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CAPITOLO I APPRENDIMENTO: INQUADRAMENTO TEORICO DEL

1.9 L’ APPRENDIMENTO DEI SAPERI TACITI

Come si è potuto osservare uno degli aspetti fondanti dell’apprendimento situato è quella conoscenza che non sempre viene esplicitata ma rimane tacita e inespressa: “tutto quel patrimonio di conoscenze che la mente umana possiede e usa per guidare azioni e comportamenti, ma che non è in grado di esplicitare, oppure può esplicitare con grande sforzo, in occasioni particolari, e comunque in modo nebuloso e parziale”.136 Un concetto, quello di conoscenza tacita, che è stato chiarito soprattutto da Polanyi, sebbene già nei pensatori classici troviamo dei precisi riferimenti ad essa. Si pensi, ad esempio, all’esprit de finesse che Pascal contrappone all’esprit de gèomètrie137, dove il primo ha per oggetto l’uomo e la sua interiorità e si serve dell’intuito e del sentimento (una conoscenza che non ha bisogno di mediazioni razionali), “è la capacità di cogliere tacitamente sfumature sottili e nessi di straordinaria complessità”138, mentre il secondo è interessato solo all’esteriorità e procede attraverso dimostrazioni e ragionamenti, a partire da principi prestabiliti, che comunque non possono essere spiegati dalla sola ragione ma devono essere accettati come risultati dell’intuizione.

Per Polanyi la conoscenza tacita è il fondamento di tutte le forme di conoscenza ed essa interviene non solo nella scienza, ma in tutti gli ambiti della vita quotidiana e quasi sempre le persone non ne sono affatto consapevoli: “è la facoltà fondamentale della mente che crea la conoscenza esplicita, le dà significato e ne controlla gli usi”139, per cui sia l’apprendimento che i processi di acquisizione di senso partono proprio dalla conoscenza tacita. Affermare l’esistenza di una conoscenza tacita significa quindi sostenere che tutte le persone conoscono più di quello che sono in grado di esprimere, sanno cioè più cose di quelle che riescono ad esprimere a parole. In ogni abilità, in ogni arte del fare e del conoscere è presente tale conoscenza, “è presente un contributo tacito

136

A. Marradi, Il ruolo della conoscenza tacita nella vita quotidiana e nella scienza, in F. Lazzari, A. Merler (a cura di), op. cit., p. 321.

137

Cfr. B. Pascal, Pensieri, Mondadori, Milano, 2003.

138

A. Marradi, op. cit., p. 328.

139

M. Polanyi, Knowing and being, The University of Chicago, 1969, trad. it. Conoscere ed essere, Armando, Roma, 1988, pp. 193-194.

e appassionato della persona che conosce ciò che è conosciuto”140; la conoscenza esplicita “galleggia come una sottile zattera su un mare di conoscenza tacita, che di solito non c’è bisogno di esplicitare”.141 È una conoscenza pratica, accumulata nel corso dell’esperienza, che si esplica in tutto ciò che la persona acquisisce proprio attraverso “il fare” in tutti i suoi contesti di vita, per cui la conoscenza stessa è sempre e comunque personale. Secondo Polanyi infatti “nella natura le cose non portano l’etichetta di ‘prova’, ma diventano prove solo nei limiti in cui vengono accettate come tali da noi che siamo osservatori”.142

Nonaka, riprendendo Polanyi, si pone il problema di come trasformare la conoscenza tacita in conoscenza esplicita, socializzata, e come viceversa passare dalla conoscenza esplicita alla conoscenza tacita. La conoscenza esplicita viene espressa con un linguaggio formale ed è facilmente trasmissibile, mentre la conoscenza tacita, personale e radicata nell’esperienza di ogni persona, si costituisce di elementi

essenzialmente informali.143 Per l’autore quando si genera nuova conoscenza

inevitabilmente conoscenza esplicita e conoscenza tacita vanno ad interagire: un processo di trasformazione prettamente sociale che non dipende dalla dimensione interiore della singola persona. Più precisamente tale interazione e conversione della conoscenza avviene attraverso quattro fasi (spirale della conoscenza):144

x socializzazione: si passa da una conoscenza tacita ad un’altra tacita (è la fase in cui, all’interno di un gruppo di lavoro, le esperienze maturate individualmente, vengono socializzate, per dar vita ad un sapere condiviso. Ciò che assume rilievo è soprattutto connettere l’agire e la riflessione su ciò che si sta facendo145);

140

Id., La conoscenza personale. Verso una filosofia post-critica, trad. it di E. Riverso, Rusconi, Milano, 1990, p. 490.

