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Continuando ad analizzare la trama di relazioni intellettuali che caratterizzarono il retroterra culturale di Panzacchi, per meglio delinearne la fisionomia, si ricorda che il parallelo Panzacchi – D’Annunzio si caratterizza per una consonanza mondana, che per Panzacchi è sempre vigilata da un estremo senso del rigore estetico visto che le sue massime trasgressioni consistono nell’arrivare in ritardo a una conferenza, dimenticarsi più o meno volutamente di un evento cui avrebbe dovuto partecipare, frequentare il Domino Club di Bologna e affascinare con la sua arte oratoria nei salotti mondani e nei caffè letterari, in particolare quello dove si riunivano i letterati carducciani vicino alla libreria Zanichelli.

Quindi se D’Annunzio è un animatore dei salotti culturali e mondani della Roma di fine Ottocento, Panzacchi lo è di quelli di Bologna di quello stesso periodo, in quanto fornito di notevole cultura, abile conversatore, conferenziere, frequentatore di club e salotti, e pure di bell’aspetto, prestante, con voce potente e suadente.

Corrado Ricci di lui afferma: «Enrico Panzacchi ed Alfredo Oriani, brillanti e forti conversatori (il primo per la parola colorita e la bella voce baritonale, il secondo con qualche stento, talora, di pronunzia, ma con maggiore vivacità, non disgiunta da un acuto amore della polemica e del paradosso) frequentavano salotti, teatri e il Domino Club. Solitamente era dato incontrarli di notte, in abito di società e col cappello a cilindro»30.

30 Corrado Ricci, Ricordi bolognesi, Bologna, Aldo Forni editore, 2004, (ristampa anastatica dell’edizione Zanichelli del 1924), pp. 130-135.

E Filippo Crispolti sempre sul Domino Club aggiunge: «Un amico mi condusse da lui al Domino Club dev’egli passava gran parte della giornata chiacchierando, leggendo, facendo colazione, correggendo bozze, scrivendo lettere»31 tanto che poteva dare l’impressione di dedicarsi raramente al vero lavoro del letterato; così annota allora sempre il Crispolti: «Mi parve anzi che questa indolenza dell’animo nocesse anche all’intelletto: il quale, non stimolato da una preoccupazione assidua ad esercitare fino al fondo le sue splendide forze naturali, si contentava di prime intuizioni, che erano geniali, ma rimanevano slegate e trascurate»32.

Quindi i suoi difetti erano: ritardatario e smemorato. L’accusa di superficialità probabilmente era dovuta a diversità di metodo critico rispetto a quello storico diffuso all’epoca, oltre che al suo intelletto eclettico e anche a certi suoi atteggiamenti un po’ troppo svagati, che oltre a quanto già ricordato includevano anche frequentazioni della «bottega degli odori di Lucrezio Muzzi in via Rizzoli, per acquistarvi l’acqua di miele emiliano o la vellutina indiana», come ricorda Marco Veglia33. Pertanto un’altra colpa del letterato bolognese poteva essere individuata nell’essere dannunzianamente fascinoso con interessi vagamente decadenti sino a conquistare l’attenzione dovunque andasse, a Bologna come nella capitale.

In ogni caso, come emerge anche dalla trama concettuale dei suoi racconti e dalle sue recensioni di novità editoriali, come capita ad esempio per Il piacere di D’Annunzio, è sempre la solida eticità delle sue origini che

31 Filippo Crispolti, Politici, guerrieri e poeti, Milano, Treves, 1938, pp. 187-194.

32 Ivi, p. 190.

33 Marco Veglia, La vita vera – Carducci a Bologna, Bologna, Bononia University Press, 2007, p. 259.

vince e che ha il sopravvento; e se non costituisce il più obiettivo criterio di analisi critica è certamente l’indicatore di un’integrità morale, riconosciutagli da tutti i suoi contemporanei.

Solo l’avvocato Francesco Ballarini durante un violento attacco politico osò dire male di lui spinto dall’odio personale («Patriota? Avendo l’età per combattere tutte le battaglie della patria, salva la pancia pei fichi. Professore?

Si pappa lo stipendio e non fa lezione» da "La Patria" del 13 luglio 1883)34. Per il resto tutte le testimonianze sono unanimi sulla bontà d’animo ed estrema correttezza ed onestà intellettuale di Panzacchi: così viene ricordato nella commemorazione tenutasi all’Istituto di Belle Arti a Bologna il 21 maggio 1905:

Sempre ebbe il diritto criterio delle cose e degli uomini. Scrivesse o parlasse di musica con sovrana ampiezza d’idee, di letteratura con dirittura stupenda di giudizio, d’arte con caldo e sincero entusiasmo, di politica con opportuna temperanza e fede inconcussa, egli fu sempre equilibrato e giusto. Tanto aborriva dalle volgarità e dall’acrimonia, che quale uno de’ giudici nel primo concorso di critica d’arte bandito dal Comitato per l’Esposizione internazionale di Venezia nel 1894, volle che nella relazione si rilevasse come si fosse tenuto conto degli eccessi inurbani cui taluni scrittori erano trascesi, osservando giustamente dovere essere la critica d’arte sopra tutto impersonale e serena.

