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Il progetto educativo in Enrico Panzacchi e in Giovanni Pascoli

Emanuele III e a partire da edizioni successive anche il racconto Primo ricordo, che nell’antologia pascoliana reca il titolo La sorellina poiché tratta appunto della sua morte.

Sono proprio le liriche di Alma natura e di Intima vita infatti che possono rientrare nell’ambito di una sensibilità pascoliana, caratterizzandosi oltre che per la musicalità61, per i costanti riferimenti alla natura, alla cadenza stagionale e ai bozzetti di vita agreste, spesso venati di soffusa malinconia, con l’utilizzo di un linguaggio facilmente comprensibile in un insieme di spunti che si possono definire pascoliani e vicini alla sensibilità decadente.

Similmente Carlo Calcaterra appunto così lo giudica: «Poeta

Il primo è il seguente:

I.

Splendono i campi, gialli di frumento, sotto l’occhio del sol; pe ’l vasto piano la grave ora del dì, presso e lontano, mette in tutte le cose un sopor lento.

Solo hanno i pioppi, in alto, un movimento lieve, e pare opra d’invisibil mano.

La strada è bianca, il cavallo va piano;

e la noia del caldo è un gran tormento.

Folta di piante e ricca di fontane, la vostra villa è un’oasi di verdura, o bella donna, ed io vorrei fermarmi.

Ma l’idea che, fermandomi, dimane sarò cotto di voi, mi fa paura…

E seguito la via senza voltarmi.

61 È bene ricordare che la prima raccolta di poesie di Enrico Panzacchi risale al 1872 con il titolo Piccolo romanziere ed è pubblicata a Milano da Ricordi, casa editrice d’argomenti musicali, a riprova di come la musicalità sia sempre stata una costante nell’opera poetica di Enrico Panzacchi. Non si deve poi dimenticare che egli stesso era un profondo conoscitore del settore musicale.

apparentemente facile e discorsivo, perché è piano e senza nodi, egli non può essere sentito e gustato nel suo valore se non quando sia inteso in questa sua singolare forma d’arte. Dotato di un senso finissimo del colore e del suono, coglieva d’istinto il trapasso delle stagioni, il brivido della luce, il palpito dell’aria, il chiarore del cielo; […]. La poesia della vasta pianura emiliana, del piccolo Reno, di Bologna la vecchia e la nuova, è diffusa in molte parti delle sue opere come un modo di sentire e di vedere […]. I primi versi di molte sue liriche danno subito l’immediatezza dell’impressione poetica per quel felicissimo accordo di sentimento e di sogno, di musica e luce, che era il suo segreto»62.

Inoltre se per Guido Mazzoni il poeta bolognese «da un lato non ha o non vuole mettere in mostra le forze e l’ardimento degli innovatori, mostra dall’altro la eleganza fine e cortese dell’arte sua, la quale sa nel tempo stesso rispondere al gusto del pubblico e disamare la maligna severità di confratelli in poesia e in critica»63; per Francesco Orestano è necessario sottolineare anche quanto fosse «estremamente difficoltoso affermare la propria difficoltà poetica e inserirla tra il Carducci e il Pascoli. Eppure il Panzacchi l’affermò e l’inserì, acquistandosi una incontestata fama di poeta originale»64.

Lo stesso Pascoli, nella Prefazione alle poesie di Panzacchi nell’edizione postuma del 1908, che però mantiene sostanzialmente l’ordine delle poesie già proposto dall’autore nell’edizione definitiva del 1894, cioè la

62 Carlo Calcaterra, La poesia di Enrico Panzacchi, Bologna, Tipografia universitaria, 1940, pp. 7-12.

63 Guido Mazzoni, Le poesie di Enrico Panzacchi in "Nuova Antologia" del 15 marzo 1894, pp. 331-340.

64 Francesco Orestano, Enrico Panzacchi – discorso pronunziato per il primo centenario della sua nascita, Roma, Reale Accademia d’Italia, 1940, pp. 20-30.

suddivisione nelle sezioni: Visioni e immagini, Dolores, Intima vita, Brevi poemi, Fantasia, Funebria, Racconti, Alma natura, Piccolo romanziere, Severio Torelli, Varie, con l’aggiunta di Le istorie, L’intermezzo, Terra immite, Ultime rime, Rime inedite o rare, rintraccia nei suoi versi bontà e fortezza ritenendolo un poeta umile e alto, un critico sereno e un oratore equilibrato:

Buono era questo Poeta, profondamente. So bene che la bontà (pare impossibile!) ha mala voce, oggidì. Noi pendiamo a credere ch’ella sia una cotal fiacchezza, indeterminatezza, irresolutezza; e ci sentiamo portati a risponder male a chi ci dà questa taccia. Eppure noi proviamo tutti, nel segreto della nostra coscienza, che è più facile il biasimo che la lode, e la vendetta che il perdono. Il male salta agli occhi; le ingiurie ci si affollano alle labbra. Difficile è ricacciarle dentro, le ingiurie, difficile è distrarre l’occhio dal male e vedere anche il bene, difficile allargare il pugno e stendere la mano […]. La bontà, insomma, è fortezza. E questo qui, così sereno come critico, così equilibrato come oratore e pensatore, così umile e alto come Poeta, era un forte senza darsene l’aria65.

