1. Prima di entrare in tema conviene fare qualche precisazione. All’ordine del giorno delle discussioni del primo dopoguerra vi fu il progetto wilsoniano di Società delle Nazioni. A partire da questo punto si sviluppò un dibattito che giunse a toccare l’idea dell’unità futura del continente europeo. Ciò avvenne per la tendenza a stabili re un legame immediato, che per alcuni era di identificazione tout
court, tra problematica sovranazionale societaria e problematica uni taria europeistica. La spiegazione risiede probabilmente nella circo stanza storica per cui in realtà le maggiori potenze, quelle decisive ancora in quell’agitato dopoguerra, erano (o per lo meno si riteneva che fossero) in Europa. Si era ancora immersi nella cultura dell’euro centrismo, in un’epoca in cui gli imperi coloniali delle potenze euro pee si estendevano a quasi tutto il mondo. Dalla soluzione dei proble mi dell’assetto europeo si faceva dipendere in massima parte quella dei restanti paesi extraeuropei.
Una seconda avvertenza riguarda il tipo di materiali a partire dai quali è stato possibile redigere il presente contributo. Sono articoli brevi, a volte recensioni, opuscoli, prodotti minori. Non ci fu insom ma nessuno tra gli autori che saranno citati, che considerasse 1 elabo razione ideale sui temi in discussione come la sua attività
predomi-nante e che quindi vi si impegnasse in teorizzazioni di rilievo. Per tutti essa costituiva invece una parte del loro dovere di commentatori o di uomini politici, di una battaglia più complessiva nella quale oc correva prendere una posizione coerente con i loro principi, ma non reputata degna (salvo qualche eccezione) di approfondimenti ulterio ri. Tuttavia, pur nella loro modestia di ritagli, nell’insieme essi posso no offrire uno spaccato — certo non esaustivo — del tipo di recezio ne che si ebbe in Piemonte dei temi europeisti, arricchendo forse con volti nuovi la galleria degli illustri antesignani dell’unità politica ed economica del continente in cui viviamo.
2. Le idee e i fatti qui presentati si collocano tra il 1918 e il 1919. Si fa subito notare un dato che rafforza le ragioni di fondo del conve gno: esisteva allora nella cultura e nella società piemontese, e si era manifestata già nel corso della guerra mondiale giungendo a piena maturazione nel primo dopoguerra, una sensibilità, un interesse dif fuso verso le questioni relative al futuro assetto, unitario o perenne- mente conflittuale, del mondo e in particolare del continente euro peo. Durante la guerra mondiale si erano avuti spunti interessanti sulla «Riforma sociale» a proposito di due problemi importanti e sen titi: da una parte, l’interrogativo sulle cause della guerra, strettamen te connesso agli argomenti inerenti la natura del conflitto e agli sce nari di una possibile pace futura; dall’altra, le reazioni all’ipotesi di formazione di un’unione doganale tra gli imperi centrali funzionale alla Mitteleuropa pubblicizzata nell’opera di F. Naumann1. A que- st’ultima accennava Roberto Michels e sulla «Riforma sociale» la qualificava come il tentativo del Reich di rendere stabile la sua ege monia su tutta l’area economico-linguistica tedesca1 2. Ma era lo stes so direttore della rivista, Luigi Einaudi, a segnalarsi su entrambi i problemi. In una relazione tenuta nel novembre 1914 all’Accademia dei Georgofili di Firenze, intitolata Di alcuni effetti economici della
guerra europea3, Einaudi avanzava il sospetto che la causa principale
7 4 CORRADO MALANDRINO
1. F. Naumann, Mitteleuropa, Berlin, G. Reimer, 1915.
2. R. Michels, Sull’idea dell'unione doganale tra gli imperi centrali, «Riforma socia le», 1916, fase. 5-6-7, pp. 369-396. Cfr. in particolare il giudizio espresso a p. 394: «Lo Zollverein tra la Germania e l’Austria significherebbe dunque la sottomissione dell’ultima alle esigenze ed ai bisogni politici della prima».
