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III. LE METODOLOGIE IMPIEGATE PER L’ANALISI DEI MATERIALI ANTROPOLOGIC

III.3 Antropologia dentaria

I denti, essendo costituiti soprattutto da tessuti duri mineralizzati, sono la parte dello scheletro che meglio di tutte si conserva nel tempo e quindi, per questo motivo, hanno maggior probabilità di preservarsi tra i materiali scheletrici (Andersen et al., 1995; Vodanovíc et al., 2007; Fereira et al., 2008). La loro morfologia è determinata geneticamente e le alterazioni che si

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verificano sulle loro superfici nel corso della vita di un individuo sono permanenti e sempre visibili in quanto i denti non subiscono processi di rimodellamento (Alvesalo & Tigerstedt, 1974; Townsend et al., 1992). Le analisi di antropologia dentaria sono di fondamentale importanza poiché dai denti possono essere ricavate informazioni di vario genere relative alla biologia, all’ecologia, alla cultura e all’inquadramento popolazionistico e genetico del campione oggetto di studio. L’analisi delle patologie orali e dentarie fornisce indicazioni sulle abitudini alimentari, su episodi di stress nutrizionali e sulle condizioni generali di vita e di salute (Lukacs, 1989; Kelley & Larsen, 1991); infine possono dare delle informazioni su un eventuale utilizzo della dentatura per attività non alimentari (Molnar, 1972; Larsen, 1985; Lalueza Fox & Perez Perez, 1994; Ubelaker, 1996).

III.3.1 Caratteri metrici e non metrici dei denti

Tra i resti scheletrici, i denti rappresentano gli indicatori più affidabili per determinare le vicinanze e le differenze biologiche tra le popolazioni; le relazioni presenti tra queste possono essere valutate attraverso l’analisi dei tratti metrici e non metrici dei denti che, come è stato dimostrato, hanno una forte componente genetica (Moorrees, 1962; Garn et al., 1968; Alvesalo & Tigerstedt, 1974; Townsend et al., 1992; Scott & Turner, 1997; Larsen, 1997).

Al fine di poter delineare un profilo biologico degli individui di Arano e di ottenere informazioni utili per poterli inserire all’interno di un più complesso quadro geografico, ambientale e popolazionistico, nel campione oggetto di studio sono state raccolte le informazioni relative ai tratti metrici e non metrici dei denti. I dati ricavati serviranno per ampliare le conoscenze sulle dinamiche culturali e biologiche delle popolazioni dell’Italia settentrionale durante il Bronzo Antico. Per questo motivo i risultati ottenuti sono stati confrontati con i dati raccolti per i campioni di Sorbara di Asola e di Franzhausen I e con quelli disponibili in letteratura (Teschler-Nicola, 1992; Cucina et al., 1999; Salvadei, 2013).

Per l’analisi metrica dei campioni di Arano e Sorbara sono stati utilizzati i diametri mesio-distali (MD) e bucco-linguali (BL) dei denti delle emiarcate superiori e inferiori di destra; in caso di rotture o assenze, sono stati misurati i rispettivi antimeri. Le misure sono state prese secondo i metodi descritti da Hillson et al. (2005) per mezzo di un calibro digitale. Le aree delle superfici occlusali sono state calcolate come il prodotto tra MDxBL secondo quando riportato in Garn et al. (1977). I dati sono stati raccolti solo per i denti permanenti.

I tratti non metrici dei denti dei campioni di Arano, Sorbara e Franzhausen I sono stati registrati per mezzo dello standard ASUDAS “Arizona

State University Dental Anthropology System” (Turner et al., 1991). Per

facilitare le osservazioni sono state utilizzate placche di riferimento nelle quali sono riprodotte le diverse variabili anatomiche dei denti con i relativi gradi di

81 espressione. Nel presente lavoro sono stati analizzati 38 caratteri, 20 relativi ai denti mascellari e 18 a quelli mandibolari. A questi è stata aggiunta l’osservazione fatta su un altro carattere denominato EUL (Etruscan Upper

Lateral) (Pinto Cisternas et al., 1995) noto in letteratura anche con il nome di

“mesial bending ridge” (Coppa et al., 2007). I dati sono stati raccolti per tutti i denti (dx/sn, superiori/inferiori), ma per il calcolo delle frequenze percentuali sono stati considerati quelli che presentavano il maggior grado di espressione del carattere rispetto ai relativi antimeri. È stato infatti dimostrato che il più alto grado di espressione del tratto meglio riflette il suo potenziale genetico (Scott & Turner, 1977; Turner et al., 1991). I tratti, registrati secondo il loro grado di espressione, sono stati successivamente trasformati in valori dicotomici di “presenza/assenza” (per i “range di espressione” e per i “range di presenza” di ciascun carattere considerato nell’analisi, si rimanda alle Tab. IV.16, p. 149; IV.34, p. 183; IV.40, p. 195).

