Parlando di federalismo in questo contesto, intendo il federali smo europeo, cioè l’idea dell’unificazione europea da realizzarsi tra mite una federazione sul modello degli Stati Uniti d ’America o della Svizzera. Escludo quindi dalla mia analisi sia l’idea dell’unificazione europea da realizzarsi in forme confederali, cioè attraverso una qual che forma di lega fra stati sovrani, sia il federalismo inteso esclusiva- mente come strumento di decentramento dello stato italiano, le cui strutture istituzionali si sono ispirate al modello centralistico giacobino-napoleonico, sia infine l’idea dell’unificazione mondiale che non individui nella federazione europea una tappa essenziale. Sulla base di questi criteri di delimitazione si può affermare che nel periodo qui considerato in Piemonte ci sono soltanto tre personalità di statura internazionale, vale a dire Luigi Einaudi, Giovanni Agnelli e Attilio Cabiati1. Fatta questa precisazione, il confronto che qui intendo fare fra il federalismo in Piemonte e il federalismo interna zionale si articolerà in due parti. Dapprima metterò in luce quelli che mio avviso sono gli aspetti più significativi della corrente del
federali-1. I testi di Einaudi qui considerati, e da cui sono tratte le citazioni, sono raccolti in: La guerra e l'unità europea, a cura di G. Vigo, Bologna, Il Mulino, 1986. Il libro di
Ag n e l l i e Ca b ia t i, Federazione europea o Lega delle Nazioni?, è stato pubblicato per la prima volta nel 1918 a Torino da Bocca e ripubblicato in stampa anastatica da E .T .L., To rino, 1979, con una prefazione di Giovanni Agnelli (il nipote del fondatore della FIAT) e un’introduzione di Sergio Pistone. Da questa edizione sono tratte le citazioni.
smo internazionale alla quale si sono riallacciati e dalla quale sono stati prevalentemente influenzati Einaudi, Agnelli e Cabiati; dopodi ché cercherò di chiarire i contributi più originali forniti da questi au tori nel periodo della I guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra.
La corrente del federalismo internazionale a cui i federalisti pie montesi si ricollegano in modo non solo prevalente ma tendenzial mente esclusivo è certamente il federalismo britannico. Ciò emerge nitidamente dall’elenco delle opere consultate riportate nel libro di Agnelli e Cabiati e dalle citazioni contenute nel testo. Oltre ai testi di Woodrow Wilson e di Edward Grey relativi alla Società delle Na zioni, vengono ricordati, fra gli altri, John Stuart Mill, Lord Acton, John Robert Seeley, Henry Sidgwick, H.A.L. Fisher, James Bryce, Lionel Curtis, H .G. Wells, cioè gli autori che hanno fornito i contri buti più significativi al pensiero federalistico britannico fino alla I guerra mondiale2. E vengono altresì citate quattro personalità tede sche, Friedrich Naumann, Heinrich von Treitschke, Bismarck e von Bulow, sottolineando l’apprezzamento per alcuni dei fondamentali insegnamenti di carattere teorico del pensiero politico realistico tede sco del periodo fra l’unificazione nazionale e la I guerra mondiale, ma segnalando nello stesso tempo il rifiuto dell’orientamento valuta tivo autoritario, nazionalistico ed imperialistico che caratterizza que sto filone culturale3. Per quanto riguarda Einaudi, più volte fa rife rimento nei suoi scritti a Seeley e Curtis e ad altri due importanti esponenti del federalismo britannico, cioè George L. Beer e William T. Stead4. Inoltre da alcune sue citazioni di Treitschke emerge un atteggiamento, nei confronti del pensiero politico realistico tedesco, analogo a quello di Agnelli e Cabiati.
2. Sul federalismo britannico e sul suo rapporto con il federalismo italiano cfr. J. Pinder, II federalismo in Gran Bretagna e in Italia: i radicali e la tradizione liberale inglese, «Il Federalista», X X X I, 1989, n. 2 e Id., L ’idea federale e la tradizione liberale inglese, ivi, X X X II, 1990, n. 1. Cfr. inoltre C. Malandrino, Socialismo e libertà. Autonomia, federa lismo, Europa da Rosselli a Silone, Milano, F. Angeli, 1990.
