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III. Critica letteraria e Critica spicciola

III.4. Antonio Fogazzaro e la polemica su Malombra

più vigoroso cozzo di elementi nel dramma; ma in pari tempo che affollamento indigesto qua e là nella compagine dei fatti e che lusso equivoco di immagini nello stile!

Nel Daniele Cortis, al contrario, la euritmia delle parti è così accurata e così perspicua che, letto il libro, ve lo ricomponete tutto nella memoria, senza sforzo, come un quadro che vi stia collocato in faccia sopra il suo cavalletto. I caratteri vi sfilano davanti ad uno ad uno nei loro nitidi contorni: Daniele appassionato e battagliero, Elena mite insieme ed energica nel suo silenzio eroismo […]. Tutte queste persone parlano fra di loro il linguaggio vero della vita, senza ricercatezza e senza volgarità, muovendosi entro un paesaggio pieno di colore locale, ove di tanto in tanto un tocco lieve di pennello fantastico vi dà il sentimento poetico della natura vivente e parlante all’anima con le sue mille voci253.

Al riguardo si ricorda che il giudizio panzacchiano su Malombra aveva suscitato la risentita reazione di Fogazzaro, come riporta lo stesso Panzacchi in nota nella raccolta Al rezzo:

Da prima il signor Fogazzaro con una letterina cortese, poi meno cortesemente un giornale letterario, mi avvisarono che io cadevo in contraddizione consigliando all’autore di Malombra lo studio anche dello Zola, mentre, dicevano, è appunto nello Zola, che abbonda quell’eccesso di animazione antropomorfa ch’io rimprovero al signor Fogazzaro […]. Potrei contentarmi di rispondere che, quando si consiglia lo studio di un autore, il consiglio non può mai intendersi riferito a difetti chiaramente condannati avanti, bensì ad altre qualità buone che nell’autore si riconoscono: ma, lasciando questo, parmi che qui si cada in un grave equivoco. L’animazione, o personificazione che si voglia dire, della quale usa ed abusa Emilio Zola, è sempre e solamente una funzione del suo stile, una passione del suo linguaggio di scrittore colorista e nulla più. Si sente e si vede chiaramente che

253 Ivi, pp. 265-266.

l’intenzione del romanziere "sperimentale" non passa mai al di là del traslato stilistico, alla affermazione di un mondo fantastico e sovrasensibile.

Un esempio chiarirà meglio. Quando lo Zola scrive: "i mobili della stanza dormivano placidamente", non passa per la testa ad alcuno ch’egli attribuisca proprio il sonno alle seggiole e ai tavolini: […]. E io, astenendomi da ogni giudizio di preferenza sui due processi in genere, ho solo criticato l’egregio scrittore dell’abuso con cui parmi che adoperi il processo da lui preferito. È ben chiaro?...254.

Nella polemica era intervenuto anche Alessandro Luzio dalle pagine della rivista "Preludio" del 30 luglio 1881, quel giornale letterario da cui Panzacchi diceva di essere stato avvisato circa la contraddizione della sua analisi critica, perché si era espresso in questo modo in riferimento al romanzo Malombra di Fogazzaro:

Gran parte del quale libro sono le descrizioni: e in questa esuberanza descrittiva il Fogazzaro non s’inspira ad una scuola piuttosto che ad un’altra, ma segue l’andazzo ora prevalente in quasi tutti i romanzieri;

un andazzo che persevera e accenna anzi a crescere nonostante il lagno universale dei lettori. Ed io schiettamente mi pongo dalla parte dei lettori, perché, se può ammettersi che l’azione della circostante natura è continua sul dramma umano, con pari e maggior certezza dee ritenersi che il più delle volte essa è come sottintesa ed inavvertita: ond’è che moltissime volte questo continuo sfoggio di paesaggio, invece di rinforzare la rappresentazione dei fatti umani, la spezza, la raffredda e la distrae.

Nel romanzo del Fogazzaro sono qua e là descrizioni proprio mirabili, e basterà citare quella dell’Orrido, il passeggio sui bastioni a Milano, la tempesta sul lago. Ma più d’una volta il troppo stroppia. Nuoce poi e

254 Enrico Panzacchi, Al rezzo, Roma, Sommaruga, 1882, pp. 219-220.

stanca non poco anche quella sua vena di tutto animare e personificare, sorpassando in questo gli stessi romanzieri tedeschi. Siamo tanto lontani dalla potente sobrietà degli antichi! A Dante parve troppo arrischiato il dire, nel poema, che la campana vespertina piange il giorno che muore;

invece nelle pagine di Malombra siamo di continuo ad ipotiposi arditissime. Il vento parla, gli alberi parlano, le azalee e le dracene si barattano loro osservazioni e commenti, la luna fa capolino dalle nubi, osserva, occhieggia, sorride, sogghigna… Insomma pare che tutto il mondo fisico agli occhi del Fogazzaro vada liquidandosi in un tremolio d’animazione universale. Accetti l’egregio giovine il consiglio di moderare nell’uso questa sua invidiabile facoltà poetica, che lo porta qualche volta sugli ultimi limiti ove comincia il raffinato e lo strambo.

E s’io avessi molta fede nella virtù degli antidoti, gli consiglierei anche di medicare questo elemento morbido della sua fantasia con una cura seria, semplice e corroborante di autori come il Balzac e il Manzoni – spingendosi magari fino ad Emilio Zola!255.

