• Non ci sono risultati.

III. Critica letteraria e Critica spicciola

III.2. Lo storicismo di Francesco De Sanctis

Pertanto lo scrittore bolognese, che aveva anche conosciuto personalmente De Sanctis a Ferrara nel 1874 durante le celebrazioni per il centenario della nascita dell’Ariosto apprezzandone «la forza immensa» dei discorsi, in occasione della sua morte avvenuta il 28 dicembre 1883 scrive un articolo commemorativo in cui ricorda l’originalità della critica letteraria desanctisiana, dovuta al fatto che la «sua genesi non risiede in alcuna peculiare istituzione letteraria» ma si collega a un sistema di idee filosofiche:

Per quanto ora molti si compiacciano a gravare la mano sopra certe sue deficienze come erudito, come scrittore e anche come gustaio, io reputo ingiustizia assurda, peggiorata d’ingratitudine il voler negare che dall’opera sua siano venuti grandissimi benefizi alle lettere e alle arti in Italia […]. In fondo, più che un critico, egli fin dall’origine fu, e si mantenne fino all’ultimo, un estetico, in senso filosofico e magari trascendentale. Nelle opere d’arte egli cercò anzitutto se rispecchiavano un certo ordine di idee che era nel suo cervello; oppure, invertendo il procedimento, si adoperò a dimostrare com’esse lo rispecchiassero. Il rimanente per quanto si sforzasse a illudere sé stesso e a far apparire il contrario, non ebbe a’ suoi occhi che un valore secondario, e, suo malgrado, spesso gli sfuggiva […]. E a questo non ci siamo sovente imbattuti, leggendo i Saggi e in più parti la sua Storia della letteratura italiana. La critica minuta e positiva vi ripassa sopra, esamina pagina per pagina, periodo per periodo, discoprendo qua una lacuna, là una inesattezza storica, più là un concetto nebuloso. E sta benissimo: ma io noto ancora che quasi tutte le idee fondamentali del De Sanctis, le quali sono come le grandi linee del suo edificio storico-estetico, permangono in mezzo a tanta febbre d’esame e ricerche di documenti; permangono e si battono valorosamente234.

234 Enrico Panzacchi, Critica spicciola, Roma, Verdesi, 1886, pp. 38-40. Si ricorda che in precedenza l’articolo era stato pubblicato nel gennaio 1884 nel "Fanfulla della domenica". Nelle opere di Panzacchi non si segnalano altri scritti su De Sanctis, anche

Tuttavia nonostante l’impostazione non eminentemente letteraria della critica desanctisiana, Panzacchi ritiene che per quanto si possano riscontrare in esse lacune filologiche sia «ingiustizia assurda, peggiorata d’ingratitudine, il voler negar che dall’opera [di De Sanctis] siamo venuti grandissimi benefizi alle lettere e alle arti in Italia»235, alludendo alla scarsa considerazione attribuita a Francesco De Sanctis negli ultimi decenni dell’Ottocento quando la critica storica propone un metodo critico tutto basato sull’analisi dei documenti e ricerca delle fonti in contrapposizione all’analisi di sistemi concettuali, come invece propone De Sanctis poiché considera la letteratura un’esperienza in cui si fondano aspetti umani, politici, storici e letterari.

Di questo clima ne risente anche la commemorazione tributata a De Sanctis in occasione della morte e pure l’articolo di Panzacchi, che secondo Edoardo Gennarini sembra appunto un articolo di difesa:

È un fatto che la parte più caduca di quello stato d’animo di allora che, diffondendo la critica storica, poneva sull’altare il fatto, recò pure un momentaneo misconoscimento ad uno dei nostri critici che, al di sopra di ogni strettoia di scuole, più ci ha innalzato nella stima del mondo:

vogliam dire Francesco De Sanctis. Utilità delle vecchie collezioni di giornali: di tutto questo il Fanfulla è fedelissimo specchio. Ricordate con che reverenza si parlava di lui nei primi tempi? Alla sua morte l’articolo del Panzacchi somigliò troppo a una difesa. […] E dopo quelle non molte parole ci fu uno scatto, indovinate di chi? Di Ferdinando Martini, che disse, è doloroso ricordarlo: "Ma, insomma finiamola col De Sanctis!".

se nel saggio dedicato a Carducci prosatore, presente in Critica spicciola, c’è un riferimento alla impostazione critica desanctisiana.

