi.

1. Cronologia, committenti e iconografia delle cappelle

La prima impresa da menzionare è relativa alla cappella dei Boldieri, dedica- ta a san Pietro Martire, e verosimilmente conclusa nelle forme attuali tra il 1480 circa e il 14843. L’ultimo estremo cronologico è confermato dal testamento di

Gerardo Boldieri, che chiedeva di essere sepolto «in monumento quod inconti- nenti secuta eius morte construi et fabricari iussit et mandavit per infrascriptos commissarios eius expensis sue hereditatis in ecclesia Sancte Anastasie Verone penes eius capellam de novo per eum fabricatam à manu sinistra intrando dictam ecclesiam»4; per contro, il 1480 circa va connesso alla presenza di san Rocco nel

Santa Anastasia. L’antico dell’aristocrazia laica

1 Riportiamo la bibliografia relativa alla cappella Nichesola: Archivio Sartori 1986, p. 2123 nota 244; LODI

2004, p. 265. Per la cappella Medici, il cui prospetto affrescato è databile, per via stilistica, verso il 1505, si segnalano DEL BRAVO 1962 (a), p. 10; CUPPINI 1971, pp. 112-114; CUPPINI 1981, p. 392-395; PERETTI 2006 (a).

2 Sul tema e sulle sue ripercussioni cinquecentesche, si rimanda a AURENHAMMER 1995. Per la cappella

Fontanelli di Santa Maria in Organo: REPETTO CONTALDO 1984 (a), pp. 55, 56-57, 59; per quella di San Zeno: REPETTO CONTALDO 1984 (b). Entrambe furono opera di Francesco Torbido.

3 Per l’altare Boldieri rimangono basilari le ricerche di VARANINI, ZUMIANI 1993-94, pp. 93-94; ZUMIANI

1986-87, in specie alle pp. 386-390. Il ruolo celebrativo della cappella è stato parzialmente ripreso da CA-

MERLENGO 2001, p. 58.

4 ASVr, T, m. 76, n. 267, 1484.

polittico sull’altare, notoriamente invocato contro la peste, e assunto ad una ge- nerale devozione pubblica giustappunto in quel frangente5.

All’evidenza, i lemmi costitutivi sono grosso modo i medesimi incontrati nel- la cattedrale. La struttura ad arco è contornata da lesene con tralci vegetali e candelabre, ed è inserita in un vero e proprio polittico lapideo, nel quale compa- iono, oltre ai busti dei profeti Isaia e David nei tondi in alto, i santi Antonio abate, Francesco e Domenico (a sinistra), Cristoforo, Giovanni Battista e Vin- cenzo Ferrer (a destra); nelle pareti esterne, l’unica struttura dipinta non è un prospetto architettonico, ma un ricco tendaggio che, alla sommità, incornicia la Crocifissione (nella quale il Cristo, la croce e il Golgota sono opere di scultura); nella calotta dell’abside, si svolge un’affollatissima Incoronazione della Vergine; infine, sull’altare, rimane un polittico lapideo a due piani, che alberga la Vergine in trono, e, nella fascia inferiore, i santi Sebastiano, Pietro Martire e Rocco6.

Quel che emerge è un’ostentazione di cultura decorativa e – per così dire – pisanelliana, che giustifica la definizione di cauta innovazione assegnabile a que- sto complesso7. Si noti l’Incoronazione della Vergine: di per sé è palese il ripristi-

no di un tema legato all’iconografia gotica e tardogotica, nel quale l’unico appi- glio alla modernità giunge dallo schienale del trono di Dio Padre, analogo alla nicchia che contorna il Risorto della cappella Dionisi e intonato su lievi accordi anticheggianti; ma si osservi anche l’impianto della Crocifissione: a parte l’evi- dente richiamo al monumento dei Brenzoni attraverso la cortina retta dagli an- geli, è l’accostamento stesso di pittura e scultura a trovare il suo fondamento nel precedente di San Fermo.

