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5. LA STRATEGIA TERAPEUTICA OPTOGENETICA

5.3 APPLICAZIONE DELLA TECNICA OPTOGENETICA AI DISTURBI PSICHIATRICI

AI DISTURBI PSICHIATRICI

Sebbene sia una tecnica ancora agli esordi, l’optogenetica si è dimostrata uno strumento di essenziale utilità per l’acquisizione di nuove informazioni sulle basi neurobiologiche delle patologie neuropsichiatriche e per la realizzazione di complessi modelli neurali comportamentali. La stimolazione optogenetica permette infatti di indagare a fondo sull’attività di specifici sottotipi neuronali, andando a delineare i fenomeni elettrici, e le loro eventuali alterazioni, rappresentati dalle oscillazioni cerebrali.

Ad esempio, le anomalie delle oscillazioni corticali gamma (20-80 Hz), che caratterizzano gli stati di particolare tensione ed attenzione, sono un segno tipico della malattia psichiatrica. Secondo le attuali conoscenze, le oscillazioni gamma sono generate dall'attività inibitoria sincrona degli interneuroni a picco rapido o “fast spiking” o FS (interneuroni striatali la cui attività produce potenziali postsinaptici inibitori sincroni che inibiscono i neuroni eccitatori locali, soprattutto cellule piramidali, ma anche se stessi attraverso un potente sistema di feedback GABAergico che si attiva in concomitanza di ogni potenziale d’azione, regolando la frequenza della scarica); la conseguenza è l’inibizione ritmica sincrona dell'insieme di elementi neurali che si verifica in una finestra temporale molto ristretta ai fini di una modulazione efficace. Cardin et al. (2009) hanno dimostrato come l’attivazione attraverso stimolazione optogenetica degli interneuroni FS utilizzando diverse frequenze (da 8 a 200 Hz) amplifica selettivamente le oscillazioni gamma, confrontandola con l'attivazione dei neuroni piramidali che invece amplifica oscillazioni a frequenza minore. È stato osservato che il timing dell’input sensoriale relativo a un ciclo gamma determina l'ampiezza e la precisione delle risposte evocate, fornendo la dimostrazione che determinati stati di attività dei circuiti nervosi possono essere indotti in vivo dall’attivazione di specifici sottotipi neuronali. In particolare, l’ipotesi che l’attività degli interneuroni FS sia sufficiente per indurre oscillazioni gamma, è stata confermata introducendo l’espressione dell’opsina ChR2 in interneuroni FS positivi alla parvalbumina (albumina espressa soprattutto negli interneuroni GABAergici), definiti FS-PV+, attraverso il vettore virale adeno-associato ChR2-mCherry (AAV DIO ChR2-mCherry), con espressione Cre dipendente di ChR2 in topi knock-in PV-Cre. Sei giorni dopo l'iniezione del virus nella corteccia di topi PV-Cre, l’espressione di ChR2-mCherry si è estesa ad una distanza (in senso antero-posteriore) di

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1.740 micron; negli esperimenti sui neuroni eccitatori, AAV DIO ChR2 mCherry è stato iniettato nella corteccia di topi CW2 (che esprimono Cre dal promotore αCamKII), inducendo la ricombinazione in neuroni eccitatori corticali. È stato registrato che un impulso luminoso di 1 ms ad una frequenza da 8 a 200 HZ era sufficiente per evocare velocemente intensi IPSP, che confermano l'inibizione sinaptica diretta da parte degli interneuroni FS attivati dalla luce; gli intervalli tra i segnali presinaptici generati dalla luce si accordavano bene con le frequenze di inizio degli IPSP postsinaptici, con una distanza temporale da 0,5 a 0,75 ms. Gli IPSP sono invece diminuiti con l’aumento della potenza degli impulsi luminosi. L’ampiezza media del picco dell'IPSP, ad un potenziale di membrana da -55 a -60 mV, era di 2,7 ± 1,0 mV.

