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APPROCCI TERAPEUTICI FARMACOLOGICI E STRUMENTALI ALLE PATOLOGIE CORRELATE AD ALTERAZIONI DELLA NEUROTRASMISSIONE DOPAMINERGICA

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Anno Accademico 2017/2018

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

APPROCCI TERAPEUTICI FARMACOLOGICI

E STRUMENTALI ALLE PATOLOGIE

CORRELATE AD ALTERAZIONI DELLA

NEUROTRASMISSIONE DOPAMINERGICA

Relatore

Prof. Vincenzo Calderone

Candidato

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INDICE

INTRODUZIONE

1. CENNI ANATOMICI E DESCRIZIONE FUNZIONALE DEI CIRCUITI DOPAMINERGICI ... 1

2. TARGETING FARMACOLOGICO DELLA NEUROTRASMISSIONE DOPAMINERGICA ... 5

2.1 AGONISTI E ANTAGONISI RECETTORIALI IMPIEGATI IN PARKINSON, LID E PSICOSI ... 5

2.1.1 Farmaci antiparkinson tradizionali ... 5

2.1.2 L-DOPA Induced Dyskinesia (LID) ... 7

2.1.3 Antipsicotici tipici e atipici ... 11

2.2 MODULAZIONE DELLA SEGNALAZIONE DOPAMINERGICA ... 16

2.2.1 Modulazione allosterica ... 16

2.2.2 Modulazione attraverso secondi messaggeri ... 19

3. LA CHIRURGIA STEREOTASSICA E LA STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA (DBS) ... 25

3.1 LA DBS NEL TRATTAMENTO DEL MORBO DI PARKINSON ... 26

3.2 LA DBS NEL TRATTAMENTO DEI DISTURBI PSICHICI ... 30

3.2.1 Depressione Maggiore e Disturbo Bipolare ... 32

3.2.2 Disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) ... 33

3.2.3 Sindrome di Gilles de la Tourette ... 36

3.2.4 Schizofrenia ... 37

3.2.5 Disturbi del comportamento alimentare DCA (anoressia, bulimia, obesità) ... 39

3.2.6 Dipendenze patologiche ... 40

4. LA TERAPIA GENICA E L’IMPIEGO DEI VETTORI VIRALI ... 41

4.1 LA TRASFEZIONE NON VIRALE ... 42

4.2 LA TRASFEZIONE VIRALE ... 43

4.3 LA TERAPIA GENICA DEL MORBO DI PARKINSON ... 48

4.4 LA TERAPIA GENICA DEI DISTURBI PSICOTICI ... 57

5. LA STRATEGIA TERAPEUTICA OPTOGENETICA ... 59

5.1 LE TECNICHE OPTOGENETICHE ... 60

5.2 APPLICAZIONE DELLA TECNICA OPTOGENETICA AL MORBO DI PARKINSON ... 68

5.3 APPLICAZIONE DELLA TECNICA OPTOGENETICA AI DISTURBI PSICHIATRICI ... 74

CONCLUSIONE BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Le alterazioni di meccanismi e circuiti nervosi dopaminergici determinano una serie di patologie di tipo motorio e/o psico-cognitivo estremamente invalidanti e di difficile gestione, nei confronti delle quali esistono strategie terapeutiche che agiscono su più fronti.

Quelle attualmente impiegate prevedono l’approccio di tipo farmacologico; i farmaci approvati per il trattamento di discinesie e anomalie psico-comportamentali si dimostrano da anni un valido e indispensabile presidio terapeutico; il loro uso, per quanto sia ormai consolidato, è tuttora oggetto di una incessante ricerca, con l’obiettivo di minimizzare gli effetti collaterali della terapia tradizionale e ottenere molecole sempre più selettive ed efficaci. Questi farmaci, infatti, presentano spesso importanti limitazioni in termini di sicurezza, dal momento che producono una vasta serie di eventi avversi, a breve e a lungo termine, e presentano delle comorbilità che ne rendono la gestione particolarmente difficoltosa; inoltre, un’elevata percentuale di pazienti non risponde alla terapia farmacologica, che si rivela inefficace, impedendo il controllo della malattia e del paziente. Una svolta nella cura delle alterazioni neurologiche e psichiatriche è avvenuta con il perfezionamento della chirurgia stereotassica, una delicata tecnica chirurgica che consente l’impianto di elettrodi cerebrali per stimolare selettivamente aree neuronali circoscritte; questo tipo di approccio, che ha avuto tristemente origine dalla chirurgia ablativa nata all’inizio del XIX secolo e praticata fino all’inizio degli anni ‘70, nel corso degli anni ha subito un’evoluzione tale da renderlo estremamente efficace e sicuro, minimizzando l’invasività dell’intervento. Il principale limite della procedura stereotassica è rappresentato dal fatto che la sua applicazione può avvenire solo in un ristretto numero di pazienti, che devono corrispondere a criteri di inclusione molto selettivi, primo fra tutti la refrattarietà a tutte le possibili terapie farmacologiche.

Fortunatamente, negli ultimi anni sono state sviluppate sempre più strategie di intervento di tipo strumentale che si sono dimostrate dei potenziali presidi terapeutici per numerose patologie, tra cui quelle neuro-psichiatriche. In particolare, la terapia genica, con l’ausilio dei vettori virali ricombinanti, e le recenti tecniche optogenetiche, in grado di fornire luce ad una lunghezza d’onda selezionata per stimolare specifiche aree nervose, rappresentano un nuovo e promettente presidio terapeutico che potrà affiancare, se non sostituire del tutto, il trattamento farmacologico. Tuttavia, per quanto i risultati delle sperimentazioni in corso

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siano positivi, il ricorso a questo tipo di interventi è ancora troppo precoce, e richiede ulteriori indagini e sperimentazioni.

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1. CENNI ANATOMICI E DESCRIZIONE FUNZIONALE

DEI CIRCUITI DOPAMINERGICI

La dopamina è un neurotrasmettitore chiave nella modulazione di fondamentali funzioni cognitive e motorie, messe in atto da circuiti neuronali localizzati in formazioni cerebrali ancestrali e profonde, e comunicanti con aree corticali definite.

Le strutture coinvolte sono a livello della corteccia prefrontale (PFC), di ipotalamo e ipofisi, del nucleo accumbens (NAc), del sistema limbico (rappresentato da ippocampo, amigdala, nuclei talamici anteriori e corteccia limbica), dell’area tegmentale ventrale del mesencefalo (VTA) e dei nuclei (o gangli) della base (BG), una serie di nuclei subcorticali telencefalici distinti in:

➢ Corpo striato: è così chiamato perché strutturato in fasci di materia grigia intersecati a fibre mielinizzate, ed è formato da nucleo caudato, putamen e globus pallidus; le cellule che lo costituiscono sono in prevalenza neuroni inibitori GABAergici definiti neuroni medi spinosi (MSN).

➢ Substantia nigra: è un nucleo mesencefalico suddiviso in pars compacta (SNc), contenente in prevalenza neuroni dopaminergici, e pars reticulata (SNr), contenente prevalentemente neuroni GABAergici.

➢ Nucleo subtalamico (STN): è costituito da fibre glutammatergiche.

La corteccia cerebrale dirige allo striato input eccitatori che utilizzano il glutammato, e queste proiezioni cortico-striatali subiscono modulazione da parte di fibre dopaminergiche nigro-striatali provenienti dalla pars compacta della substantia nigra e anche dalle cellule serotoninergiche del rafe del tronco encefalico.

Gli output dei nuclei della base sono invece rappresentati da globus pallidus e pars reticulata della substantia nigra e sono di tipo inibitorio (riducono la trasmissione neuronale dai nuclei talamici alla corteccia).

I sistemi di input e output dei nuclei della base possono essere caratterizzati identificando due circuiti interconnessi: una via diretta e una via indiretta (Figura 1).

La via diretta (o via nigrostriatale) è formata da fibre GABAergiche (contenenti sostanza P e dinorfina) che connettono lo striato alla pars reticulata e alla porzione interna del globus pallidus. Su queste fibre sono espressi recettori dopaminergici 𝐷1aventi il ruolo di ridurre il

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La via indiretta (o via striato-pallido) è formata sempre da neuroni GABAergici (contenenti encefalina) che collegano lo striato alla porzione esterna globus pallido, il quale comunica a sua volta con il nucleo subtalamico utilizzando GABA. Questi neuroni esprimono recettori 𝐷2 che stimonano il subtalamo a inviare segnali di output ai gangli della base impiegando

glutammato; questo si traduce in un meccanismo di feedback negativo sulla corteccia, e quindi nell’inibizione del movimento.