3. Cfr. S. Pistone, Le critiche di Einaudi e Agnelli e Cabiati alla Società delle Nazioni nel 1918, in: L ’idea dell'unificazione europea dalla prima alla seconda guerra mondiale, a cura di S. Pistone, (con scritti di Arduino Agnelli, Norberto Bobbio, Dino Cofrancesco, Lucio Levi, Walter Lipgens, Renato Monteleone, Sergio Pistone, Francesco Rossolillo), Torino, Fondazione Luigi Einaudi, 1975. In generale sul rapporto fra il pensiero federalistico e la tradizione di pensiero fondata sulla dottrina della ragion di stato (di cui il pensiero politico realistico tedesco, detto anche «dottrina tedesca dello stato potenza» costituisce una delle più importanti espressioni), cfr. S. Pistone, F. Meinecke e la crisi dello stato nazionale te desco, Torino, Giappichelli, 1969 e Polìtica di potenza e imperialismo. L ’analisi dell’imperialismo alla luce ¿Iella dottrina della ragion di stato, a cura di S. Pistone, Milano, F. Angeli, 1973.
4. Cfr. U. Morelli, Contro il mito dello stato sovrano. Luigi Einaudi e l ’unità euro pea, Milano, F. Angeli, 1990.
Chiarito questo rapporto tendenzialmente esclusivo fra federali smo britannico e federalismo piemontese, che in fondo non fa che confermare una tradizione (emersa a partire dal Risorgimento e che ha avuto tra i suoi più prestigiosi esponenti lo stesso Cavour) di rap porti privilegiati fra la cultura politica piemontese e quella britanni ca, ritengo necessario ancora sottolineare che nel periodo che va dagli ultimi decenni del secolo scorso fino alla I guerra mondiale il pensiero federalistico britannico è fuor di dubbio quello teoricamente più avanzato nel panorama del federalismo internazionale. Il perché è ab bastanza chiaro. Non solo il pensiero politico britannico di orienta mento federalista ha potuto, per ragioni linguistiche e di comunanza culturale, conoscere assai più a fondo rispetto alle altre correnti del pensiero federalistico l’opera che, commentando sistematicamente la costituzione federale americana elaborata dalla Convenzione di Fila delfia nel 1787, ha posto le fondamenta e le colonne portanti della dottrina dello stato federale, e cioè The Federatisi: di Hamilton, Jay e Madison5. Soprattutto ha avuto l’opportunità di cimentarsi nel l’applicazione pratica degli insegnamenti del Federatisi sia attraverso i tentativi non riusciti di trasformare in senso federale i rapporti fra Gran Bretagna e Irlanda, la struttura complessiva dell’Impero britan nico e quella particolare del Sudafrica, sia attraverso la creazione di costituzioni di carattere federale in Australia e in Canada, prima del la I guerra mondiale, e in India, dopo la II guerra mondiale6. Nel quadro di questo filone federalista il Seeley è l’autore che ha fornito i contributi di maggior valore teorico e che ha perciò esercitato l’in fluenza più significativa sulle analisi dei federalisti piemontesi. Pertanto è su quest’autore che concentrerò la mia attenzione per dare una rapida idea del valore dei contributi forniti dal federalismo britannico e per poter quindi fare un confronto con i contributi dei nostri autori.
La fama dello storico inglese Seeley, nato nel 1834 e morto nel 1895, è legata soprattutto al libro L ’espansione dell’Inghilterra, che rappresenta una pietra miliare nella storiografia sul sistema europeo degli stati, che annovera fra i suoi più importanti esponenti Ranke, Meinecke, Fueter, Dehio7, e che ha avuto la sua più recente espres
5. La più recente riedizione italiana de II Federalista, a cura di M. D Addio e G. Ne gri, risale al 1980 ad opera de II Mulino.
6. Cfr. The federai idea, ed. by A. Bosco, voi. I, The history o f Federalisti! from thè Enlightement to 1945, London-New York, Lothian Foundation Press, 1991, e «Annals of thè Lothian Foundation», voi. I, 1991.
