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L’apporto della linguistica: la presenza autoriale nei testi tra stance e voice

2. La cassetta degli attrezzi

2.1. Enunciatori e destinatari

2.1.3. L’apporto della linguistica: la presenza autoriale nei testi tra stance e voice

Negli ultimi vent’anni, linguistica testuale e linguistica applicata si sono dedicate con

successo ad analizzare il testo come interazione autore-lettore, portando alla luce i vari modi attraverso i quali il primo traspre tra le linee del testo. I due concetti centrali in tutte queste analisi (per un riepilogo accurato, si veda Hyland e Guinda 2012) sono quelli di stance e voice: attorno a questi due termini, ruota la prospettiva che vede il testo scritto come interazione sociale, attraverso il quale autori e lettori negoziano ruoli e significati. A seconda degli interessi dei vari autori che vi si sono approcciati, questi due concetti sono stati presentati con sfumature differenti: “stance” è stato usato in modo molto ristretto per identificare i modi attraverso i quali l’autore si riferisce a sé stesso e poi, allargando il campo di applicazione, ad ogni espressione di opinioni personali. Questo concetto (Biber and Finegan, 1989; Biber, 2006; Jaffe, 2009) è stato chiamato di volta in volta, con qualche differenza, ‘evaluation’ (Hunston and Thompson, 1999), ‘intensity’ (Labov, 1984), ‘evidentiality’ (Chafe and Nichols, 1986), ‘affect’ (Ochs, 1989), ‘point of view’ (Simpson, 1993), ‘hedging’ (Hyland, 1998, 2001, 2002, 2009), ‘positioning’ (van Langenhove and Harré, 1999) and ‘appraisal’ (Martin, 2000; Martin and White, 2005). “Voice” viene usato per indicare i markers di individualità e della visibilità autoriale (Elbow 1994, Martin e White 2005, Coulthard 2008), ma io suo uso nasce da ricerche che hanno studiato le tracce dell’egemonia della cultura occidentale sulla superficie testuale (Bakhtin 1981, Kristheva 1986). La polifonia (Bakhtin 1981) di "voices" può essere considerata un controesempio rispetto all'immagine stereotipata del soggetto individuale padrone di sé e del proprio discorso che caratterizza (in un certo tipo di presentazioni critiche) la cultura occidentale moderna.

Cercherò quindi di presentare sinteticamente le principali analisi dei due concetti, lanciando anche alcune anticipazioni sull’importanza che queste hanno avuto nel mio lavoro.

Intorno al primo dei due concetti si sono concentrate le analisi degli studiosi interessati a capire come gli scrittori possano codificare i propri atteggiamenti e le proprie opinioni /valutazioni personali nei testi che producono. Due sono le principali direzioni delle analisi:

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c’è chi ha portato alla luce la natura di tali valutazioni, che possono andare dalle opinioni o sentimenti personali, fino allo status della conoscenza, e chi si è concentrato sul formulare una tipologia dei markers più utilizzati, sui livelli lessicale e grammaticale (Gray e Biber 2012). Negli anni, i riferimenti sono stati diversi: intensity (Labov 1984), posture (Grabe 1984), disjuncts (Quirk et al. 1985), hedges (Brown and Levinson 1987), modality (Palmer 1986; Bybee and Fleischman 1995) e (inter)subjectivity (White 2003; Fitzmaurice 2004; Lyons 1993).

Le due linee che io sintetizzerò qui di seguito, però, sono quelle considerate fondanti rispetto all’individuazione delle componenti della stance, che oggi vanno per la maggiore (Gray e Biber 2012; Greco 2012; Hyland 2002, 2005, 2009; Mellor 2018): evidentiality (Chafe 1986; Chafe and Nichols 1986) e affect (Ochs and Schieffelin 1989; Besnier 1990).

L’evidenzialità si riferisce, nel senso più ampio, allo status della conoscenza proposta, attraverso un enunciato, da un enunciatore (“the linguistic category whose primary meaning is source of information”, Aikhenvald 2004, p.3; Greco 2012); seguendo la letteratura, questo significato può essere puntualizzato andando a vedere meglio come l’evidenzialità possa rientrare tra le definizioni di stance. Gli indicatori evidenziali possono infatti esplicitare il grado di affidabilità della conoscenza espressa, la sua fonte (prove o ipotesi), il modo in cui questa conoscenza è stata acquisita (deduzioni da prove, induzioni da ipotesi, testimonianza, dicerie), l’appropriatezza delle risorse verbali per segnalare il significato evidenziale, anche rispetto alle aspettative autore/lettore. Sono queste, secondo Chafe (1986; Chafe and Nichols 1986), tutte le componenti che l’evidenzialità permette di discutere a proposito dell’atteggiamento dell’autore verso la conoscenza: in questo senso, verbi proposizionali di atteggiamento epistemico, avverbi modali come “forse”, “probabilmente”, formule valutative quali “secondo me”, “secondo la mia opinione”, “a mio giudizio”, forme verbali impersonali o l’uso dei generici, indicano non solamente la fonte e quindi la qualità dell’informazione, ma anche la valutazione che le dà l’autore ed il suo posizionarsi rispetto ad essa.

