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CAPITOLO I APPRENDIMENTO: INQUADRAMENTO TEORICO DEL

1.6 L’ APPRENDIMENTO RIFLESSIVO

1.6.1 Il professionista riflessivo

Schön, alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, riprese i concetti introdotti da Dewey approfondendo le modalità attraverso le quali è possibile integrare formazione teorica e pratica quotidiana. Più precisamente, partendo dall’osservazione di quest’ultima, in cui spesso non riusciamo ad esprimere ciò che sappiamo, perché il nostro conoscere è prevalentemente implicito nei modelli di azione posti in essere, arriva alla conclusione che il nostro conoscere è nell’azione stessa. Ed è qui che si inserisce quello che egli definisce agire riflessivo, un agire che, partendo dall’incertezza e da ciò che è tacito, può diventare esso stesso generatore di nuova conoscenza. L’autore, in The Reflective Practitioner, partendo da una critica alla razionalità

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Per gli assistenti sociali è determinante la sospensione dell’agire, sebbene questo richieda dei tempi e dei luoghi da dedicare alla riflessione, allontanandosi quindi da ciò che è abituale. La riflessività non è qualcosa che si può acquisire una volta per tutte; è un atteggiamento che dovrebbe essere costante. Sicora, in merito, evidenzia come “perdere un po’ di tempo per riflettere sull’uso del tempo richiede, sotto un certo aspetto, di uscire dal corso dell’azione per assumere una posizione alta da cui osservare il flusso di azioni e il modo in cui queste sono state distribuite nell’arco dei giorni, delle settimane, dei mesi”. Allo stesso modo Ferrario suggerisce ai professionisti di prevedere tempi per pensare nella settimana, nella giornata, e al termine di ogni macro attività. A. Sicora, Errore e apprendimento nelle professioni di aiuto, cit., p. 220; F. Ferrario, Le dimensioni dell’intervento sociale. Un modello unitario centrato sul compito, Carocci, Roma, 2004.

tecnica, tipica della medicina e della giurisprudenza, che conduce i professionisti a pensare in un’ottica che porta dai principi generali alla risoluzione dei problemi, evidenzia come tale modalità, considerate le trasformazioni sociali, non può essere l’unica risposta adeguata. Questa dovrebbe essere integrata da un processo in cui i problemi sono prima di tutto descritti e definiti; è necessaria una razionalità riflessiva che consenta ai professionisti di riconoscersi e ripensarsi come artefici attivi e creativi del proprio agire110, proprio in virtù delle richieste, specchio dei cambiamenti sociali, che vengono loro rivolte nei contesi di pratica. D’altra parte, tali professionisti si trovano sempre più spesso davanti a richieste portatrici di dubbi e incertezze, che non è possibile pensare di soddisfare solo attraverso saperi rigidi e procedure scientifiche. Non si può prescindere da una riflessione nell’azione, una riflessione che consenta di

“partire non dal chiederci come utilizzare meglio la conoscenza basata sulla ricerca, ma interrogarsi su ciò che è possibile apprendere da un’attenta analisi dell’abilità artistica, cioè, delle competenze attraverso le quali i professionisti di fatto interagiscono con le zone indeterminate della pratica mettendo a fuoco in che modo queste competenze possono entrare in relazione con la razionalità tecnica”.111

Il conoscere è nell’azione stessa e, in merito, Schön introduce due concetti: “la conoscenza nell’azione” e “la riflessione nell’azione”. La prima si manifesta tramite l’esecuzione di un atto ed è difficile da esprimere verbalmente; si tratta di schemi di azione che guidano in modo tacito. Questa emerge dall’osservazione dell’attività lavorativa, poiché i professionisti non sempre sono in grado di esprimere la loro conoscenza che è appunto implicita nelle loro azioni. Tuttavia, possono emergere risultati improvvisi che possono condurre il professionista a seguire due direzioni: ignorare gli imprevisti o riflettere su ciò che sta accadendo. Questa seconda alternativa può a sua volta assumere due modalità: il professionista può fermarsi e pensare (concetto base in Arendt112), separando l’azione dalla riflessione, o può riflettere nel corso dell’azione modificandola (“riflessione nell’azione”).

110

D. A. Schön, Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospettiva della formazione e

dell’apprendimento nelle professioni, Franco Angeli, Milano, 1987, p. 7. 111

Ivi, p. 12. 112

H. Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 115. Arendt afferma che “ogni pensare esige un fermati e pensa”, riassumendo quello che è il senso dell’esperienza dell’io che pensa; un’esperienza che non può essere attribuita solamente a coloro che vengono definiti come i “pensatori di professione”, ma che riguarda tutti gli uomini. La studiosa rileva la convergenza tra l’essere e l’apparire,

Schön pone l’accento sulle pratiche riflessive che consentono al professionista di esprimere valutazioni basate su conoscenze e esperienze precedenti; il fatto di interrogare continuamente la realtà, mettendola in correlazione con la teoria, conduce alla formazione di un professionista capace di apportare un cambiamento nel sistema in cui agisce. Apprendere dall’esperienza significa prendere coscienza di se stessi e del mondo, cercare il significato degli eventi e diventare professionisti riflessivi. La realtà, d’altronde, non può essere considerata indipendente dal soggetto che la esperisce: si apprende ad apprendere poiché “imparare significa imparare a pensare” come già insegnava Dewey. In questa prospettiva, il tirocinio si presenta come il setting ideale in cui gli studenti apprendono attraverso il fare: “è un mondo virtuale che si colloca nello spazio intermedio tra il mondo della pratica, il profano mondo della vita ordinaria, e il mondo specialistico del sapere accademico”.113 Quando uno studente inizia il tirocinio, infatti, si trova a dover imparare a riconoscere la pratica, ed è proprio attraverso l’esercizio della riflessività che esercita una conoscenza sull’azione esplicitando la necessità di utilizzare l’esperienza come una risorsa per una nuova conoscenza.

La riflessività assume per il professionista una rilevanza retrospettiva che consente di capire meglio il senso di alcune decisioni, di integrare razionalità e creatività, oltreché trovare la congruenza con i paradigmi teorici di riferimento. Schön afferma che

“la situazione tipica della pratica non è né argilla da modellare a piacere né un oggetto di studio indipendente, autosufficiente, dal quale il ricercatore prenda le distanze. […] Questi modella la situazione, ma in conversazione con essa, cosicché i propri modelli e apprezzamenti sono anch’essi foggiati dalla situazione”.114

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