Un atro tra i circuiti neurali fondamentali per la conoscenza delle attività comportamentali e associative e dell’apprendimento è il nucleo accumbens, su cui si sono focalizzate alcune recenti ricerche di optogenetica. Ognuno dei due NAc emisferici è costituito da una regione interna (core) e una esterna (shell o guscio); i neuroni di questa porzione esterna si ipotizza siano quelli particolarmente coinvolti nella flessibilità e nell’adattamento comportamentale. Lo studio di Aquili et al. (2014) ha analizzato l’inibizione di questo tipo di neuroni (MSN), ottenuta sfruttando il fotorecettore alorodopsina, durante alcuni test di adattamento comportamentale temporizzati. In base ai risultati sono stati individuati dei frammenti temporali critici in cui i neuroni del guscio del NAc traducono la stimolazione in una risposta significativa (il cosiddetto comportamento “lose-shift”, cioè la propensione degli animali a spostare le scelte immediatamente dopo i risultati di rinforzo: inibizione latente, spostamento dell’attenzione e apprendimento inverso), ed è stato dimostrato che l’inibizione di tali neuroni in questi lassi di tempo migliora l’apprendimento e le prestazioni; è stata anche caratterizzata una esatta correlazione causale tra la variazione dell’attività elettrica neuronale e le diverse fasi del comportamento, come l’aspettativa per la ricompensa o il suo ottenimento.

L’esperimento è stato realizzato partendo dalla trasfezione bilaterale dei neuroni del guscio del NAc di ratto con il gene per la alorodopsina mediante il vettore lentivirale pLenti-hSyn- eNpHR3.0-EYFP; in corrispondenza dei due siti di iniezione stereotassica sono state impiantate due fibre ottiche collegate a un LED che fornisse loro la luce e la cui accensione inibisse i neuroni trasfettati; l’accensione e lo spegnimento, quindi rispettivamente l’inibizione e la stimolazione neuronale, avvenivano in specifiche finestre di tempo durante

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l’esecuzione da parte dell’animale di determinati test comportamentali sequenziali. Per localizzare l’attività neuronale sono stati sfruttati la proteina fluorescente gialla YFP e un marker specifico per gli MSN (DARPP-32): il 93% delle cellule esprimenti alorodopsina erano MSN e i neuroni trasfettati hanno mostrato elettrofisiologia tipica degli MSN; l’espressione funzionale della alorodopsina è stata confermata dall’iperpolarizzazione dei neuroni YEF-positivi in seguito all'esposizione alla luce gialla per 1,5 sec o 10 sec. I neuroni di controllo (YFP negativi) al di fuori delle aree trasfettate non erano invece sensibili alla luce, pertanto l'inibizione optogenetica dei MSN era in grado di bloccare la segnalazione elettrica in risposta a correnti eccitatorie che erano molto più intense degli input sinaptici registrati in vivo. La procedura di sperimentazione è stata suddivisa in due fasi.

