CAPITOLO I: Il diritto d’asilo in Israele dal 1948 al 2006
1.3 Applicazione del diritto internazionale in materia di asilo politico in Israele
Lo Stato di Israele entrò a far parte dell'Organizzazione delle Nazioni Unite un anno dopo la propria proclamazione d'indipendenza, esattamente l'11 maggio 1949. Come membro dell'organizzazione, con il trascorrere degli anni prese parte a diverse Convenzioni e Patti da essa stipulate, impegnandosi sul piano internazionale a molteplici livelli; per citarne alcuni, firmò il Patto dei Diritti Economici, Sociali e Culturali e il Patto dei Diritti Civili e Politici nel 1966 e li ratificò nel 1991; nel 1966 e nel 1979, invece, firmò e ratificò la Convenzione per l'Eliminazione di ogni forma di Discriminazione Razziale, mentre firmò la Convenzione contro la Tortura nel 1986, per ratificarla poi nel 1991.
72 Amendment n. 37 of the Prevention of Infiltration Law, 1969,
Ma Israele recitò una parte ancora più importante in relazione alla Convenzione relativa allo Status dei Rifugiati, ritrovandosi coinvolto in prima persona nella questione trattata, visti i tragici eventi di cui furono tristemente protagonisti alcuni dei suoi abitanti nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
La Convenzione di Ginevra relativa allo status dei Rifugiati del 1951 venne infatti redatta proprio in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, alla luce dei traumi da essa causati, con l'intento di proteggere ogni persona che fosse perseguitata per ragioni di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica e che il proprio Stato d'origine non potesse o volesse proteggere. Fu quindi scritta prendendo come riferimento la situazione europea del dopoguerra, che aveva visto la creazione di due principali gruppi di rifugiati: quello nato dall'esperienza nazista e quello costituito da coloro che erano fuggiti dal blocco Comunista73.
Solo in un secondo momento, il Protocollo di New York del 31 gennaio 1967 eliminò le restrizioni temporali e geografiche stabilite inizialmente dall'articolo 1 della Convenzione; in questo modo, il regime, ideato per avere un'applicazione contingente, venne universalizzato, portando altresì all'inserimento dei diritti dei rifugiati nell'ambito più vasto dei diritti umani74.
Il neonato Stato di Israele, dunque, era fortemente interessato a stipulare una convenzione del genere, essendo una parte della sua popolazione, i sopravvissuti all'Olocausto, compresa fra i rifugiati del conflitto mondiale. Israele ebbe in effetti un ruolo fondamentale in questa circostanza, dal momento che i suoi funzionari parteciparono attivamente alla redazione della Convenzione, firmata poi il 1° agosto 1951 e ratificata il 1° ottobre 1954. Aderì prontamente anche al Protocollo relativo allo status dei rifugiati del 1967, ratificato da Israele il 14 agosto 196875.
È da sottolineare come la Convenzione e il relativo Protocollo non siano mai stati applicati in Israele nei confronti di rifugiati ebrei, in quanto già coperti dalla protezione che la Law of Return 73 Ben-Dor, A. e Adut, R., 2003, cit. nota 68, p.13
74 Pedrazzi, M., Il diritto di asilo nell'ordinamento internazionale agli albori del terzo millennio, in Lauso Zagato (a cura
di), Verso una disciplina comune europea del diritto d'asilo, p. 13-37, CEDAM – Padova, Casa Editrice Dott. Antonio Milani 2006, p. 15-16
75 International Conventions on Human Rights to which Israel is signatory,
http://mfa.gov.il/MFA/AboutIsrael/State/Law/Pages/International%20Conventions%20on%20Human%20Rights.aspx
conferisce a ogni immigrato ebreo76; e, in aggiunta a ciò - come visto in precedenza - , fin dalla sua
fondazione lo Stato di Israele non ha mai considerato gli immigrati ebrei “rifugiati”: coinvolti piuttosto in un processo definito “homecoming”, la loro accoglienza nel Paese non è mai stata vincolata alla presentazione di prove ed informazioni sulla propria situazione, richieste invece dall'Agenzia delle Nazioni Unite per la determinazione dello status di rifugiato77. Effettivamente, è
possibile affermare che il sistema d'asilo in Israele sia rivolto esclusivamente ai non-ebrei.
