Federazione europea o Lega delle nazioni? Questo il titolo del sag gio che a firma di Giovanni Agnelli e Attilio Cabiati comparve nel 1918, per i tipi dell’editore Bocca e che verrà successivamente tra dotto in Francia da Giard e Brière, la casa editrice parigina di alcune opere di Croce1.
Al tempo in cui Agnelli e Cabiati concepirono la loro proposta, l’Europa era nel pieno della Grande Guerra e quando venne alla luce il loro scritto, nell’agosto 1918, il conflitto era ancora in corso e non sembrava che le ostilità dovessero finire di lì a qualche mese.
Occorreva dunque una robusta dose di fiducia e di speranza nel futuro per giungere a formulare il progetto di un nuovo assetto euro peo su base sovranazionale e comunitaria. Ma le convinzioni espresse da Agnelli e Cabiati non erano frutto di astratto utopismo, quanto piuttosto di preveggente realismo, di salda lungimiranza. Giacché
1. Il saggio di Cabiati e Agnelli si compone, oltre che di un’introduzione dal titolo Il compito della democrazia, di tre capitoli (La formazione dell’idea nazionale in Europa come concetto di transazione-, I pericoli e i danni del principio di nazionalità-, La nuova Europa) e si sviluppa per 126 pagine. Tra le fonti culturali di questo libro ha grande rilievo la lettera tura inglese contemporanea, e in particolare quella favorevole alla trasformazione dell’Im- pero inglese in una vera e propria federazione sul modello nordamericano (da R. Seeley a L. Curtis). Si veda S. PISTONE, Le critiche di Einaudi e di Agnelli e Cabiati alla Società delle Nazioni nel 1918, in: L ’idea dell’unificazione europea dalla prima alla seconda guerra mondiale, a cura di S. Pistone, Torino, 1975.
muovevano dalla previsione (poi dimostratasi purtroppo fondata) che, se non si fosse posto fine al principio della sovranità assoluta de gli Stati nazionali e alle loro ambizioni di prestigio e di potenza, si sarebbe ripetuta inevitabilmente la tragedia di una guerra ancor più terribile e immane.
Non mi è riuscito di ricostruire le circostanze che portarono al so dalizio fra i due autori, un capitano d ’industria come Agnelli e un economista come Cabiati, due personaggi diversissimi per tempera mento, per interessi professionali, per orientamenti politici: il primo, uomo d ’azione e di comando per eccellenza, esponente autorevole del capitalismo italiano e liberale grande borghese; il secondo, cattedrati co e uomo di studi, simpatizzante per la causa dei lavoratori e del mo vimento socialista sia pur nell’osservanza del più rigoroso pragmati smo riformista2.
Quel che si può dire è che era stato proprio un uomo eminente mente pratico come Agnelli ad avanzare, sul finire del 1916, « l’idea ardita e nuova» di un’Europa federale (come si legge nella prefazione del loro scritto), e lui a corredarla poi di dati e riferimenti che vales sero a superare l’iniziale scetticismo del suo interlocutore. Preceden do un’idea, che assai più tardi doveva venire svolta da Lord Lan- sdowne sul «Daily telegraph», Agnelli — sta scritto nelle note intro duttive del saggio — «sosteneva che, non meno della vittoria sul prussianesimo, era nostro debito d’onore verso le generazioni ventu re conquistare la sicurezza, dar loro la garanzia che un così immane sperpero di uomini e di beni non si sarebbe rinnovato. E allora, con un processo di selezione, veniva a dedurre che, scartate tutte le possi bili soluzioni intermedie, la via maestra di realizzazione unica e diret ta era quella che sbocca ad una Europa federale»3.
C ’è una sorta di filo conduttore che percorre un po’tutto il saggio di Agnelli e Cabiati. Ed è l’equazione fra quello che i due autori chia mavano «lo spirito prussiano» e il virus del nazionalismo, di un na zionalismo autoritario e aggressivo, la cui giustificazione ideologica veniva individuata nella dottrina di Treitschke dello Stato-potenza
2. Per l’inquadramento del contesto politico che fece da sfondo all’emergere dell’o rientamento federalista del fondatore della Fiat, cfr. V. CASTRONOVO, Giovanni Agnelli, Torino, 1971, pp. 132-135, 159-162; quanto a Cabiati, si veda E. Gallidella Loggia, Attilio Cabiati, in: Dizionario biografico degli Italiani, voi. X II, Roma, 1981, pp. 696-699.