Nella prima fase è stata potenziata la flessibilità comportamentale per inibizione optogenetica dei neuroni del guscio del NAc di otto ratti, eseguita accendendo i LED in precisi momenti durante delle sessioni di test in cui l’animale doveva svolgere compiti a difficoltà crescente in cui premendo delle leve avrebbe ottenuto immediatamente una ricompensa alimentare; in particolare, sono state differenziate tre situazioni: la condizione REWARD, in cui il LED si accendeva in seguito alla corretta pressione sulla leva e rimaneva tale fino all’ottenimento della ricompensa, la condizione ERROR, in cui il LED si accendeva solo per 1,5 secondi con una scorretta pressione della leva, e l'ILPI (inter lever-press- interval), in cui il LED era acceso per tutta la sessione e si spegneva quando il ratto premeva la leva correttamente, rimanendo spento fino all’ottenimento della ricompensa. È stata poi mantenuta una condizione di controllo lasciando il LED spento per tutte le sessioni (condizione OFF) ed una in cui il LED era acceso a caso per 1,5 secondi ogni 30, 45 o 60 secondi (condizione RANDOM). Inoltre, un gruppo di ratti ha ricevuto una alorodopsina inattiva per tenere sotto controllo gli effetti diretti dell’illuminazione. I risultati ottenuti suggerivano che l'attività dei neuroni del NAc, dal momento immediatamente successivo all’azione selezionata (pressione della leva) fino all’ottenimento o meno della ricompensa, è fondamentale per il comportamento lose-shift, che risulta influenzato soprattutto nelle condizioni REWARD e ERROR; in altre parole, l'inibizione optogenetica dei MSN del guscio del NAc migliora le prestazioni quando viene applicata dopo la risposta corretta (REWARD) o dopo errori (ERROR); per quanto riguarda la capacità di apprendimento dei ratti, questa risultava complessivamente simile in tutte le condizioni, a indicare che l’inibizione optogenetica era in questo caso ininfluente.

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Nella seconda fase, è stata delineato un periodo decisionale tale che l’inibizione optogenetica potesse avvenire in una precisa tappa temporale, iniziando con uno stimolo discriminatorio (due leve messe a disposizione di sei ratti) e terminando dopo 5 secondi (rimozione delle leve). In secondo luogo, per escludere la possibilità che l'inibizione optogenetica nelle precedenti condizioni di REWARD e di ERRORE potesse agire come uno stimolo discriminatorio e aumentare l'effetto dei risultati, è stata praticata l’inibizione optogenetica durante entrambe le condizioni all'interno della stessa sessione. Al termine di questa seconda fase, non è stato riscontrato alcun effetto significativo della manipolazione optogenetica, confermando che l’attività delle cellule del NAc è importante per il comportamento lose- shift, indipendentemente dal raggiungimento o meno della ricompensa. Come nella prima fase, inoltre, l'apprendimento in ogni condizione resta simile: si è avuta, quindi, un’ulteriore conferma che il principale effetto dell’inibizione optogenetica dell’output dei MSN aumenta il comportamento lose-shift.

Anche l’area tegmentale ventrale mesencefalica (VTA) gioca un ruolo determinante nelle risposte allo stress, nei meccanismi di rinforzo positivo e negativo, e nello sviluppo di anomalie del pensiero e del comportamento. La frequenza di scarica dei neuroni della VTA dipende dal tipo di stimolo (Chaudhury et al. 2013): l’attività fasica si innesca con l’attivazione da parte di stimoli presinaptici in aggiunta all’attività tonica, caratterizzata invece da un potenziale di azione costante che si attiva a basse frequenze e che si presenta anche a riposo per mantenere un livello basale stabile di un certo neurotrasmettitore o per trasmettere un'inibizione o un aumento dell'input presinaptico (in tal caso solo un aumento dell'attività presinaptica può essere trasmesso postsinapticamente); elevate frequenze, prevalentemente responsabili dei segnali di rinforzo e ricompensa, sono indotte, in individui particolarmente sensibili, da stati depressivi e ripetute situazioni di “sconfitta sociale”. Sfruttando la proprietà dell’optogenetica di stimolare precisi tipi di neuroni e percorsi di proiezione con estrema accuratezza temporale, è stato possibile dimostrare che il potenziamento dell’attività fasica dei neuroni dopaminergici della VTA media i sintomi depressivi in topi sensibili sottoposti a stimoli ambientali stressanti (sollecitazione alla sconfitta e all’evitamento sociale) e in condizione di agire liberamente. Più in particolare, è stata evidenziata la differenza nella capacità di indurre sensibilità allo stress tra diverse vie di proiezione: l’attivazione fasica dei neuroni della VTA proiettanti al NAc ma non alla PFC mediale produce suscettibilità alla sensazione di sconfitta sociale, mentre l’inibizione della