235 Ivi, p. 38.

Ma l’uomo è stato quello che è stato: e ha detto quello che ha detto. Ed è superiore anche alle rivendicazioni236.

Similmente Luigi Russo, critico della scuola desanctisiana, circa il problema della contrapposizione dei diversi indirizzi critici, ritiene più appropriato all’analisi letteraria il metodo ispirato allo storicismo che considera soprattutto aspetti filosofici e concettuali dei testi237.

236 Edoardo Gennarini, Il giornalismo letterario della Nuova Italia, Napoli, Loffredo, 1937, pp. 50-51.

237 Luigi Russo, La critica letteraria contemporanea, Bari, Laterza, 1942, pp. 30-30.

«Non è vero, dico subito, che i seguaci del neo-storicismo, avviato dall’idealismo filosofico siano cresciuti avversatori e derisori, o, comunque, tepidi estimatori della vecchia scuola erudita. Soltanto nell’accensione della polemica, e nella fantasia dei laici, si è potuta determinare un’antitesi irriducibile fra la vecchia e la nuova scuola:

l’una la scuola storica, l’altra, la così detta scuola estetica; l’una tutta fondata sulla ricerca positiva dei fatti, l’altra affidata all’estro dell’ingegno e alla sensibilità personale […]. Mutamento che, negli studi storici e in quelli letterari, si è operato nell’ultimo trentennio, non è stato mutamento di disciplina, ma rinnovamento e rinfrescamento e restaurazione di filosofia. Senza filosofia, non è mai possibile ricerca storica di nessun genere; e i nostri maestri nati alla vita scientifica attorno al 1860, i D’Ancona, i Carducci, i Bartoli, i Comparetti, i Rajna, ebbero pure la loro filosofia:

filosofia invisibile, ma che operò lo stesso efficacemente nelle loro menti e diede unità alla loro opera, e che non fu quella, come spesso si ripete, ispirata ai principi di un facile positivismo, ma una filosofia che aveva sorgenti più lontane e annoverava fasti assai più eroici. Codesti maestri, che appaiono, all’immaginazione volgare, come umbratili asceti o aridi portatori di scienza, impassibili ricercatori di documenti, ordinatori di date e di cronologie, avevano pure una loro passione, una loro poesia, che non era soltanto passione di ordine psicologico e personale, ma di ispirazione ideale e universale, e che li accomunava tutti in una fede come fossero gli apostoli di una nuova religione. E il loro movimento non aveva nulla di arbitrario, di episodico, di occasionale, di regionale o municipalistico, ma si richiamava a una comune missione nazionale ed europea. Era precisamente tutta la filosofia del romanticismo che maturava in questo loro atteggiamento e in questi loro propositi nuovi di studi: la rivoluzione romantica, come tutte le rivoluzioni profonde, agiva […]. E le edizioni critiche dei testi, e le ricerche d’archivio, non si fanno per puro esercizio di mestiere:

si fanno per passione spirituale. E si recensiscono criticamente opere di Dante, di Savonarola, di Machiavelli, di Bruno, di Campanella, di Vico, per rispondere a problemi d’ordine più profondamente storico, e non meramente tecnico; e si raccolgono leggende e novelline popolari, non per semplice curiosità erudita, ma per

Da una tale affermazione di importanza attribuita alla filosofia e alle idee contenute nelle opere letterarie deriva la necessità di non ridurre mai l’opera di uno scrittore solamente a un documento, perché essa deve essere considerata anche e soprattutto «testimonianza della vita etica»238, come non solo sottolineava il critico novecentesco Luigi Russo ricollegandosi idealmente all’indirizzo critico desanctisiano, ma anche lo stesso Francesco De Sanctis aveva cercato di dimostrare attraverso le sue opere, principalmente con la Storia della letteratura italiana (Napoli, Morano, 1870-71), proponendo una storia della letteratura in cui le opere dei vari autori si inquadrano e si giustificano all’interno dello svolgimento della storia morale del popolo italiano. Di conseguenza l’estremizzazione dello studio dei testi finalizzato a se stesso, secondo lo storicismo desanctisiano, non può che rischiare di ridurre il patrimonio critico della scuola storica a «tritume»239 di scarso valore, come Luigi Russo osserva lamentandosi dell’impostazione di una certa critica letteraria che all’inizio del Novecento riduceva il patrimonio dei maestri della scuola storica a un semplice e inadeguato «affastellamento

