• Non ci sono risultati.

Homo comparativus: definizione e strategie della reputazione

1. Comunicare la scienza: questione di prospettive

1.4. Spunti da alcune ricerche di pragmatica

1.4.1. Tra sociologia e pragmatica: Origgi (2016) e la reputazione sul web

1.4.1.1. Homo comparativus: definizione e strategie della reputazione

Secondo Origgi, il nostro muoversi nel mondo consta di due “io”: la nostra identità, costituita da un insieme immagazzinato di esperienze propriocettive e la nostra reputazione, un sistema di “retroazione del sé su sé stesso” (Origgi 2016, p.3), che ci vincola all'immagine che noi pensiamo di poter realizzare negli occhi degli altri15. Questo è un punto fondamentale: la reputazione non è la semplice riflessione della nostra immagine negli occhi di chi abbiamo di fronte, ma una vera e propria rifrazione identitaria, che scompone il nostro essere visti in n immagini differenti. Non stiamo parlando della semplice opinione che gli altri possono farsi di noi, ma di ciò che noi pensiamo essere l'opinione altrui su noi stessi.

Seguendo questo ragionamento, ognuno di noi si muove nel panorama delle relazioni sociali impostando due diverse strategie: da una parte, tentiamo di manipolare l'immagine che gli altri hanno di noi, basandoci però sull'ipotesi che noi stessi ci siamo fatti di questa immagine. È una vera e propria “illusione psicologica” (Origgi 2016, p.7), un gioco cognitivo basato sul “pensare e far pensare” (Origgi 2016, p. 8). Dall'altra parte, noi mettiamo continuamente in scena noi stessi, consapevoli che ogni interazione sociale lascia, nell'altro, una traccia informativa di noi: noi ipotizziamo le aspettative che gli altri potrebbero avere e che sarebbero potenzialmente in grado di accettare di noi e moduliamo il nostro porci

15 In questi passaggi si sente la forte influenza della riflessione griceana sul significato e l’eredità del paradigma neogriceano della Relevance Theory dai quali Origgi trae spunti importanti

62

regolandolo su queste.

Origgi giudica questa strategia virtuosa, laddove ci porta ad agire in modo più appropriato aiutandoci ad introiettare i valori cui vorremmo dare esempio; viziosa, quando scade nel conformismo sociale. Inoltre (Origgi 2012, 2016), la reputazione differisce in maniera strutturale dall'Impression management teorizzato da Goffman (1971), in quanto quest'ultimo si svolge tutto sulla scena, mentre i meccanismi di reputazione agiscono anche in absentia. Questo tipo di interazioni, ho scritto sopra, sono spesso ipotizzate, immaginate e la paura di deludere, tanto vincolante nel vivere sociale, non ha che dei riferimenti immaginati.

Secondo Origgi (2016), la reputazione avrebbe un'utilità sociale: sarebbe un tratto caratteristico della nostra specie, spiegabile in termini di reciprocità indiretta, un comportamento altruistico che non sembra avere esplicite ricadute utilitaristiche. Essa può agire in due direzioni: può essere anteriore, quando un atto di cui siamo stati beneficiari ci dispone a ricambiare; posteriore, quando veniamo predisposti ad aiutare qualcuno dopo averlo visto aiutare una terza persona. Quest’ultima è la reciprocità che coinvolge la reputazione. Inoltre, la reputazione funge come valutazione normativa delle azioni degli altri, veicolando così informazione sociale utile allo sviluppo di un determinato gruppo.

Gli esseri umani non sono né essenzialmente competitivi né essenzialmente cooperativi: sono comparativi […]. Il valore […] si crea attraverso scarti qualitativi in un contesto: è il risultato per contrasto di un paragone. […] il valore è la traccia cognitiva, la generazione di opinioni che qualsiasi interazione produce e che struttura la percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri. (Origgi 2016, p.115)

Nel concludere la sua formulazione di una epistemologia della reputazione, Origgi propone una nuova prospettiva ontologica, quella dell'uomo comparativo: esso legge il mondo come un insieme di scarti, di scale di valore, attraverso i quali forgia la sua oggettività. Questa sua attitudine comparativa lo rende abile ad estrarre le informazioni dal mondo ed a metterle a confronto, creando gerarchie dalle quali scaturiscono potenti organizzatori sociali come la stima e l'onore.

Origgi (2016) mostra diversi studi che si sono occupati di queste categorie di valutazione sociale. La stima, in particolare può essere valutata in due direzioni: una comparativa (non

63

esiste una stima assoluta ma è una categoria relazionale) ed una direttiva (stimare qualcuno in positivo significa incoraggiarlo all’atteggiamento che manifesta: dunque stimare è un segnale sociale). In questo senso, dunque, stimare significa soprattutto valutare: formare una gerarchia di valori e normativizzare i comportamenti, seguendo i giudizi di valore impliciti sottostanti all'apprezzamento di determinati comportamenti rispetto ad altri.

Anche l'onore presenta più di una faccia: abbiamo un aspetto valutativo, dovuto al riconoscimento di qualcuno quale superiore a noi in una fase di competizione (deferenza), ed un onore come riconoscimento, quando a qualcuno riconosciamo il ruolo di nostro pari. L'onore, come la stima, è un concetto dialogico e relazionale: non solo si costituisce solo in un sistema di gerarchizzazione, ma è dato solo dal nostro posizionarci all'interno delle classifiche socialmente riconosciute16.

Ma cosa possiamo fare per normare epistemicamente il sistema socialmente paradigmatico della reputazione? Gli atteggiamenti evidenziati da Origgi (2008, 2010, 2012, 2016) sono due, competono sia a chi parla che a chi ascolta e possono essere ben riassunti nell'ottavo comandamento “Non dire falsa testimonianza”. Oltre al focalizzare l'attenzione mostrata dal popolo ebraico al passaggio di informazioni più che al ragionamento inferenziale (non troviamo scritto “ricordati di ragionare bene”), l'azione richiama all'obbligo per ciascuno di adoperarsi, nel momento in cui voglia elargire una nuova informazione, nel solco di una responsabilità epistemica. Nel momento in cui siamo fruitori dell'informazione, siamo vincolati ad avvicinarci a questa con una discreta dose di vigilanza epistemica, ovvero prestando attenzione alle fonti, ai contesti sociali, alle norme che li regolano, all'affidabilità dell'emittente...

Va notato che queste due azioni preventive sono, innanzitutto, il rovescio di una stessa medaglia: non ha senso e non è data l'una senza l'altra. In secondo luogo, non sono caratteristiche innate ma atteggiamenti appresi attraverso una educazione ed un severo addestramento: l'importanza di chi si occupa di conoscenza è strategica (Origgi 2016, 113-130).

16 Si può trovare strana, secondo me, questa accezione di "onore". Non in tutti i sensi di onore si tratta di una attribuzione per gradi. Per esempio, non si può perdere solo un po' di onore.

64