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4. LA TERAPIA GENICA E L’IMPIEGO DEI VETTORI VIRALI

4.2 LA TRASFEZIONE VIRALE

Questo tipo di trasferimento genico sfrutta la naturale capacità dei virus di infettare le cellule entrandovi e integrando il proprio acido nucleico all’interno del genoma cellulare o sottoforma di episoma.

I virus impiegati sono virus ricombinanti (il cui genoma viene manipolato e modificato inserendo opportunamente dei geni esogeni), che rispetto alle specie wild type sono difettivi per la replicazione, cioè hanno bisogno di un secondo virus co-infettante definito “helper” affinché possano essere in grado di replicarsi e provocare un’infezione produttiva; inoltre questi virus devono essere resi totalmente innocui dal punto di vista immunogenico e tossicologico (Sizemore et al 2015).

I virus attualmente utilizzati nella terapia genica sono retrovirus, adenovirus, lentivirus, herpesvirus e virus adenoassociati:

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- Retrovirus: sono stati i primi virus ad essere impiegati nel sistema di trasfezione virale; il genoma del retrovirus è costituito da due filamenti di RNA associati alla trascrittasi inversa (DNA polimerasi RNA dipendente), che sintetizzerà DNA dallo stampo rappresentato dall’RNA virale; un’integrasi catalizzerà poi l’inserimento del genoma virale all’interno di quello della cellula ospite. I retrovirus comunemente usati derivano dal virus della leucemia murina (MoMLV). Il genoma del retrovirus comprende i geni “gag” (che codifica per le proteine del capside virale), “pol” (che codifica per la trascrittasi inversa) e “env” (che codifica per alcune glicoproteine espresse sull’ envelope e responsabili dell’interazione con recettori specifici dell’ospite); le sequenze terminali agli estremi del genoma retrovirale (definite LTR: Long Terminal Repeat o sequenze terminali ripetute lunghe) non sono codificanti e hanno il ruolo di regolare l’impacchettamento dell’RNA (sequenza di packaging) e la trascrizione e l’integrazione del DNA. Poiché il virus è difettivo rispetto alla replicazione, sono necessari dei sistemi che ne consentano la riproduzione; a tal fine si utilizzano delle particolari linee cellulari, quali i fibroblasti murini 3t3, che vengono trasfettate con sequenze nucleotidiche contenenti i geni gag, pol, env e LTR esclusa la sequenza di packaging e che vengono definite cellule “impacchettatrici” o “linee di packaging”; in questo modo, queste cellule potranno formare un capside privo di genoma (VLP: Virion Like Particle), che riconosce e lega il suo specifico recettore ma che non è in grado di portare avanti un ciclo di infezione. Queste cellule vengono successivamente infettate con un retrovirus recante le sequenze LTR, la sequenza di packaging e il gene terapeutico di interesse, e il virus, di per sé incapace di compiere un’infezione produttiva, sfrutterà le proteine virali prodotte dalle stesse cellule impacchettatrici per potersi riprodurre; queste proteine, riconoscendo la sequenza di packaging retrovirale, daranno origine alla formazione del capside e si costruirà così il virione infettante. Nonostante l’efficienza con cui il genoma virale si integra in quello cellulare, l’impiego dei retrovirus quali sistemi di trasfezione presenta delle limitazioni: la distanza tra le sequenze LTR consente l’integrazione di geni lunghi al massimo 8 kb; inoltre l’integrazione genomica avviene esclusivamente in assenza della membrana nucleare, quindi soltanto nelle cellule in fase di duplicazione, escludendo così la loro applicazione nel trattamento di patologie a carico del tessuto nervoso; infine, la posizione in cui i geni virali si integrano nelle

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sequenze cellulari è casuale, e questo comporta un elevato rischio tossico e mutageno (può infatti verificarsi l’inserimento all’interno di geni strutturali o funzionali indispensabili, che in tal modo subiranno la perdita o l’alterazione del loro ruolo, oppure che il vettore si inserisca all’interno di protooncogeni, attivandoli, o all’interno di geni oncosoppressori, che verranno così inattivati)

- Lentivirus: a differenza dei retrovirus, i lentivirus sono in grado di infettare anche le cellule non in fase di duplicazione grazie alla loro capacità di attraversare la membrana nucleare; questo li rende particolarmente adatti per la trasfezione di cellule terminalmente differenziate (cioè che una volta differenziate non si replicano più) come i neuroni e per i sistemi di trasfezione ex vivo (in cui non si richiede che le cellule trasfettate si replichino). Dal punto di vista cellulare e funzionale, comunque, i lentivirus rientrano nella famiglia dei retrovirus; il DNA virale (prodotto dalla trascrittasi inversa) forma un complesso con le proteine virali, definito “complesso di preinizio”, che permette l’attraversamento della membrana nucleare. Il lentivirus viene modificato sfruttando delle sequenze geniche del virus HIV, in modo tale che il genoma virale contenga le sequenze necessarie ai processi di integrazione, retrotrascrizione, incapsidamento dell’RNA (compresa la sequenza di packaging). La cellula viene poi trasfettata con due plasmidi: il plasmide di packaging contenente esclusivamente i geni gag, pol e rev (Regolatore dell’Espressione del Gene Virale, una proteina codificata dal genoma HIV e che direziona lo spostamento dell’mRNA dal nucleo al citosol) e codificante per le proteine del capside, e il plasmide codificante per delle glicoproteine di superficie in cui il gene per la proteina gp120 è stato sostituito con quello della glicoproteina G (che riconosce specifici recettori cellulari e permette l’ingresso del virus nella cellula) del virus della vescicolo-stomatite. Per impedire che il virione così formatosi si replichi autonomamente, sono state apportate alcune modifiche quali la rimozione di parte dell’LTR in 5’, la delezione della TATA box (la sequenza nucleotidica che segnala il sito di inizio della trascrizione) e la delezione delle sequenze a cui si legano alcuni fattori di trascrizione; poiché con la retrotrascrizione vengono perse molte delle sequenze necessarie ai fini della replicazione, il DNA che ne deriva presenterà le sequenze LTR inattive e non potrà essere trascritto; al contrario, il gene terapeutico in esso inserito verrà trascritto grazie alla presenza di un promotore interno (derivato

