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III. Critica letteraria e Critica spicciola

III.1 Critica spicciola

Critica spicciola è una raccolta di saggi critici, scritti prevalentemente dal 1880 al 1885, di derivazione giornalistica e spesso in precedenza pubblicati sul "Fanfulla della domenica", nelle pagine dell’"Illustrazione italiana" o sul "Nabab".

Nell’edizione Verdesi del 1886, che qui si segue, l’opera presenta venti scritti a differenza della prima edizione denominata A mezza macchia219 e pubblicata da Sommaruga nel 1884, in cui non compaiono gli scritti posteriori a questa data, quindi quelli dedicati a Suora Hroswita, a Octave Feuillet e a Paul Bourget.

Si ricorda che nell’Avvertenza a Critica spicciola Panzacchi sottolinea che la «pubblicazione giornalistica non ha fatto altro che precedere materialmente il libro, per ragioni di opportunità o con intento di più larga e facile divulgazione»220, ricordando che i libri ormai non nascono più «interi e tutti di un pezzo nel cervello degli scrittori» e generalmente, come spesso accade nella seconda metà dell’Ottocento, prima occupano «con le loro sparse membra i giornali e i periodici» a testimonianza che anche quanto pubblicato in essi «può avere una importanza che oltrepassi la vita effimera

219 Nel 1886 Panzacchi passa all’editore Verdesi perché nel 1885 Sommaruga sospende l’attività editoriale a causa di problemi finanziari e giudiziari. In proposito cfr.

Giuseppe Squarciapino, Roma bizantina, Torino, Einaudi, 1950, pp. 225-235.

220 Enrico Panzacchi, Critica spicciola, Roma, Verdesi, 1886, Avvertenza, pp. 1-4.

di questi e le dia il diritto di rivivere in condizioni meno caduche», confermando con queste parole l’attenzione dello scrittore bolognese per la critica giornalistica militante.

Sempre nell’Avvertenza in un altro punto si chiarisce che gli scritti di Critica spicciola non sono «trattazioni generiche e complesse della vita o delle opere di un autore»; analizzano invece un solo aspetto «particolare o limitato» di esse, perché Panzacchi preferisce «cogliere e lumeggiare in un autore qualche suo punto particolare e magari d’importanza secondaria e meno battuto dalla critica», questo è il criterio che lo guida nell’analisi di argomenti letterari. E prosegue affermando: «Quando poi le circostanze mi portarono a discorrere in forma generica dello scrittore e dell’artista mirai piuttosto ad accumulare che ad analizzare diffusamente il tema o a definirlo in tutta la sua parte»221, ispirandosi a una tecnica particolare del disegno «che consiste nella ricerca di un buon contorno a cui si aggiungono qua e là sobriamente alcuni tratti d’ombra nei punti che l’artista vuol meglio raccomandare all’occhio dei riguardanti»222.

Da questo tipo di disegno detto appunto «a mezza macchia» deriva il titolo dell’opera. Al riguardo così afferma l’autore: «Ne feci volentieri il titolo del mio libro preferendolo a parecchi altri, anche perché piacque all’editore»223.

Brevità, imparzialità, schiettezza sono le altre caratteristiche di questi scritti panzacchiani, giustificate con la necessità della critica di essere concisa

221 Ivi, p. 3.

222 Ibidem.

223 Ibidem.

Nell’edizione Verdesi del 1886 la definizione A mezza macchia compare come sottotitolo, mentre nell’edizione Sommaruga del 1884 costituisce il titolo dell’opera.

per evitare che superi in consistenza le opere analizzate, come già consigliava La Fontaine invitando a «limitare la smania delle narrazioni interminabili»224.

In proposito così si esprime Panzacchi:

Io credo che oggi sia mestieri di raccomandare caldamente la brevità anche alla critica; soprattutto a lei. Ormai si può essere certi che intorno ad ogni opera originale di qualche significato pullula rapidissimo un lavorio di critica che la sorpassa in volume dieci o venti volte. Misera ricchezza, lusso di vegetazione inutile che smagra il buon terreno e opprime le piante sane. A stringere bene il succo delle idee, quelle veramente utili che si possono dire intorno a un lavoro d’arte sono, per lo più, assai poche.