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stessa via neuronale provoca resilienza; l’inibizione delle proiezioni della VTA alla PFC mediale aumentano invece la sensibilità. Questo studio è stato condotto trasfettando con ChR2-YFP Cre-dipendente veicolata da AAV (AAV-DIO-ChR2-EYFP) i neuroni dopaminergici della VTA di topi transgenici (TH)-Cre; la successiva conferma che AAV- DIO-ChR2-EYFP viene correttamente espresso dai neuroni della VTA e il ricorso ad analisi elettrofisiologiche hanno poi dimostrato che la stimolazione optogenetica determina il controllo temporale dell’attività di questi neuroni e induce un’ upregulation che può essere usata per simulare in vivo l’attività fasica tipica dei difetti del comportamento sociale nella depressione. L’attività fasica, in particolare, è stata indotta attraverso una frequenza di scarica di 20 Hz e confrontata con scariche di 0,5 Hz che simulano invece l’attività tonica. I topi transgenici trasfettati esposti a stress sociale sono stati osservati per dieci giorni: in assenza di stimolo optogenetico (simulazione dell’attività tonica) non hanno manifestato atteggiamenti di evitamento sociale ma si sono dimostrati più vulnerabili nei test successivi; stimolando i neuroni della VTA (induzione dell’attività fasica) questi topi hanno rapidamente sviluppato un’anomala interazione sociale e anche una minore ricerca di saccarosio, i tipici sintomi che contraddistinguono il fenotipo sensibile alla depressione. Questo risultato fornisce una prova dell’importanza della segnalazione fasica, ma non tonica, dei neuroni della VTA in condizioni di stress sociale e ambientale tale da produrre suscettibilità alle anomalie psichiche e comportamentali proprie della depressione. In realtà, questo stesso studio ha osservato come la stimolazione dei neuroni della VTA in topi naive non abbia avuto nessun effetto sulle interazioni sociali, sullo stato d’ansia o sulle preferenze alimentari; ciò sta ad indicare che i risultati precedenti sono validi soltanto se considerati in un contesto ben definito; inoltre, la persistenza cronica di stimoli stressanti lievi inibisce l’attività dei neuroni della VTA, mentre stimoli molto più intensi la aumentano; infine, la variazione di queste stesse condizioni ambientali produce anche dei cambiamenti significativi dei livelli extracellulari di molti neurotrasmettitori in diverse aree cerebrali. In seguito, è stata condotta anche un’analisi sulla possibilità di rendere dei topi resilienti sensibili agli stimoli stressanti; un gruppo di topi è stato posto in condizioni ambientali e sociali negative per undici giorni; al termine di tale periodo, gli individui identificati come resilienti sono stati trasfettati con ChR2 veicolato nei neuroni della VTA con HSV (scelto per la velocità con cui consente la trasfezione, 24 ore, rispetto ai AAV, 10-14 giorni) e sottoposti nuovamente ad un secondo test di interazione sociale, durante il quale hanno

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subito la stimolazione fasica optogenetica. Al termine dell’osservazione, tutti gli individui trasfettati avevano manifestato una variazione dell’atteggiamento sociale presentando le caratteristiche del fenotipo sensibile.

La conoscenza del ruolo dei neuroni dopaminergici della VTA nell’ambito della suscettibilità ai disturbi depressivi e psichici è stata ulteriormente approfondita analizzando le differenze tra le proiezioni dirette al NAc e alla PFC mediale (mPFC) con indagini optogenetiche (Grace AA. et al. 2007, Schultz W. 2010) e individuando che l’attività fasica della via VTA-NAc (mesolimbica) è quella determinante nella manifestazione di sensibilità o resilienza verso stimoli sociali stressanti protratti. Questo risultato, considerando la variazione repentina dell’atteggiamento sociale in risposta alla stimolazione ottica, indica una funzione di mediazione di effetti antidepressivi propria della via mesolimbica. La via VTA-mPFC, invece, coerentemente con i risultati riportati da altre indagini (Narayanan et al. 2012), sembra essere responsabile della modulazione del controllo temporale; più in dettaglio, l’inibizione selettiva dei recettori prefrontali 𝐷1 altera le capacità di controllo temporale, mentre la stimolazione ha reso gli animali più abili e rapidi nell’esecuzione delle attività.