Rispetto alla nozione di “evidenzialità”, quella di “affect” si riferisce ai dispositivi che segnalano nel discorso e nel testo emozioni e sentimenti personali o atteggiamenti soggettivi dell’autore e non riguardano alcuna valutazione della conoscenza.

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Alla fine degli anni ’80, Biber e Finegan (1988, 1989) hanno notato che i dispositivi grammaticali analizzati e riconosciuti come indicatori di evidenzialità e affettività siano gli stessi e quindi hanno proposto di ricollocare le due entità sotto la categoria ombrello di stance, che comprendesse le manifestazioni soggettive dell’autore come il suo prendere posizione rispetto alla valutazione delle conoscenze trasmesse. Nella loro analisi, i markers di affetto possono indicare un coinvolgimento positivo (felicemente, fortunatamente) o negativo (tristemente, innaturale, imbarazzante), mentre i markers di evidenzialità indicano certezza (certamente, senza ombra di dubbio, è dimostrato) od incertezza (forse, verbi modali come potere o dovere al condizionale). Accanto all’epistemic stance ed all’ attitudinal stance, gli autori introducono una terza categoria, che chiamano “style of speaking”. Se la prima indica certezza, dubbio, precisione, tanto quanto la fonte dell’informazione od il grado di accordo dell’autore con la fonte (in accordo con, X afferma che…) e la seconda si occupa di atteggiamenti emotivi, sentimenti e di tutti i dispositivi che mostrino il coinvolgimento psicologico dell’autore verso le proprie dichiarazioni, la terza tipologia di presa di posizione dell’autore mostra il suo parere, sotto forma di commento nel testo, rispetto al contenuto dei propri enunciati (onestamente, in verità…).

Ricapitolando, gli studi più recenti sulla capacità di individuare una presa di posizione (stance) dell’autore nel testo, si concentrano su tre diverse possibili azioni degli autori/scrittori:

• Essi possono prendere e comunicare la loro posizione epistemica rispetto alla qualità dell’informazione che ci stanno dando. Lo possono fare comunicando (o meno) la fonte di questa informazione (in questo caso l’uso della prima singolare o della prima plurale, se il testo è scritto a più mani, può indicare una conoscenza di prima mano, mentre un discorso riportato va valutato guardando al tipo di verbo con il quale viene comunicato. Se, nel testo di ricerca e di divulgazione scientifica, vengono usati verbi di evidenzialità diretta come vedere, osservare, mostrare, anche se riferiti a soggetti alla terza persona, come i risultati di un esperimento o le sue evidenze, ciò che viene comunicato è che la fonte è certa. Contrariamente, verbi come inferire, suggerire, ipotizzare, supporre, comunicano un passaggio interpretativo sul quale si comunica di mantenere un certo grado di sorveglianza) ed il grado di adesione/impegno

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epistemico verso ciò che viene comunicato, anche attraverso dichiarazioni di esplicito accordo con le fonti.

• Possono altresì esplicitare il loro coinvolgimento emotivo verso ciò che stanno dicendo, comunicando contentezza/scontento verso il contenuto, tensione emotiva verso il raggiungimento di un particolare risultato atteso, scusarsi o mostrarsi imbarazzati verso certe conclusioni.

• Infine possono calcare il tratto commentando alcuni passi della loro stessa comunicazione, simulando una riflessione in diretta e coinvolgendone il lettore.

Tutte queste possibili azioni degli autori sono state notate da chi ha studiato il testo di ricerca scientifico (Baratta 2009; Hyland 1998, 2001, 2002, 2005, 2009; Jacobi 1986, 1993; Kaltemböck, Milhatsch e Schneider 2010; Markkanen e Schröder 1997;Mellor 2018), che è il genere testuale con il quale il testo di divulgazione intrattiene maggiori rapporti: come vedremo, se l’analisi del testo di ricerca può attribuire con certezza tutte queste posizioni direttamente agli autori, essendo essi anche gli autori delle ricerche o degli esperimenti, nel testo di divulgazione c’è uno sfasamento. Perlomeno quando l'autore è un giornalista e non uno scienziato direttamente impegnato nella ricerca riferita, bisogna capire bene se tali posizioni siano una scelta dell’autore dell’articolo o siano posizioni che seguono quelle degli scienziati della ricerca originale.