3. L. Einaudi, Di alcuni effetti economici della guerra europea, «Riforma sociale», 1914, fase. 11-12, pp. 865-899. Sull’approccio di Einaudi all’europeismo e al federalismo
della guerra mondiale non dovesse esser tanto ricercata nella compe tizione anarchica sul terreno economico, o solo neH’imperialismo mi litaristico tedesco oppure ancora nell’irredentismo, tutte risposte (in vocate rispettivamente da socialisti marxisti, liberaldemocratici e re- pubblicani, nazionalisti) che naturalmente avevano qualcosa di vero, ma che a suo avviso non arrivavano alla radice del problema. La cau sa della guerra, pensava Einaudi, andava soprattutto vista nella divi sione europea in grandi Stati nazionali sovrani. Era questo forse an che l’ostacolo maggiore sulla via di una vera pace. Lo stesso concetto era affacciato da Einaudi nell’articolo di poco successivo Pregiudizi
sulla guerra4.
Questa divisione in potenze assolute, che sul piano dei rapporti internazionali si fronteggiavano ostilmente alla stregua degli uomini hobbesiani nello stato di natura, incominciava a divenire anacronisti ca agli occhi di coloro che percepivano la nuova realtà di un mondo,- e a maggior ragione di un’Europa, sempre più ordinati secondo inter relazioni necessarie e pacifiche, di natura economica e sociale oltre che culturale. Tale percezione veniva espressa in modi molto diversi, dipendenti dalle differenti ideologie. Non era un caso che, per esem pio, si verificassero delle convergenze tra liberaldemocratici e sociali sti italiani nel nome di Norman Angeli, l’autore di un libro, The great
illusioni, diventato celebre negli anni immediatamente precedenti la guerra. Angeli si era eretto ad alfiere del principio dell’interdipen denza economica delle nazioni sviluppate, dal quale derivava a suo dire l’insensatezza, in Europa, delle guerre di conquista. Erano, que ste, tipiche di una visione superata, dinastica, di supremazie e privile gi. L ’occupazione militare avrebbe bensì potuto comportare l’instau razione del dominio politico o l’appagamento di appetiti retrogradi, ma sarebbe stata pagato con la rovina economica dei contendenti. Sotto il profilo economico infatti l’Europa costituiva già un’organica unità sulla quale le guerre non avrebbero avuto altro effetto se non distruttivo.
La concezione di una realtà economica europea interdipendente
cfr. la ricerca d i U. Mo r e l l i, Contro il mito dello Stato sovrano. Luigi Einaudi e l ’unità eu ropea, Milano, Angeli, 1990.
4. L. Ein a u d i, Pregiudizi sulla guerra, « L ’Unità», IV, 1° gennaio 1915.
5. N. Angele, The great illusion, London, Heinemann, 1910 (trad. it. a cura di A. Cervesato, La grande illusione, Roma, ed. E. Voghera, 1913).
e tendenzialmente unitaria si era diffusa in varie élites intellettuali italiane e traspariva dalle analisi che negli stessi anni erano condotte da uomini che politicamente erano anche lontani fra loro: liberalde- mocratici variamente orientati al socialismo come Angelo Crespi, Gaetano Salvemini o lo stesso Einaudi, oppure ancora socialisti rifor misti come Treves6. Ciò che li differenziava era poi la risposta- proposta politica che ognuno di loro dava. Comunque, da una simile base analitica discendeva anche l’idea, che fece la sua apparizione nel corso della guerra, di una maggiore integrazione doganale, se non proprio fra tutti i paesi europei, quanto meno inizialmente all’interno di grandi aggregazioni statali più omogenee linguisticamente o cultu ralmente (si pensi all’area centraleuropea di lingua tedesca o all’unio ne delle nazioni latine).
