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La necropoli di Arano ha restituito 68 strutture tombali, ma solamente in 62 sepolture sono stati ritrovati resti scheletrici. L’analisi antropologica ha riguardato sia gli inumati deposti singolarmente sia quelli presenti all’interno delle sepolture multiple (doppie e triple). In entrambi i casi, le deposizioni contenevano individui di età adulta e soggetti di età infantile e giovanile. In totale sono stati analizzati 74 individui provenienti dalla necropoli (73 inumati e un incinerato). Inoltre, nel presente lavoro sono stati studiati anche i resti scheletrici dell’individuo infantile della tb. 1/A – US 20 ritrovata nel Settore A. Il campione analizzato risulta così suddiviso:

SETTORE B NECROPOLI TB. SINGOLE 1, 2, 5, 7, 8, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 17, 18, 21, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 32, 34, 35, 36, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64, 66, 67, 68 TB. BISOME 6, 16, 30, 55 TB. TRISOME 3, 4, 9, 19 CREMAZIONE 22 SETTORE A ABITATO 1/A (US 20)

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Lo stato di conservazione in cui si trovavano i materiali scheletrici di Arano era generalmente precario e per questo motivo sia la pulitura che il restauro dei 75 individui hanno richiesto un lungo e laborioso lavoro al fine di poter recuperare la maggior quantità di dati disponibili. Tutte le attività si sono svolte all’interno del Laboratorio di Antropologia del Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Firenze (responsabile Prof. Jacopo Moggi Cecchi)4.

Come precedentemente accennato, il terreno nel quale è stata scoperta la necropoli era in passato un vigneto e le radici delle piante hanno creato non pochi danni alle tombe e agli scheletri in esse contenute compromettendone l’integrità. In alcuni casi le radici delle viti hanno intaccato sia la superficie esterna dell’osso che quella interna rovinando così diafisi ed epifisi. L’azione dei fattori chimici spesso presenti nel terreno, ha modificato la composizione dell’osso rendendolo meno resistente e più friabile; i danni maggiori sono stati registrati sulle coste, sulle vertebre e sulle estremità distali e prossimali delle principali ossa lunghe, il cui recupero in fase di scavo è stato in alcuni casi piuttosto difficoltoso. I resti scheletrici presentano numerose alterazioni di tipo tafonomico: danni da frattura, schiacciamento e distorsione dovuti al peso dei sedimenti e di altri agenti di natura fisica (molto danneggiate risultano le ossa della calotta cranica) (Fig. II.1a, b).

Fig. II.1. a) Frammenti del cranio individuo tb. 7. b) Cranio individuo tb. 11.

Con molta cura, in laboratorio, i reperti ossei sono stati ripuliti dalla matrice terrosa in cui erano inglobati. Alcuni resti, particolarmente delicati, erano stati solo parzialmente liberati dal terreno durante la fase di scavo: per

4Il lavoro di pulizia e restauro è stato svolto durante tutto il primo anno di dottorato. Per l’aiuto fornito in questa fase si ringraziano in particolar modo la Dott. Giovanna Stefania, la Dott. Silvia Boccone, la Dott. Silvia Bortoluzzi e il Dott. Marco Giusti.

53 limitare il più possibile i danni legati al recupero del materiale, in qualche caso è stato infatti necessario prelevare interi blocchi di distretti anatomici ancora incorporati all’interno del sedimento. In laboratorio è stato quindi messo in pratica un vero e proprio microscavo delle superfici con l’utilizzo di pennelli, specilli da dentista e stecchini in legno (Fig. II.2a, b).

Fig. II.2. a) Microscavo dei resti scheletrici dell’individuo della tb. 64. Si possono osservare le coste, le scapole, la clavicola destra, la mandibola e frammenti di vertebre. b) Microscavo dei resti scheletrici dell’individuo della tb. 14. Si può osservare la porzione prossimale del femore e frammenti dell’osso coxale, lato sinistro. Presente anche la falange prossimale del pollice della mano sinistra.

In generale, per la pulizia del materiale, si è cercato il più possibile di ridurre l’utilizzo di acqua, la quale avrebbe potuto compromettere l’integrità stessa dell’osso. La terra all’interno delle diafisi delle ossa lunghe non è stata rimossa poiché l’asportazione avrebbe potuto causarne una perdita di consistenza e quindi, conseguentemente, la rottura. Molta attenzione è stata fatta alla pulizia delle superfici di frattura, operazione fondamentale per la successiva fase di incollaggio delle varie parti al momento del restauro. Il terreno ottenuto dalla pulizia del cranio è stato vagliato sotto acqua corrente utilizzando setacci a maglia di grandezza decrescente al fine di recuperare anche i più piccoli elementi scheletrici (es. ossicini dell’udito). Terminata questa fase i materiali sono stati fatti asciugare sopra fogli di carta, lontano da fonti di calore. Non tutte le ossa sono state lavate e restaurate; alcune (soprattutto frammenti di coste e di falangi) sono state prelevate e inserite in contenitori separati affinché su queste fosse poi possibile effettuare vari tipi di indagini: i campioni necessari

A

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per lo studio del materiale genetico (DNA antico) e per le datazioni radiocarboniche, erano stati in gran parte acquisiti in fase di scavo; i reperti necessari allo svolgimento delle analisi sugli isotopi stabili (del carbonio e dell’azoto) sono stati campionati in laboratorio.