7. Cfr. L.V. Majocchi, John Robert Seeley, «Il Federalista», XX XI, 1989, n. 2, e S. Pistone, Ludwig Dehio, Napoli, Guida, 1977.
sione di alto livello nel libro di Paul Kennedy, Ascesa e declino delle
grandi potenze8. Oltre a L ’espansione dell’Inghilterra, che apparve nel 1883, fu tradotto in italiano per la prima volta nel 1897 e ripubblica to nel 1928 dalla Laterza proprio in seguito a una segnalazione di Ei naudi a Croce9, Seeley scrisse numerosi altri lavori fra cui va ricor dato in particolare un libro dedicato a Stein e al primo liberalismo tedesco. Ma il suo contributo più importante al pensiero federalistico è contenuto in una conferenza sul tema «G li Stati Uniti d ’Europa», tenuta nel 1871 ai membri della Peace Society, che costituisce a mio avviso uno dei più lucidi testi della letteratura federalista da Hamil ton in poi10 11. Basandomi su questo testo (che non mi risulta sia stato letto dai federalisti piemontesi11), su L ’espansione dell’Inghilterra e su altri scritti di Seeley (che invece sono stati sicuramente letti dai federalisti piemontesi, e che approfondiscono ed ampliano la visione storica contenuta nel testo del 1871, anche se non giungono alle stes se chiare conclusioni federaliste), cercherò ora di riassumere in quat tro punti fondamentali il contributo dello storico inglese al pensiero federalistico.
Il primo punto è la ripresa del discorso kantiano sulla pace perpe tua, sulla necessità cioè di eliminare strutturalmente la guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali, di superare, in altre parole, l’anarchia internazionale. Con un percorso logico analo go a quello di K ant12, Seeley parte della ricezione dei fondamentali insegnamenti di carattere teorico contenuti nella tradizione di pen siero fondata sulla dottrina della ragion di stato, la quale nella sua epoca aveva la sua espressione più solida e rigorosa nello storicismo tedesco e in particolare nella dottrina tedesca dello stato potenza fon data soprattutto sugli apporti di Hegel, Ranke e Treitschke. Seeley accoglie dunque la tesi di fondo secondo cui le guerre hanno la loro causa strutturale nell’anarchia internazionale, derivante dalla sovra nità assoluta degli stati, e non nell’esistenza di regimi autoritari al l’interno degli stati, come sostiene la teoria del primato della politica
8. La traduzione italiana, con una presentazione di Gian Giacomo Migone, è stata pubblicata da Garzanti, Milano, 1989.
9. Cfr. U. Morelli cit., p. 26.
10. Questo testo, pubblicato da «Macmillan Magazine», voi. 23, marzo 1871, è stato tradotto in italiano da L.V. Majocchi e pubblicato in «Il Federalista», X X X I, 1989, n. 2.
11. D ’altronde nella stessa Gran Bretagna questo testo cadde nel dimenticatoio e l’at tenzione su di esso è stata riportata solo recentemente da John Pinder, in: L'idea federale e la tradizione liberale inglese cit.
12. Cfr. I. Kant, La pace, la ragione e la storia, antologia a cura di Mario Albertini, Bologna, Il Mulino, 1985.
interna propria dell’internazionalismo, o nell’aggressività individuale (che deve essere superata con strumenti essenzialmente educativi), come sostiene il pacifismo più ingenuo13. E fornisce un contributo di particolare forza chiarificatrice alla teoria rankiana del primato della politica estera su quella interna, e alla connessa distinzione fra stati di tipo continentale e stati di tipo insulare, giungendo ad affer mare che «la libertà interna di uno stato è inversamente proporziona le alla pressione esercitata sui suoi confini»14.
Ciò che lo allontana radicalmente dalla dottrina tedesca dello sta to potenza è, oltre al suo orientamento liberaidemocratico, il rifiuto della convinzione (che si riallaccia alla tesi della positività del negati vo propria della concezione dialettica hegeliana) secondo cui la guerra è uno strumento insostituibile di progresso. Se questa tesi è stata al meno in parte corrispondente alla verità nel passato, è diventata or mai del tutto insostenibile sia a causa del carattere sempre più di- struttutivo della guerra moderna, sia perché il principio nazionale è destinato ad acutizzare la conflittualità internazionale. «Le guerre», osserva Seeley, «appaiono sempre più spaventose e più gigantesche; più vittorie riporta il principio di nazionalità e più rapidamente sem bra approssimarsi un periodo in cui baldanzosi stati fondati sulla le gittimità popolare si faranno guerra l’un l’altro con irriducibile furia di odio nazionalista»15. In effetti, «mezzo secolo fa si sarebbe potu to pensare che la guerra fosse solamente il gioco colpevole di re e di aristocrazie, e che l’instaurazione di regimi fondati sulla sovranità popolare l’avrebbe fatta scomparire, ma credo che abbiamo visto ab bastanza per convincerci che i popoli possono litigare quanto i re; che praticamente nessuna delle cause di guerra che dispiegò i suoi effetti nell’Europa monarchica cesserà di dispiegarli nella futura Europa dei popoli; e che le guerre dei popoli avranno dimensioni ben più gigan tesche, e spargeranno più sangue e sofferenze di quanto non abbiano
13. Per un confronto fra la teoria delle relazioni internazionali fondata sul concetto di primato della politica estera (che individua nella struttura anarchica delle relazioni inter nazionali la causa ultima delle guerre e mette in luce l’influenza in senso autoritario e cen- tralistico che le esigenze della sicurezza esterna esercitano oggettivamente sull’evoluzione interna degli stati, specialmente se hanno una posizione geografica strategicamente svan taggiosa, cioè importanti confini terrestri da difendere) e la teoria delle relazioni interna zionali fondata sul concetto di primato della politica interna, cfr. S. Pistone, Ragion di stato, relazioni intemazionali, imperialismo, Torino, Celid, 1984 e L. Levi, Che cos’è l ’in ternazionalismo, «Il Federalista», X X XIII, 1991, n. 3. Cfr. inoltre K.N. Waltz, Teoria della politica intemazionale, Bologna, Il Mulino, 1987.