Comunque sia, ignoto per il momento lo scultore del complesso lapideo, è ben riconoscibile, invece, la mano del pittore, identificabile ancora una volta, sulla base delle cogenti spie formali, in Antonio Badile, in favore del quale valgo- no anche alcuni contatti con la famiglia committente, quali la presenza del pitto- re al testamento di tale Pietro di Santa Cecilia, nel 1484, assieme all’intagliatore

5 VARANINI, ZUMIANI 1993-94, p. 95. Ricordiamo che tra il 1477 e il 1480 il Veneto era stato investito dalla

peste, e che proprio tale evento aveva favorito la diffusione delle preghiere a san Rocco, peraltro invocato contro le epidemie sin dall’inizio del secolo e familiare alla devozione veronese fin dai primi anni Settanta: DE

SANDRE GASPERINI 2006, pp. 211-213. A Verona la devozione aveva avuto una consacrazione “ufficiale” partire dal 1480: Ivi, pp. 214-218. Di più, la pietà veronese aveva trovato sbocco nella dedicazione della chiesa di Quinzano al santo di Montpellier (che sostituiva l’originaria intitolazione a Sant’Alessandro): PIGHI 1887, p. 12. Nel 1484, Francesco Diedo aveva scritto una Vita del Santo, la cui diffusione a Verona è comprovata dal fatto di essere stata allegata al De Thermis Calderianis di Giovanni Antonio Panteo: PANTEO 1500, ff. 75v-76r.

6 Completano il decoro della cappella alcune iscrizioni, tratte dall’iconografia di Vincenzo Ferrer: TIME-

TE DEUM (a sinistra) e DAGLORIAM DEO (a destra). La prima esortazione doveva essere cara alla famiglia, che la riprodusse sul portale del palazzo presso San Fermo: ZUMIANI 1987-88, p. 232.

7 In merito si applica alla cappella un tratto che pertiene al profilo del committente, Gerardo Boldieri,

così come suggerito da ZUMIANI 1987-88, p. 229. Una più marcata connessione con il monumento Serego del 1432 è proposta da FRANCO 1992, p. 45. Tuttavia, l’inventario dei libri della famiglia indicherebbe anche una decisa apertura alla cultura umanistica: MARCHI 1966-67 (a), pp.155-156.

SANTAANASTASIA. L’ANTICODELL’ARISTOCRAZIALAICA

6.2 Cappella Manzini,Verona, Santa Anasta- sia

6.1 Cappella Boldieri, Verona, Santa Anastasia

6.3 Cappella Manzini, Allegoria, Verona, Santa Anastasia

6.4 Cappella Manzini, Cerere Verona, Santa Anastasia

Antonio Giolfino e a Piergiovanni Boldieri8. A questa altezza cronologica, però, il

cauto conservatorismo della cappella di San Pietro Martire non poteva essere a senso unico, tanto che esso finì per transitare, nei successivi interventi gentilizi, verso un più maturo idioma classicheggiante, che, di fatto, appare nelle cappelle Manzini e Bonaveri, di poco posteriori.

La prima, dedicata a Vincenzo Ferrer e alla Trinità, dovette essere realizzata tra il penultimo e l’ultimo decennio del Quattrocento: la decisione iniziale data- va al 1482, allorché Gian Nicola Manzini chiedeva di essere sepolto «in monu- mento faciendo in capella quam fabricare fecerit infrascripta domina Magdalena eius uxor in ecclesia Sancte Anastasie»9. Il testatore moriva prima del 1484, poi-

ché allora la moglie, Maddalena Maffei, disponeva di essere sepolta nello stesso luogo «ubi ossa quondam eius dilecti mariti requiescunt»10. Tuttavia era la cap-

pella a non essere ancora stata eseguita, dato che nello stesso anno la donna stipulava un contratto con il lapicida Pietro da Porlezza, prevedendo la conclu- sione dei lavori entro l’anno successivo11. Nulla osta a che la costruzione fosse

conclusa attorno al 1488, come faceva pensare l’iscrizione annotata da De Betta a quella data, dedicata alla madre e ai familiari di Manzini12. Ad ogni buon conto,

nel 1499, Maddalena stendeva un secondo testamento, ove ribadiva le medesime condizioni espresse nel 1484, senza però fare alcun riferimento alla cappella: segno che tutti i lavori potevano dirsi completati13. Di fatto, anzi, essi dovevano

essersi conclusi entro l’inizio dell’ultimo decennio, in accordo con alcune emer- genze relative alla costruzione della cappella (dedicata alla Maddalena). Pietro Bonaveri, che indicava la sua sepoltura «in monumento novo costruendo […] apud capellam d. Joannis Nicole Manzini»14; nel 1491, il consiglio dei Dodici

approvava la richiesta; finalmente, l’impresa poteva dirsi davvero conclusa nel 1500, allorquando Pietro ribadiva di voler essere sepolto «in monumento per