Già durante la pulizia del materiale è stato indispensabile, per alcuni reperti, effettuare un consolidamento delle superfici prima del restauro: per far ciò è stata utilizzata una soluzione di Paraloid al 5% in acetone. Conclusa la ripulitura delle ossa si è proceduto con il restauro delle stesse, utilizzando durante la ricomposizione preliminare e l’incollaggio definitivo rispettivamente pezzetti di nastro adesivo cartaceo e colla rimovibile (Paraloid al 50% in acetone). Questa si è rivelata essere una delle fasi più delicate poiché il corretto restauro dei reperti scheletrici, e quindi la possibilità di analizzare ossa complete, ha garantito l’opportunità di raccogliere un numero maggiore di informazioni (es. statura). Durante questa fase molto utile è stata la possibilità di usufruire di collezioni di confronto disponibili in laboratorio. Solo in questo modo è stato possibile riconoscere e attribuire alcuni frammenti ossei che, per le condizioni in cui si sono conservati, non sarebbero stati determinati, limitando così la capacità di poter completare il restauro; importate è stata anche la consultazione di manuali di osteologia (es. Schaefer et al., 2009; White & Folkens, 2005). La raccolta dei dati relativi ad ogni individuo è stata effettuata tramite la compilazione di apposite schede: per le ossa del cranio e del post- cranio sono state elaborate delle tabelle seguendo principalmente i parametri del

Data Collection Codebook (Steckel et al., 2006); per i dati di antropologia

dentaria sono state utilizzate le schede dell’Arizona State University Dental

Anthropology System (Turner et al., 1991). Per entrambi gli schemi sono state

inserite informazioni aggiuntive per rendere lo studio il più completo possibile. In seguito ogni individuo è stato sistemato dentro apposite cassette e le varie ossa sono state inserite all’interno di sacchetti di plastica trasparente dentro ai quali è stato collocato un cartellino contenente la denominazione dello scavo (ARANO 2007), la tomba considerata (per es. tb. 60) e la tipologia delle ossa in esso contenute. Le ossa lunghe degli arti superiori e inferiori, le ossa del bacino e le ossa del cranio, sono state siglate con un pennarello indelebile a punta fine riportando, per esempio, la seguente dicitura: AR 60. Al fine di rendere reversibile questa operazione, sulla piccola superficie ossea che ospita la sigla è stato precedentemente applicato dello smalto.

Anche i resti combusti dell’individuo della tb. 22 sono stati lavati e restaurati facendo particolare attenzione a non danneggiare ulteriormente i pochi frammenti che si erano conservati. Prima di essere pulito e lavato, il contenuto dalla scatola recante la dicitura “tb. 22” è stato pesato. Le operazioni di pulizia sono state effettuate prevalentemente a secco per mezzo di spazzolini e pennelli a setole morbide; solo in rare occasioni è stata utilizzata l’acqua. Una volta terminata la pulizia, i resti sono stata suddivisi tra umani, animali e non determinabili e conseguentemente, nel caso di frammenti appartenenti a resti

55 scheletrici umani, sono stati identificati gli elementi anatomici presenti che sono stati a loro volta pesati. Successivamente i resti sono stati restaurati attraverso l’utilizzo del Paraloid al 50%.

Per ciascuno degli individui è stata fatta un’analisi antropologica il più possibile dettagliata; questa ha compreso la raccolta dei seguenti dati biologici: sesso, età alla morte, caratteristiche antropologiche (stima della statura, stima della massa corporea), indicatori scheletrici dello stile di vita e dello stato di salute (dimorfismo sessuale, lateralizzazione degli arti dello scheletro post- craniale, cross sectional geometry, markers di stress funzionali, aspetti paleopatologici, antropologia dentaria – carie, tartaro, perdita dei denti ante-

mortem, difetti dello smalto, usura alimentare e non), struttura genetica della

popolazione (caratteri metrici e non metrici dei denti). Poiché le condizioni di conservazione del campione analizzato sono estremamente variabili, in alcuni soggetti non è stato possibile registrare tutti i dati sopra elencati.

Data l’estrema frammentarietà dei resti, le analisi antropologiche sono state rivolte soprattutto agli elementi scheletrici del post-cranio (in particolare alle ossa lunghe) e ai denti. Poche sono state le osservazioni fatte sui crani. Queste hanno riguardato esclusivamente aspetti morfologici legati ai caratteri sessuali dimorfici e aspetti relativi alla presenza di alterazioni paleopatologiche. Tutti i crani presenti sono molto incompleti, lacunosi e in gran parte deformati. In molti casi i frammenti non sono stati separati dalla matrice terrosa dentro la quale erano inglobati. A causa quindi di un evidente difficoltà nel restauro, nessun cranio è stato sottoposto ad un’accurata analisi morfometrica e morfologica.