E ancora il Pascoli così si esprime sulla poesia panzacchiana: «Ebbene Enrico Panzacchi fu la reincarnazione di Guido Guinizzelli […]. Egli era maestro di rime d’amore; amore per tutto ciò che è bello e grande […]. Il poeta rende visibile le cose entro e fuori di noi, che o non vediamo o non guardiamo. Ora quante cose ci ha fatto vedere e ricordare Enrico Panzacchi! […]66», soprattutto collegate alle bellezze della natura che lui tanto apprezzava da volere nel

65 Giovanni Pascoli, Prefazione, in Enrico Panzacchi, Poesie, Bologna, Zanichelli, 1908, pp. I-XI.

66 Giovanni Pascoli, Patria e umanità – raccolta di scritti e discorsi, Bologna, Zanichelli, 1914, pp. 61-72.

cortile vicino al suo studio nell’Istituto di Belle Arti a Bologna alcuni ciliegi

«per avere ivi un lembo di quella vita campestre che aveva nutrito i suoi primi anni, per cogliere nella fioritura primaverile un’immagine, una rimembranza»67.

Il giudizio positivo che Pascoli esprime sulle opere di Panzacchi e sul suo nobile atteggiamento, che lo fa essere umile e alto ad un tempo, deriva dalla opinione pascoliana che «l’arte non è arte e la poesia non è poesia, se non è pura, se non è innocente, se non ha occhi luminosi e il cuore mondo, se non sa e non insegna, se non è buona e benefica», enunciata nella Prefazione dell’antologia scolastica Fior da fiore, in chiara sintonia con quanto esprimono le liriche panzacchiane di Alma natura, Piccolo Romanziere, Visioni e Immagini, e anche gli edificanti racconti panzacchiani ambientati nella campagna bolognese e romagnola, dove sono sempre i buoni sentimenti e i valori dell’onestà e correttezza a trionfare.

Considerando ora un altro aspetto che accomuna i due scrittori, si osserva che per Pascoli come anche per De Amicis e Panzacchi, la scuola è

«rigeneratrice, apre la vita d’intelletto e di sentimenti ai nostri bambini», così afferma Pascoli durante le sue lezioni alla Scuola Pedagogica68. E notevole è la considerazione per questi giovani, definiti «novella generazione italica da cui aspettiamo la risurrezione della nostra idealità». In tal modo si esprime ancora il Poeta nei loro confronti nella Nota per gli alunni premessa all’antologia di prose e poesie per la scuola italiana Sul limitare, opera che idealmente ha la funzione di «soccorrere i giovani e aiutare l’oscuro

67 Angelo Gatti, Commemorazione di Enrico Panzacchi, Bologna, Zanichelli, 1905.

68 Giovanni Pascoli, Lezioni di letteratura italiana per la Scuola Pedagogica – anno accademico 1907-1908 (dattiloscritto di Casa Pascoli).

avvenire» in ossequio ai principi educativi dell’epoca, ispirati all’amor di patria, amore per la famiglia, alla dedizione e al sacrificio. Tuttavia è già estremamente significativo di per sé che siano inserite nel volume considerazioni esplicitamente rivolte ai giovani studenti.

Circa i valori fondanti dell’educazione che doveva formare le nuove generazioni dell’Italia unita, si sottolinea che Pascoli nelle lezioni alla Scuola Pedagogica nell’anno accademico 1908-09 incita i maestri a «non dico suscitare, perché è sentimento di tutti i cuori, ma coltivare l’amor di patria»69. D’altra parte nel suo testamento massonico al momento dell’ingresso nella loggia Rizzoli di Bologna il 22 settembre 1882, alla domanda: Che cosa deve l’uomo alla patria?, risponde: La vita70.

In proposito si sottolinea che senza il prezioso aiuto dei maestri, come già evidenziato anche in relazione alla tematica educativa in De Amicis, tutto questo non sarebbe stato possibile; e tanta è l’ammirazione per essi e per i loro sforzi educativi che sogno di Pascoli stesso sarebbe stato «quello di chiudere la vita come maestro» e di aggirarsi «tra i fanciulli, vederne l’anima, educarla»71.

Restando sempre nell’ambito dei problemi connessi all’Istruzione, è

69 Giovanni Pascoli, Lezioni di letteratura italiana per la Scuola Pedagogica – anno accademico 1908-09 (dattiloscritto di Casa Pascoli).

70 Il testamento così procede:

«Quali sono i doveri dell’uomo verso la Massoneria? D’amarla – Quali sono i doveri dell’uomo verso se stesso? Di sopportarsi»

(da documenti del GOI e Michelangelo Raitano, In memoria di Giovanni Pascoli, Città di Castello, Edizioni Erretre, 1962). In proposito si veda anche Stefano Scioli, Giovanni Pascoli, poeta e massone, in Giovanni Greco (a cura di), Bologna massonica, Clueb, 2008, pp. 319-326.