(MachtstaatsgedankeY. Di qui essi deducevano «la necessità assoluta per l’Intesa di una vittoria risolutiva sulla Mitteleuropa», considerata come l’espressione più tangibile ed emblematica di Stato-potenza, di un super-stato imperialista. Vittoria che, tuttavia, non sarebbe stata di per sé sufficiente a rimuovere le cause che avevano provocato la guerra e a scongiurare il pericolo di una nuova conflagrazione, se — aggiungevano i due autori — alla vittoria sugli Imperi Centrali non avesse fatto seguito una profonda e più generale revisione di mentali tà e di atteggiamenti. Il «prussianesimo — essi scrivevano — non è soltanto in Prussia: è presso ognuno di noi: è il vero, il grande nemico che dobbiamo definitivamente liquidare»4 5.
Secondo Agnelli e Cabiati, infatti, «sarebbe inutile lottare, spar gere mari di sangue, distruzioni, dolori infiniti per la riconquista del la libertà, ove poi, a vittoria raggiunta, lasciassimo l’edificio incom piuto e dessimo di nuovo libero il passo alle forze della reazione»6. Per «spirito prussiano», Agnelli e Cabiati intendevano perciò non soltanto il sopravvento nei rapporti internazionali di una concezione e di una prassi politica basate sulla prevaricazione, sul sospetto e sulla gelosia, sulla smania di sopraffazione, sull’imperialismo. Per «spirito prussiano» essi intendevano anche ciò che vi stava dietro e lo sorreg geva e lo alimentava: uno spirito di casta e un sistema di potere oli garchico, il connubio fra militarismo e nazionalismo, la subordinazio ne della scienza e dell’economia a logiche e miraggi di potenza.
Che la democrazia politica, l’avvento e il rafforzamento in Euro pa delle istituzioni democratiche, fosse condizione essenziale per scongiurare il rischio di una nuova guerra, e per assicurare alle gene razioni future un avvenire di stabilità e sicurezza, era cosa di cui Agnelli e Cabiati erano assolutamente convinti. Stava perciò, in pri mo luogo, ai paesi democratici dell’Occidente — era questo il loro appello — dare il buon esempio, impegnandosi, di conseguenza, per una «soluzione giusta e definitiva» dei problemi del dopoguerra. «Questo è un periodo di prova per la democrazia — ammonivano i due autori —. E la prima volta che i paesi dalle grandi tradizioni de mocratiche si trovano posti collettivamente di faccia alle loro respon
4. Il testo di Treitschke citato da Agnelli e Cabiati è Politik. Vorlesungen gehalten an der Universität zu Berlin, a cura di M. Cornicelius, Berlino, 1897 (trad. it.: ha Politica, Bari, 1918). Per un’analisi della dottrina tedesca dello Stato-potenza si veda F .Meinecke, Die Idee der Staatsräson in der neueren Geschichte, München, 1924 (trad. it.: L idea della ragion di Stato nella storia moderna, Firenze, 19702).
5. Agnelli-Cabiati cit., p. 122. 6. Ibidem.
sabilità. Dal modo con cui queste responsabilità verranno intese e ri solte, dipende l’avvenire del principio della democrazia nel mondo»7.
Per Agnelli e Cabiati, dunque, la vittoria sugli Imperi Centrali avrebbe dovuto essere soltanto un primo passo: quello necessario per «ricostituire gli Stati secondo la nazionalità»8, per dirla con le loro parole. Su queste nuove fondamenta si sarebbe dovuto poi costruire un nuovo edificio, quello dell’Europa unita. Il che significava, per i due autori, la «federazione degli Stati europei sotto un potere centra le che li regga e li governi»9.
Naturalmente Agnelli e Cabiati non si nascondevano le difficoltà di un progetto del genere. E avevano ben presente fino a che punto fosse cresciuto tra le fiamme della guerra lo spirito nazionalistico, quali profonde radici avessero messo l’odio e il fanatismo nella co scienza individuale e collettiva. Né ignoravano gli «egoismi naziona li» e la sete di conquiste che già emergevano presso i governi dell’In tesa. Essi temevano anzi che l’Intesa, «inebriandosi [della vittoria], si lanciasse con miope veduta ad imitare la Germania» e perciò «a ripartirsi la preda». Nel qual caso si sarebbe determinato uno sposta mento dell’egemonia dall’Europa centrale verso quella nord- occidentale, con il risultato che «vedremmo lo scatenarsi dell’orgo glio nazionalista presso altre nazioni e il maturarsi dello spirito della
revanche in Germania: in altre parole, nulla si sarebbe fatto per l’u manità, per la democrazia, per la libertà»10.