14. Cfr. J.R. Seeley, Introduction to politicai Science,London, Macmillan, 1902. 15. Cfr. Gli Stati Uniti d ’Europa cit., p. 192.
mai fatto le guerre dei re » 16. E la capacità di cogliere la direzione del corso storico alla luce degli insegnamenti del passato lo porta fino a prevedere le conseguenze spaventose di un tentativo egemonico te desco: «L a storia degli ultimi due secoli mostra che la forza combina ta di tutti gli stati europei non è sempre maggiore di uno solo di essi. Luigi XIV e Napoleone furono piegati solo con enorme difficoltà ed oggi cominciamo a dubitare che l’Europa sarebbe effettivamente in grado di resistere ad una Germania unita, se la Germania dovesse av viarsi sulla via dell’ambizione egemonica»17. Dunque se all’epoca di Kant l’eliminazione della guerra era una esigenza della ragione, oggi è diventata la condizione indispensabile perché l’umanità possa pro seguire lungo la strada del progresso.
Il secondo punto è la chiara visione del federalismo come struttu ra costituzionale in grado di eliminare radicalmente la guerra come strumento per risolvere i conflitti internazionali, e nello stesso tempo di conciliare l’esigenza di un forte governo soprannazionale fornito del monopolio della forza e, quindi, in grado di garantire la pace con l’esigenza di ampie autonomie nazionali indispensabili per evitare i pericoli per il regime liberaldemocratico connessi con il centralismo. Poiché Seeley vede la causa strutturale della guerra nell’anarchia in ternazionale, ritiene che quest’ultima possa essere eliminata allo stes so modo in cui è stato possibile eliminare l’anarchia nei rapporti fra gli individui attraverso la creazione dello stato moderno fornito del potere di garantire il mantenimento dell’ordine pubblico interno. Anche in questo caso si ispira agli insegnamenti kantiani, ma nello stesso tempo li supera nella misura in cui individua nella costituzione federale americana il modello da seguire. Kant in effetti afferma chiaramente la necessità della federazione come strumento per garan tire la pace internazionale e quindi il pieno sviluppo della costituzio ne repubblicana, il quale viene ostacolato dall’anarchia internaziona le che costringe ogni stato a privilegiare gli strumenti necessari per la sicurezza esterna rispetto a quelli necessari per la libertà interna. Ma, poiché non ha una chiara conoscenza del modello federale realiz zato dalla Convenzione di Filadelfia, teme che uno stato federale mondiale fornito del monopolio della forza equivalga di fatto a un impero mondiale con un potere dispotico e quindi incompatibile con la libertà repubblicana. Perciò quando parla di federazione ha in
16. Ivi, pp. 178-179. 17. Ivi, p. 188.
mente in realtà una confederazione. Questa incongruenza del pensie ro kantiano18 viene per contro superata da Seeley, proprio perché ha letto attentamente il Federatisi, e sa quindi che lo stato federale, tramite la divisione della sovranità fra il governo federale e i governi degli stati membri, è in grado di conciliare una statualità di dimensio ni continentali e, tendenzialmente, mondiali (e quindi in grado di ga rantire l’ordine pacifico a tale livello) con le autonome statualità di dimensioni inferiori nell’ambito delle quali può fiorire il regime libe- r aidemocratico.