71 Giovanni Pascoli, Lezioni di letteratura italiana per la Scuola Pedagogica – anno accademico 1907-08 (dattiloscritto di Casa Pascoli).

interessante segnalare nell’Archivio di Casa Pascoli la presenza di una lettera di Panzacchi in qualità di Sottosegretario dell’Istruzione durante il Ministero di Niccolò Gallo nel governo Saracco, datata 11 febbraio 1901, al Chiarissimo professore Cav. Giovanni Pascoli della Regia Università di Messina. In essa si relaziona in merito alla richiesta inoltrata da un collega di Pascoli, il professor Giovanni Melle, circa una sistemazione nell’ambito di quella Università, che risulta però a lui non dovuta e per la quale probabilmente Pascoli stesso si era interessato presso il Ministero.

La lettera risulta così formulata:

Ho preso conto di ciò che le ha scritto il professor Giovanni Melle dell’Università di Messina. Purtroppo però non è esatto che la sistemazione, da lui invocata, gli sia mancata stavolta per un errore materiale, com’egli pensa. No.

Il Ministro [Niccolò Gallo] ha esaminato tutte le proposte della facoltà, ma per Melle non ha potuto favorevolmente provvedere, perché a lui manca qualsiasi eleggibilità, non avendo egli mai partecipato a concorsi. Perciò egli resta ancora nelle condizioni di prima, che non potranno mutare, sino a quando il Melle non acquisti quei titoli che gli possono legittimamente procacciare il miglioramento, cui auspica.

Cordiali saluti

tuo Panzacchi.

Evidentemente la correttezza morale e l’onestà comportamentale di Panzacchi erano lontane da ogni favoritismo72.

Questa risposta negativa alla richiesta di un favore per la sistemazione di un collega del Pascoli non veniva certo ad incrinare l’amicizia e la stima tra i due letterati. Infatti nella sezione bolognese della biblioteca di Casa Pascoli sono state conservate fino ad oggi opere dell’amico scrittore a dimostrazione della stima nutrita per lui, che qui si ricordano:

Enrico Panzacchi, Il libro degli artisti, Milano, Cogliati, 1902, per quanto ancora intonso, ma l’arte nelle sue manifestazioni pittoriche non rientrava certo tra gli interessi di Pascoli;

La commemorazione di Re Umberto I detta nel teatro comunale di Bologna il giorno 19 agosto 1900, Bologna, Zanichelli, 1900, con dedica dell’autore:

«A G. Pascoli L’. A.»;

e lo Studio sulle Nuove poesie di Carducci risalente al 1879 e stampato a Bologna presso Zanichelli;

La Conferenza su Giacomo Leopardi pronunciata a Recanati il 3 luglio 1898, Bologna, Zanichelli, 1898.

72 In proposito Claudio Mariotti ricorda anche una lettera di Pietrobono a Pascoli, datata 16 dicembre 1900, in cui si chiede l’intercessione di Panzacchi per un trasferimento di Pascoli dall’Università di Messina, ma senza esito (da Enrico Panzacchi, Lirica, romanze e canzoni, a cura di Claudio Mariotti, Roma, Salerno, 2008, p. XXXVII).

"Flegrea" rivista di lettere, scienze ed arti edita a Napoli nel 1899, contenente la lirica panzacchiana Una sera di luglio che qui si riporta:

I.

Come soave e lenta alla pianura o grande ombra del vespero, ti posi, mentre ondeggiano su nell’aria pura i verdi pioppi, al vento sospirosi!

Poi tutto è fermo. La diurna arsura tien tuttavia le siepi e i cigli erbosi;

e par che in ogni viva creatura

cominci un sogno di metempsicosi…

Io qui nel solitario e bel quadrivio, penso coloni e jugeri romani, ricordando una pagina di Livio;

e non m’accorgo se rintoccan l’ore (o fantasia de’ secoli lontani!) dal campanil di Quarto Superiore».

II.

I Legionari sciolsero il gabino cinto, chinando le quadrate spalle ai solchi; ed ebbe la spartita valle i divieti del Termine latino,

mugghiarono dai campi e da le stalle i buoi del Lazio. Dove l’acquitrino morto stagnava in pria, sorser le gialle messi frementi al raggio mattutino.

Quanta macerie di genti e di regni dopo quei dì! Ma stettero immutati del romano scandivio i vecchi segni.

E dell’Egloga antica il pio lamento qui par che aliti ancora e si dilati pei verdi pioppi, sospirosi al vento.

Bologna, Villa San Sisto.

Enrico Panzacchi.

NOTA – Era opinione dei vecchi archeologi, che le vaste pianure bolognesi, stese a sinistra della Via Emilia, serbino ancora quasi intatto il reticolato delle strade vicinali prescritte dai primi colonizzatori romani. Il Bombardini ripigliò e dimostrò vera questa opinione.