Figura 1

Illustrazione schematica dei percorsi paralleli motori e limbici tra la corteccia, BG e talamo. Il percorso motorio (A): via

diretta (linee grigie continue), indiretta (linee grigie tratteggiate), e ultra-diretta (linee punteggiate grigie) e il percorso limbico (B) riceve informazioni dalla corteccia e proietta al talamo e alla corteccia (linee nere continue). A: l’informazione corre dalla corteccia, attraverso lo striato, al segmento interno del globo pallido (GPi) e alla substantia nigra pars reticulata (SNr). La via indiretta invia le informazioni dalla corteccia allo striato e poi al segmento esterno del globo pallido (GPe) e al nucleo subtalamico (STN) prima che raggiunga i nuclei di output BG, SNr e GPi. Nel percorso ultra-diretto, l'informazione passa dalla corteccia all'STN, quindi al GPi e alla SNr. Lo striato riceve input dopaminergico dalla SNc (freccia grigio chiaro). B: il nucleo accumbens (NAc) riceve l'input da corteccia, amigdala e ippocampo e innerva il pallido ventrale (VP) e l'area tegmentale ventrale (VTA). Il NAc riceve input dopaminergico dalla VTA (freccia grigio chiaro), e solo il VP proietta al talamo e alla corteccia (linee nere). I neurotrasmettitori rilasciati a ciascun nucleo nei percorsi motorio e limbico includono glutammato (frecce continue), GABA (estremità smussata) e dopamina (frecce grigie aperte). Da “Viral vector-based tools advance knowledge of basal ganglia anatomy and physiology” Rachel J. Sizemore, Sonja Seeger-Armbruster, Stephanie M. Hughes, e X Louise C. Parr Brownlie

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L’attività della dopamina si esplica attraverso l’interazione con due classi recettoriali: i recettori dopaminergici 𝐷1-like e 𝐷2-like. I recettori 𝐷1-like sono tutti recettori postsinaptici

accoppiati a proteine 𝐺𝑠 o 𝐺𝑞, e distinti in due sottotipi (𝐷1 e 𝐷5); sono prevalentemente distribuiti a livello striatale, ipotalamico e limbico. I recettori 𝐷2-like sono pre o postsinaptici accoppiati a proteine 𝐺𝑖, distinti in tre sottotipi (𝐷2, 𝐷3, 𝐷4) e distributi a livello dello striato,

substantia nigra, ipofisi, ipotalamo, corteccia frontale, bulbo, mesencefalo.

Figura 2

I circuiti neuronali che interessano la dopamina si possono poi distinguere in tre diverse tipologie in base alla funzione da essi esercitata (Figura 2):

• Le fibre nervose che originano dalla substantia nigra e proiettano al corpo striato (e poi alle aree motorie accessorie della corteccia) costituiscono il sistema extrapiramidale (via nigrostriatale), che esercita un’indispensabile funzione di controllo del moto volontario innescando dei movimenti specificamente finalizzati a coadiuvare la contrazione muscolare striata.

• I neuroni che proiettano dall’area tegmentale ventrale del mesencefalo (VTA) all’area limbica (via mesolimbica) regolano le funzioni comportamentali, l’emotività, la sensazione di gratificazione e ricompensa e lo sviluppo di dipendenze (“rinforzo comportamentale positivo o negativo”); altre fibre provenienti dalla VTA

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proiettano invece alla corteccia prefrontale (PFC) e sono implicate in processi cognitivi quali l’attenzione e la memoria di lavoro (via mesocorticale).

• Il circuito dopaminergico che origina dall’ipotalamo e proietta a livello ipofisario (via tuberoinfundibolare) regola il rilascio di alcuni ormoni quali somatotropina (aumento) e soprattutto prolattina (riduzione, attraverso il PIF).

Alterazioni di uno più elementi appartenenti a questo sistema di neurotrasmissione determinano l’insorgenza di diverse forme patologiche dopamina-correlate come morbo di Parkinson, discinesie iatrogene come la LID (L-DOPA-induced dyskinesia) e manifestazioni psicotiche. L’approccio terapeutico tradizionale prevede il trattamento farmacologico con agonisti o antagonisti recettoriali e con modulatori del metabolismo delle catecolamine, ma emergono sempre più farmaci e trattamenti terapeutici (quali tecniche optogenetiche e terapia genica con vettori virali ricombinanti) la cui applicazione si è rivelata promettente nella gestione di queste patologie neurologiche e psichiatriche.

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2. TARGETING FARMACOLOGICO DELLA

NEUROTRASMISSIONE DOPAMINERGICA

2.1

AGONISTI E ANTAGONISI RECETTORIALI

IMPIEGATI IN PARKINSON, LID E PSICOSI

Il trattamento tradizionalmente messo in atto nell’ approccio alle patologie dopamina-correlate prevede l’impiego di farmaci che agiscano direttamente come agonisti o antagonisti dei recettori dopaminergici, di agenti che agiscano per via indiretta potenziando la neurotrasmissione dopaminergica endogena e di composti che coadiuvino l’azione dei farmaci dopaminergici diretti o indiretti intervenendo sui processi farmacocinetici che determinano l’accesso del farmaco al suo sito d’azione in una concentrazione tale da garantire l’ottenimento di un effetto terapeutico adeguato.

2.1.1 Farmaci antiparkinson tradizionali

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dalla progressiva denervazione delle fibre dopaminergiche e dalla deplezione di dopamina all’interno dei circuiti extrapiramidali. Alla base della morte neuronale si individua un fenomeno di misfolding proteico a carico dell’α sinucleina, la quale si accumula in aggregati proteici che causano citotossicità.

La malattia si manifesta in genere in età avanzata, tra i 70 e i 80 anni, ma esistono anche forme giovanili che compaiono più precocemente. I sintomi cardinali sono di tipo motorio (rigidità muscolare, bradicinesia/acinesia, tremore a riposo, disturbi dell’equilibrio e andatura anomala, disfagia), ma si manifestano anche altri segni non motori (stipsi, disfunzioni vescicali, disturbi del sonno, ipotensione, depressione e stati d’ansia fino a disturbi psicotici nelle fasi più avanzate).

Attualmente, il migliore approccio alla patologia è quello farmacologico, che prevede l’impiego di composti che intervengano direttamente o indirettamente sul sistema dopaminergico.

La terapia antiparkinson di prima linea consiste nella somministrazione cronica di L-DOPA (L -3,4-diidrossifenilalanina); si tratta di un precursore della dopamina che attraversa la barriera ematoencefalica (BEE), entra all’interno dei neuroni dopaminergici e viene

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decarbossilato in dopamina compensandone così la carenza (non si somministra direttamente la dopamina poiché non supera la barriera ematoencefalica). La L-DOPA è altamente efficace nelle prime fasi della malattia, anche se risulta elevato il rischio di complicanze ipercinetiche (LID) e fluttuazioni motorie; altri effetti collaterali, derivanti dall’attività periferica della dopamina e attenuabili utilizzando inibitori della DOPA-decarbossilasi, sono nausea e vomito, anoressia, ipotensione ortostatica, aritmie.

Generalmente alla L-DOPA si associano farmaci che ne migliorino il profilo farmacocinetico:

➢ Inibitori della DOPA-decarbossilasi (Carbidopa, Benserazide): inibiscono la degradazione della L-DOPA a livello periferico aumentando la quantità di farmaco che accede alle aree encefaliche e minimizzando gli effetti collaterali periferici. ➢ Inibitori delle COMT (Tolcapone e Entacapone) e inibitori delle MAO-B (Selegilina

e Rasagilina): riducono significativamente il catabolismo della dopamina prolungandone la permanenza e l’azione recettoriale.

➢ Agonisti dopaminergici diretti ergolinici (derivati della segale cornuta: Bromocriptina, Lisuride, Pergolide, Carbegolina, Apomorfina) e non ergolinici (Rotigotina, Ropinirolo, Pramipexolo): agiscono in modo più o meno equivalente sui recettori di tipo 𝐷1 e 𝐷2, e sono spesso utilizzati in monoterapia all’esordio della

patologia.

Comuni effetti collaterali di questi agonisti dopaminergici sono stipsi, nausea, vomito (soprattutto da parte di apomorfina), aritmie, cardiopatie valvolari (soprattutto da parte di pergolide), discinesie e disturbi cognitivi.

➢ Amantadina: un composto con proprietà antivirali in grado di stimolare la sintesi di dopamina e che presenta parziale attività antagonista dei recettori NMDA del glutammato sui MSN, con i quali si ipotizza che interagiscano i recettori 𝐷1.