Io nel rivedere i capitoli di questo libro mi sono sempre tenuto fermo al proposito di niente innovare, affinché essi, in mancanza di altri pregi, conservino la spontanea schiettezza con cui in diverse circostanze mi riuscirono scritti. Sono tutti capitoli brevi; ma confesso che più di una volta la voglia di abbreviare maggiormente ce l’ho avuta e forte.

Così predico, come posso, con l’esempio: ma non ho certo la speranza o la presunzione che esso debba fruttificare gran che. Figurarsi! Il La Fontaine che era La Fontaine e che alla grande autorità del nome aggiungeva quella di esempi tanto aurei, predicò ai porri; e s’andò sempre peggio. A ogni modo, io traggo dalla brevità dei miei capitoli il conforto maggiore pubblicandoli; e penso che della brevità può sempre dirsi come della pace: tutti ne godono, tutte ne cavano vantaggio;

scrittori, editori, lettori225.

Circa la brevità di questi scritti si deve osservare che Giuseppe Lipparini fu il primo tra i critici a individuarla come tratto distintivo della

224 Enrico Panzacchi, Critica spicciola, Roma, Verdesi, 1886, Avvertenza, p. 3.

225 Ivi, p. 4.

Si ricorda che l’unico contributo di una certa consistenza è quello su Carducci prosatore: va da pag. 45 a pag. 78 per un totale di trentatré pagine.

prosa dello scrittore bolognese e a sottolinearne la liricità e frammentarietà, che ritiene non ne danneggino l’unità e la profondità del pensiero:

Il Panzacchi anche nella prosa è lirico: voglio dir frammentario.

Assomiglia in ciò a uno dei suoi scrittori prediletti, a Pietro Giordani.

Come lui, egli non ha lasciato se non una serie di prose brevi. Non c’è l’opera poderosa che tutti conoscono e che tutti citano anche senza averla letta mai. Una volta un giornale bolognese annunciò per le proprie appendici un romanzo del Panzacchi, Il suicidio di Andrea. È inutile dire che il romanzo non fu scritto mai, e che Andrea non ebbe mai la briga di imitare Jacopo Ortis o il giovane Werther. Se nonché anche un’opera fatta di frammenti può avere in se stessa la propria unità […]. Vi è sempre nella frase e nel giudizio del Panzacchi un equilibrio così nobile e sano che serve a caratterizzare tutta l’opera di lui226.

Altre parti significative dell’Avvertenza sono qui riportate:

Ho raccolti parecchi miei articoli letterari sparsi qua e là e li ho ordinati in un libro, che pubblico. Ecco la mia confessione. La mia discolpa è solo nell’esempio e nella consuetudine invalsa. Dal tempo che i libri cessarono di nascere interi e tutti di un pezzo nel cervello degli scrittori, e che anzi i così fatti diventarono una scarsa minorità di fronte ai moltissimi che escono, per così dire, in due volte e in due forme diverse, occupando da prima con le loro sparse membra i giornali e i periodici, anche la curiosità del pubblico e la critica hanno dovuto modificarsi e acconciarsi dinanzi al fatto nuovo.

Il nuovo fatto volle dirci anzi tutto che anche la materia edita nei giornali può avere una importanza che oltrepassi la vita effimera di questi e le dia il diritto di rivivere in condizioni meno caduche: volle dirci inoltre (e molte volte la cosa è chiarissima) che un vincolo ideale

226 Enrico Panzacchi, Prose scelte, a cura di Giuseppe Lipparini, Bologna, Zanichelli, 1913, Prefazione, pp. 4-5.

può benissimo unire quelle sparse membra in un tutto omogeneo, talché arrivati in fondo si resta convinti che la pubblicazione giornalistica non ha fatto altro che precedere materialmente il libro, per ragioni di opportunità o con intento di più larga e facile divulgazione; il libro che già esisteva intero, come la tela avvolta nel suo subbio e solo aspettante d’essere svolta a parte a parte sotto gli occhi della gente.