Non bisogna dimenticare, tuttavia, che sebbene esistano alcune indicazioni base, valide universalmente, relative al trattamento dei rifugiati sotto la Convenzione, sia poi compito di ogni singolo Stato sviluppare un sistema interno, volto a garantire diritti e servizi ai rifugiati che ospita; la mancanza di un meccanismo di controllo internazionale che vigili sul rispetto da parte degli Stati degli obblighi presi comporta di fatto la libertà da parte di quegli stessi Stati di adottare una personale interpretazione della Convenzione78. Come spiega la Kritzman-Amir, questo impegno
nella cura dei rifugiati è ancora piuttosto limitato in Israele, considerati la sua situazione economica, le dimensioni della popolazione, il territorio e gli altri Paesi della regione79.
Tutto questo ci porta dunque a sollevare una questione fondamentale: per quanto Israele abbia firmato e ratificato la Convenzione, impegnandosi dunque davanti alla comunità internazionale, ciò non è sufficiente a garantire effettiva protezione ai rifugiati che arrivano nel Paese, né a vedere soddisfatti i loro diritti. È infatti necessario emanare delle leggi interne che riprendano quanto stipulato con la Convenzione internazionale, così che ogni individuo possa far valere i propri diritti secondo la Convenzione presso un tribunale israeliano. Pur mancando un passaggio di questo tipo, i fatti dimostrano però come nella realtà i tribunali israeliani propendano sempre per un'interpretazione in accordo con le disposizioni della Convenzione80. La studiosa Karin Fathimath
Afeef81 suggerisce come probabilmente i pochi sforzi compiuti da Israele per inserire nel contesto
interno gli obblighi internazionali si debbano al numero piuttosto contenuto di richiedenti asilo nel 76 Kritzman-Amir, T., 2010, cit. nota 21, p.613-614
77 Shuval, J. T., 1998, cit. nota 9, p.18 78 Pedrazzi, M., 2006, cit. nota 73, p. 23 79 Kritzman-Amir, T., 2012, cit. nota 28, p.100 80 Ben-Dor, A. e Adut, R., 2003, cit. nota 68, p. 20-21
81 Karin Fathimath Afeef lavora come ricercatrice presso l'International Peace Research Institute di Oslo (PRIO); si
Paese e al limitato sviluppo della struttura istituzionale per l’analisi delle domande, nonché al fatto che l’opinione pubblica israeliana ha sempre associato il termine “rifugiato” ai profughi palestinesi82; anche in questo caso, la parola ebraica di riferimento è ,יטילפ ,טי ָּהל ה(,פ (palit, plitim), la
stessa che viene utilizzata per i rifugiati ebrei. Tale dettaglio linguistico è decisamente importante e allo stesso tempo curioso, alla luce del fatto che – come abbiamo avuto modo di vedere finora – Israele ha sempre insistito nel sottolineare una netta distinzione fra immigrati ebrei e non ebrei, tanto più fra ebrei e palestinesi; nonostante ciò, nella lingua ebraica un “rifugiato” viene denominato alla stessa maniera, che si tratti di un rifugiato ebreo, palestinese o altro ancora. Ma tornando al discorso precedente, va ricordato inoltre come la soggettività di ogni Stato parte alla Convenzione emerga anche dal fatto che la Convenzione si limita a definire chi sia un rifugiato, ma non delinea una procedura specifica per la determinazione di chi sia o meno un rifugiato, operazione che spetta invece al singolo Paese83; quella utilizzata nel caso israeliano verrà
esaminata più avanti.