Ma non tutti i giochi erano ancora fatti e c’era da considerare l’atteggiamento degli Stati Uniti, l’impegno assunto dal presidente Wilson per una pace che esaudisse le aspirazioni di nazionalità e che nello stesso tempo ponesse le basi per nuove forme di cooperazione internazionale.
Del programma di Wilson, Agnelli e Cabiati apprezzavano l’ispi razione ideale, la fede da lui professata nello sviluppo della democra zia e di pacifiche relazioni fra le nazioni. D ’altra parte, nel discorso presidenziale del 1916, Wilson aveva collegato la prospettiva di una pace duratura a quella di un’Europa federale. E, quando gli Stati Uniti erano scesi in guerra a fianco dell’Intesa, aveva tenuto a pre
7. Ivi, p. 1. 8. Ivi, p. 122. 9. Ivi, p. 64. 10. Ivi, pp. 121-122.
sentare l’intervento americano come una crociata per la democrazia e la giustizia fra i popoli.
Che anche le altre potenze dell’Intesa dovessero condividere e far propri i principi dell’autodecisione dei popoli e della collaborazione fra gli Stati nazionali, era considerato da Agnelli e Cabiati una pre messa fondamentale per un’equa ed efficace soluzione dei problemi del dopoguerra: così come l’abolizione della diplomazia segreta, lo smantellamento degli arsenali militari, la sistemazione delle rivendi cazioni coloniali, l’eliminazione di tutte le barriere economiche, l’as soluta libertà di navigazione dei mari, la tutela della libertà degli scambi11.
Ma non per questo essi sposavano l’idea di una Lega o di una So cietà delle Nazioni, quale propugnata da Wilson, che consideravano un disegno fragile e illusorio. A loro giudizio, un organismo interna zionale privo di concreti poteri d’intervento avrebbe lasciato inalte rate le prerogative dei singoli Stati come entità sovrane assolute, e, di conseguenza, non avrebbe rappresentato una reale garanzia nei confronti della reviviscenza di dispute e conflitti nazionalistici o di nuove mire di potenza e di espansione.
Su questo versante la loro visione delle cose era analoga alle tesi espresse da Luigi Einaudi (in uno scritto di poco precedente quello di Agnelli e Cabiati), che il nazionalismo costituiva il principale fla gello da eliminare una volta per tutte, se non si voleva ricadere in una nuova guerra, e che pertanto sarebbe stato semplicistico, e comunque vano, sperare nell’istituzione di una Lega delle nazioni, o in qualsiasi altra forma di associazione, se fossero stati lasciati intatti i poteri so vrani degli Stati nazionali11 12. Ci sarebbe voluta invece, per garantire una pacifica collaborazione fra gli Stati, un’organizzazione interna zionale che avesse «una sovranità diretta sui cittadini dei vari Stati, con diritto di stabilire imposte proprie, mantenere un esercito super- nazionale, distinto dagli eserciti nazionali, padrone di un ammini strazione sua, diversa dalle amministrazioni nazionali»13.
In altri termini, senza la limitazione della sovranità assoluta degli Stati, qualsiasi tentativo di cooperazione si sarebbe infranto imman
11. Ivi, pp. 61-63.
12. Si vedano L. Ein a u d i, La Società delle Nazioni è un ideale possibile? («Corriere della sera», 5 gennaio 1918) e 7/ dogma della sovranità e l ’idea della Società delle Nazioni («Corriere della sera», 28 dicembre 1918), entrambi ripubblicati in: Ju n iu s, Lettere politi che, Bari, 1920.