➢ Farmaci anticolinergici (Benzatropina, Triesifenidile, Orfenadrina, Biperidene, Prociclidina): il loro meccanismo d’azione consiste nel ridurre la neurotrasmissione colinergica generando così un’attenuazione del tremore e della rigidità muscolare. In condizioni fisiologiche, infatti, le fibre dopaminergiche della pars compacta della substantia nigra inibiscono le efferenze striatali GABAergiche, mentre su di esse le fibre colinergiche hanno un contrapposto effetto eccitatorio; poiché nel Parkinson si verifica un progressivo calo della neurotrasmissione dopaminergica, vengono meno

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il controllo inibitorio che questa esercita sullo striato e, di conseguenza, il bilanciamento necessario a compensare adeguatamente la stimolazione innescata dai neuroni colinergici; questo eccesso dell’attività colinergica contribuisce allo sviluppo dei tipici sintomi motori del Parkinson.

Inizialmente impiegati nella terapia di prima linea, in seguito all’introduzione della L-DOPA hanno assunto un ruolo più marginale.

Ad oggi i farmaci antidiscinetici, prima tra tutti la L-DOPA rappresentano il più valido presidio nel trattamento del morbo di Parkinson; tuttavia, poiché questi farmaci non risolvono direttamente la causa della patologia, con il suo progredire viene meno l’efficacia terapeutica, e purtroppo compaiono effetti collaterali inevitabili ed invalidanti, in particolare complicanze motorie.

Attualmente sono in corso diverse linee di ricerca aventi l’obiettivo di individuare nuove molecole in grado di controllare adeguatamente la sintomatologia o prevenirne la manifestazione esercitando un effetto neuroprotettivo.

Recentemente, ad esempio, è stato approvato un nuovo inibitore selettivo delle COMT periferiche chiamato Opicapone (Castro Caldas et al. 2018), il quale ha superato gli studi di fase III grazie al suo buon profilo di tollerabilità e sicurezza, prestandosi anche al comune regime di monosomministrazione giornaliera.

Lo studio di Teerapattarakan et al. (2018), invece, è attualmente in atto ed è focalizzato sulle proprietà neuroprotettive dell’estratto delle foglie di centella asiatica standardizzato ECa233; il composto è stato studiato su ratti con Parkinson indotto da rotenone (composto usato come pesticida che nei ratti si è rivelato capace di indurre discinesia), in cui si è riscontrato un aumento di catalasi, superossidodismutasi (SOD) e altri enzimi antiossidanti, ed un effetto protettivo sui sistemi mitocondriali.

Tuttavia, la strada più promettente nella ricerca contro il Parkinson si è aperta con la scoperta delle tecniche optogenetiche e dei vettori virali ricombinanti.

2.1.2 L-DOPA Induced Dyskinesia (LID)

Le Discinesie Indotte da L-DOPA sono movimenti involontari coreiformi dovuti ad una ipersensibilità delle fibre dopaminergiche: in risposta alla grave carenza di dopamina ed alla denervazione che si manifesta nelle fasi più avanzate, diventano molto più sensibili alle oscillazioni di concentrazione della dopamina e scatenano in questo modo le manifestazioni

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discinetiche. Questo fenomeno si verifica a carico dei neuroni spinosi medi, che rappresentano buona parte dei neuroni dello striato e che esprimono recettori sia di tipo 𝐷1

(i quali rientrano nella via nigrostriatale o via diretta) sia di tipo 𝐷2 (che rientrano nella via striato-pallido o via indiretta). In particolare, nello sviluppo delle LID risulta prevalentemente coinvolta la via diretta. Queste compaiono mediamente dopo cinque anni dall’inizio della terapia, e sono tanto più intense quanto più è estesa la denervazione e ridotta la finestra terapeutica della L-DOPA. La loro manifestazione clinica può cambiare nel corso della giornata al variare dei livelli di dopamina; in generale se ne distinguono diverse forme: - Discinesie off: compaiono normalmente al mattino e la sera e si presentano con un irrigidimento a livello delle porzioni distali degli arti inferiori, soprattutto sul lato in cui si manifesta abitualmente il parkinsonismo.

- Discinesie di picco-dose: si presentano nei periodi di maggiore beneficio clinico della L-DOPA, manifestandosi con spasmi bruschi e ripetuti (corea) inizialmente agli arti, per poi interessare anche il tronco e il viso; sono il tipo di discinesia più grave e comune. - Distonie di fine-dose: compaiono al calare delle concentrazioni di dopamina con distonie

di braccia e gambe.

- Discinesie bifasiche: si presentano sia nella transizione tra la fase di blocco e il picco del beneficio clinico sia al termine di questo; interessano principalmente gli arti inferiori e determinano un’andatura anomala.

La comparsa della discinesia può essere parzialmente contenuta adottando alcuni accorgimenti nel mettere a punto il regime terapeutico: si tende a posticipare il più possibile il ricorso alla L-DOPA utilizzando altri farmaci antiparkinson nelle prime fasi della malattia, oppure si associano al trattamento con L-DOPA altri farmaci che ne potenziano il profilo farmacocinetico in modo da diminuire la dose necessaria a ottenere un effetto terapeutico apprezzabile. Purtroppo, l’insorgenza della discinesia rimane comunque la principale problematica correlata al trattamento a lungo termine con L-DOPA.

Tuttavia, recenti studi hanno suggerito l’esistenza di una correlazione tra lo sviluppo delle LID e l’attività dei recettori dell’adenosina 𝐴2𝐴, i quali sono attualmente considerati i bersagli farmacologici di maggiore interesse per l’intervento terapeutico antidiscinetico; si tratta di recettori accoppiati a proteine 𝐺𝑠 localizzati a livello centrale nei gangli della base, in particolare sugli interneuroni del nucleo striato, e coespressi con i recettori 𝐷2, con cui

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trasmissione striatale in risposta alla dopamina: la stimolazione dei recettori 𝐴2𝐴 riduce

l’affinità degli agonisti dei recettori 𝐷2, di conseguenza il blocco dei recettori 𝐴2𝐴 con opportuni antagonisti amplifica l'effetto terapeutico della L-DOPA e riduce la discinesia indotta da questa. Sulla base di questi dati, lo studio di Xiao et Al. (2006) ha esaminato e dimostrato il coinvolgimento del recettore 𝐴2𝐴 nel fenomeno di desensibilizzazione alla L-DOPA e il potenziale utilizzo di due antagonisti recettoriali (KW66002 o istradefillina e SCH58261) per coadiuvarne l’attività e contemporaneamente prevenire e attenuare le conseguenze discinetiche della terapia tradizionale. La spontanea attenuazione dei movimenti involontari anomali osservata nei ratti knockout condizionali in cui era stata indotta una deplezione dei recettori 𝐴2𝐴 ha confermato l’ipotesi del ruolo esercitato dal sistema adenosinico nella patologia. Gli esperimenti condotti su questi composti hanno poi portato alla conclusione che SCH58261 potenzia l’azione della L-DOPA e riduce la discinesia iatrogena; istradefillina in monoterapia esercita un buon contenimento dei movimenti involontari parkinsoniani senza indurre discinesia iatrogena, mentre in cosomministrazione con basse dosi di L-DOPA ne potenzia l’effetto senza influenzarne la capacità di provocare LID.

Accanto a questo, l’effetto antidiscinetico è risultato derivare anche dalla correlazione che lo stesso sottotipo recettoriale 𝐴2𝐴 possiede con i recettori mGlu5 del glutammato: l’attivazione del recettore adenosinico crea un incremento dei livelli intracellulari di glutammato, che è alla base delle discinesie coreiformi; ne deriva quindi che l’antagonismo 𝐴2𝐴 produce anche un positivo effetto neuroprotettivo accessorio che si aggiunge al ruolo

anti-discinetico.

Dagli stessi presupposti ha avuto origine lo studio di Yi-Ming Shao et al. (2018), che ha identificato dei potenziali antagonisti dei recettori adenosinici 𝐴2𝐴 e simultaneamente agonisti 𝐷2 in una serie di composti contenenti la struttura indolilpiperazinilpirimidinica (IPP). Delle 1595 molecole inizialmente individuate è stato calcolato il grado di somiglianza strutturale tra gli antagonisti 𝐴2𝐴 e gli agonisti 𝐷2 per identificare regioni con valori elevati

di sovrapposizione; al termine dello screening solo i composti con il nucleo indolico posto ad una distanza esatta di quattro carboni dal nucleo pirimidnico si sono dimostrati in grado di legare i due sottotipi recettoriali contemporaneamente. Una volta individuata tale struttura, sono state progettate e sintetizzate molecole che la contenessero, e poi queste sono state testate in saggi in vitro e in vivo. Per prima cosa i composti IPP sintetizzati sono stati testati

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in saggi di legame di competizione sui recettori adenosinici umani espressi in cellule di ovaio di criceto cinese (CHO); successivamente, sono stati esaminati per osservare la loro affinità di legame ai recettori 𝐷2 umani, e due composti tra quelli

sintetizzati, indicati nel presente studio come 5 e 6 (Figura 3), sono stati incubati con il ligando 𝐷2 fluorescente boro-dipirrometene N- (p-amminofenetil) spiperone (BODIPY-NAPS) e con il recettore 𝐷2; dai risultati è emerso un grado di affinità paragonabile a quello

dello spiperone, che è stato spiazzato competitivamente dal legame recettoriale determinando la riduzione dose-dipendente della fluorescenza.

