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III. LE METODOLOGIE IMPIEGATE PER L’ANALISI DEI MATERIALI ANTROPOLOGIC

III.4 Indicatori scheletrici dello stile di vita e dello stato di salute

Molto utile per ricostruire lo stile di vita e lo stato di salute di una popolazione risulta l’osservazione sui resti scheletrici di tutte quelle alterazioni, patologiche e non, strettamente correlate alle attività fisiche e alle abitudini culturali e comportamentali.

Nel presente studio sono stati considerati gli indicatori di stress funzionali (entesi e entesopatie), gli indicatori di stress metabolici e l’eventuale presenta di infezioni, traumi, tumori e malattie articolari. In questo capitolo sono state riportate comunque solamente alcune tra le principali patologie riscontrabili sui resti scheletrici.

III.4.1 Indicatori di stress funzionali

I principali indicatori dell’attività fisica rilevabili sullo scheletro sono legati alla posizione, all’aspetto e allo sviluppo degli attacchi muscolari. Un marcato sviluppo sull’osso delle inserzioni di muscoli e legamenti, può fornire informazioni su un utilizzo intensivo della muscolatura, mentre la loro posizione può dare indicazioni sul principale tipo di attività svolta (Robb, 1994; Hawkey & Merbs, 1995; Capasso et al., 1999; Molnar, 2006). Nel presente studio sono state prese in considerazione le entesi, ovvero le inserzioni di muscoli, tendini e legamenti presenti sulle ossa maggiormente interessate da attività di tipo funzionale. L’indagine è stata svolta solamente sugli individui di età adulta (>20 anni). Per determinare i gradi di sviluppo delle entesi è stato utilizzato il lavoro di Mariotti et al. (2007): il metodo proposto in questo studio prevede l’attribuzione dell’attacco muscolare considerato ad una certa classe in base alla morfologia, alla rugosità e alla robustezza in genere. Gli autori hanno considerato 23 entesi dello scheletro post-craniale. Per ciascuna di esse sono stati identificati tre livelli di sviluppo suddivisi in debole-moderato (grado 1), forte (grado 2), elevato (grado 3). Il grado 1 è stato inoltre suddiviso in altre tre forme di espressione (a, b, c) che vanno da uno sviluppo nullo o debole, fino al medio.

Per ogni entesi è stato rilevata l’eventuale presenza di entesopatie ovvero di formazioni ostefitiche e/o osteolitiche. Il primo termine indica una reazione proliferativa con la produzione di entesofiti mentre il secondo viene utilizzato per descrivere aree caratterizzate da porosità. Le entesopatie possono essere assenti o presenti in associazione a qualsiasi grado di robustezza delle entesi. Per la registrazione è stato utilizzato il metodo di Mariotti et al. (2004) nel quale, per la descrizione della formazione ostefitica e osteolitica sono stati identificati quattro gradi di espressione (da 0 a 3). Con il grado 0 viene

87 identificata l’assenza, mentre i gradi da 1 a 3 variano a seconda della grandezza della proliferazione e dell’erosione. I metodi qui utilizzati, sebbene facilmente applicabili, hanno lo svantaggio di essere fortemente soggettivi.

In Tabella III.9 sono inserite le entesi osservate in alcune ossa dell’arto superiore e inferiore; queste sono indicate dal nome di muscoli, tendini e legamenti. I gradi con sviluppo maggiore (2 e 3) sono stati sommati insieme al fine di capire quali fossero le inserzioni muscolari sottoposte a maggiore stress biomeccanico. Per il campione di Arano le analisi sono state suddivise sia per lateralità che per sesso. Per Sorbara le osservazioni sono state molto condizionate dal cattivo stato di conservazione dei resti scheletrici e per la popolazione in questione, non sono state registrate le entesopatie.

osso entesi

arto superiore

scapola m. triceps brachii

clavicola costoclavicular l.; conoid l.; trapezoid l.; m. pectoralis maior; m. deltoideus

omero m. pectoralis maior; m. latissimus dorsii/teres maior; m. deltoideus; m.

brachioradialis

radio m. biceps brachii; m. pronator teres; i. membrane

ulna m.triceps brachii; m. supinator; m. brachialis arto inferiore

rotula quadriceps tendon

femore m. gluteus maximus; m. vastus medialis; m. iliopsoas

tibia quadriceps tendon; m. soleus

calcagno achilles tendon

Tab. III.9. Entesi delle ossa dell’arto superiore e inferiore.