3. Nel primo dopoguerra, gli ambienti dell’economia e della cul tura accademica piemontese si rivelarono un habitat particolarmente adatto per il fiorire di mentalità e disposizioni benevole verso le pro blematiche europee e sovranazionali. Vorrei qui citare degli esempi emblematici, alcuni non molto noti. Il richiamo al federalismo, appli cato tanto alla soluzione del «problema burocratico» (sotto questa formula salveminiana, con chiara allusione al federalismo risorgimen tale di matrice cattaneana e ferrariana, veniva definito il grande pro blema delle autonomie e del decentramento infranazionale), quanto ai rapporti sovranazionali, era ricorrente nelle riviste di Camillo e Adriano Olivetti, «Azione riformista» e «Tempi nuovi», portavoci di quel microcosmo vivace e fertile di iniziative industriali e civili rappresentato dal Canavese7.
Nell’Università di Torino il contatto tra problematica societaria e problematica europea fu presto istituito nei qualificati contributi di due docenti di prestigio quali il giurista Francesco Ruffini e il sociolo go del diritto Francesco Cosentini.
Ruffini accolse l’iniziativa diplomatica di Wilson, volta a fondare
6. Per una trattazione di questi temi mi si permetta, per brevità, di rinviare diffusa- mente ai primi due capitoli del mio volume: Socialismo e libertà. Autonomie, federalismo, Europa da Rosselli a Silone, Milano, Angeli, 1990, pp. 27-55.
7. Cfr. in particolare l’editoriale programmatico non firmato a titolo Uomini e cose, «Tempi nuovi», I, 1, 25 febbraio 1922. Sugli Olivetti si vedano specialmente le biografie di B. CA izzi, Camillo e Adriano Olivetti, Torino, UTET, 1962; V. Oc h e t t o, Adriano Olivetti, Milano, Mondadori, 1985. Infine, anche per un completamento bibliografico, cfr.
Ma l a n d r in o, L'autonomismo degli Olivetti negli anni '20, in: Socialismo e libertà cit., pp. 203-206.
una Società delle Nazioni, con discorsi trasudanti entusiasmo, che nel 1919 pubblicò in un volumetto autonomo intitolato II Presidente
Wilson8. Al di là degli aspetti puramente celebrativi ed emotivi, es so denuncia l’adesione a un progetto da Ruffini collocato con perfet ta sintonia sulla stessa linea ideale del pensiero europeista mazziniano — e anche questa particolare recettività esprime con quale immedia tezza nell’ottica eurocentrica dei contemporanei la questione della Società delle Nazioni finisse col fondersi con il dato dell’unità delle nazioni europee da allargare agli Stati Uniti d’America. La Società delle Nazioni era pensata da Ruffini come un involucro istituzionale a livello mondiale il cui nucleo effettivo e significativo era costituito dall’unione degli Stati nazionali europei. Essa era intesa come lo stru mento per democratizzare la vita internazionale, così come le istitu zioni liberaldemocratiche garantivano la vita associata degli individui all’interno dei singoli Stati. Per ottenere questo scopo, scriveva Ruf fini, era necessario rifarsi al modello federale offerto nella seconda Costituzione degli Stati Uniti d’America9. Tuttavia, aggiungeva, la condizione essenziale per il buon esito di quel disegno era politica. Dichiararsi a favore o contro il progetto di Wilson equivaleva a di chiararsi prò o contro il superamento delle divisioni belliche e la con troprova sarebbe stata costituita dalla sincera volontà di accettare nella Società delle Nazioni anche le potenze sconfitte, attestando co sì uno spirito di nuova fratellanza.
Insomma Ruffini introduceva un tema, quello del rapporto tra vincitori e vinti, della dignità da riconoscere ai secondi senza la pre tesa di stravincere al tavolo delle trattative, quindi del tipo di risarci menti e dei nuovi assetti strategici europei, che costituì uno dei punti cruciali delle discussioni del dopoguerra nonché, come si vedrà tra poco, delle visioni divergenti di Treves e Gobetti.