Figura 3

Tabella delle affinità di legame per i sottotipi recettoriali adenosinici. Da “Discovery of indolylpiperazinylpyrimidines

with dual-target profiles at adenosine A2A and dopamine D2 receptors for Parkinson's disease treatment” Yi-Ming Shao, Xiaohua Ma, Priyankar Paira, Aaron Tan, Deron Raymond Herr, Kah Leong Lim, Chee Hoe Ng GopalakrishnanVenkatesan, Karl-Norbert Klotz, Stephanie Federico, Giampiero Spalluto, Siew Lee Cheong, Yu Zong Chen, Giorgia Pastorin

Le successive indagini sui composti 5 e 6 sono state poi condotte in vivo sul modello animale di Drosophila recante i geni comunemente associati allo sviluppo del Parkinson: LRRK2 e Parkin. Nelle Drosophila malate è stata rilevata un’elevata incidenza della mutazione definita G2019S del gene LRRK2, la quale è stata associata a fenotipi patologici molto più aggressivi rispetto agli altri soggetti wild-type (con il gene LRRK2 non mutato); negli individui G2019S-LRRK2, il composto 5 si è rivelato efficace e sicuro in concentrazioni di 50 ± 100 μM, mentre il composto 6 è risultato letale. Il composto 5 è stato poi valutato su mosche Parkin-null (pk - / -), che in seguito al trattamento hanno dimostrato, rispetto a quelle mutanti non trattate, un netto miglioramento dei sintomi sia in termini motori sia in termini di perdita neuronale. Per quanto i risultati ottenuti siano promettenti ci sono limitazioni inerenti al modello animale a causa della sostanziale differenza nell’organizzazione cerebrale. Inoltre, alcuni fattori associati alla malattia come la α-sinucleina non sono espressi

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nel cervello del moscerino. Tuttavia, questo presenta comunque caratteristiche tipiche del Parkinson come la neurodegenerazione dopaminergica età-correlata e i deficit associati della locomozione, e rispondono positivamente al trattamento con L-DOPA.

Sono poi seguiti saggi di tossicità che non hanno esibito nessun potenziale effetto citotossico, mutageno, epatotossico e cardiotossico per i composti 5 e 6.

In conclusione, questi nuovi e promettenti composti aprono una strada percorribile per il raggiungimento di una soluzione ad un problema attualmente ancora irrisolto.

2.1.3 Antipsicotici tipici e atipici

Il termine “psicosi” si riferisce ad una vasta serie di disfunzioni psichiche aventi importanti ripercussioni comportamentali, percettive, affettive-emotive e cognitive. In base ai sintomi predominanti è possibile distinguere diverse forme di psicosi: schizofrenia paranoide, disorganizzata, catatonica, indifferenziata, disturbo bipolare etc. La sintomatologia si può categorizzare in due tipologie: positiva (deliri, allucinazioni, pensiero ed eloquio disorganizzato, ansia ed agitazione) e negativa (apatia, anedonia, assenza di motivazione e interesse, ridotta risposta agli stimoli, isolamento sociale, ridotta o alterata capacità di provare sentimenti ed empatia). L’eziologia è multifattoriale (influiscono fattori genetici e biochimici, depressione, esperienze personali e familiari, l’abuso di droghe etc.) e l’esordio avviene abbastanza precocemente (entro i 30 anni), generalmente preceduto da sintomi prodromici di entità più lieve. A livello biochimico, alla base dello sviluppo di questi complessi quadri sintomatologici risiedono delle alterazioni quantitative dei livelli di dopamina nei circuiti mesolimbici e mesocorticali, che comportano anomalie del comportamento, dell’elaborazione cognitiva-emotiva e del pensiero estremamente eterogenee. In particolare, si pensa che l’ipersegnalazione dopaminergica a livello sottocorticale causi i tipici sintomi positivi della patologia, mentre la scarsa attivazione dei recettori 𝐷1 a livello della corteccia prefrontale (PFC) risulta responsabile del declino cognitivo e dei sintomi psicotici negativi.

A livello della PFC le fibre dopaminergiche sono implicate in funzioni cognitive quali la memoria di lavoro, che si può definire come un complesso sistema di elaborazione di informazioni a breve termine, che entra in funzione durante attività cognitive protratte; questi neuroni esprimono prevalentemente recettori di tipo 𝐷1.

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L’impiego di agonisti 𝐷1 permette quindi di migliorare tali funzioni, ma da diversi studi

condotti in merito a questa associazione è emerso che l’attivazione dei recettori 𝐷1 sembra promuovere una curva dose-risposta a “U invertita” (Cools e D’Esposito, 2011), tale che l’effetto atteso sia raggiungibile esclusivamente somministrando basse dosi di farmaco; secondo questa ipotesi, infatti, sia una carente sia un’eccessiva stimolazione recettoriale causano una compromissione cognitiva, mentre dosi controllate consentono un buon contenimento della sintomatologia. Ad esempio, pazienti affetti da Parkinson in cui la riduzione dei recettori 𝐷1 ha causato declino cognitivo sono stati trattati con pergolide (antiparkinson agonista 𝐷1), ottenendo un importante miglioramento della funzione mnemonica (Costa et al. 2009).

Diversamente, la stimolazione dei recettori 𝐷1 espressi in circuiti più profondi con opportuni

agonisti (nonostante i recettori 𝐷1-like e 𝐷2-like non siano generalmente espressi sugli stessi neuroni) può aumentare delle risposte comportamentali 𝐷2-mediate tipiche dei sintomi positivi della schizofrenia. In un quadro clinico simile, scatenato dall’ ipersegnalazione dopaminergica, ha trovato riscontro positivo l’impiego di antagonisti dei recettori 𝐷2, i quali

rappresentano il cardine della terapia di prima linea delle psicosi; lo sviluppo dei tradizionali antipsicotici ha avuto origine proprio dall’associazione tra il blocco dei recettori 𝐷2 e la riduzione dei sintomi positivi, mentre l’antagonismo selettivo sui recettori 𝐷1 non è risultato efficace ed ha addirittura peggiorato i sintomi discinetici collaterali. Nel tempo questo concetto si è evoluto grazie all’approfondimento delle conoscenze relative alla selettività per le varie isoforme recettoriali: ciò che è risultato efficace è la combinazione tra affinità e selettività per varie isoforme recettoriali dopaminergiche (agonismo 𝐷1 e antagonismo 𝐷2), insieme anche ad una attività più o meno preponderante su altre categorie di recettori (serotoninergici, adrenergici, muscarinici, istaminergici, ecc.). Sulla base di queste conoscenze, sono state sviluppate tre generazioni di antipsicotici.

La prima generazione di antipsicotici, definiti tipici o tranquillanti maggiori, comprende farmaci distinti in base alla potenza; alta (clorpromazina, tioridazina), media (perfenazina, trifluoperazina, tiotixene), bassa (aloperidolo, droperidolo, flufenazina); tutti sono accomunati dalla capacità prevalente di antagonizzare i recettori 𝐷2, da cui deriva

un’attenuazione dei sintomi psicotici positivi. Tuttavia, tale terapia non offre alcun beneficio nella risoluzione dei sintomi negativi; inoltre, una percentuale elevata (25-60%) dei pazienti non risponde sufficientemente al trattamento farmacologico, il quale comporta anche pesanti

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effetti collaterali sia per azione on target sui recettori dopaminergici sia per azione del farmaco su altri sistemi recettoriali: sedazione, ipotensione, aumento di prolattina e disfunzioni sessuali, aumento di peso, dislipidemie, disturbi visivi, effetti extrapiramidali (Parkinson iatrogeno, per cui spesso si rende necessario associare farmaci anticolinergici per attenuare i sintomi EPS) (Figura 4).

Figura 4

La seconda generazione di antipsicotici, definiti atipici, comprende composti aventi profili farmacodinamici estremamente eterogenei; rispetto ai farmaci di prima generazione, questi presentano un’affinità per i recettori dopaminergici molto ridotta, che lascia spazio alla capacità di interagire con popolazioni recettoriali diverse (soprattutto recettori serotoninergici 5𝐻𝑇2𝐴 e 5𝐻𝑇2𝐶, adrenergici 𝛼1, istaminergici 𝐻1, muscarinici 𝑀1) (Figura 5). Questo rappresenta un importante beneficio nel trattamento delle diverse forme di psicosi, dal momento che consente l’adattamento di un determinato farmaco con una sua specifica attività alle diverse manifestazioni sintomatologiche (comprese quelle di tipo negativo); inoltre questi composti riducono considerevolmente l’incidenza dei principali effetti collaterali della classe precedente (EPS e disfunzioni neuroendocrine). Rientrano nella categoria clozapina, risperidone, ziprasidone, olanzapina, quetiapina.