cabilmente al sorgere del primo contrasto d ’interessi. «Cosa è in ulti ma analisi — si chiedevano Agnelli e Cabiati — questo concetto di una lega di nazioni, che mantenga ad ognuna di esse la piena sovrani tà? Non è altro, se noi ben vi riflettiamo, che il concetto allargato della “ bilancia delle Potenze” ; cioè un organismo che cerca di creare un equilibrio stabile nella politica europea. Ma ciò che appunto ha dimostrato la storia, è la vanità di questo concetto ed i pericoli che porta con sé. E impossibile bilanciare delle forze vive. Le nazioni, gli Stati non sono masse inerti che possano essere disposte in bilico in un sistema; ma bensì organismi viventi, che si espandono l’uno con energia diversa dall’altro, secondo leggi naturali a noi ignote. [...] Fi no a quando gli interessi della Germania non vengano fusi con quelli della Francia, dell’Inghilterra, ecc., ad ogni passo dello sviluppo sto rico il patto internazionale che lega le nazioni fra di loro si trasforme rà in un letto di Procuste, contro le torture del quale le nazioni saran no naturalmente spinte a reagire, o modificando regolarmente e pe riodicamente il patto internazionale, o spezzandolo»14. In queste condizioni la Lega delle Nazioni sarebbe diventata «la fucina di un’atmosfera di sospetti e di insidie, da cui una nuova guerra europea potrebbe venire affrettata, anziché eliminata. Non vi è nulla di me glio di patti non mantenuti, per creare nuove e più minacciose fonti di dissidio»15.
A giudizio di Agnelli e Cabiati, una Lega delle Nazioni non avrebbe posto le basi neppure di un’effettiva cooperazione interna zionale sul versante economico, giacché sarebbe rimasto impregiudi cato il diritto di ogni Stato di elevare barriere doganali e altri ostacoli al libero commercio. Sarebbero così rimaste in vita quelle stesse pre rogative, legate alla ragion di Stato, e quelle stesse «forze economi che particolaristiche ed egocentriche » a cui i due autori attribuivano — come scrivevano — «una parte considerevole di responsabilità nello scatenarsi dell’attuale conflitto»16.
In ogni caso, fino a quando fosse rimasta ai singoli Stati piena fa coltà di legiferare e di decidere, ben difficilmente si sarebbe giunti ad abolire le barriere doganali e a creare le premesse di una razionale divisione del lavoro. «Quali e quanti mezzi non esistono — rilevava no i due autori — per premiare indirettamente le industrie paesane
14. Agnelli-Cabiati cit., pp. 81-82. 15. Ivi, p. 82.
e per colpire quelle straniere? Ci si è resi conto della vastità organiz zata di interessi che nell’Europa continentale si è formata attorno al protezionismo, dello spirito che esso alimenta, delle resistenze passi ve incalcolabili che è in grado di mantenere?»17.
Senza la limitazione della sovranità, sarebbe stato altrettanto illu sorio pensare di poter rimuovere i motivi di tensione e discordia fra gli Stati col ricorso (quale era previsto nel progetto di Wilson) a un tribunale supremo, giacché, per far valere a tutti gli effetti e in ogni evenienza le proprie sentenze nei confronti di Stati che, insieme alla sovranità formale avevano anche la possibilità concreta di difenderla militarmente, un tribunale arbitrale avrebbe dovuto impiegare la for za coattiva delle nazioni collegate. Ma quella delle armi era una pro spettiva esclusa a priori dallo statuto della progettata Società delle Nazioni. Se invece, per dar forza coattiva alle sentenze del tribunale internazionale, si fosse scelta un’altra strada, quella di escludere la potenza ribelle dagli accordi economici, tale sanzione sarebbe risulta ta alla stretta decisiva del tutto insufficiente. Sia perché «se la Poten za in questione si pone d’accordo con altri stati, può costituire una forza tale da resistere al blocco economico per tutta la durata di una lunga guerra»; sia perché «questa resistenza può venire facilitata da accaparramenti di materie prime e di commestibili compiuti con la dovuta larghezza nel periodo prebellico». D ’altro canto, la tesi che si potessero superare tali difficoltà con misure generalizzate di disar mo veniva giudicata ancor più astratta, data l’inesistenza di mezzi adeguati «per impedire ad uno stato di preparare almeno potenzial mente una organizzazione militare superiore a quella che appaia este riormente sulla carta». E in ogni caso andava messo in conto il fatto che «i popoli più industriali e meno democratici [...] saranno sempre superiori agli altri nella rapida organizzazione di eserciti»18.
È significativo che i due autori — come osserva Sergio Pistone — sostenessero queste loro obiezioni chiamando in causa anche il giudizio di un’autorità in materia come Treitschke. Giacché proprio la teoria della ragion di Stato (che attribuiva la politica di potenza e le tendenze belliciste all’anarchia internazionale, cioè alla pura e semplice divisione dell’umanità in Stati sovrani agenti secondo la leg ge della forza per tutelare la propria autonomia) stava a dimostrare come, in mancanza di una reale limitazione della sovranità, la guerra
17. Ivi, p. 84. 18. Ivi, p. 81.
non sarebbe stata mai bandita dal mondo per virtù di corti arbitrali tra le nazioni19.