8 GUZZO 1993 (b), p. 200. Per il testamento, cui presenziavano anche Gregorio Lavagnola e Giovanni

Abazia: ASVr, T, m. 76, n. 59, 1484. Una cronologia verso il settimo decennio è stata proposta per la pala dell’altare: VARANINI, ZUMIANI 1993-94, pp. 96, 98-103. Sul San Pietro Martire, datato al lustro 1465-70: E. VILLATA, in Mantegna e le arti 2006, pp. 411-412. Il polittico, che avrebbe fatto parte di una prima fase di lavori allusa nel testamento di Gerardo Boldieri del 1466, sarebbe stato modificato con l’aggiunta dei due santi taumaturghi (VARANINI, ZUMIANI 1993-94, p. 93) durante il completamento della cappella, avvenuto poco prima del testamento del 1484, così da giustificarne la “novità”.

9 ASVr, T, m. 74, n. 149, 1482: l’indicazione archivistica è in CIPOLLA 1916, pp. 75-76. I santi rappresen-

tati sono Andrea e Tommaso d’Aquino, nella parte sinistra; Lorenzo nella parte destra, dove la figura sotto- stante è oramai scomparsa. Nella parte acroteriale, sono raffigurati Pietro e Paolo.

10 ASVr, T, m. 76, n. 218, 1484.

11 CIPOLLA 1916, pp. 75-76; CUPPINI 1971, pp. 102-104; CUPPINI 1981, p. 333.

12 D. NOVELLAE PARENTI JOANNIS NICOLAI MANZINIETSUIS: DE BETTA, ms., I, p. 37. L’iscrizione, che lo

studioso annotava alla data 1488, si sarebbe trovata sulla lastra tombale, posta a destra del riguardante, ove erano incisi il nome e lo stemma della famiglia. Un termine post 1485 per la cappella è suggerito da VINCO

2006 (a), p. 79.

13 ASVr, T, m. 91, n. 267, 1499.

14 CIPOLLA 1916, p. 74 nota 1; CUPPINI 1971, pp. 105-107; CUPPINI 1981, pp. 367-369.

SANTAANASTASIA. L’ANTICODELL’ARISTOCRAZIALAICA

ipsum testatorem constructo ante capellam Sancte Marie Maddalene per ipsum testatorem constructam»15.

Le due cappelle, comunque, nonostante la discrepanza temporale delle com- missioni, dovettero essere completate verso i primi anni Novanta. Il ragionamen- to ha la sua premessa nel fatto che entrambe le partiture dipinte furono realizzate da Liberale (che ha lasciato la firma negli affreschi Bonaveri, ma che parimenti rivela la sua mano, anche se non totalmente, nella cappella Manzini)16. Il ritorno

del pittore a Verona è documentato in maniera abbastanza stabile almeno per il 1488 e il 1489 17. In ogni caso, il permesso accordato dalle autorità comunali a

Pietro Bonaveri indurrebbe a collocare i lavori attorno al 1491. D’altro canto, la stretta affinità nell’impianto strutturale e decorativo dei due complessi picti, gio- cati sulla variazione di singoli motivi piuttosto che su una fondamentale diver- genza ideativa o stilistica, porta a confermare una prossimità di ambedue le ese- cuzioni, ancorché, prestando fede all’evidenza documentaria, con priorità alla cappella Manzini18.

Questo non significa che, a dispetto delle innegabili somiglianze e della pros- simità cronologica, gli interventi fossero stati condotti in assoluto parallelismo, poiché la cappella Bonaveri tradisce livelli qualitativi più elevati nei lavori pitto- rici e scultorei. Per quanto concerne la parte dipinta, si può rimarcare come vi si colga una maggiore ariosità compositiva, che si evidenzia specialmente nella zona superiore: laddove, nella cappella Manzini, prelati, religiosi e devoti adorano il Risorto, soffocati e compressi dalla parete a cassettoni, nella cappella Bonaveri l’apertura del cielo dona un respiro assai diverso. D’altronde, altri dettagli susci- tano la medesima impressione: nella cappella Bonaveri, i santi nelle edicole sono animati da un gesto (Pietro che si volge verso il basso) o da uno sguardo (Lucia rivolta verso l’alto) che apportano un nuovo equilibrio visivo, diverso dalla fissi- tà che pervade le figure della cappella limitrofa; i trii dei putti monocromi, nei riquadri laterali, sono vivacissimi, senza riscontro nelle allegorie della cappella Manzini, che invece sono grafiche, segnate, rigide nelle pose (tanto da far sospet-

15 ASVr, T, m. 92, n. 15, 1500. I santi raffigurati nella cappella sono, a sinistra, Pietro, Vincenzo e Lucia;

a destra, Andrea, Pietro Martire, mentre una sesta figura è attualmente perduta.