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La terza generazione di antipsicotici nasce dal prototipo aripiprazolo, un agonista del recettore 𝐷2 ad alta affinità e bassa attività intrinseca; per quanto l’impiego di un agonista

𝐷2 possa risultare contraddittorio con l’utilizzo di antagonisti dopaminergici su cui si basa la terapia tradizionale, l’attività di aripiprazolo si è dimostrata efficace nell’ambito del concetto di “selettività funzionale” (Mailman and Murthy, 2010), che esprime la capacità di un composto di produrre effetti diversi stimolando un unico recettore. I recettori coinvolti sono di tipo 𝐷2 (e in misura minore anche 𝐷3) sia postsinaptici sia presinaptici in posizione di autorecettori (i quali, quando sono attivati, causeranno la diminuzione del rilascio di dopamina); dal momento che questi agonisti hanno una potenza superiore sugli autorecettori rispetto ai postsinaptici, la risposta recettoriale dipenderà fondamentalmente dalla dose: a bassi dosaggi, la stimolazione si concentra selettivamente sugli autorecettori, mentre a dosaggi più elevati coinvolgerà direttamente i recettori postsinaptici. Per questa sua proprietà, aripiprazolo è stato definito come uno “stabilizzatore della dopamina”: in condizioni di sovrastimolazione dei recettori nei circuiti mesolimbici-mesocorticali, le caratteristiche di agonista 𝐷2 parziale di aripiprazolo consentono la competizione con la dopamina per il legame al recettore, diminuendo in questo modo l’output dopaminergico responsabile dei sintomi psicotici; al contrario, nel caso in cui la neurotrasmissione dopaminergica sia deficitaria (comunemente a livello della PFC e quindi a discapito delle funzioni della memoria di lavoro), il farmaco attiverà direttamente i recettori 𝐷2 (Figura 6).

Figura 6

Immagine che illustra come funziona il proposto meccanismo di agonismo parziale D2 nella terza generazione di antipsicotici. Colonna sinistra: trasmissione dopaminergica mesolimbica. Colonna destra: trasmissione dopaminergica

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anomala nella schizofrenia. Linea sigmoidale continua: azioni del solo agonista parziale. Linea sigmoidale punteggiata: azioni dell’agonista parziale in presenza di concentrazioni endogene di dopamina. Da “Third generation antipsychotic drugs: partial agonism or receptor functional selectivity? Richard B. Mailman and Vishakantha Murthy”.

Dunque, la variazione di entrambe attività intrinseca e potenza di aripiprazolo ne attribuisce la proprietà di “selettività funzionale”, propria di questa generazione di farmaci.

Il risultato dell’attività funzionalmente selettiva di questi composti è illustrato in Figura 7.

Figura 7

Immagine che illustra come la selettività funzionale di un singolo recettore possa portare a un alterato equilibrio di effetti terapeutici e collaterali. In questo esempio, il ligando "tipico" [pannello sinistro] è un agonista che attiva due vie

di segnalazione attraverso un singolo recettore. Uno di questi percorsi è specificamente collegato a un effetto terapeutico, l'altro a un effetto collaterale. Il ligando "funzionalmente selettivo" [pannello di destra] attiva solo il percorso correlato all'effetto terapeutico, diminuendo così l’effetto collaterale mediato da questo singolo recettore. Da “Third generation antipsychotic drugs: partial agonism or receptor functional selectivity? Richard B. Mailman and Vishakantha Murthy”.

Il ligando recettoriale dovrebbe essere in grado di discriminare le diverse funzioni mediate dalla proteina G. In realtà è emerso che tale capacità è parzialmente influenzata dal sistema cellulare di riferimento. Ad esempio, alcuni dati disponibili suggeriscono che la produzione di cAMP indotta da aripiprazolo varia in base alla linea cellulare stimolata: l’agonismo parziale è risultato più debole sulle cellule CHO-𝐷2L (chinese hamster ovary cells che esprimono l’isoforma recettoriale 𝐷2L,up-regolati di circa 2 volte in risposta alla dopamina),

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più potente sulle cellule HEK-𝐷2L (human embryonic kidney cells che esprimono l’isoforma

𝐷2L).

D’altra parte, è importante tener conto del fatto che l’azione 𝐷2-mediata varia quando è studiata su cellule non neurali rispetto a linee cellulari neuronali. Tutti i dati disponibili, ottenuti da svariati studi, indicano che differenze sperimentali anche lievi determinano importanti variazioni nei risultati, per cui appare di fondamentale importanza l’integrazione e il confronto tra i dati ottenuti.

Le prospettive future restano comunque concentrate sul fatto che la selettività funzionale che rende unico il profilo farmacologico di aripiprazolo è il presupposto per mettere a punto nuovi agonisti parziali 𝐷2; i composti di maggiore interesse sono bifeprunox, preclamolo, aplindoro.

2.2

MODULAZIONE DELLA SEGNALAZIONE

DOPAMINERGICA

2.2.1 Modulazione allosterica

Una potenziale strategia terapeutica è rappresentata dai modulatori allosterici dei recettori 𝐷1 o 𝐷2; questi composti, legandosi al sito allosterico del recettore, possono influenzare e modificare significativamente la sua risposta nei confronti del legame di un agonista o antagonista recettoriale aumentandola o diminuendola. La modulazione allosterica offre importanti vantaggi in termini di sicurezza e maneggevolezza, dal momento l’azione del modulatore è “limitata” dal rilascio endogeno dell’agonista recettoriale, il quale può essere ulteriormente down-regolato attraverso feedback negativo.

Si parla di modulazione negativa quando l’effettore allosterico inibisce il legame del ligando al recettore, mentre la modulazione si definisce positiva quando lo favorisce. In realtà un modulatore allosterico può risultare tale solo per alcuni ligandi, mentre per altri può essere ininfluente; inoltre, la modulazione di un effettore può variare anche in base al sottotipo recettoriale, come pure lo stesso composto può essere in grado di riconoscere siti allosterici di recettori differenti.

Lo studio di Hoare et al. (2000) ha messo in evidenza come il diuretico risparmiatore di potassio amiloride a i suoi analoghi metilisobutilamiloride (MIA) e benzamilamiloride riconoscano un sito allosterico associato ai recettori di ratto 𝐷2e 𝛼2; in particolare, è stata

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analizzata la proprietà di MIA di accelerare la dissociazione dal recettore 𝐷2

dell’antipsicotico tipico 3H-spiperone legandosi ad entrambi i siti primario e allosterico (cooperazione eterotropica negativa). Questo tipo di meccanismo, definito allosterico/competitivo, risulta comunque più o meno intenso a seconda del sottotipo recettoriale interessato; in particolare, l’effetto più potente è stato registrato sui recettori 𝐷1, 𝐷3 e soprattutto 𝐷4.

Un ulteriore studio sul peptide indolchinolizidina- peptide 28 [(3S, 12bR) -N - ((S) -1 - ((S) -1 - ((S) - 2-carbamoilpirrolidin-1-il) -3- (4-fluorofenil) -1-oxopropan-2- ilammino) -4-cicloesil-1-oxobutan-2-il) -1,2,3,4,6,7,12, 12b-octaidroindolo [2,3-a] chinolizina-3-carbossamide] (Soriano et al. 2010) ne ha rivelato la proprietà di modulazione allosterica negativa del legame di agonisti o antagonisti ai soli recettori 𝐷1 (e in misura minore anche di agonismo parziale), distinta dall’attività di ligando ortosterico su tutti i recettori 𝐷2- like

(𝐷2, 𝐷3 e 𝐷4) e i recettori 𝐷5. Indolchinolizidina-peptide 28 (IP28) aumenta la cinetica di dissociazione degli antagonisti 𝐷1 dal recettore.