dar vita e colore e fisionomia a quel popolo, chiamato e assurto al suo risorgimento politico; e s’indaga la storia oscura delle origini, per creare un atto di nascita, il blasone della sua remota nobiltà, alla nazione risorta […]. I nostri vecchi maestri ebbero dunque la loro filosofia, e una filosofia maturata nella vita e nelle lotte quotidiane, nelle loro esperienze di uomini e di cittadini; e non hanno reso un buon servigio al loro nome e alla loro fama quei tardi scolari, che tentarono di detergere le loro fisionomie da ogni macula di pensiero e di passione, e vollero presentarli come vasi vitrei di scienza pura, quasi che il pensiero sia una specie di peccato originale da cui bisogni redimersi, quel pensiero che non è la scienza formale dei don Ferrante, ma è fede, storia, sentimento d’arte, vita morale, passione politica, e, senza il quale, la filologia, l’erudizione, e tutti gli altri begli studi si riducono soltanto a un esercizio vile di aspiranti a cattedre universitarie. Dove languisce la filosofia, ivi presto o tardi languisce e s’immiserisce la stessa filologia».

238 Ivi, p. 39.

239 Ivi, p. 41.

di notizie brute»240 causando la «degenerazione» della scuola erudita.

Tornando all’analisi dell’articolo di Panzacchi, si ricorda che in esso si evidenzia la validità duratura delle linee interpretative della critica letteraria di De Sanctis, definito «agitatore di idee nuove, sane, generose e feconde», perché nei suoi contributi critici si rintracciano concetti fondamentali accanto a «intuizioni vere e profonde». Inoltre lo scrittore bolognese, entusiasticamente convinto del valore di questo tipo di critica, anche se consapevole che in parte necessita di modifiche, così continua e conclude:

L’opera sua è di quelle che bisogna continuare, emendando con reverenza e integrando con alacrità. Il disconoscerla o il tenerla in poco pregio, sarebbe per noi Italiani, per noi studiosi, atto non so se più sconsigliato o più indegno. Anch’egli sentì che il movimento in avanti continuava sempre e che né l’estetica né la critica poteano fermarsi alle formule poste da lui. Lo sentì e riconobbe giusto, confessandolo nelle polemiche, piene di bonomia cortese con gli stessi allievi suoi. Ma nella sua confessione era anche un senso d’orgoglio legittimo, nato dal convincimento che uno degli impulsi più vigorosi a quel muoversi e a quel progredire era stato dato da lui241.

Circa le convinzioni teoriche di Panzacchi relative al dibattito critico qui ricordato, giova evidenziare ancora che egli, pur essendo stato allievo a Pisa del D’Ancona, non può certo essere considerato filologo rigoroso, come richiederebbe la critica storica, dedita soprattutto alla ricerca delle fonti e all’analisi filologica dei documenti, perché altro è il fine che si propone essendo un critico divulgatore acuto e sensibile, ascrivibile piuttosto all’area dello storicismo desanctisiano. Panzacchi è eclettico nei suoi interessi e attento alle novità

240 Ivi, p. 42.

241 Enrico Panzacchi, Critica spicciola, Roma, Verdesi, 1886, pp. 41-42.

letterarie da recensire, senza tuttavia arrivare alle estreme convinzioni di chi come Gabriele D’Annunzio ritiene che la critica sia principalmente creativa e di rielaborazione, costituendo una esperienza artistica che coinvolge totalmente chi la esercita242, anche se pure lo scrittore bolognese attribuisce molta importanza al concetto di arte come esperienza totalizzante.

242 Gabriele D’Annunzio, Dell’arte, della critica e del fervore in Angelo Conti, La beata riva, Milano, Treves, 1900, pp. XXXIV, XLV.

«Ora, che altro può mai essere la critica se non l’arte di goder l’arte? E qual mai può essere l’officio del critico se non quello di comprendere e di sentire acutamente al cospetto dell’opera bella per riconstituir poi la sua comprensione e per ricomporre la sua commozione con tutti i mezzi della parola scritta? […] Il critico dunque – e su questo punto conviene battere – il critico se vuol che la sua opera abbia un vero valore, deve conferirle per mezzo dello stile un valor d’arte. Un libro di critica deve essere, sopra tutto, un eccellente libro di prosa».