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da citomegalovirus), che viene agganciato sia all’estremità 5’ sia ai plasmidi con cui è trasfettata la cellula sostituendo le loro sequenze LTR. Questo tipo di vettori, definiti SIN (Self-Inactivating o autoinattivanti), riducono anche il rischio mutageno poiché inattivando le sequenze LTR si impedisce l’attivazione di alcuni protooncogeni situati a valle.

- Adenovirus: si tratta di virus a DNA a doppio filamento privi di envelope. Le due estremità del genoma dell’adenovirus sono rappresentate dalle sequenze terminali invertite o ITR (Inverted Terminal Repeat), fondamentali affinché il virus si replichi. Si distinguono poi alcune regioni per geni espressi precocemente, indicate con E (early) e altre che codificano per geni espressi tardivamente, indicate con L (late); il processo di replicazione coinvolge per primo il gene E1(gene precoce immediato), che determina a sua volta l’attivazione dei geni E2 e E4, i quali bloccano la traduzione e la sintesi proteica cellulare permettendo la replicazione del DNA virale; a questo punto inizia la sintesi delle proteine capsidiche codificate dai geni L, che andranno a racchiudere il DNA virale; la cellula così infettata va incontro a lisi. Gli adenovirus utilizzati come vettori (ricombinanti) sono resi difettivi per la replicazione privandoli della sequenza E1, che viene invece inserita in cellule renali embrionali (cellule d’impaccamento in questo caso indicate come cellule 293); in tali cellule trasfettate viene inserito l’adenovirus ricombinante privato di tutti i geni ad eccezione delle sequenze ITR, della sequenza di packaging e il gene di interesse, in modo che possa così replicarsi. Per evitare il rischio immunogenico inducibile dalla drastica riduzione del genoma ricombinante rispetto a quello wild-type, il peso molecolare genomico viene mantenuto sostituendo le sequenze eliminate con DNA di tipo intronico.

- Virus Adeno-associati: sono virus contenenti una molecola di DNA a singolo filamento e privi di envelope, in grado di infettare cellule sia in fase di replicazione che non replicanti; appartengono alla famiglia dei parvovirus, ma sono così definiti poiché, non essendo capaci di replicazione autonoma, devono essere associati ad un virus helper, comunemente un adenovirus. Anche in questo caso la replicazione e il packaging sono regolati dalle sequenze ITR ai lati del genoma; si individuano inoltre i due geni “rep” (che codifica per delle proteine coinvolte nella replicazione) e “cap” (codificante per le proteine del capside). Nel virus adeno-associato ricombinante

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questi ultimi due geni sono sostituiti con il gene terapeutico di interesse, mentre le sequenze ITR, sufficienti da sole a determinare la replicazione e l’incapsidamento, vengono mantenute; i geni cap e rev vengono integrati in cellule 293, che subiscono poi l’infezione con un adenovirus helper difettivo della sequenza E1. La maggiore limitazione nell’impiego dei virus adeno-associati deriva dalla possibilità di integrare sequenze nucleotidiche di dimensioni non più grandi di 4,7 kb; inoltre, poiché ai fini della replicazione è necessario che l’integrazione avvenga in un esatto sito del cromosoma 19, non sempre la presenza del virus co-infettante rende possibile il corretto posizionamento nel genoma dell’ospite.

- Herpesvirus: l’herpesvirus comunemente utilizzato come vettore è HSV-1 (virus dell’herpes simplex di tipo 1), un virus contenente una molecola di DNA lineare a doppio filamento e dotato di envelope. Il virus HSV-1, prevalentemente neurotropo, è responsabile della lisi cellulare attraverso l’attivazione da parte della proteina VmW-65 dei geni precoci immediati, i quali a loro volta inducono la sintesi degli elementi proteici e nucleotidici necessari per la replicazione. Questo tipo di vettore si può ottenere rendendo il virus difettivo attraverso la delezione di alcuni geni precoci immediati e la loro integrazione nel genoma delle cellule che verranno infettate e in cui potranno essere espresse le proteine mancanti ai fini della replicazione virale; il rischio maggiore dovuto al vettore ottenuto grazie a questo sistema è quello neurotossico, a causa del potenziale innesco di mutazioni aggiuntive. Un secondo metodo per lo sviluppo del vettore HSV-1 prevede l’impiego di un amplicone, un frammento di un acido nucleico derivante da processi di amplificazione genica (replicazione multipla di una sequenza nucleotidica); questo amplicone contiene il gene terapeutico, la sequenza di packaging di HSV-1, un’origine di replicazione ottenuta da E. Coli e una propria dell’HSV-1 (definita OriS); con questi geni viene trasfettata una specifica linea cellulare, la quale subirà poi l’infezione di un virus helper recante i geni mancanti necessari per completare la replicazione.

Ad oggi, nell’ambito del trattamento dei disturbi neurologici oltre che nelle indagini anatomo-funzionali, il maggiore interesse è rivolto verso la terapia genica di tipo virale, la quale si sta dimostrando un utile strumento anche in alcune nuove tecniche analitiche e terapeutiche come quelle optogenetiche.

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