Il recente studio di Svensson et al. (2017) descrive un nuovo modulatore allosterico del recettore 𝐷1: l’aciltetraidroisochinolina DETQ [2- (2,6-diclorofenil) -1 - ((1S, 3R) - 3-

(idrossimetil) -5- (2-idrossipropan-2-il) -1-metil-3,4-diidroisoquinolin-2 (1H) -il) etan-1-one]. Le analisi, condotte su cellule embrionali renali umane 293 (HEK293) hanno riportato un aumento di circa ventuno volte della produzione di cAMP in risposta alla stimolazione dopaminergica, ed hanno evidenziato un aumento circa dieci volte maggiore dell’attività locomotoria (LMA), senza causare discinesia iatrogena, in topi transgenici in cui è stato inserito il gene per il recettore 𝐷1 umano (diversamente dai topi wild type, che presentano

un’affinità per DETQ trenta volte inferiore). La risposta del recettore al legame di DETQ, poiché dipende dalla produzione endogena di dopamina, è bloccata in presenza di antagonisti selettivi 𝐷1 ed è assente in caso di grave deplezione dei livelli striatali di dopamina. Inoltre, nonostante gli agonisti 𝐷1 presentino una cinetica rappresentabile con una curva dose-risposta a campana, il fenomeno per cui DETQ mantiene un plateau nella curva dose-dose-risposta anche quando la concentrazione cerebrale aumenta, dimostra che la sua azione è auto-limitante. Questi aspetti indicano che il modulatore allosterico, rispetto all’agonista recettoriale diretto, possiede importanti vantaggi. Tale studio, inoltre, ha ulteriormente approfondito l’analisi dell’attività di DETQ descrivendo il suo sito di legame intracellulare sul recettore 𝐷1; in particolare sono stati ricercati i residui aminoacidici responsabili

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dell’attività e della selettività per il recettore 𝐷1 rispetto al 𝐷5 e al 𝛽2 sfruttando singole

mutazioni aminoacidiche e recettori chimerici e comparando i risultati con quelli relativi al CID2886111, un modulatore allosterico positivo del recettore 𝐷1.

DETQ si lega ad una fenditura di un dominio intracellulare del recettore definita IC2; CID2886111 non risulta invece influenzato da IC2, ma si lega ad un sito diverso non ancora identificato; inoltre, è emerso che il maggior aumento di cAMP in risposta alla stimolazione recettoriale si ottiene dal contemporaneo legame dei due modulatori DETQ e CID2886111 al recettore nel suo stato attivato in assenza di dopamina. I dati ottenuti indicano la copresenza all’interno dello stesso recettore di più siti allosterici, e quindi la possibilità di molteplici approcci in termini di modulazione.

Per individuare l’esatta posizione del sito allosterico di DETQ sul recettore 𝐷1, sono stati progettati dei recettori chimerici ottenuti sostituendo alcuni domini del recettore 𝐷1 con quelli corrispondenti presenti sul recettore 𝐷5; i risultati ottenuti hanno indicato che il sito di

legame si trova nella regione N-terminale, in particolare nell’unico sito che differisce, in termini di affinità, tra uomo e ratto: arginina-130 (Arg130IC2.3). Questo è stato ulteriormente dimostrato mutando l’arginina-130 con il residuo amminoacidico corrispondente presente nel ratto (glutammina); questa mutazione, definita R130Q, ha reso la potenza sul recettore umano simile a quella sul recettore di ratto; viceversa la mutazione inversa, ottenuta sostituendo la glutammina del ratto con l’arginina dell’uomo e definita Q129R, ha portato ad un risultato invertito. Successivamente è stato confermato che l’attività di DETQ dipende da suo legame alla sequenza IC2 inserendo questa regione nel recettore adrenergico 𝛽2 al posto della sua regione corrispettiva; di conseguenza, il legame allosterico

di DETQ ha potenziato di circa cinque volte l’attività della norepinefrina, dimostrando che la regione IC2 è sufficiente a determinare la modulazione allosterica positiva di DETQ. Al contrario, CID2886111 ha bloccato l’attività recettoriale della norepinefrina dimostrandosi un modulatore allosterico negativo, e l’effetto di modulazione positiva non è stato ottenuto nemmeno ripristinando la struttura originale; questo indica ulteriormente che DETQ e CID2886111 legano regioni diverse del recettore.

L’impiego di composti in grado di modulare la potenza e parallelamente preservare l’efficacia dell’agonismo sui recettori 𝐷1 rappresenta una promettente strada per l’approccio

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19

2.2.2 Modulazione attraverso secondi messaggeri

Un altro possibile obiettivo futuro è la modulazione attraverso secondi messaggeri coinvolti nella segnalazione dopaminergica. Le alterazioni patologiche alla base dei disturbi motori e cognitivi comportano delle variazioni a livello delle vie di trasduzione del segnale e delle molecole che ne fanno parte. Nell’ambito del trattamento cronico con L-DOPA si verifica l’aumento dell’espressione dei recettori 𝐷1 e, parallelamente, l’aumento di proteine espresse dal neurone recante recettori 𝐷1, tra cui dinorfina B e sostanza P; a supportare questo

principio, lo studio di Darmopil et al. (2009) ha evidenziato che topi 𝐷1-knockout trattati con 6-idrossidopamina (6-OHDA, agente neurotossico sintetico utilizzato per indurre discinesia nell’animale) non sviluppano LID e non presentano aumentate dinorfina B e sostanza P.

L’incremento dell’attività dei recettori 𝐷1, essendo questi accoppiati a proteine 𝐺𝑠, determina anche un aumento della fosforilazione mediata da cAMP su vari substrati, come la fosfoproteina DARPP-32 (Dopamine- and cAMP-regulated phosphoprotein), che viene fosforilata da parte della PKA in Thr34 (treonina 34) diventando così un inibitore della defosforilazione di proteine substrato della PKA e generando un feedback positivo sulla segnalazione 𝐷1-mediata; viceversa, quindi, la disattivazione di DARPP-32 riduce la segnalazione 𝐷1-mediata. Al contrario l’azione della dopamina sui recettori 𝐷2 attraverso

l'inibizione di PKA e l’attivazione della fosfatasi proteica calcio/calmodulina-dipendente (fosfatasi proteica 2B/calcineurina), causa la defosforilazione della DARPP-32. La fosforilazione o la defosforilazione della DARPP-32 è determinata anche da altri neurotrasmettitori che interagiscono con il sistema dopaminergico. Nella forma fosforilata, DARPP-32 agisce come un potente inibitore della proteina fosfatasi-1 (PP-1); questa rappresenta un importante elemento della cascata fosforilativa ed è quindi responsabile dell’attività di diverse proteine e neurotrasmettitori neuronali (A. A. Fienberg et al. 1998). Lo stesso effetto è determinato dall’acido okadaico (tossina contenuta in molluschi e spugne che provoca inibizione di protein-fosfatasi 1 e 2A), il quale riduce il potenziamento indotto dall’attivazione 𝐷1, suggerendo che una protratta attività della PP-1 attenua la stimolazione

𝐷1-mediata (J. Flores-Hernandez et al. 2002). Quest’ultimo studio si è focalizzato sulla correlazione tra l’attività della dopamina e dei recettori NMDA e l’espressione della DARPP-32; nei neuroni dissociati di ratti e topi, l’attivazione dei recettori 𝐷1 da parte dell'agonista selettivo SKF81297 hanno prodotto un potenziamento dose-dipendente delle

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20

correnti NMDA (ottenuto attraverso la fosforilazione delle subunità recettoriali innescate dall’attività sul recettore 𝐷1), mentre l'antagonista selettivo SKF83566 le ha ridotte; una

parziale riduzione della trasmissione glutammatergica è stata ottenuta anche con l’antagonismo 𝐷2 messo in atto da Quinpirolo. In generale, l’agonismo 𝐷1 è responsabile del

depotenziamento delle correnti NMDA. Nei topi privi della DARPP-32, la stimolazione della trasmissione glutammatergica in seguito all’attivazione 𝐷1 è risultata significativamente ridotta. Dagli studi condotti, l'attivazione 𝐷1 all’interno delle stesse

cellule ha prodotto effetti differenziali sulla trasmissione glutammatergica e sulla quella GABAergica, migliorando la prima e diminuendo la seconda. Ne deriva che la contemporanea stimolazione dei recettori 𝐷1, NMDA e GABA può rappresentare un fattore

predisponente per l’attivazione dei neuroni spinosi medi.

Resta tuttavia ancora irrisolta la contraddizione tra questi risultati e il principio secondo cui i recettori 𝐷1 e 𝐷2 siano espressi insieme sugli stessi neuroni spinosi medi; una ipotetica risposta risiede nella diversa densità dei sottotipi recettoriali e nel numero dei processi dendritici rimasti dopo la dissociazione.

Dallo studio di Porras et al. (2012) è emerso che nelle scimmie e nei ratti che presentano LID risulta elevata l’espressione a livello striatale della proteina PSD-95 (post synaptic density: complesso di molte proteine scaffold, tra cui la 95, che uniscono diverse proteine permettendo loro di interagire e garantire la trasduzione del segnale e determinando i processi di plasticità e rimodellamento sinaptico); coerentemente a ciò, lo stesso studio ha dimostrato che livelli ridotti di PSD-95 sono correlati ad una diminuita discinesia involontaria, mentre una sovraespressione è associata allo sviluppo delle LID.