La simpatia per il programma wilsoniano in effetti coinvolse le forze politiche e intellettuali, non dichiaratamente nazionaliste o so cialiste rivoluzionarie, ma liberaldemocratiche, repubblicane, sociale- voluzioniste, che già nell’Ottocento avevano perorato la causa euro peista. La Società Lombarda per la Pace, commemorando la figura e l’opera dell’internazionalista mazziniano e premio Nobel per la pa ce Ernesto Teodoro Moneta, bandiva nel 1918 un concorso per pre
8. F . Ru f f i n i, Il Presidente Wilson, Milano, Treves, 1919. 9. Ivi, pp. 84-95.
miare l’opera migliore sull’argomento della Società delle Nazioni. A vincere, a pari merito con Sergio Panunzio, fu l’accademico torinese Francesco Cosentini con una dissertazione sulle Basi costituzionali di
una Società delle Nazioni attuabile e duratura, un’opera composta a partire dal motto «Iustitia regnorum fundamentum»10 11.
Cosentini apparteneva a quella cerchia di uomini che non solo credevano nell’idea societaria, ma cercavano di vederne una possibile influenza e applicazione nella vita professionale e sociale di tutti i giorni. Per esempio fu tra i primi a comprendere l’importanza di un riconoscimento dell’Istituto di Sociologia dell’Università di Torino da parte della nascente Società e a chiederne il patrocinio per i con gressi di sociologia che egli organizzava11. In questa schiera possia mo collocare anche il giovanissimo Gobetti, editore di «Energie no ve», il quale nel 1919 mirava a ottenere una speciale menzione della Società delle Nazioni per un’Associazione di cultura universitaria ita liana, che avrebbe dovuto aggregarsi intorno alla sua rivista12. Il fatto che l’iniziativa non giungesse poi in porto, probabilmente per il venir meno della rivista stessa, non toglie nulla all’intuizione gobet- tiana.
Ritornando per un momento alla pubblicazione di Cosentini oc corre sottolineare che questi, pur aderendo con tutto il cuore all’idea wilsoniana, in realtà cercava di delimitarne criticamente i contorni con l’individuare i presupposti di una futura organizzazione interna zionale. E, ciò facendo, introduceva implicitamente alcuni criteri po litici. In primo luogo, l’omogeneità politico-istituzionale tra gli Stati aderenti, derivante dai loro ordinamenti democratici (il che equivale va a elevare uno sbarramento verso quegli Stati che non avevano cambiato le loro istituzioni autoritarie o che ne avevano fondate altre di tipo dittatoriale); in secondo luogo, la Società delle Nazioni avreb be dovuto fondarsi sul rispetto dell’autonomia dei popoli, vale a dire sulla conservazione della loro piena sovranità nazionale. Il terzo cri
10. F. Co s e n t i n i, Le basi costituzionali di una Società delle Nazioni attuabile e dura tura, Milano-Napoli-Palermo-Roma, UTET, 1920. Si veda anche dello stesso autore: Préli minaires à la Société des Nations, Paris, Alcan, 1919.
11. E quanto risulta da una verifica presso l’Archivio storico della Società delle Na zioni (Ginevra), cfr. fase. n. 14576 intestato International Institut o f Sociology, Turin, 10 R. 1009.
12. Cfr. U. Morradi Lavriano, Vita di Piero Gobetti, con un saggio di N. Bobbio e una testimonianza di A. PASSERIN D’EntrÈves, Torino, UTET, 1984. Alle pp. 81-82 è citata una lettera di Santino Caramella a Piero Gobetti che testimonia l’episodio. Peraltro, presso l’Archivio storico della Società delle Nazioni non risulta nulla in proposito.
terio era costituito dall’applicazione del principio di autodetermina zione nazionale; infine avrebbe dovuto esser assicurato il rispetto della pari dignità tra nazioni grandi e piccole all’interno del futuro consesso. Su tali premesse, a parere di Cosentini, si sarebbe dovuta organizzare la Lega delle Nazioni. L ’espletamento dei compiti di ar bitrato nelle contese, di coordinamento delle attività economiche, so ciali e culturali, di controllo e di polizia, sarebbe stato affidato a orga ni e apparati la cui legittimazione sarebbe discesa da un mandato dei governi dei paesi associati. Secondo questa impostazione, la Lega era concepita quindi come un’alleanza universale e stabile, un patto con federale che non avrebbe limitato in linea di principio le rispettive indipendenze e sovranità nazionali, che anzi ne formavano il prere quisito e la giustificazione.