Ma posso io presumere che queste due condizioni si avverino nel libro che metto fuori? Non potrei invocare la prima senza meritare l’accusa di matto presuntuoso; non la seconda senza andar contro alla più aperta evidenza.

Il volume si presenta dunque al pubblico com’è, senza che l’autore possa addurre altra scusa che questa: ho fatto quello che molti facevano e fanno ancora. E rinforzarla magari con buoni nomi d’autori e di libri facilissimi a trovare, specialmente in Francia e fra noi. Ma sarei io per questo perdonato? Perdonato o no, sento che ho l’obbligo di far precedere una avvertenza, la quale risparmi ai lettori una disillusione forse spiacevole e alle mie spalle d’autore una censura di più. Ognuno dei capitoli che compongono il volume ha per titolo il nome d’uno scrittore o d’un artista; il che, stando all’uso, varrebbe ad annunziare una trattazione generica e complessa o della sua vita o delle sue opere o di queste cose insieme. Ebbene, al contrario molte volte sotto il nome dell’autore il capitolo che vi corrisponda non tratta che un aspetto assai particolare e limitato dell’opera sua o della vita. Così, ad esempio, sotto il titolo Gian Giacomo Rousseau non si fa che commentare una sua strana lettera amatoria di recente scoperta […]. Insomma, quando ne ho avuto il destro, volentieri ho preferito di cogliere e di lumeggiare in un autore qualche suo punto particolare e magari d’importanza secondaria e meno battuto dalla critica; quando poi le circostanze mi portarono a discorrere in forma generica dello scrittore e dell’artista mirai piuttosto ad accennare giusto che ad analizzare diffusamente il tema o a definirlo in tutta la sua parte. Ebbi presente come esemplare quella maniera di disegno che consiste nella ricerca di un buon contorno a cui s’aggiungono qua e là sobriamente alcuni tratti d’ombra nei punti che l’artista vuol meglio raccomandare all’occhio dei riguardanti; e altro.

Chiamano questo nelle scuole disegno «a mezza macchia.» Ne feci volentieri il titolo del mio libro, preferendolo a parecchi altri, anche

perché piacque all’editore. Ed è ora che il libro vada, e che la severa imparzialità con la quale ogni sua pagina fu scritta gli procuri un po’ di cortesia nel pubblico227.

Si ricorda che nell’edizione Sommaruga del 1884 di A mezza macchia l’Avvertenza è molto più sintetica e così costituita:

Questa breve galleria di scrittori, di varie epoche e in vario grado celebri, non dà ritratti interi… molto meno finiti; bensì leggermente contornati e ombreggiati con pochi tratti, per dare risalto a certi caratteri della fisionomia. Lavoro a mezza macchia, secondo il frasario dei maestri di disegno. Di qui il titolo del volume, che ho preferito a parecchi altri (di titoli non è mai penuria) perché non spiacque all’Editore228.

Procedendo nell’analisi di questa raccolta di contributi critici, in essa si individua un filone critico principale che tratta i problemi letterari contemporanei all’autore, cui sono riconducibili gli scritti di critica giornalistica militante come quelli dedicati a Luigi Capuana, Matilde Serao, Antonio Fogazzaro, Francesco De Sanctis, Giosue Carducci, Octave Feuillet, Paul Bourget. In essi si rintracciano le linee concettuali principali che costituiscono gli interessi privilegiati di Panzacchi costituiti da: il Verismo di Capuana e Verga229 con gli inevitabili riferimenti al Naturalismo francese, il dibattito relativo alle ripercussioni di questa corrente letteraria in area napoletana, in particolare sulla Serao, senza tralasciare i romanzi francesi a

227 Enrico Panzacchi, Critica spicciola, Roma, Verdesi, 1886, Avvertenza, pp. 1-4.

228 Enrico Panzacchi, A mezza macchia, Roma, Sommaruga, 1884, p. 1.

229 Si ricorda che un articolo riguardante Verga e Mastro don Gesualdo compare nella rivista "Lettere e Arti" del 21 dicembre 1889 e poi confluisce nella raccolta Morti e viventi (Catania, Giannotta, 1898).

vasta diffusione di Feuillet e Bourget, contrapposti al romanzo sperimentale naturalista.