Ritengo opportuno aprire qui una parentesi volta a chiarificare la posizione della Convenzione sullo Status dei Rifugiati del 1951 nei confronti dei rifugiati palestinesi.
L’articolo 1D recita:
“La presente Convenzione non è applicabile alle persone che fruiscono attualmente della protezione o dell’assistenza di un’organizzazione o di un’istituzione delle Nazioni Unite che non sia l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Se tale protezione o tale assistenza cessa per un motivo qualsiasi senza che la sorte di queste persone sia stata definitivamente regolata conformemente alle risoluzioni prese in merito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, esse fruiscono di tutti i diritti derivanti dalla presente Convenzione”84.
82 Afeef, K. F., A promised land for refugees? Asylum and migration in Israel, New issues in refugee research, Research
Paper n.183 Ginevra: UNHCR, 2009, p. 6. http://www.unhcr.org/4b2213a59.html (accesso 13/02/2014)
83 Ben-Dor, A. e Adut, R., 2003, cit. nota 68, p.32
84 Convenzione relativa allo Status dei Rifugiati, 1951, http://www.unhcr.it/cms/attach/editor/PDF/Convenzione
Delle agenzie esistenti al momento in cui la Convenzione fu stipulata, oggi ne sopravvive una sola, l’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East), la cui particolarità è quella di occuparsi esclusivamente dei profughi derivati da uno specifico conflitto, quello israelo-palestinese. Stando all’articolo appena citato, dunque, i rifugiati palestinesi che si trovano in Stati in cui opera l’UNRWA (Giordania, Libano, Siria, Territori Occupati) e da cui ricevono assistenza non sono soggetti alla protezione data ai rifugiati dalla Convenzione; d’altro canto, possono goderne invece quei rifugiati palestinesi che siano al di fuori dell’area di competenza dell’organizzazione. Ciononostante, bisogna notare come diversi Paesi non abbiano incorporato nei propri statuti interni tale principio, permettendo ugualmente ai rifugiati palestinesi che giungono nel loro territorio di presentare domanda d’asilo così come i rifugiati di qualsiasi altra nazionalità (es. Stati Uniti e Canada)85.
Nel corso degli anni si sono effettivamente susseguite diverse interpretazioni all’articolo 1D, e la questione è ancora dibattuta; sembrano non esserci tuttavia dubbi a proposito del fatto che anche ad un palestinese – qualora si presenti per lui un fondato timore di persecuzione - possa essere conferito lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951. Considerando dati risalenti al 2008, inoltre, possiamo vedere come meno del 30 % dei palestinesi che risiedono nella West Bank siano rifugiati o discendenti di rifugiati registrati all’UNRWA, mentre nella striscia di Gaza oltrepassano l’82%86.
In conclusione, si può dunque delineare una separazione fra i rifugiati palestinesi che devono la loro condizione al conflitto del 1948 e, in alcuni casi, a quello del 1967, i quali si trovano sotto la protezione dell’UNRWA, da una parte; e i rifugiati palestinesi che sono perseguitati per una delle ragioni espresse dalla Convenzione, che hanno quindi accesso alla protezione dell’UNHCR, dall’altra. Nonostante questo, Israele normalmente non considera in ogni caso le domande di asilo presentate da parte di palestinesi87; ma di tale questione ci occuperemo più avanti.
Infine, Israele è anche parte di uno speciale Comitato Esecutivo (ExComm), responsabile dell'approvazione dei programmi dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati
85 Ben-Dor, A. e Adut, R., 2003, cit. nota 68, p.28-29 86Kagan, M. e Ben-Dor, A., 2008, cit. nota 67, p.33-37
(UNHCR)88 e delle direttive riguardanti le sue attività. L'ExComm si riunisce annualmente a Ginevra
ed è formato, oltre che da Israele, da altri cinquantasei Stati membri; suo compito è quello di esprimere l'accordo internazionale sulle varie questioni, svolgendo un ruolo esplicativo e di interpretazione della Convenzione e del Protocollo nei loro aspetti meno chiari89.