Tutti i dati raccolti sono stati successivamente confrontati con quelli presenti in letteratura (Teschler-Nicola, 1992; Cucina et al., 1999; Salvadei, 2013). Per i tratti metrici dei denti sono state create delle matrici nelle quali i diametri MD e BL di ciascuno dei denti di tutte le popolazioni considerate sono stati utilizzati come variabili. Ugualmente ciò è stato fatto anche per i caratteri morfologici. In questo caso le matrici create avevano come variabili le frequenze percentuali dei vari tratti relativi ai campioni presi in esame. Il confronto è stato fatto attraverso analisi di statistica multivariata: cluster

analysis. Gli algoritmi utilizzati sono stati lo “Ward’s method” e l’“Unweighted

pair-group average” (UPGMA). Nel primo metodo i clusters vengono uniti in modo tale che l’aumento della variazione all’interno dei gruppi sia minimizzata, mentre nel secondo questi sono uniti in base alla distanza media fra i membri dei due gruppi. Le misure di distanza utilizzate sono “Euclidean” e “Manhattan”. A questi è stato aggiunto l’utilizzo del “Neigbour joining clustering” dal quale si ottengono clusters gerarchici con formazione di filogrammi, ossia di grafici nei quali i rami non sono della stessa lunghezza; le misure di similarità utilizzate sono state nuovamente “Euclidean” e “Manhattan”. Per le analisi è stato impiegato il programma statistico Past (versione 2.17), software scaricabile gratuitamente da internet.

III.3.2 Patologie dento-alveolari

I denti e le loro patologie costituiscono, nei contesti archeologici, delle fonti di informazione necessarie per poter studiare in maniera completa la popolazione che stiamo analizzando. In questo lavoro sono stati raccolti dati relativi ad alcune tra le principali affezioni dento-alveolari come strumenti utili per ricostruire lo stile di vita e lo stato di salute del campione di Arano. Le osservazioni sono state fatte sulla dentatura permanente e decidua. Per tutte le patologie orali, le frequenze sono state calcolate sia per individuo che per dente colpito e quando possibile è stata fatta un analisi suddivisa per sesso e per età

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alla morte. I dati sono stati raccolti anche per il campione di Sorbara e di Franzhausen I e successivamente sono stati confrontati con quelli presenti in letteratura (Minozzi et al., 1994).

- Carie

La carie è il risultato di un processo distruttivo che porta ad una progressiva demineralizzazione dei tessuti duri del dente (smalto e dentina) ad opera di acidi di origine batterica. I fattori principali che provocano l’insorgenza di tale patologia sono tre: morfologia e funzione del dente, placca batterica e alimentazione (Rowe, 1982). I denti anteriori (incisivi e canini) presentano un incidenza minore di carie rispetto ai premolari e molari caratterizzati da superfici molto articolate (con cuspidi e fessure) e quindi più difficilmente pulibili (Powell, 1985). Vari sono comunque i fattori che influenzano l’attacco cariogeno e la sua diffusione. Fra questi si ricorda la scarsa igiene orale, l’età e l’ereditarietà, difetti dello sviluppo dello smalto e malattie periodontali (Larsen, 1997; Hillson, 2001).

Le lesioni osservabili sul dente variano da macchie opache nello smalto a larghe cavità che si estendono in profondità fino alla camera pulpare; la propagazione dell’infezione batterica fino ai tessuti alveolari può indurre ascessi e culminare nella perdita stessa del dente (Hillson, 1996).

L’eccessivo consumo di carboidrati è senza dubbio uno dei principali fattori di insorgenza delle carie (Larsen et al., 1991; Hillson, 2000). Gli uomini del Paleolitico, che basavano la propria sussistenza su un’economia di caccia e raccolta, erano caratterizzati da una frequenza molto bassa di carie la cui presenza aumenta invece con l’avvio delle pratiche agricole ovvero con l’inizio di una dieta ricca di carboidrati.

Nei tre campioni studiati (Arano, Sorbara e Franzhausen I), per ogni individuo analizzato, è stata osservata l’assenza o la presenza di carie e in questo caso è stato registrato il dente colpito e la localizzazione del difetto in relazione alla superficie (occlusale, corona, cervicale, radice) e al lato (mesiale, distale, buccale, linguale). Per ogni lesione cariosa è stato registrato anche il grado di gravità secondo il seguente schema (riportati ad esempio in: Canci & Minozzi, 2005; Masotti et al., 2012):

(1) piccole lesioni, carie superficiale, viene intaccato solo lo smalto;

(2) carie di dimensioni maggiori, viene intaccata la dentina, può essere distrutta meno della metà della corona;

(3) carie perforante, molto grande, può essere distrutta più della metà della corona del dente, la lesione può raggiungere il canale del dente;

(4) la lesione ha distrutto completamente la corona, sono presenti solo le radici.