Anche le opere di Fogazzaro sono oggetto dell’attenzione critica di Panzacchi, che inizialmente esprime giudizi negativi su Malombra230 provocando la risentita reazione dell’autore e poi con l’articolo Daniele Cortis, pubblicato sul "Nabab" nel febbraio 1885, modifica in parte la propria valutazione esprimendo apprezzamento per l’evoluzione positiva che caratterizza il nuovo romanzo di Fogazzaro.

D’altra parte l’aspetto della critica letteraria è trattato nello scritto commemorativo di Francesco De Sanctis e in quello dedicato a Carducci prosatore, da cui emergono le fondamentali diversità tra la scuola della critica storica e quella storicistica del De Sanctis. Nell’ambito di questo filone critico principale, dedicato ai contemporanei dell’autore, e che più di altri risente dell’impostazione giornalistica caratterizzandosi per un fine divulgativo, si può delineare un percorso ideale che senza dubbio ha il suo nucleo principale negli articoli dedicati a Capuana, Serao, Fogazzaro, Feuillet e Bourget231, cui si aggiungono i contributi su De Santics e Carducci232 prosatore.

230 Cfr. Enrico Panzacchi, Al rezzo, Roma, Sommaruga, 1882.

231 Questi scrittori sono ricordati anche in altre opere di Panzacchi: Fogazzaro è oggetto di un altro scritto in Al Rezzo, a Bourget si dedicano articoli nella rivista "Lettere e Arti", la Serao è ricordato da uno dei personaggi del racconto Al di là della siepe, l’opera di Capuana è analizzata in un saggio di Teste quadre ed egli stesso collabora a

"Lettere e Arti".

232 Si ricordano la lettera di Carducci del 16 settembre 1882 in cui il poeta riconosce la validità della critica letteraria di Panzacchi e dimostra di apprezzare particolarmente i suoi giudizi (EN, Lettere vol. XIV); e anche una lettera di Panzacchi a Carducci dell’8 maggio 1869 in cui Panzacchi gli invia giudizi sui versi scritti e gli propone alcune correzioni; la lettera è conservata a Casa Carducci.

Pure Ernest Renan costituisce un nucleo concettuale di un certo interesse, in quanto amico dello scrittore bolognese e varie volte ricordato: in Morti e viventi c’è uno scritto a lui dedicato, la testata del "Nabab" riporta un suo motto, nel saggio Tolstoj e l’arte in "Nuova Antologia" del 16 giugno 1898 si incontrano riferimenti a Renan circa il valore etico dell’arte e pure nel racconto La mia unica traversata non manca una citazione della sua convinzione sulla necessità di descrivere soltanto cose belle, condivisa da Panzacchi.

Gli scritti su Ippolito Nievo e Aleardo Aleardi, in occasione di uscite editoriali di loro opere, si inseriscono nell’ambito di un interesse per il panorama letterario italiano che si estende anche ad altre letterature straniere, soprattutto quella francese, testimoniato dalla realizzazione di tutti questi articoli quasi in contemporanea all’uscita dei volumi in essi considerati a conferma del costante aggiornamento dell’autore proiettato verso una dimensione letteraria non solo italiana.