Sereno egli fu sempre e perciò, come uomo, ottimo. Niuno ricorse a lui invano; di parole confortatrici largo, non meno di aiuti materiali; dava, anche oltre il richiesto, senza pensare a quanto gli restava in tasca, senza chiedersi se colui al quale largiva danaro potesse, o meno, essergli grato. Una notte mentre rincasava fu aggredito da un vetturino pazzo e

34 Agostino Bignardi, Panzacchi politico, Bologna,Poligrafici Il Resto del Carlino, 1954, p. 12.

offeso all’improvviso di ferita non grave. Non soltanto allora non querelò l’offensore, ma la famiglia di lui, languente nel bisogno perché il vetturino era sostenuto in carcere, ebbe soccorsi che le permettessero di attenderne il proscioglimento dall’accusa di lesioni volontarie, cui egli cooperò generosamente. Nel 1895, per la nomina a professore universitario, lasciò la cattedra dell’Istituto di Belle Arti, ma ne conservò la Direzione e, scrupolosissimo come sempre, se prima era stato deferente ai colleghi, appresso volle che d’ogni provvedimento essi fossero giudici, più lusingato dicendosi d’essere interprete e patrono delle opinioni loro, che non banditore di criteri suoi. Mite nell’animo, indulse ai giovani che amò: ai trascorsi disciplinari opponeva non la severa riprensione, ma il tranquillo ragionamento persuasivo, che non escludeva la minaccia di una pena; però ebbe la venerazione degli allievi, e più l’affetto, sapendosi da ognuno che, se necessario, egli poteva e sapeva essere giudice severo35.

E similmente nei confronti di D’Annunzio si comportò educatamente; infatti quando D’Annunzio lo definì «poeta di romanzette per pianoforte» per vendicarsi di un suo articolo contro Il fuoco36, Crispolti osserva che anche in quel frangente il letterato bolognese dimostrò «animo mite ed elevato»

commentando l’atteggiamento di D’Annunzio così: «Ho veduto che egli si è avuto a male della predica che gli feci. E me ne dispiace, ma io credetti un dovere d’adoprarmi contro questa letteratura deleteria», continuando a parlare dei vizi e dei pregi dell’opera dannunziana «con una imparzialità, dirò con una benevolenza verso l’autore biasimato, da mostrarmi che l’ingiuria del suo

35 Angelo Gatti, Commemorazione di Enrico Panzacchi, Bologna, Zanichelli, 1905, pp.

66-69.

36 Enrico Panzacchi, Il fuoco – lettera aperta a Gabriele D’Annunzio in "Nuova Antologia" del 1 aprile 1900.

avversario non gli aveva messo in cuore neppure l’ombra del rancore»37. Nonostante queste diversità di indole, che tuttavia non escludono alcune somiglianze, D’Annunzio doveva avere un’elevata opinione soprattutto di Panzacchi giornalista, se in una lettera a Enrico Nencioni del 1886 si propone di far risorgere la rivista "Cronaca bizantina", le cui pubblicazioni erano cessate nel 1885 a causa del fallimento dell’editore Sommaruga, attraverso il contributo dei più valenti scrittori nei vari generi letterari, estendendo l’invito anche a Nencioni per uno scritto e aggiunge: «Ti troverai in eccellente compagnia. Tu sai che io sono di gusto un po’ difficile;

e quindi pochi saranno eletti». Ma tra quei pochi D’Annunzio include anche lo scrittore bolognese, direttore del quotidiano "Nabab" e con molte altre esperienze giornalistiche e sottolinea: «Avrei una novella del Capuana, un articolo del Panzacchi […] forse dei versi del Carducci, […] una corrispondenza parigina di Guy de Maupassant»38, in cui è implicito un giudizio di valore che da parte di D’Annunzio fa ritenere Panzacchi ottimo giornalista, poiché ritiene che un suo articolo possa contribuire a risollevare le sorti di una rivista.

Di lui il vate ammira anche le doti di oratore e conferenziere, peraltro da tutti riconosciute tanto che il Flora asserisce che «toccò forse il suo zenit in qualcuno di quei momenti di eloquenza che hanno il destino fulgido e fugace del lampo: uno di quei momenti che stupivano i contemporanei e nei quali per una superiore virtù comunicativa egli creava tra se stesso e il

37 Filippo Crispolti, Politici, guerrieri e poeti, Milano, Treves, 1938, pp. 190-191.

38 Annamaria Andreoli, Il vivere inimitabile – vita di Gabriele D’Annunzio, Milano, Mondadori, pp. 115-117.

pubblico un solo magnetico ritmo»39. E Federzoni ricordando un aneddoto di cui fu protagonista l’oratore, che si era dimenticato di dover tenere una conferenza sulla Musica dell’avvenire, sottolinea che «All’apparire dell’oratore in teatro, scoppiò un applauso fragoroso; poi cominciò l’incantesimo di quella voce, di quel pensiero: la parola del conferenziere, armoniosa, vivida, concettosa fu, come sempre, acclamatissima. Della parola egli era un mago, e per essa non conosceva che trionfi»40.