III.4.2 Indicatori di stress metabolici

Alcuni fattori di stress metabolici, come malnutrizioni, situazioni carenziali specifiche (vitamine, ferro, ecc.), malattie congenite di diversa eziologia, infezioni batteriche e virali, possono lasciare indicazioni più o meno evidenti sulla superficie ossea. L’iperostosi porotica, che si manifesta attraverso la presenza sul tetto delle orbite e sulla volta cranica di lesioni di tipo poroso, è un indicatore aspecifico di condizioni anemiche di varia origine (sia di natura genetica che acquisita, es. una dieta priva di ferro). I cribra orbitalia e cribra

cranii (nomi con i quali sono conosciute queste lesioni) (Nathan & Haas, 1966),

rappresentano quindi il sintomo di una malattia dovuta ad una vasta gamma di patologie (Schultz, 2001; Ortner, et al., 1999, 2001). Nel presente studio è stata segnata la presenza o l’assenza di lesioni di tipo porotico sul tetto delle orbite e

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sulle ossa parietali secondo il metodo proposto nel Data Collection Codebook (Steckel et al., 2006).

Sulle ossa di tutti gli individui è stata inoltre osservata la presenza di eventuali indicatori utili per determinare disturbi metabolici legati a carenze vitaminiche, come lo scorbuto e il rachitismo.

Lo scorbuto, causato da una deficienza nell’assunzione di vitamina C, è facilmente riconoscibile nei resti scheletrici di individui infantili. Questo si manifesta con una porosità diffusa localizzata sulle grandi ali dello sfenoide e con la deposizione di osso neoformato sulle orbite. Nei soggetti adulti, al contrario, le alterazioni ossee non sono specifiche e in generale le arcate dentarie costituiscono la porzione scheletrica maggiormente coinvolta. Qui è possibile osservare erosione dei tessuti e successiva caduta dei denti, diffusa periostite al palato con formazione di un tessuto ispessito lungo la sutura. Nelle ossa del post-cranio si osservano artrosi croniche dovute ad emorragie articolari circoscritte alle diafisi e alle epifisi sotto forma di periostiti (Roberts & Manchester, 1995; Ortner & Ericksen, 1997; Maat, 2004).

Il rachitismo è invece una malattia legata ad uno scarso deposito di calcio e fosforo nella matrice organica dell’osso, dipendente sia da stati carenziali che da fattori ereditari. La causa più comune di questa malattia, che si verifica durante la crescita, è una mancanza di vitamina D dovuta ad un difetto nell’assorbimento, ad una dieta inadeguata e ad una scarsa sintesi endogena. Le alterazioni scheletriche da rachitismo consistono in una caratteristica morfologia ad arco delle ossa lunghe: tipica è la curvatura dei femori e delle tibie. Le epifisi possono subire una variazione rispetto al normale asse longitudinale fino a disporsi ad angolo retto. Le variazioni morfologiche variano a seconda dell’età di insorgenza. Nella prima infanzia le maggiori alterazioni si verificano nel cranio e nella gabbia toracica. Sono infatti osservabili appiattimenti dell’occipitale e della calotta, bozze frontali, ispessimento delle giunture condro-costali, alterazioni della colonna vertebrale con scoliosi o cifosi. Nel caso in cui l’avitaminosi colpisca un soggetto adulto si parla di osteomalacia, spesso documentata nelle donne con gravidanze ripetute e allattamento. In questo caso le alterazioni sono simili a quelle del rachitismo, ma il cranio e le metafisi non vengono interessati. La carenza di vitamina D o di calcio portano ad una generale fragilità ossea non sempre però accompagnate da alterazioni morfologiche. Spesso infatti, nonostante la perdita di tessuto osseo mineralizzato, le fratture e le deformazioni dell’asse diafisario non sono molto frequenti (Ortner & Putschar, 1985; Rubini, 2008).