83 - Ascessi

L’ascesso dentario è dovuto ad un accumulo di contenuto purulento a seguito di un’infiammazione provocata dall’ingresso di batteri all’interno del canale del dente. L’infiammazione dei tessuti periodontali può essere dovuta ad una carie, ad un trauma o ad un’eccessiva usura. L’infezione si propaga dalla polpa del dente all’apice della radice e raggiunge i tessuti sottostanti con conseguente flogosi ed accumulo di pus. In genere nell’osso mascellare si crea un canale drenante che permette la fuoriuscita del materiale purulento. Solitamente le fistole si aprono sul lato buccale o linguale dei mascellari, ma possono anche trovarsi nella cavità nasale. Nei materiali scheletrici, l’unico modo per capire se un individuo è affetto da tale patologia, è la presenza di canali alveolari sulle superfici buccali e labiali e su quelle linguali delle ossa mascellari (Hillson, 1996).

Nei campioni analizzati è stata osservata presenza di tale affezione. Le frequenze sono state calcolate esclusivamente per individuo.

- Ipoplasia dello smalto dentario

Nei materiali archeologici, la presenza di difetti di tipo ipoplastico è molto comune. Questi consistono in una riduzione del normale spessore dello smalto causato da disturbi che si verificano durate l’amelogenesi. Sottili linee e larghi solchi (in alcuni casi che si estendono lungo tutta l’intera superficie della corona), punti isolati o piccole aree senza smalto, possono essere i vari aspetti con cui questi difetti si manifestano sulla superficie del dente (Clarkson, 1989; Hillson & Bond, 1997). L’ipoplasia dello smalto dentario è considerata comunemente essere un indicatore aspecifico di stress in quanto le cause alla base della sua insorgenza possono essere molteplici (deficienze nutrizionali, malattie, infezioni, disordini metabolici) (El-Najjar et al., 1978; Skinner & Goodman, 1992). Dal momento che lo smalto dei denti non si rimodella nel corso della vita (come invece accade per il tessuto osseo), questi difetti saranno sempre osservabili, fornendo così importanti informazioni sullo stato di salute delle popolazioni. Per questo motivo, l’ipoplasia dello smalto dentario costituisce una delle manifestazioni di stress più comunemente studiate nei materiali scheletrici appartenenti a campioni archeologici. Nel presente studio è stata determinata esclusivamente la presenza/assenza di lesioni ipoplastiche e il loro grado di espressione secondo quanto riportato da Schultz (1988). Le osservazioni sono state fatte sia per individuo che per dente colpito. Per alcuni denti decidui sono stati realizzati calchi ad alta risoluzione, affinché la superficie del difetto potesse essere osservabile al Microscopio Elettronico a Scansione (SEM).

- Tartaro

Il tartaro è costituito da un accumulo sulla superficie dei denti di sali minerali e resti organici. Le concentrazioni maggiori si verificano sulle superfici

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di quei denti che si trovano più vicine ai dotti salivari. Solitamente infatti il tartaro è più frequente e abbondante sulla superficie linguale delle corone dei denti anteriori della mandibola e sulla superficie buccale dei molari mascellari. In alcuni casi concentrazioni di tartaro possono essere osservate anche sulle radici quando queste sono esposte a causa di disturbi periodontali (riassorbimento alveolare). Generalmente, la presenza di tartaro è dovuta ad una scarsa igiene orale, ad un alto consumo di carboidrati e al pH della saliva; inoltre aumenta con l’avanzare dell’età (Hillson, 1996). Il tartaro si conserva abbastanza bene nei resti antichi anche se spesso, durante le operazioni di pulitura, tali depositi possono venire asportati.

In questo studio, i depositi di tartaro sono stati documentati sia per individuo e che per dente colpito. Per descrivere i vari gradi di presenza sulle superfici è stata utilizzata la seguente classificazione (Brothwell, 1981; Schultz, 1988):

- Grado 1: piccole concrezioni di tartaro;

- Grado 2: il tartaro ricopre meno della metà del dente; - Grado 3: il tartaro ricopre più della metà del dente.