16 L’intervento di Liberale nelle due cappelle era noto: VASARI ed. 1976, p. 565-566. Diversa l’opinione

di CUPPINI 1971, p. 103, che aveva attribuito gli affreschi a Francesco Bonsignori, con datazione tra il 1484 e 1485.

17 I dati sono stato raccolti da GEROLA 1909 (a); BRENZONI 1930, p. 17; DEL BRAVO 1957, p. 61; A. ZAMPE-

RINI, in Dizionario anagrafico 2006, p. 397. Il soggiorno a Venezia è documentato da TAGLIAFERRO 1999, pp. 183-187. La presenza a Verona è segnalata, nel 1488, da FAINELLI 1910, p. 220; approfondita da DEL BRAVO

1963, pp. 42, 49.

18 Tale datazione era avanzata per la cappella Bonaveri da L. CUPPINI, Eccezionale ritrovamento di affre-

schi del Liberale, in «L’Arena», 18 dicembre 1965, ribadita da CUPPINI 1966-67, pp. 281. Un’esecuzione al 1490, proposta da SIMEONI 1909 (b), p. 53, appare in contraddizione con la richiesta avanzata da Bonaveri nel 1491, mentre una posticipazione al 1500 (DEL BRAVO (1962 (a) p. 8; 1962 (b), p. 57) sembrerebbe troppo avanzata rispetto allo stile.

tare la mano di un altro pittore, talora identificato per questo suo fare tagliente in Giovanni Maria Falconetto)19; pure l’apparato ornamentale, nella cappella Bo-

naveri, si rivela più ricercato, facendo leva sui tocchi d’oro stesi nei mosaici ac- canto alle teste di cherubini, nelle corone degli imperatori e nelle coppie di delfi- ni. Anche sul versante scultoreo aggalla una conduzione più accurata, non tanto a livello formale, quanto dal punto di vista iconografico, sicché i tralci delle lese- ne Bonaveri sono più copiosamente abitati da animali, da creature mitologiche, da esseri teratomorfi e fitomorfi.

Sulla parte scolpita, comunque, va aggiunta qualche parola in merito agli esecutori: si è visto che Maddalena Maffei si accordava con Pietro da Porlezza per la realizzazione della cappella familiare20. Il lapicida, autore del pavimento

della chiesa nel 1462, doveva essere considerato un artista di fiducia a Santa Ana- stasia, e, in quanto tale, il suo nome poteva fungere da garanzia, tanto che non deve suscitare meraviglia neppure la strettissima somiglianza con le lesene Bona- veri: poiché questo committente aveva voluto conformarsi ai lavori eseguiti nella cappella Manzini (e una riprova viene dalla presenza comune della bottega di Liberale), nulla di strano che si fosse rivolto alla medesima squadra di spezapre- da, che godeva di una ragguardevole stima nell’ambiente domenicano21.

Da ultimo, sfociando nel primo decennio del Cinquecento, fu la volta della cappella Miniscalchi. L’interesse della famiglia per Santa Anastasia datava alme- no dalla metà del secolo, allorché Zanino chiedeva di esservi sepolto22; nel 1451,

Papia Boniventi, vedova di Vianino Miniscalchi, figlio di Zanino, prescriveva di essere deposta nel monumento del marito23; un altro figlio di Zanino, Leonardo,

nel 1473, tornava a parlare della tomba di famiglia, così come, più tardi, avrebbe- ro fatto suo figlio Francesco (1493) e sua nipote Bartolomea (1497)24. Solo nei

primi anni del Cinquecento, però, ad opera di un altro figlio di Leonardo, Alvi- se, vennero presi degli accordi per un complesso di maggior respiro, che divenne esemplare per l’articolazione25: a livello puramente quantitativo, infatti, la cap-

19 Sul ruolo subordinato di Falconetto: CUPPINI 1981, pp. 102-104; per la sua totale paternità della cap-