III.4.3 Infezioni, malattie articolari, tumori e traumi

Al fine di poter ricostruire un quadro completo relativo allo stile di vita e allo stato di salute della popolazione di Arano e di Sorbara, sono stati inoltre analizzati altri indicatori patologici la cui presenza lascia segni ben riconoscibili

89 sulle ossa. Fra questi si ricordano le infezioni, le malattie articolari, i tumori e i traumi.

Le infezioni, che sono causate dall’attacco di batteri e virus, comprendono una vasta gamma di alterazioni patologiche le quali possono fornire informazioni sull’ambiente, sul tipo di attività e sussistenza e sulle condizioni igienico-sanitarie del campione che stiamo analizzando. Le infezioni si dividono in due grandi gruppi: specifiche e aspecifiche.

Con il primo termine si identificano tutte quelle malattie per le quali si verifica una reazione dell’osso tale da permettere il riconoscimento dell’agente patogeno. Fra queste rientrano la sifilide, la tubercolosi, la lebbra, la brucellosi e il vaiolo. Nel caso della tubercolosi e della brucellosi il contagio è dovuto al consumo di carne, latte e derivati di animali infetti. La prima colpisce i polmoni e si trasmette all’osso per via ematogena, provocando in genere la distruzione di uno o più corpi vertebrali del tratto toracico-lombare. Successivamente avviene il collasso della colonna sui corpi sottostati con la conseguente assunzione di una aspetto cifotico (“morbo di Pott”). Anche nel caso della brucellosi, la colonna vertebrale è la porzione scheletrica interessata dalla malattia e, in particolare, viene coinvolta la regione lombare. Le vertebre colpite mostrano cavità erosive nel bordo antero-superiore (“segno di Pons”) (Ortner & Putschar, 1985; Capasso, 1999).

La lebbra (o “morbo di Hansen”) è provocata dal Mycobacterium leprae e colpisce la pelle e i nervi periferici. A livello osteologico questo provoca l'erosione delle ossa facciali e l'osteolisi progressiva delle ossa di mani e piedi (Møller-Christensen, 1978).

Nelle infezioni aspecifiche la reazione dell’osso non permette di ricostruirne l’eziologia: questo risponde infatti in maniera “monotona” a diversi microrganismi. Fra questi si ricorda la periostite e l’osteomielite entrambe infiammazioni, di gravità diversa, della membrana che ricopre l’osso (Steinbock, 1976; Ortner & Putschar, 1985). In particolare, il termine osteomielite identifica un processo infiammatorio causato da germi piogeni che interessa tutti gli elementi dell’osso, dal periostio al midollo e che può coinvolgere qualsiasi parte dello scheletro. L’infezione può trasmettersi al tessuto sia attraverso un agente infetto penetrato direttamente nell’osso (es. frattura esposta), sia per via ematica da focolai infettivi a distanza o per propagazione di germi da un’infezione dei tessuti molli adiacenti. La forma più comune di osteomielite è quella di origine ematogena nella quale l’infezione propagata mediante il flusso sanguigno raggiunge il midollo osseo stimolando la formazione di nuovo tessuto scheletrico (Ortner & Putschar, 1985; Rubini, 2008).

Le malattie articolari, o artropatie, sono alterazioni patologiche che si manifestano a carico delle articolazioni stesse sia dello scheletro post-craniale che della colonna vertebrale. Queste consistono in un’infiammazione delle membrane e dei liquidi sinoviali e in un’usura progressiva delle cartilagini di

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articolazione. Le alterazioni sono ben visibili sulle superfici ossee nelle quali è possibile osservare sia la formazione di becchi o corone (osteofiti) che processi erosivi. Le artropatie possono essere di natura infiammatoria (artrite), degenerativa (artrosi) e traumatica. In alcuni casi, quando la degenerazione delle cartilagini è tale da determinare uno sfregamento diretto tra osso e osso, vi può essere eburneazione: la superficie articolare assume un aspetto lucido simile all’avorio. Se le alterazioni colpiscono il rachide (per il trasporto o il sollevamento di pesi eccessivi), i dischi intervertebrali possono assottigliarsi, estroflettersi e invaginarsi dando origine a depressioni circolari o ellittiche note con il nome di “ernie di Schmörl”. In genere le malattie articolari aumentano con l’avanzare dell’età e sono in parte correlate ad attività di natura biomeccanica (Rogers & Waldron, 1995; Capasso et al., 1999).