Alessandro Luzio rispondeva allo scrittore bolognese dalle pagine di

"Preludio" del 30 luglio 1881 in difesa Antonio Fogazzaro, biasimando quell’articolo256:

255 Enrico Panzacchi, Al rezzo, Roma, Sommaruga, 1882, pp. 216-218.

256 "Preludio" del 30 luglio 1881, anno V, n. 14, pp. 159-160.

«Il Panzacchi, parlando pur egli con restrizioni della esuberanza descrittiva del Fogazzaro, gli rimprovera l’uso ed abuso di tutto animare e personificare, per cui pare che "tutto il mondo fisico vada a’ suoi occhi liquidandosi in un tremolio d’animazione universale". E consigliandolo a moderare questa del resto invidiabile facoltà poetica, per antidoto all’elemento morbido della sua fantasia, gli suggerisce "una cura seria, semplice, corroborante di autori come Balzac e Manzoni – spingendosi magari fino ad Emilio Zola!" – O noi c’inganniamo, o il Panzacchi ha dimenticato ciò che scriveva dello Zola, e del suo sistema di descrizione nelle Teste quadre. Lo Zola – egli diceva – è addirittura mirabile nelle lotte continue con la aridità e le ripetizioni; ma nello sforzo erculeo non mai interrotto "stila a poco a poco nell’organismo dello stile un principio di lassitudine mal dissimulata: la locuzione passa bruscamente dalle crudezze più brutali a certe morbidezze e delicature ricercatissime". E dopo due esempi recati aggiungeva: "per tal modo una specie di animazione antropomorfa prende da sola a

La divergenza di opinioni tra Panzacchi e Fogazzaro però sembra ora risolta, poiché nello scritto riguardante Daniele Cortis, dopo aver ricordato le perplessità manifestate in passato per l’esuberanza descrittiva di

compiere l’ufficio di tutti i vecchi tropi, infiltrandosi per tutti i meandri del mondo zolesco; ed ecco che un nuovo marivaudage fa capolino dalle pagine di questo realista, di questo naturalista, di questo positivista implacabile".

Ora noi crediamo precisamente che il Fogazzaro abbia in fondo seguito nelle descrizioni il sistema dello Zola, esagerandone i difetti, tanto più quanto si dipartiva dalla realtà. L’antidoto zolesco di cui il Fogazzaro ha bisogno è solo in quanto egli deve abbandonare queste che abbiamo detto sin dal principio creazioni intellettuali, singolarità psicologiche – che piacciono al Panzacchi. È qui l’elemento morbido della fantasia del Fogazzaro: è qui che bisogna augurargli l’efficacia della cura dello Zola, per lo studio freddo, analitico d’ temperamenti, de’ caratteri, de’ documenti umani.

Con le felicissime doti di selezione artistica, che possiede il Fogazzaro, potremmo promettercene grandi cose. – Stando fuori della realtà, almeno nell’eccezionale, l’esempio dello Zola non potrà giovargli di freno; avrà bisogno il Fogazzaro, invece, di elevare sempre più quest’antropomorfismo per armonizzare l’ambiente con le singolarità psicologiche che crea.

Ma, a parte tutto ciò, noi non sapremmo rimproverare l’esuberanza descrittiva di questo genere – cioè non esteriore né epidermidale – che in Italia è una rara quanto felix culpa; avversi a una natura di convenzione, di decorazione, non possiamo troppo dolerci che essa una buona volta palpiti e frema, riboccante di vita […]. Per scucite che possano esser queste note, avran fatto capire abbastanza che alto e nobile senso d’arte abbia il Fogazzaro: né c’è bisogno d’avvertire che vi si unisce una vasta e varia ed elegante coltura. Ciò è troppo naturale, avendo il Fogazzaro dato vita e parola a elevate intelligenze, che non devono cader mai nel volgare. Pieni di pensiero e di sentimento son i dialoghi; e si leggono con interesse perfino le discussioni religiose, ascetiche – che fanno riflettere, e non sono i soliti pistolotti delle solite macchinette montate. – Con felice agilità di trapassi, il Fogazzaro sa altrettanto bene scendere alle rudimentalità di linguaggio de’ personaggi minori – fino anzi a cadere in un soverchio verismo. Ed ora concludiamo: – Malombra è un’opera, in cui – malgrado la stranezza del dato, si rivela una rara potenza d’interezza, d’unità organica d’arte; benché parecchie eccezionali, le figure son tutte fortemente vissute; il paesaggio ha una personalità stupendamente resa; la forma, a parte ridondanze di giovinezza, è in esatta equazione con l’idea, col fantasma poetico. Abbiamo tutti gli elementi d’un vero scrittore. – E poiché speriamo bene che Malombra non abbia a restare un’opera solitaria, ripetiamo al Fogazzaro che non ci duole d’accettare questo suo romanticismo originale ribattezzato. Crediamo per altro che le sue splendide doti si riveleranno di più, se invece di quelle che abbiam detto creazioni intellettuali vorrà penetrare nelle viscere della realtà – con lo studio di caratteri veri, di vicende normali e non meno drammatiche, anziché di sogni superbi, campati nell’assurdo e nell’azzurro».