Nel complesso, quindi, i dati ottenuti hanno fornito utili informazioni sui circuiti neurali e sui loro meccanismi alla base delle sindromi depressive. In particolare, i dati attuali consentono una descrizione sempre più accurata della complessa funzione esercitata dai neuroni dopaminergici nell’adattamento individuale a stimoli esterni (di tipo socioculturale e ambientale) responsabili dell’induzione o dell’aggravamento di anomalie psichiche e/o comportamentali.

CONCLUSIONE

La complessità delle patologie indotte da alterazioni dei circuiti cerebrali dopaminergici rappresenta un ostacolo per la realizzazione di terapie selettive, efficaci e risolutive.

I farmaci antiparkinson e antipsicotici, seppur efficaci nella maggior parte dei pazienti, comportano importanti effetti collaterali a breve e a lungo termine, con ulteriori ripercussioni a livello motorio, ormonale e psichico; inoltre una certa percentuale dei pazienti purtroppo non risponde positivamente alla terapia farmacologica, che risulta insufficiente se non addirittura ininfluente.

Questa fetta di popolazione è quella generalmente candidata per la terapia di tipo strumentale, attualmente messa in atto soltanto per pazienti selezionati, in possesso dei requisiti necessari per sottoporvisi e soprattutto refrattari a qualsiasi altro tipo di intervento terapeutico. Tra gli approcci strumentali, quello più noto è la stimolazione cerebrale profonda (DBS), che sfrutta la chirurgia stereotassica e l’impianto di opportuni elettrodi cerebrali per correggere la neurotrasmissione anomala stimolando selettivamente determinate aree nervose.

Sempre sfruttando la tecnica chirurgica stereotassica, per questi pazienti è possibile ricorrere alla terapia genica, ossia alla trasfezione di specifici tipi di neuroni con vettori virali che consentono l’inserzione di determinati geni “terapeutici” la cui espressione permette la compensazione di una funzione circuitale anomala o carente in modo più o meno duraturo. Esiste infine una strategia ancor più sofisticata che si avvale sia delle tecniche di chirurgia stereotassica sia dell’impiego di vettori virali: la tecnica optogenetica. Questa prevede la trasfezione di specifici neuroni, attraverso vettori virali, con un gene codificante per un opsina, ossia una proteina di membrana sensibile a stimoli luminosi ad una determinata lunghezza d’onda forniti con speciali fibre ottiche impiantate stereotassicamente. La strategia optogenetica permette in questo modo sia di modulare e correggere la neurotrasmissione patologica sia di approfondire le conoscenze sui circuiti di comunicazione neuronale, in un modo estremamente selettivo e con una tecnica che assicura una precisione spaziale e temporale mai ottenuta prima. La strumentazione optogenetica, poiché è ancora troppo invasiva e richiede di essere perfezionata, è stata studiata solo su modelli sperimentali animali, mentre il ricorso alla DBS e alla terapia genica per alcuni pazienti è già realizzabile.

Le future ricerche e le prossime sperimentazioni cliniche si pongono l’obiettivo di migliorare le tecniche illustrate, rendendole sempre meno invasive e assicurandone l’applicazione in totale sicurezza; la speranza è che il loro sviluppo possa finalmente fornire dei validi ed efficaci presidi terapeutici, accessibili a tutti pazienti e che garantiscano il superamento dei limiti imposti dalle risorse farmacologiche e strumentali ad oggi disponibili.

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