Il fatto che tali idee ricevessero un premio pare indicativo del cli ma generale da cui scaturirono e in cui si affermarono, del tipo di re cezione e della fortuna che questi temi trovarono nell’ambiente pie montese, al punto che — considerando anche le più note elaborazioni di Einaudi, Agnelli e Cabiati13 — non sembrerebbe improprio af fermare che in Piemonte si ebbero posizioni tra le più avanzate in materia.
4. I contributi di Claudio Treves e di Piero Gobetti possono esse re annoverati tra le elaborazioni critiche più riflessive non solo intor no al progetto wilsoniano, ma anche alle reazioni da esso suscitate nell’ambiente torinese.
Treves14, un socialista torinese proveniente dall’antico ceppo ra- dicaldemocratico mazziniano, direttore dal 1896 al 1898 del «Grido del popolo», si era poi trapiantato a Milano dando vita a un tenace sodalizio politico con Filippo Turati, consolidatosi anche nella condi rezione della «Critica sociale» e che sarebbe finito solo con la morte di entrambi nell’esilio parigino durante il fascismo. La figura di Clau dio Treves interessa anche per un altro motivo. Egli fu uno dei rari
13. Ju n iu s (L. Ein a u d i), II dogma della sovranità e l'idea della Società delle Nazioni, «Corriere della sera», 28 dicembre 1918, poi ristampato in: Lettere politiche di Junius, Ba ri, Laterza, 1920; G . Ag n e l l i, A . Ca b ia t i, Federazione europea o Lega delle Nazioni?, Torino, Bocca, 1918.
14. Su Treves cfr. G. Sa p e l l i, Claudio Treves, in: Il movimento operaio italiano. Di zionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, Editori Riuniti, 1975, voi.
V , pp. 105-115; A.G. Ca sa n o v a, Introduzione a C . Tr e v e s, Scritti e discorsi (1897-1933), Parma, Guanda, 1983; A. Ca s a l i, Socialismo e internazionalismo nella storia d'Italia. Clau dio Treves (1869-1933), Napoli, Guida, 1985.
dirigenti socialisti italiani a possedere formazione e cultura europea, capace di assimilare gli stimoli provenienti specie dal variegato mon do di lingua tedesca. Treves aveva soggiornato dal 1894 al 1896 a Berlino e intrapreso viaggi di autoformazione politica in altri paesi europei.
La fisionomia europea di Treves acquista particolare importanza in relazione alla materia qui trattata, sulla quale intervenne dalle co lonne della «Critica sociale».
In lui, come del resto in tutto il filone socialdemocratico riformi sta di impronta turatiana, si esprimeva un orientamento duplice in materia di rapporti internazionali. Da un lato l’ancoraggio al pacifi smo socialista, che aveva avuto le sue più alte, benché ambigue, esternazioni nei congressi anteguerra della Seconda Internazionale e che fu testimoniato, all’inizio della guerra, dal contributo dato alla buona riuscita del congresso di Zimmerwald. In una dichiarazione re sa da Treves e Modigliani a «Coenobium», la rivista pacifista, inter nazionalista e federalista di Enrico Bignami pubblicata nella vicina Svizzera, essi si facevano promotori di una Lega dei paesi neutri che, come era nelle intenzioni dello stesso segretario del Bureau Socialiste International (BSI) „ Camille Huysmans, avrebbe dovuto rappresen tare il nucleo iniziale della futura Europa13.