- Perdita dei denti ante-mortem

Molteplici sono i fattori che possono causare la perdita intra-vitam del dente. Carie, eventi traumatici, forte usura e affezioni del periodonto sono tutte malattie che nei casi più gravi possono portare ad una retrazione del margine alveolare provocando la caduta del dente (Goodman et al., 1984; Meiklejohn & Zvelebil, 1991). Quando un dente viene perso in vita, i tessuti alveolari reagiscono rimodellando e riassorbendo l’alveolo fino ad una sua completa obliterazione. L’incidenza della perdita in vita del dente è stata calcolata per individuo. Un dente è stato registrato come “caduto ante-mortem” se l’alveolo risultava parzialmente o completamente obliterato. Dall’analisi è stato possibile osservare anche quali denti, all’interno dei campioni considerati, sono stati persi in vita con maggior frequenza.

- Usura dentaria

Durante la vita di un individuo, il tessuto duro dei denti viene esposto a molti fattori fisici e chimici che possono alterarne la superficie stessa. Il termine “usura dentaria” viene utilizzato per definire, in generale, la graduale e irreversibile perdita del tessuto duro che può essere legata a più cause. Le usure di natura chimica sono comunemente conosciute con il nome di “erosione”, mentre i termini di “frizione”/“attrito” e “abrasione” servono per indicare usure di origine meccanica. In particolare quando la perdita del tessuto duro è dovuta ad un costante contatto tra i denti si parlerà di frizione o di attrito, mentre quando questa è legata all’interazione meccanica del dente con altri materiali si parlerà di abrasione (Robb et al.,1991).

85 Tra le principali cause all’origine dell’abrasione vi sono la masticazione e altre attività che richiedono un utilizzo dei denti per scopi diversi da quelli legati all’alimentazione. Alcune alterazioni prodotte da pratiche extramasticatorie sono di origine intenzionale e possono essere dovute a scopi decorativi o culturali (come la creazione di linee e solchi sullo smalto); altre sono involontarie e sono il risultato di gesti ripetuti (come l’utilizzo di stuzzicadenti per ragioni terapeutiche o di igiene orale, la costante abitudine di tenere oggetti in bocca e l’utilizzo dei denti come strumenti per attività lavorative)(Molnar, 1972; Schulz, 1977; Berryman et al., 1979; Larsen, 1985; Ubelaker, 1996). Molto spesso, le usure provocate da un utilizzo non alimentare della dentatura per scopi lavorativi, sono localizzate sulle superfici interprossimali e occlusali dei denti, sia anteriori che posteriori. Solchi sono stati osservati anche sulle superfici labiali dei denti anteriori dell’arcata superiore; questi sono stati associati ad attività legate al taglio (con lame di pietra o metallo) della carne tenuta tra la dentatura (Lalueza Fox, 1992; Lalueza Fox & Perez Perez, 1994; Lalueza Fox & Frayer, 1997).

Nel presente studio il grado di usura dentaria è stato registrato per le superfici occlusali di tutti i denti secondo quanto descritto da Smith (1984). Per le usure di origine extramasticatoria sono stati riprodotti calchi ad alta risoluzione per l’indagine SEM; in questi casi sono stati registrati i denti più colpiti e le superfici maggiormente interessate.

Un’inusuale alterazione dello smalto dentario è stata inoltre osservata sulla superficie linguale di alcuni incisivi e canini dell’arcata superiore di un gran numero di individui della necropoli di Arano. Il difetto, che non trova corrispondenze in letteratura, è stato descritto per la prima volta in Dori & Moggi Cecchi (2014). Questa alterazione, morfologicamente simile ad un solco curvilineo, è stata osservata anche in alcuni soggetti delle necropoli di Sorbara e di Franzhausen I. Tra gli individui colpiti, la presenza del difetto è stata messa in relazione con il sesso e con l’età alla morte degli individui affetti, al fine di capire se potevano esserci dei legami.

Per poter meglio descrivere e determinare la posizione che questi difetti occupano sulle superfici dentali sono state prese, quando possibile, le seguenti misure con un calibro digitale: larghezza del solco nel suo punto più ampio; distanza tra il margine cervicale del difetto e il colletto del dente; estensione cervico-incisale del solco attraverso la misura della distanza tra il margine cervicale del difetto e la sua estremità incisale. Nell’ultimo caso la misura è stata presa solamente su un lato ed è stato preferita, nella maggior parte dei casi, l’estremità più lunga (Dori & Moggi Cecchi, 2014).

Inoltre sono stati registrati i gradi di espressione del solco sulla superficie linguale. Su alcuni denti infatti il difetto si presenta come una leggera traccia (“light lesion”) mentre in altri penetra in profondità nello smalto esponendo la dentina (“marked lesion”) (Dori & Moggi Cecchi, 2014).

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Per il campione di Arano inoltre sono stati fatti calchi ad alta risoluzione dei denti colpiti al fine di poter osservare la superficie dell’alterazione al Microscopio Elettronico a Scansione.