Hyland (1998, 2001, 2002, 2005, 2009) in particolare, si è concentrato sul funzionamento dei meccanismi di hedging (dispositivi che mitigano l’impegno epistemico verso le dichiarazioni) e di boosting (dispositivi che dichiarano un alto grado di certezza verso ciò che si sta dicendo, i.e. “certamente”, “ovviamente” …). Il quadro teorico da lui delineato in termini di mitigazione e rafforzamento comprende l’evidenzialità, letta come un posizionarsi degli autori su vari livelli di impegno verso le dichiarazioni, i dispositivi di coinvolgimento emotivo (soprattutto nelle conclusioni e nella presentazione delle proprie ricerche) e quelli di semplice presenza (presence) dell’autore, ovvero il grado con il quale l’autore si mette nel testo (da un grado più forte rappresentato dai pronomi personali alla prima persona od i possessivi, fino all’estremo opposto con le forme all’impersonale). Basando le sue ricerche su quelle della genre analysis sul testo di ricerca e su molteplici studi sui testi accademici e scientifici, l’autore è riuscito ad aprire la strada ad ampie analisi che mostrano il legame

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strettissimo tra l’imprescindibilità del mostrarsi dell’autore (non esiste un testo privo di tracce) ed i tentativi ingegnosi che si perpetuano per mascherare la presenza, cercando di coprirne le tracce (Jacobi 1986, 1993;Kaltemböck, Milhatsch e Schneider 2010; Markkanen e Schröder 1997;Mellor 2018). Vedremo nel prossimo capitolo quanto e come il testo di divulgazione erediti di questi meccanismi.

Non è altrettanto facile fare sintesi delle definizioni del concetto di voice. In generale, come ho già detto, si tende a definirlo con l’insieme dei dispositivi che mostrano l’individualità e le visibilità dell’autore all’interno di un discorso /testo: nel corso degli anni, le diverse analisi possono essere ascritte a tre approcci differenti, che rispettivamente evidenziano gli aspetti individuali del concetto, quelli sociali e quelli dialogici (Tardy 2012). Se letta sotto il profilo individuale, la voce di ogni individuo è unica e lo caratterizza e distingue da tutti gli altri e così voice diventa la categoria sotto la quale mettere tutti quei dispositivi che portano a riconoscere un autore su tutti gli altri dalle evidenze presenti nei suoi testi (Ramanathan e Atkinson 1999). In estrema sintesi, quindi, qui la “voce” di un autore è il suo timbro unico e riconoscibile, legato a concetti quali risonanza ed autenticità. Può riguardare sia aspetti inerenti lo stile sia la presa di posizione degli autori ed in generale contribuisce anche a rafforzare l’autorappresentazione di un autore all’interno del testo. Se l’aspetto individuale è qualcosa che riguarda l’autore, l’aspetto sociale della “voce” riguarda maggiormente le discipline od i gruppi sociali ai quali viene associato. Sostanzialmente, questo approccio (Ivanič e Camps, 2001) sostiene che la voce dell’autore nel testo non possa prescindere dal contesto sociale dal quale l’autore deriva, una sorta di cornice di sfondo nella quale l’autore si situa o vuole che venga situato e riconosciuto il suo lavoro. Esso ha quindi una serie di patterns tra i quali scegliere la terminologia, le frasi, le regole retoriche e persino eventuali supporti visivi con i quali accompagnare il testo. Nel testo scientifico queste regole sociali sono state ben studiate dalla genre analysis (Swales 1990) ed effettivamente forniscono indicazioni molto chiare in merito alla visibilità autoriale nel testo: il modo di porsi dell’autore nei loro confronti, mostrerà quanto esso si riconosca e voglia essere riconosciuto come “scienziato tradizionale” ed a quali norme e quanto esso aderisca. Il discorso sulla voce dell’autore non si imposta solamente guardando al genere testuale ed al gruppo sociale nel quale si trova a scrivere, ma anche andando ad analizzare come gli autori si pongano in relazione ai testi dai quali attingono informazioni (Hyland 1998, 2001, 2002, 2005, 2009;

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Tardy 2012). L’unicità e la struttura del timbro di ogni autore si segnalano anche osservando il tipo di fonti da lui accreditate, le motivazioni addotte sul perché proprio quelle e, soprattutto, non le altre: in tal senso si può tornare a parlare di stance e coinvolgimento, pensandoli come l’insieme dei modi linguistici sensibili alla comunità attraverso cui gli autori rappresentano sé stessi, le loro posizioni ed i loro lettori. L’ultimo approccio, quello dialogico (Matsuda 2001), esce dall’impasse dei primi due sottolineando il ruolo chiave che gioca il lettore nel riconoscere la voce dell’autore: ciò porta a considerare la costruzione della voce come una questione legata all’interpretazione. Quest’ultimo approccio, concludendo, unisce inevitabilmente i due precedenti e pone una nuova attenzione sull’importanza del lettore e sui modi attraverso i quali la presenza dell’autore e quella del lettore (attraverso l’interpretazione del primo da parte del secondo) interagiscono.