1.6 Le modalità di programmazione delle politiche
1.6.4 L‟approccio partecipativo
“Il capitalismo ha introdotto una innaturale divisione nella vita umana. Con il suo sistema di regole la produzione è stata separata dal consumo, il lavoro è stato separato dal piacere. Produzione e lavoro sono stati organizzati in funzione degli interessi del capitale”.160
Con questa citazione di John Friedmann iniziamo il percorso alla scoperta del paradigma partecipativo. Come si nota dalla citazione sopra descritta, la posizione degli autori di questo filone, è una posizione assolutamente radicale, nei confronti dell‟organizzazione tipica del mondo occidentale.
Sia Friedmann che Ignacy Sachs, che possono essere ritenuti i maggiori rappresentanti di questa scuola di programmazione (o
158 E. Stagni, Un’idea di comunità: come cambia, perché funziona, Milano, FrancoAngeli 1998, p. 112 159 Tradotto da L. Bobbio , La democrazia non abita a Gordio, Milano, FrancoAngeli 1996, p. 34 160
J. Friedmann, Pianificazione e dominio pubblico: dalla conoscenza all’azione, Bari, Edizioni Dedalo 1993, p.76
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meglio pianificazione, per riferimento alla terminologia da loro maggiormente utilizzata) inseriscono il loro pensiero all‟interno di una visione marxista della società.
Anche qui possiamo notare che il punto di partenza riguarda l‟incapacità del sistema economico (il mercato) di generare un livello adeguato di benessere diffuso. I limiti intrinseci del mercato generano esternalità che creano differenze enormi di reddito e di possibilità per le persone.
Secondo gli autori, a differenza di quanto si pensava, non è vero affermare che uno stretto economicismo nelle scelte di programmazione abbia generato un diffuso e completo sviluppo in tutti i campi dell‟attività umana.161 Al contario, va affermato,
sempre per i Nostri, che la diseguaglianza è stata maggiormente amplificata dall‟incapacità dei metodi di programmazione finora utilizzati.
L‟approccio partecipativo contiene al proprio interno una moltitudine di esperienze tra loro diversificate ma che si riconducono in toto al pensiero habermasiano. Il sociologo tedesco, attraverso i propri studi, arriva ad elaborare la teoria dell‟agire comunicativo secondo la quale questo tipo di agire (rispetto agli altri di cui Habermas ne fa una critica) è l‟unico agire che rende possibile il superamento delle logiche capitalistiche162. Habermas, infatti, si augura un superamento del mondo capitalistico, attraverso un agire comunicativo, contrapposto a quello strumentale tipico dell‟economia capitalista, da parte di tutti gli attori. Scopo finale del pensiero habermasiano è quello di giungere ad una
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I. Sachs, I nuovi campi della pianificazione, pp.43, Roma: Edizioni Lavoro 1984, p. 43
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democrazia radicale in cui l‟opinione pubblica è la vera depositaria del potere.
Il modello di programmazione che discende da queste basi teoriche “è un modello teso a promuovere la partecipazione, intesa come prender parte, generalizzato e con eguali possibilità, ai processi discorsivi di formazione della volontà”.163
In contrapposizione alle teorie luhmaniane della differenziazione dei sistemi, questo paradigma affonda le proprie radici culturali nei concetti di identità e autonomia. Come sostiene Fraboni “in antitesi ad una pianificazione eteronoma, la prassi dell‟ecosviluppo (successivamente spiegherò perché si fa riferimento all‟espressione ecosviluppo) deve consistere nel suo insieme in un‟educazione all‟autonomia”.164
Educazione all‟autonomia sta a significare che la lettura dei bisogni non può avvenire dall‟esterno, ma deve avvenire all‟interno della società civile che si auto-organizza per darsi una propria dimensione di vita.
Il punto di partenza di questo processo partecipativo richiede, infatti, che si verifichi una auto-organizzazione della popolazione allo scopo di riprendere in mano il proprio sviluppo.165
Lo scopo di questo tipo di programmazione è quello di dare spazio alle comunità locali auto-organizzate, in cui la partecipazione al
163 R. Siza,Progettare nel sociale: regole, metodi e strumenti per una progettazione sostenibile, Milano:
FrancoAngeli 2003, p. 85
164 M. Fraboni, Introduzione, in I. Sachs, I nuovi campi della pianificazione, Roma:, Edizioni Lavoro 1984, p.
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processo di programmazione diventa “impegnata, contestuale, contrattuale e partecipativa”.166
Queste caratteristiche nascono dagli spunti enunciati da Friedmann il quale ritiene che accanto ad un‟autonomia sempre crescente di tipo auto-organizzativo si deve affiancare un ruolo del programmatore che non è altro che il ruolo di advocacy planner. In concreto il decisore centrale deve preoccuparsi di guidare lo sviluppo facendosi carico di scegliere e calibrare i metodi migliori per allargare gli spazi di decisione autonoma.
In questo senso il processo di pianificazione dovrebbe avere, secondo Friedmann le seguenti caratteristiche:
garantire che il livello locale (le comunità, o i distretti agropolitani come li definisce Friedmann nel suo “The active community: towards a political territorial for rural development in Asia)167abbiano accesso a tutte le risorse finanziarie e non di cui ancora non dispongono;
procedere ad un trasferimento delle risorse verso le regioni più povere;
rendere adattabili i progetti locali sia tra loro sia rispetto ai progetti di carattere nazionale;
garantire ilo funzionamento di certi servizi che per loro natura richiedono una gestione centralizzata.
166 Ibidem, pp.64
167
J. Friedmann, The active community: toward a political-territorial framework for rural development in Asia, Minneapolis, University of Minnesota 1981
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Qui, non si smobilita il ruolo del pianificatore, ma si fa si che “il piano sposti la propria attenzione dai grandi aggregati, dalle dinamiche macroeconomiche, alle dinamiche microeconomiche, ai problemi della gente, alle reti di relazioni tra piccoli gruppi”168,
affinchè i pianificatori non siano dei “consulenti prezzolati, ma impegnati partigiani”169
.
Come la descrive Sachs, infatti, la “pianificazione deve farsi visionaria e pluridimensionale, senza per questo cadere nel volontarismo..e deve accentuare il proprio ruolo eminentemente politico del processo di apprendimento sociale, tramite il quale gli uomini imparano a identificare i loro margini di libertà”170.
Anche qui, nel paradigma partecipativo, a differenza di quello incrementale, ritorna una forte presenza normativa, e un concetto di razionalità, seppur differente e più vicino alla visione di Simon che a quella sinottica.
Nell‟analisi di Sachs e Friedmann si parla spesso di ecosviluppo, come fine intrinseco della programmazione, proprio perché l‟analisi di partenza riguarda le condizioni di sfruttamento del Terzo Mondo, e quindi, secondo gli autori, una necessaria parsimonia nell‟utilizzo delle risorse della terra deve rappresentare l‟orizzonte guida del processo di pianificazione.
168 R. Siza, Progettare nel sociale: regole e metodi per una programmazione sostenibile, Milano,
FrancoAngeli 2003, p. 86
169 J. Friedmann, Pianificazione e dominio pubblico: dalla conoscenza all’azione, Bari, Edizioni Dedalo
1993, p. 165
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La visione di Friedmann poggia sull‟assoluta necessità di garantire “una liberazione della comunità politica dallo Stato e dal capitale”.171