Con il termine di tumore vengono identificate delle anormali produzioni di tessuto che possono avere natura sia benigna che maligna. In generale, la diagnosi specifica di un tumore basata esclusivamente sull’osservazione di alterazioni delle superfici di uno o di più elementi anatomici interessati è piuttosto difficile. Gli osteomi e i meningiomi costituiscono le forme tumorali (benigne) morfologicamente più facilmente riconoscibili nei resti scheletrici. L’osteoma, presente principalmente sulla volta cranica e sulla faccia (mascella, mandibola e seni paranasali), ha forma a “bottone”. In questo caso la neoformazione è costituita da una massa sclerotica di consistenza eburnea con margini ben delineati. Solitamente questa forma tumorale non crea disturbi secondari (tranne nel caso in cui comprima tessuti che lo circondano). Il meningioma è un tumore che ha origine dalle meningi e si osserva solitamente sul cranio (Rubini, 2008). Questa neoplasia, che può causare gravi disturbi (come compressione dell’encefalo), si manifesta a livello osseo con alterazioni di carattere sia proliferativo che erosivo; evidente è l’allargamento dell’impronta dell’arteria meningea media sulla superficie endocranica dell’osso parietale (Malgosa et al., 1996).

Le lesioni traumatiche sono facilmente riscontrabili sui resti scheletrici provenienti da contesti archeologici. L’osso, essendo un tessuto dinamico, tende a riformarsi e a ricostituirsi dopo che si è verificato un evento traumatico. A seconda dei diversi stadi di neoformazione ossea è quindi possibile distinguere tra traumi premortali (verificatesi molto tempo prima del decesso) e traumi perimortali (avvenuti poco prima o contestualmente alla morte dell’individuo). Dal punto di vista morfologico le lesioni premortali sono contraddistinte dalla presenza di nuovo tessuto osseo, di forma irregolare, e del cosiddetto “callo osseo”. Nelle lesioni perimortali invece non si ha nessun tipo di rimarginazione e i bordi hanno un colore identico a quello dell’osso circostante. Nel caso in cui l’osso si rompa a seguito di processi tafonomici post-deposizionali, il bordo della frattura appare netto, con superficie appiattita e di colore diverso da quello dell’osso intatto (Ubelaker, 1991; Byers, 2002). Nei resti scheletrici umani i traumi sono costituiti soprattutto da fratture che a seconda della localizzazione

91 possono essere diafisarie, metafisarie ed epifisarie. In base al tipo di danno queste si distinguono in complete (oblique, trasversali, spiroidi, complesse, comminute) ed incomplete (infrazioni, a legno verde e infossamenti). Le fratture complete sono tipiche delle ossa lunghe: in questo caso i due frammenti scomposti dal trauma devono essere riallineati e immobilizzati al fine di permettere una formazione corretta del callo osseo. Le fratture saldate in posizione non corretta hanno come conseguenza un notevole accorciamento dell’arto; la mancata immobilizzazione dell’arto può inoltre impedire ai due frammenti di risaldarsi (Canci & Minozzi, 2005; Rubini, 2008). Nei resti scheletrici umani molto importante risulta l’individuazione di lesioni inflitte la cui presenza può fornire importanti informazioni sulla violenza interpersonale. Questi si osservano più facilmente sul cranio (esito di impatti con vari tipi di armi) e sul post-cranio. Tipiche nelle ossa lunghe dell’arto superiore sono le “fratture da parata” solitamente localizzate nel terzo mediale delle diafisi di ulna e radio. Queste sono associate ad un atteggiamento di difesa con l’avambraccio utilizzato per parare un colpo probabilmente indirizzato al volto.

Nell’analisi del materiale scheletrico proveniente sia dalla necropoli di Arano che di Sorbara, occorre ricordare l’eccessiva frammentarietà dei reperti che ha impedito di effettuare osservazioni accurate. Le patologie osservate potrebbero quindi costituire solo una piccola parte di quelle effettivamente presenti in questi campioni.

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IV. I RISULTATI DELL’ANALISI ANTROPOLOGICA