Oltre al riferimento pacifista, era operante nel pensiero graduali sta di Treves un richiamo federalista ed europeista che traeva la sua origine non solo dall’antica professione di fede nella parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa, fatta già dalla Prima Internazionale e mantenuta dalla Seconda, ma anche dalla particolare elaborazione prodotta dal principe dei teorici socialdemocratici, Karl Kautsky, sul- l’ultraimperialismo o dalla torsione federalista impressa dagli austro marxisti Otto Bauer e Karl Renner alla questione nazionale15 16. Oc
15. C . Tr e v e s, Neutralità, non indifferenza, e G .E. Mo d ig l i a n i, Neutralità, ma per affrettare la pace, «Coenobium», V ili, agosto 1914, pp. 40-43. Cfr. inoltre: J. Br a u n- THAL, Geschìchte der Internationale, Hannover, Dietz, 1961, voi. I, pp. 352-353; A. Ag o
s t i, Le Intemazionali operaie, Torino, Loescher, 1974, pp. 84-86. Modigliani scriveva sull’«Avanti!» del 14 maggio 1916 che «gli Stati Uniti d’Europa e il conseguente disarmo europeo saranno la realtà di domani [...] una realtà che la borghesia stessa attuerà perche è sua funzione storica di preparare tutte le condizioni preliminarmente indispensabili al trionfo del socialismo dei lavoratori»: cfr. su questo anche A. La n d u y t, Rosselli e Modi gliani: due «socialism i» a confronto, in: Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d ’Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1978, pp. 99-112.
16. Cfr. La C.S. e Rari Kautsky. A guerra scoppiata che resta da fare ai socialisti?, «C ri tica sociale», XXIV, 16-31 dicembre 1914, pp. 373-375; IlVi c e (C. Tr e v e s), L'ora
tragi-corre in proposito sottolinare come già prima della guerra la Seconda Internazionale avesse proposto la creazione di una federazione iugo slava per risolvere la questione balcanica.
E su simili basi ideologiche che uomini come Treves, Modigliani, Ugo Guido Mondolfo vedevano un legame tra causa socialista, disar mo europeo e Stati Uniti d ’Europa1'. I socialisti democratici e rifor misti accolsero perciò positivamente (ed alcuni con dichiarato entu siasmo) il wilsonismo e il conseguente dischiudersi della prospettiva unitaria europea nel primo dopoguerra. Una visione, la loro, che si potrebbe definire — con un termine entrato in uso solo nel successi vo dibattito economico e federalista degli anni trenta e quaranta — di «funzionalismo»18 socialista, cioè di delineazione di una graduale integrazione europea sul piano doganale, economico e amministrati vo, preludio di un genuino processo federativo politico. E mi pare si possa convenire sul fatto che nel lungo periodo la storia, almeno fino a oggi, sembra aver dato loro ragione.
All’indomani della guerra Treves partiva da un punto fermo: nel mondo si rendeva sempre più necessaria una democratizzazione della vita internazionale, l’abolizione dei protezionismi, la messa al bando degli sciovinismi e delle paci armate. La proposta del presidente Wil son apprestava il terreno adeguato per raggiungere tali obiettivi e per
ca, ivi, 1-15 agosto 1914, pp. 225-226. Per l’elaborazione in senso federale di Kautsky e degli austromarxisti Renner e Bauer cfr.: K. Ka u t s k y, Krieg und Frieden, «D ie Neue Zeit», XXIX/2, 1910-1911, pp. 101 segg; Id., Der Krieg, ivi, XXXII/2, 1913-1914, pp. 843-846; Id., Wirkungen des Krieges, ivi, pp. 937-948; Id., Nationalstaat, imperialistischer Staat und Staatenhund, Nürnberg, 1915 (si veda l’edizione italiana in K. Ka u t s k y, L'impe rialismo, a cura di L. Meldolesi, Bari, Laterza, 1980); M.L. Sa l v a d o r i, Kautsky e la rivo luzione socialista 1880-1938, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 167 sgg.; M. Wa l d e n b e r g, Il