141

Cfr. A. Marradi, M. Fobert Veutro, Sai dire che cos’è una sedia?Una ricerca sulle nostre capacità di

esplicitare le nostre conoscenze, Bonanno, Acireale e Roma, 2001. 142

M. Polanyi, La conoscenza personale, cit., p. 110.

143

I. Nonaka, H. Takeuchi, The knowledge company, Guerini e Associati, Milano, 1997.

144

F. Fontana, G. Lorenzoni, Il Knowledge Management, Luiss University Press, Roma, 2004, p. 15-20. Un aspetto importante nel processo di conversione della conoscenza è rappresentato dal ba, un termine giapponese che può essere tradotto come “spazio”, meglio delineato da Nonaka e Takeuchi come “spazio condiviso per delle relazioni emergenti”. Più precisamente è quello spazio caratterizzato da saperi contestualizzati acquisiti attraverso l’esperienza e/o la riflessione sulle esperienze degli altri, proprio come avviene nel rapporto di supervisione nell’ambito del tirocinio di Servizio Sociale.

145

I. Piotto, L’evoluzione delle prospettive organizzative negli studi manageriali. La conoscenza come

strumento di analisi organizzativa, in R. Albano, M. Marzano (a cura di), L’organizzazione del Servizio Sociale, Franco Angeli, Milano, 2000, p. 140.

x esteriorizzazione: si passa da una conoscenza tacita ad una esplicita (trasmettere significa tradurre la propria esperienza in categorie accessibili, cioè comprensibili agli altri);

x combinazione: si passa da una conoscenza esplicita ad un’altra esplicita (le conoscenze rese esplicite vanno coniugate con i saperi già diffusi in precedenza);

x interiorizzazione: si passa da una conoscenza esplicita ad una tacita (i membri del gruppo devono assorbire le nuove conoscenze, sperimentarle nella pratica (learning be doing) in modo da verificarne eventuali debolezze e contraddizioni. È proprio questa attività di verifica ed eventuale correzione ad alimentare una nuova spirale di conoscenza).

È opportuno segnalare che Nonaka e Takeuchi utilizzano questo modello per spiegare come l’apprendimento avviene nei contesti organizzativi, ma sembra opportuno introdurlo in questo lavoro di tesi anche in relazione al tirocinio di Servizio Sociale. Il passaggio che avviene già nella prima fase, da conoscenza tacita a conoscenza tacita, è infatti quello che si realizza tra tirocinante e supervisore, dove il primo apprende dal secondo attraverso l’osservazione, l’imitazione e la pratica, anche se determinanti sono le sessioni di supervisione in cui entrambi in qualche modo, pur non esplicitandole, condividono e socializzano tali conoscenze tacite. Conoscenze che vengono poi esplicitate proprio nella pratica, attraverso la sperimentazione attiva, soprattutto dello studente (si pensi alle tecniche di conduzione del colloquio o all’atteggiamento empatico, indispensabile per il rapporto fiduciario con l’utente, e così via). Infine, affinchè si possa veramente parlare di apprendimento significativo, sarà indispensabile che le conoscenze esplicite vengano interiorizzate, perché solo in questo modo il tirocinante potrà fare proprio quello specifico sapere. In sostanza, la conoscenza viene prodotta dagli assistenti sociali e nell’interazione con i tirocinanti viene condivisa, producendo nuova conoscenza, e diventa un importante capitale per la comunità professionale.

Le conoscenze esplicite e tacite, alla luce di quanto esposto, non costituiscono due mondi separati, ma si intrecciano dialetticamente in tutti i contesti di vita della persona, costituendo nel loro insieme la conoscenza. Allo stesso modo, quando si parla di apprendimento, così come verrà approfondito successivamente, non è possibile

considerare agli antipodi ciò che è formale, informale e non formale, che si presentano invece come delle realtà complementari.

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