L ’unica soluzione possibile, per scongiurare il ritorno sulla scena tanto del nazionalismo che dell’imperialismo, consisteva perciò — per Agnelli e Cabiati — nella creazione di un’Europa federale che, affiancandosi ad altre due grandi famiglie comunitarie come gli Stati Uniti e il Commonwealth, avrebbe rappresentato un ulteriore ele mento di equilibrio, l’anello che ancora mancava per il raggiungimen to di una pace duratura fondata sulla stabilità, sulla cooperazione, sulla divisione del lavoro, sul reciproco progresso civile ed econo mico.
La federazione europea rappresentava dunque non solo un anti doto al nazionalismo, ma anche un’alternativa all’utopismo pacifista e all’internazionalismo. «Il noto detto di von Moltke — osservavano Agnelli e Cabiati — che le guerre sono inutili ma la pace perpetua è un sogno, e neppure un bel sogno, continuerà ad essere vero»20. D ’altra parte, si doveva riconoscere, secondo i due autori, che « l’in ternazionalismo, come teoria politica, ha già dato nel conflitto la pro va luminosa della sua insufficienza. Il vero internazionalismo, fonda to sullo spirito di mutuo rispetto, su una comprensione intelligente delle qualità dei singoli popoli e della necessità di usarne nella guisa migliore per un’opera continua di cooperazione sociale [...], costitui sce il compito della nuova Europa, quale sorgerà dalle rovine dell’an tica»21.
Nell’ambito di un’Europa federale assumeva, per Agnelli e Ca biati, un’importanza fondamentale la trasformazione dell’intero con tinente europeo in un unico grande mercato di produzione. Ciò che, a loro avviso, avrebbe consentito con reciproco vantaggio di unire le risorse e le potenzialità economiche dei vari paesi, di eliminare i dop pioni industriali creati dal protezionismo, di abolire gli ostacoli agli scambi e alla circolazione dei beni, di eliminare il pesante e artificioso armamentario di legislazioni vincolistiche e, di conseguenza, anche gli oneri e gli impacci di un apparato burocratico sempre più costoso e farraginoso.
19. Cfr. S. Pistone, Introduzione al reprint di G. Agnelli-A. Cabiati, Federazione europea o Lega delle Nazioni?, Torino, s.d. (ma 1988), pp. XIV-XV.
20. Cfr. Agnelli-Cabiati cit., p. 86. 21. Ivi, p. 9.
L ’Europa federata avrebbe così vissuto una seconda rivoluzione industriale e conosciuto un processo di modernizzazione in ogni cam po della vita collettiva. «Una economia europea — essi osservavano — la quale, sostituendosi con prudenza e graduali adattamenti alle economie particolaristiche degli odierni singoli Stati, realizzi in pieno la divisione del lavoro, ci darà, con il beneficio massimo dei produt tori, quel ribasso dei prezzi che permetterà ai consumatori di soppor tare gli oneri finanziari della guerra senza un esaurimento delle pro prie forze fisiche e creative. Il problema della ripartizione delle mate rie prime, quello dei trasporti, quello dei prodotti alimentari, che af fannano tutti i comitati europei per lo studio del dopoguerra, si tro veranno automaticamente risolti. E l’ampliarsi gigantesco del merca to da nazionale in continentale farà sì che gli industriali, superato il primo periodo di assestamento, troveranno dinanzi a sé tali capacità insospettate di assorbimento, che le industrie ne riceveranno lo stes so slancio gigantesco di cui diede prova l’industria americana dopo la guerra di secessione»22.
Ho voluto riportare per intero questo passo, perché esso prefigura esattamente quelle che, a quarant’anni di distanza, sarebbero state poi le motivazioni e le modalità di attuazione della Comunità Euro pea. Così come in un altro passo del saggio di Agnelli e Cabiati si possono rintracciare gli incunaboli di un altro tema fondamentale dell’attuale processo di integrazione europea: quello delle politiche sociali e regionali. Giacché essi rilevavano come la costituzione di un’Europa federata, da un lato, «porterebbe il massimo dei suoi be nefici agli Stati più arretrati in civiltà o ricchezza»; e, dall’altro, «tor nerebbe di incalcolabile beneficio per la classe operaia: perché come mai sarebbe possibile in un unico Stato europeo che, ad esempio, i