Continuando nel percorso ideale che collega i vari scritti della raccolta, certamente risulta di scarso interesse e proprio di un filone minoritario tutto quanto costituisce scritti di erudizione rappresentati dagli articoli dedicati a Galeazzo Mariscotto, Monsignor Golfieri e suora Hroswita, i primi due giustificati nell’ambito della storia locale bolognese; quello invece dedicato a suora Hroswita, realizzato probabilmente sulla base di uno spunto tratto da Le origini del teatro in Italia di Alessandro D’Ancona, è inserito anche nel volume Donne ideali (Roma, Voghera, 1898).

Gli articoli dedicati a Bernardino Zendrini, Leon Gambetta e Terenzio Mamiani derivano tutti dall’esigenza di commemorarli in occasione della morte, con particolare attenzione da parte di Panzacchi per Gambetta perché entrambi validi oratori.

L’unica incursione nella letteratura del passato è costituita dallo scritto su Virgilio, giustificato dalla ricorrenza del centenario della nascita (1870)

del poeta latino, insieme al contributo dedicato a Rousseau che trova la sua occasione nel ritrovamento di una inedita lettera d’amore del filosofo per una donna inglese. Gli altri scritti su Gustave Doré, Arrigo Boito e Felice Romani riguardano settori artistici delle arti figurative e della musica che non rientrano nell’analisi di questo percorso di ricerca, ma dimostrano la poliedricità di Panzacchi.

Quanto allo stile che caratterizza Critica spicciola si osserva che è in linea con l’esigenza di divulgazione propria dei contributi giornalistici in essa presenti, finalizzati alla massima diffusione delle notizie e alla individuazione delle linee fondamentali delle opere analizzate, estrapolandone gli aspetti principali e proponendoli con efficacia al pubblico dei lettori. Di conseguenza il periodare è sciolto e veloce, senza eccessiva ricchezza di subordinate, non c’è ricerca di vocaboli preziosi e l’esposizione dei contenuti mira all’essenzialità, che a volte può essere scambiata per superficialità da chi si attende analisi più sistematiche e approfondite, mentre è soltanto in sintonia con l’esigenza divulgativa tipica del genere delle recensioni giornalistiche. Da questa esigenza deriva anche l’utilizzo in funzione esplicativa della figura retorica della similitudine, come capita nello scritto su Capuana, dove i pochi romanzi di valore dell’epoca sono paragonati a razzi di uno spettacolo pirotecnico:

Par d’assistere di sera ad uno spettacolo pirotecnico annunziato con grandi promesse: il tempo passa ma l’aria non si vede ancora solcata che dalle fiammelle spesse dei fuochetti minori, e s’aspetta con giusta impazienza che un bel razzo altissimo e ricadente con allegro scoppio in pioggia luminosa, allarghi gli animi e faccia cominciare gli applausi.

Qualche razzo arriva, è vero, di tanto in tanto, ma sono pochi e radi troppo e di troppo largo spazio non accendono a festa l’atmosfera: anzi,

dopo quello bellissimo nella cui luce apparvero i volti di Lucia, di Renzo, di Fra Cristoforo, dell’Innominato e di Don Ferrante, io dico che razzi veramente trionfali in Italia non se ne sono più visti233.

L’impostazione giornalistica degli scritti determina in essi anche la presenza di molte conclusioni ad effetto, si pensi a quella che compare nello scritto su Matilde Serao: «E questo vale anche meglio d’un buon libro, perché ne contiene, in potenza, molti altri somiglianti e migliori»; e allo scritto riguardante Fogazzaro con il riferimento alla polemica su Malombra:

«Amico, io non posso seguirla, addio!»; o al saggio dedicato a Carducci prosatore con queste efficaci considerazioni: «Volete anche i voli pindarici e le grandi considerazioni storico-estetiche? Anche queste non mancano, ma a tratti brevi e opportuni; poiché v’accorgete di aver a che fare con un autore il quale è convinto che non da questa parte è oggi il più urgente bisogno della critica letteraria fra noi»; e ancora risulta significativo il contributo su Francesco De Sanctis che si conclude con questa immagine: «È il vecchio lottatore che si ritrae dall’arena».

233 Enrico Panzacchi, Critica spicciola, Roma, Verdesi, 1886.