Basandosi sull’ipotesi secondo cui la downregulation della PSD-95 possa attenuare la discinesia mediata dalla stimolazione dei recettori, questo studio ha esaminato l’espressione e la distribuzione intracellulare della PSD-95 in ratti in cui era stata indotta discinesia con 6-OHDA; successivamente e in supporto a tale ipotesi, la stessa valutazione è stata effettuata su scimmie trattate con MPTP (1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina, sostanza neurotossica che causa sintomi simili al Parkinson) dopo denervazione dopaminergica e somministrazione a lungo termine di L-DOPA. L’espressione di PSD-95 nel putamen delle scimmie è risultata molto più elevata nei soggetti discinetici trattati con MPTP rispetto agli individui di controllo; inoltre, utilizzando tecniche di coimmunoprecipitazione e western blot su campioni di striato prelevato dalle scimmie, è stato evidenziato che gli anticorpi

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anti-21

𝐷1 sono immunoprecipitati con PSD-95 e viceversa gli anticorpi anti-PSD-95 sono

immunoprecipitati con i recettori 𝐷1, dimostrando così l’importanza dell’interazione tra il recettore 𝐷1 e PSD-95.

La correlazione tra l’espressione della PSD-95 e il livello del movimento anomalo involontario è stata analizzata anche sfruttando lentivirus (LV) somministrato stereotassicamente in ratti discinetici. Sono state codificate GFP (green fluorescent protein: viene impiegata come marcatore proteico subcellulare fondendo la sequenza nucleotidica della proteina in esame con quella della GFP all’interno di un vettore plasmidico; in questo modo, al posto del gene wild type per la proteina in esame, sarà espresso il gene ricombinante “proteina-GFP”, visualizzabile con microscopia a fluorescenza) che trasportano PSD-95, e shRNA (sequenza di RNA avente struttura a forcina e contenuta in vettori virali predisposti per il silenziamento genico) per PSD-95, studiati su due gruppi separati definiti rispettivamente PSD e shPSD. I vettori di controllo sono stati suddivisi in LV codificanti per GFP (gruppo di simulazione) e LV codificanti per l’shRNA di PSD-95 più l’shRNA esogeno per PSD-95 resistente (gruppo SH+PSD). Ratti drug-naive con discinesia indotta da 6-OHDA sono stati trattati con L-DOPA; nel gruppo di simulazione gli AIM (abnormal involuntary movements) sono progressivamente aumentati; la rimozione di PSD-95 ha nettamente diminuito il livello degli AIM, mentre nei gruppi PSD e SH+PSD i risultati sono stati analoghi al gruppo di simulazione, suggerendo un effetto massimale per PSD-95; nel gruppo shPSD, rispetto al gruppo di simulazione, in seguito alla somministrazione di L-DOPA gli AIM si sono significativamente attenuati. La downregulation di PSD-95 nel gruppo shPSD è stata dimostrata, compatibilmente con la diminuzione degli AIM rilevata, con due tecniche: confrontando l’espressione di PSD-95 endogeno e PSD-95-GFP esogeno mediante western blotting (utilizzando anticorpi anti-PSD-95) e sfruttando la tecnica immunoistochimica doppia per GFP e PSD-95, che ha evidenziato come estese aree striatali fossero immunopositive per GFP.

Un’altra potenziale strategia, in alternativa all’induzione della downregulation di PSD-95, è la progettazione di peptidi competitivi per il legame al recettore 𝐷1 che impediscano l’interazione PSD-95/𝐷1 (Zhang J. et al. 2007). Studiando il legame tra la regione

C-terminale del recettore 𝐷1 e PSD-95, sono stati individuati il peptide di controllo 𝐷1-SCR e il peptide attivo 𝐷1-CT; questi sono stati successivamente incubati con tessuti cerebrali di scimmia e ratti che esprimono PSD-95 o PSD-95-GFP (la fusione di GFP con PSD-95 non

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influisce sull’interazione con il recettore) ed il conseguente risultato ha dimostrato che PSD-95 è precipitata analogamente al peptide attivo 𝐷1-CT. Affinché i peptidi fossero permeabili

attraverso la membrana cellulare sono stati fusi con la sequenza TAT del virus dell’immunodeficienza umana 1 e iniettati attraverso cannule intrastriatali insieme a L-DOPA; a differenza di TAT-𝐷1-SCR, che non ha modificato il livello degli AIM, TAT-𝐷1 -CT lo ha ridotto in maniera dose-dipendente.

Lo studio di Porras et al. (2012) ha poi ipotizzato una correlazione con la trasmissione glutammatergica a livello corticostriatale: rispetto al gruppo di simulazione, gli animali del gruppo shPSD hanno maggiormente beneficiato del trattamento con L-DOPA e amantadina (il principale farmaco attualmente utilizzato per prevenire e attenuare le LID), suggerendo che la trasmissione corticostriatale NMDA-mediata non è attenuata negli animali shPSD, poiché questi hanno beneficiato del sinergismo tra L-DOPA e amantadina.

La downregulation di PSD-95 influisce sulla distribuzione e sulla densità di membrana del recettore 𝐷1, e il legame della PSD-95 con recettori 𝐷1 e NMDA rappresenta l’elemento con

cui questi due diversi sistemi comunicano. Nei soggetti PSD-95-knockdown del gruppo shPSD, il contenuto superficiale dei recettori 𝐷1 è risultato diminuito; al contrario, il contenuto superficiale del recettore NMDA è stato dimostrato essere analogo a quello dei soggetti trasfettati (la trasfezione consiste nell’introduzione di materiale biologico esogeno, acidi nucleici o proteine, in cellule eucariotiche), a dimostrare che a livello striatale PSD-95 condiziona l’espressione dei recettori 𝐷1 superficiali ma non quella degli NMDA.

Un potenziale target è rappresentato anche dalla via delle MAP chinasi, in particolare da elementi a valle della cascata di segnalazione: 𝐸𝑅𝐾1 e 𝐸𝑅𝐾2, responsabili direttamente o

indirettamente dell’attivazione di fattori di trascrizione e che risultano maggiormente reclutate in seguito alla stimolazione dei recettori 𝐷1 a livello nigrostriatale e corticale. La deplezione dei livelli di dopamina produce irrimediabilmente l’ipersensibilità delle fibre nervose della via diretta in risposta agli agonisti dopaminergici, e questa è dimostrata dall’induzione dei Geni Immediati Precoci o IEG (Immediate Early Genes: geni che vengono attivati rapidamente e transitoriamente in risposta a diversi stimoli cellulari attivando un meccanismo trascrizionale precoce), tra cui il c-fos (proto-oncogene che è l'omologo umano dell'oncogene retrovirale v-fos); l'induzione degli IEG è regolata dalla fosforilazione della protein chinasi dei fattori di trascrizione che si legano agli elementi di risposta del promotore. In particolare, l'attivazione mediata dal recettore 𝐷1 della proteina chinasi A determina la

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fosforilazione dell’cAMP; inoltre, i meccanismi mediati dal recettore del glutammato attivano la 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP chinasi (chinasi segnale-regolata extracellulare/ chinasi

attivata da mitogeno) e la chinasi JN/chinasi SAP (chinasi di proteina c-N-terminale /chinasi associata a sinapsi). Nello studio di Gerfen et al. (2002), è stato studiato il ruolo della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP nell’ipersensibilità dei recettori 𝐷1 nello striato carente di dopamina. Nello striato sano, l'attivazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP si verifica nei neuroni indiretti in risposta alla stimolazione delle afferenze corticostriatali, e il trattamento con agonisti 𝐷1 o la stimolazione di afferenze dopaminergiche nigrostriatali, che inducono

entrambi gli IEG nei neuroni diretti striatali, non attivano la chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP. Tuttavia, dopo la degenerazione della via nigrostriatale, la chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP viene attivata nei neuroni della via diretta in risposta agli agonisti 𝐷1 da soli o in combinazione con la stimolazione delle afferenze corticostriatali. Inibitori della MEK (MAP chinasi), che è responsabile della fosforilazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP, bloccano l'attivazione

dell'agonista 𝐷1 della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP striatale, nonché l'induzione di IEG. I risultati di tale studio dimostrano che il trattamento con l'agonista 𝐷1 parziale SKF38393 nei ratti con il sistema nigrostriatale danneggiato provoca l'induzione degli mRNA codificanti IEG come il c-fos, coerentemente con le evidenze delle analisi immunoistochimiche di sezioni cerebrali striatali, che individuano la presenza di elevati livelli di chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP fosforilata nei neuroni striatali dorsali e ventrali (mentre nelle sezioni di

tessuto cerebrale sano è risultata presente solo in alcune fibre dello striato mediale e del nucleo accumbens). Successivamente è stato esaminato l’effetto dell’inibizione del Ser/Thr MEK (responsabile della fosforilazione delle chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP), ottenuta con l’inibitore SL327 somministrato in concomitanza con l’agonista parziale 𝐷1, che ha determinato l’inibizione della fosforilazione indotta dalla stimolazione corticale della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP e della conseguente induzione di IEG striatali; lo stesso risultato

è stato ottenuto con gli inibitori MEK PD98059 e U0126. Gli esperimenti effettuati hanno poi confermato che il trattamento con agonisti 𝐷2 provoca l'attivazione della chinasi

𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP; l’esperimento è stato condotto somministrando l’agonista 𝐷2 quinpirolo a ratti con striato danneggiato, ed ha tuttavia evidenziato che l'attivazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP avviene solo in una piccola percentuale di interneuroni striatali carenti di dopamina.