Sempre a tal proposito nel 1912 Giuseppe Bacchelli ricordava in occasione dell’inaugurazione di un monumento a lui dedicato:

Di tutte le arti era conoscitore profondo e ne ragionava come maestro.

Fu ammirato ed applaudito in tutte le grandi città d’Italia per conferenze e discorsi su argomenti diversi e difficili. Ma s’innalzava gigante quale oratore. Si può dire che per trenta anni Enrico Panzacchi fu l’oratore di Bologna. E quando parlava era possente. Possente per l’altezza dell’ingegno; possente per la forza del sentimento; possente per la parola meravigliosamente scultoria; possente per la bella persona;

possente per la voce che vinceva le distanze e il tumulto delle piazze.

Forse così erano gli oratori nell’Agorà di Atene.

È grande sventura che molte delle sue orazioni o siano andate perdute o siano rimaste solo per qualche riassunto di giornale. E la ragione è che egli pensava bensì l’argomento del suo discorso e ne disponeva le parti, e forse anche la stessa forma per qualche punto principale, ma poi lasciava che la sua anima si innalzasse e parlasse, senza impedimento alcuno, come aquila che vola alta e sicura […].

E il popolo sentiva che la voce di Enrico Panzacchi era la voce sua.

39 Francesco Flora, Il risorgimento e l’età carducciana, in AA.VV., Bologna e la cultura dopo l’unità d’Italia, Bologna, Zanichelli, 1960, pp. 100-101.

40 Luigi Federzoni, Bologna carducciana, Bologna, Cappelli, 1961, pp. 195-196.

Io ricordo Panzacchi quale oratore […]. Nei popoli liberi la eccellenza dell’oratore significa eccellenza di virtù civile. Non è l’abbondanza della parola, né il comporre accademico e letterario che fa l’oratore. È l’altezza del pensiero e del sentimento. L’oratore che parla al popolo nei momenti solenni è il primo dei cittadini nel compimento del dovere verso la patria41.

Nella stessa biblioteca di D’Annunzio si conservano numerosi volumi dei discorsi di Panzacchi pubblicati soprattutto da Treves, editore anche delle opere di D’Annunzio, e a giudicare dal numero di copie vendute, sui frontespizi si ricordano l’ottavo e il nono migliaio, dovevano essere un best-seller per l’epoca riscuotendo un notevole successo presso i contemporanei e non solo l’interesse di D’Annunzio.

Queste raccolte di discorsi sono:

Gli albori della vita italiana. Conferenze tenute a Firenze nel 1890, Milano, Treves, 1895, 1910, 1913, 1918, con un intervento di Panzacchi sulle origini dell’arte nuova;

La vita italiana nel Rinascimento. Conferenze tenute a Firenze nel 1892, Milano, Treves, 1895, 1913, con un contributo di Panzacchi su Leonardo da Vinci;

La vita italiana nel Cinquecento. Conferenze tenute a Firenze nel 1893, Milano, Treves, 1897, 1906, con un intervento di Panzacchi su

41 Giuseppe Bacchelli, Per l’inaugurazione del monumento a Enrico Panzacchi, Bologna, Stabilimento poligrafico emiliano, 1912, pp. 6-8.

Raffaello Sanzio da Urbino;

La vita italiana nel Seicento. Conferenze tenute a Firenze nel 1894, Milano, Treves, 1905, con un contributo di Panzacchi su Giovanbattista Marino;

La vita italiana nel Settecento. Conferenze tenute a Firenze nel 1894, Milano, Treves, 1912, con un contributo di Panzacchi su Vittorio Alfieri;

La vita italiana durante la Rivoluzione francese e l’Impero.

Conferenze tenute a Firenze nel 1896, Milano, Treves, 1910, con una conferenza di Panzacchi intitolata La musica;

Le conferenze fiorentine sulla vita italiana, vol. 10 – La vita italiana nel Risorgimento (1846-1849), Firenze, Bemporad e figli, 1900, con un intervento di Panzacchi sulla poesia del Quarantotto;

Le conferenze fiorentine sulla vita italiana, vol. 11 – La vita italiana nel Risorgimento (1849-1861), Firenze, Bemporad e figli, 1901, con un intervento di Panzacchi intitolato La lirica42.

42 Al Vittoriale nella biblioteca personale di Gabriele D’Annunzio sono tuttora conservati questi volumi di conferenze di Enrico Panzacchi.