Il terzo punto riguarda la federazione europea che deve avere co me modello la costituzione federale americana e che è intesa come l’indispensabile tappa intermedia per giungere al traguardo della uni ficazione mondiale. In un’epoca in cui il tema della unificazione eu ropea incominciava ad essere affrontato non solo da isolati utopisti, il contributo più importante di Seeley a questo dibattito consiste pre cisamente nel chiarimento dell’attualità storica della necessità di su perare l’anarchia europea per avviare concretamente il processo verso il superamento dell’anarchia internazionale a livello globale. Attuali tà storica dell’unificazione europea significa per lui in sostanza che essa non corrisponde più a una semplice petizione di principio, bensì costituisce l’unica risposta efficace a una sfida di dimensioni storiche, ma avente già chiare e concrete implicazioni politiche, e cioè alla inci piente decadenza degli stati nazionali europei. Seeley mette in luce come l’evoluzione del modo di produzione industriale apra la strada alla produzione di massa e quindi richieda mercati sempre più ampi, i quali possono essere organizzati efficacemente solo da un potere statale. Ne deriva che solo gli stati di dimensioni continentali sono in grado di organizzare mercati di dimensioni adeguate al livello rag giunto dalla produzione industriale, e che perciò gli stati nazionali europei, pur essendo per il momento i più potenti stati della terra, sono ormai storicamente superati. Seeley formula in effetti nel 1878 la previsione che nel giro di mezzo secolo «la Russia e gli Stati Uniti supereranno in potenza quelli che ora chiamiamo grandi stati, come i grandi stati territoriali del secolo XVI superarono Firenze»19. Una previsione analoga era già stata fatta nel 1835 da Tocqueville nella conclusione del suo De la démocratie en Amérique, ma non era accom
18. Cfr. in proposito M. Albertini, Introduzione a: I. Kant, La pace, la ragione e la storia cit.
pagnata da una altrettanto chiara comprensione della decadenza degli stati europei e soprattutto dalla conclusione che Seeley ne trae: la ne cessità dell’unificazione federale del continente proprio al fine di su perare le dimensioni degli stati nazionali europei ormai inadeguati al le esigenze poste dal progresso storico.
L ’idea della federazione europea come risposta al problema della crisi storica degli stati nazionali europei e all’emergere delle potenze di dimensioni continentali non significa per Seeley — occorre ora sottolineare — un rifiuto dei nazionalismi particolari degli stati euro pei solo per aderire a un nazionalismo su scala europea, che trasferi sca cioè dal quadro europeo a quello mondiale la lotta per la potenza e il predominio. Che nella sua visione la federazione europea sia non fine a se stessa bensì una tappa in direzione della pace universale emerge chiaramente, oltre che dal discorso sulla necessità di elimina re in modo radicale la guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali, dall’affermazione che la federazione eu ropea sorgerebbe «come un tempio maestoso dalla tomba della guer ra»20. D ’altra parte le stesse indicazioni di Seeley circa le ragioni della decadenza incipiente degli stati nazionali europei che dimostra no l’attualità storica dell’unificazione europea implicano logicamente che questa non può essere intesa che come un momento del progresso verso l’unificazione mondiale. Se l’estensione dell’interdipendenza delle attività umane prodotta dall’evoluzione del modo di produzione industriale è destinata secondo Seeley a rendere storicamente obsole te le dimensioni statali nazionali, è evidente che gli ulteriori progressi del sistema produttivo, delle tecniche, delle conoscenze, dei traffici faranno progredire l’interdipendenza fino a un punto tale da rendere obsoleti gli stessi stati di dimensioni continentali e da rendere perciò attuale il problema dell’unificazione mondiale.
Il quarto ed ultimo punto coincide con alcune indicazioni di ca rattere molto generale, ma comunque di valore straordinario, data l’epoca in cui furono fatte, relative alla lotta per la federazione euro pea. «Poiché ho chiarito che la Federazione che noi vogliamo — dice Seeley — non è semplicemente un accordo fra governi, ma una vera unione di popoli, sono convinto che essa non sarà mai raggiungibile con mezzi puramente diplomatici, o attraverso la mera azione dei go verni, ma solo grazie ad un generale movimento popolare»21. E que
20. Cfr. Gli Stati Uniti d ’Europa cit., p. 194. 21. Ivi, p. 191.
sto movimento, da «creare in ciascuno stato europeo» dovrà diventa re «sufficientemente forte da imporre il proprio progetto a governi che in molti casi per interesse gli sarebbero ostili » 22. Si tratta di un