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Gli attuali risultati dimostrano quindi che, nello striato sano, la stimolazione corticostriatale attiva la chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP principalmente nei neuroni striatali indiretti, in cui la

stimolazione corticostriatale determina l'induzione di IEG in modo selettivo; questo effetto è bloccato dagli inibitori del MEK, responsabile della fosforilazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP. Inoltre, il presente studio ha dimostrato che il trattamento con agonisti 𝐷2 determina la fosforilazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP solo in una piccola percentuale di interneuroni striatali e non in neuroni di proiezione striatali. Infatti, i dati ottenuti dimostrano che l'attivazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP nei neuroni di

proiezione striatale indiretta mediante stimolazione corticostriatale è inibita dal trattamento con un agonista 𝐷2. Questo suggerisce che la dopamina, agendo attraverso i recettori 𝐷2 sia

a livello presinaptico che a livello postsinaptico, inibisca l'attivazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP nei neuroni striatali indiretti in risposta alla stimolazione delle afferenze corticostriatali. L'induzione di IEG si verifica nello striato carente di dopamina in seguito alla somministrazione di un agonista 𝐷1 parziale come SKF38393, e questa è preceduta dalla fosforilazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP e c-Jun. Ne deriva che l’attivazione

aberrante della via di segnalazione della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP deriva dall’ipersensibilità del recettore 𝐷1 nello striato impoverito di dopamina conseguente alla deplezione di dopamina striatale. Gli stessi farmaci antidiscinetici impiegati nel Parkinson e che comportano agonismo su recettori 𝐷1 alimentano l’iperattivazione della segnalazione

attraverso la chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP portando all’inevitabile comparsa delle LID; l’introduzione di inibitori della MEK, che bloccano l’iperreattività della chinasi 𝐸𝑅𝐾1/𝐸𝑅𝐾2/MAP nei neuroni della via striatale diretta in risposta alla stimolazione dei recettori 𝐷1, potrà rappresentare un fondamentale supporto alla terapia antiparkinson

tradizionale.

L’analisi e la conoscenza di queste molecole costituisce quindi uno strumento importante sia per monitorare e correlare le variazioni biochimiche quantitative cellulari alla progressione del morbo di Parkinson, discinesie iatrogene, schizofrenia, tossicodipendenza, e altri disturbi neuropsichiatrici, sia per fornire un potenziale input per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche.

(31)

25

3. LA CHIRURGIA STEREOTASSICA E LA

STIMOLAZIONE CEREBRALE PROFONDA (DBS)

La chirurgia stereotassica è una sofisticata pratica neurochirurgica che prevede l’impiego di dispositivi capaci di individuare e raggiungere con estrema precisione, utilizzando appositi elettrodi o sonde, bersagli situati nelle regioni cerebrali più profonde. L’esatta localizzazione del target di interesse si ottiene sfruttando delle coordinate spaziali anatomiche predeterminate (tipicamente si fa riferimento agli atlanti stereotassici, che rappresentano i punti di repere delle aree encefaliche visti secondo i tre piani sagittale, frontale e trasversale) (Figura 8) ed affiancando al dispositivo stereotassico un’analisi neuroradiologica, ottenuta con l’ausilio di RMN (risonanza magnetica nucleare), TAC (tomografia assiale computerizzata) e angiografia.

Figura 8

Definite l’area target da raggiungere ed il percorso da compiere all’interno dell’encefalo, si dispone sulla testa del paziente lo strumento meccanico che guiderà l’elettrodo o la sonda (introdotti attraverso un foro) verso il target di interesse e che viene definito “casco stereotassico” (Figura 9).

Gli interventi di chirurgia stereotassica sono chiaramente delle procedure invasive che richiedono l’induzione di anestesia

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26

richieste che supportino il chirurgo nella corretta esecuzione della perforazione cranica e del direzionamento delle sonde (è fondamentale, infatti, che il paziente collabori durante l’intervento e segnali eventuali alterazioni cliniche). Inoltre, per quanto negli ultimi 20 anni si siano rivelati efficaci, richiedono una selezione dei pazienti estremamente accurata. La chirurgia stereotassica trova, oltre alla somministrazione di vettori virali, diverse applicazioni terapeutiche: biopsie encefaliche e troncoenfaliche, trattamento chemioterapico e radiante direttamente all’interno della massa tumorale, impianto di cateteri per il drenaggio di fluidi liquorali, infiammatori o emorragici in seguito a lesioni e traumi, impianto di elettrodi utilizzati per la stimolazione cerebrale profonda (DBS: Deep Brain Stimulation). Quest’ultima applicazione si rivela particolarmente utile nel trattamento di patologie quali Parkinson, epilessia, disturbi psichici e cognitivi; l’apparato stereotassico introduce, in anestesia locale, degli elettrocateteri nelle aree cerebrali dopaminergiche deputate al controllo motorio e/o cognitivo; inoltre, è previsto l’impianto a livello clavicolare o addominale di un dispositivo analogo ad un pacemaker cardiaco che invia impulsi elettrici agli elettrodi cerebrali impedendo la neurotrasmissione che determina la sintomatologia patologica.

3.1

LA DBS NEL TRATTAMENTO DEL MORBO DI

PARKINSON

La metodica attuale prevede che il paziente, dopo aver sospeso il trattamento anti-Parkinson tradizionale da almeno 12 ore (in modo che la stimolazione stereotassica avvenga nelle reali condizioni patologiche libere da influenza farmacologica), sia sottoposto ad anestesia locale (occipitale e frontale) e, dopo aver fissato il casco stereotassico al capo, a NMR cosicché possano essere ben visualizzati il target e le traiettorie necessarie a raggiungerlo.

Una volta praticata bilateralmente l’incisione e l’apertura di un foro di pochi millimetri, si inseriscono da un lato e dall’altro del cranio delle cannule attraversate da microelettrodi che registreranno l’attività neuronale durante tutto il percorso previsto e, raggiunto il bersaglio, si innescherà la stimolazione a sua volta registrata dai microelettrodi; tra i vari tracciati encefalografici ottenuti, si individua quello terapeuticamente più soddisfacente, ed il microelettrodo corrispondente viene sostituito con l’elettrodo stimolatore definitivo (definito anche elettrodo negativo); questo verrà mantenuto nella sua posizione fissando l’estremità che fuoriesce dal cranio con una placca metallica. Successivamente a questo primo

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intervento si esegue una seconda operazione, praticata in anestesia totale, in cui si costruisce una tasca cutanea sottoclavicolare in cui si impianta il neurostimolatore definitivo (o elettrodo positivo) che verrà collegato ai due elettrodi encefalici attraverso due cavi opportunamente isolati che attraversano il sottocute dalla tasca clavicolare al cranio (prima dell’impianto del neurostimolatore definitivo, la sua funzione è svolta da uno stimolatore temporaneo, richiesto per monitorare l’effetto clinico e gli effetti collaterali e assicurarsi della buona riuscita dell’intervento) (Figura 10).

Figura 10

Generalmente, il bersaglio della stimolazione cerebrale profonda è il nucleo subtalamico (STN); lo studio di Vesper J. et al. (2002), ad esempio, ha dimostrato come l’impianto bilaterale di due elettrodi nel STN, supportato da tomografia computerizzata e ventricolografia, e del neurostimolatore (prima esterno e poi permanente) abbia determinato in tutti i trentotto pazienti analizzati un netto miglioramento dei sintomi motori misurati secondo la scala di valutazione UPDRS (Unified Parkinson's Disease Rating Scale: tiene conto sia della sintomatologia motoria sia dei disturbi cognitivi e della sfera affettivo-emotiva).

Lo stesso tipo di valutazione è stato condotto da Patel et al. (2003); in questo studio un gruppo di sedici pazienti affetti da Parkinson e refrattari alla terapia farmacologica è stato sottoposto a stimolazione bilaterale del nucleo subtalamico (con l’ausilio di risonanza magnetica) e monitorato per un anno; le valutazioni, effettuate secondo la scala UPDRS considerando il livello di funzioni esecutive e motorie, memoria e attenzione, hanno portato alla conclusione che la stimolazione cerebrale a lungo termine del STN in assenza di farmaci

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