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1.4 Gli approcci allo studio delle politiche pubbliche

1.4.4 Corporativismo e neo-corporativismo

Il corporativismo e poi il neo-corporativismo rappresentano delle Teorie di analisi e valutazione delle politiche pubbliche che hanno come unità di indagine i gruppi organizzati. Come anche ricordano Howlett e Ramesh78 l‟analisi che ha come unità di indagine i gruppi si è sviluppata in maniera molto differenziata se si considerano il continente europeo e quello statunitense. Se in Europa le teorie dei gruppi si sono susseguite lungo il filone scientifico e teorico definibile come corporativismo, negli Stati uniti d‟America la preferenza è stata indirizzata alla teorie di definizione pluralista (che affronteremo nel prossimo paragrafo di questo capitolo).

Innanzitutto il termine corporativismo intende indicare qualcosa che possa esser definito come “uno dei tanti possibili tipi di

accordo attraverso i quali gli interessi organizzati possono mediare tra i propri membri (siano questi individui, famiglie, aziende, comunità, gruppi) e vari interlocutori (in particolare rappresentanti dello Stato o del governo)79”.

78 M. Howlett, M. Ramesh, Come studiare le politiche pubbliche, Bologna, Il Mulino 1999

79 M. G. Schmidt, Does corporatism matter? Economic crisis, politics and rates of unemployed in

capitalist democracies in the 1970s, in G. Lehmbruch e P. C. Schmitter (a cura di), Patterns of corporatist policy-making, Beverly Hills-London 1982, pp. 237-258

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Quando parliamo di corporativismo infatti siamo soliti intendere dinamiche decisionali in ambito pubblico caratterizzate da rigida differenziazione dei compiti e continua pressione da parte dei gruppi di interesse nei confronti dei soggetti deputati alla decisione al fine di influenzarne le scelte in ragione degli interessi di cui i gruppi sono portatori.

Le radici e le ragioni del corporativismo, secondo Howlett, risalgono ad “una esigenza tutta medievale di proteggere i ceti intermedi composti dalle associazioni autonome”80

le quali si collocavano nell‟intermezzo di spazio tra Stato e famiglia.

Il concetto chiave del corporativismo è quello di slegare la rappresentanza degli interessi da una gestione diretta statale per nome o per conto degli interessi particolari, e quindi assegnare alla rappresentanza di questi interessi una propria autonomia e una propria capacità di intervento. Secondo Schmitter, che è uno dei maggiori studiosi del corporativismo e successivamente l‟esponente di maggior rilievo del neo-corporativismo, il corporativismo può essere sintetizzato in un “sistema di intermediazione di interessi in cui le unità costituenti si auto-organizzano in un numero limitato di categorie, obbligatorie, non competitive, gerarchicamente ordinate e differenziate nelle proprie funzioni, riconosciute o autorizzate dallo Stato e dotate di un monopolio di rappresentanza deliberativa all‟interno delle rispettive categorie”81

. Come spiega Schmitter infatti il corporativismo è la teoria di un‟organizzazione della società e quindi delle modalità di decisione che la società deve

80 M. Howlett, M. Ramesh, Come studiare le politiche pubbliche, Bologna, il Mulino 1999, p. 43

81 C. Schmitter, Modes of interest intermediation, tradotto da M. Howlett, M. Ramesh, Come studiare le

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prendere attraverso una organizzazione rigidamente differenziata delle funzioni che ciascuna organizzarne ha e deve svolgere.

L‟esempio più classico, almeno in Europa, di politiche pubbliche secondo il modello corporativo riguarda l‟ambito delle politiche del lavoro e dell‟industria. Al tavolo di decisione infatti vi partecipano l‟organizzazione sindacale degli imprenditori in rappresentanza degli interessi delle proprie aziende associate e le organizzazioni sindacali dei lavoratori in ragione della difesa e tutela degli interessi di quella categoria. Secondo il modello corporativo, infatti, le politiche pubbliche sono definite dall‟interazione tra lo stato e i gruppi di interesse riconosciuti.

L‟ambito del welfare state e dell‟assistenza sociale è stato, e in parte ancora lo è, perlomeno in Europa, regolato da logiche di tipo corporativo per quanto concerne le proprie decisioni. Gli ambiti di decisione regolati dal modello corporativo sono rigidamente organizzati, in cui la partecipazione non è volontaria ma automatica (in quanto rappresentante unico ed esclusivo di un certo tipo di interessi) e si è in presenza di unità monopolistiche. Il potere è concentrato al centro e a livello locale e periferico vi è solo uno svolgimento in forma ridotta di decisioni prese al vertice delle corporazioni.

Il corporativismo come modello di organizzazione sociale e come modello di decisione in ambito pubblico è stato “superato” o meglio corretto da un nuovo schema, sempre sulla falsa riga di questo, definito come neo-corporativismo. Il motivo principale, oltre alle critiche rivolte al modello corporativo (circa la non chiarezza dell‟unità di analisi e la presenza di politiche pubbliche

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che non vengono messe in campo seguendo lo schema strettamente rigido del modello corporativo) è anche dovuto al fatto che il modello corporativo in senso stretto richiama al periodo europeo dei totalitarismi (soprattutto in Italia al caso del fascismo e delle corporazioni). Ovviamente il modello neo-corporativo82 non si discosta molto da quello corporativo, se non per il fatto che qui le rappresentanze degli interessi si organizzano in maniera autonoma, magari favorita da un intervento statale o del legislatore, ma mai per volontà diretta dello Stato come accadeva nei regimi totalitari. Scopo principale del modello neo-corporativo è quello di mostrare che il corporativismo esiste e resiste e può crescere anche in presenza di una democrazia liberale (come è ormai per tutti i paesi occidentali) e non solo in presenza di regimi non democratici o autarchici.

Nei modelli neo-corporativi, possiamo definire gli interessi auto- organizzati come espressione di quello spazio che sta tra lo Stato e la famiglia, all‟interno di una società rigidamente organizzata. Infatti nel modello neo-corporativo vi è un‟incorporazione degli interessi al tavolo delle decisioni. Questo schema è quello che ha dominato la scena europea del secondo dopo-guerra: la fase della concertazione delle politiche. Un elemento di grande risalto nel modello neo-corporativo è quello che vede una strutturazione ben organizzata dei rapporti tra le rappresentanze degli interessi e i soggetti chiamati alla decisione. Nel modello neo-corporativo abbiamo associazioni forti e integrate, ricche di risorse,

82 C. Schmitter, Neocorporativismo: riflessioni sull‟impostazione attuale della teoria e sui possibili sviluppi

della prassi, in G. Lehmbruch, C. Schmitter, La politica degli interessi nei paesi industrializzati, Bologna, Il Mulino 1982, pp. 305-330

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relativamente indipendenti dai membri e capaci di sviluppare prospettive di lungo termine. Questo schema poggia sull‟idea di un società rigidamente differenziata e organizzata secondo interessi particolari che non entrano mai in competizione tra loro. I membri di una organizzazione non sono contemporaneamente membri di altre organizzazioni.

I modelli di analisi delle politiche incentrate sui gruppi risentono, secondo la critica che va per la maggiore, di una certa impossibilità a delineare i gruppi.

Infatti la prima critica che viene mossa è data dal fatto che non è chiaro come la politica generi miglioramenti del benessere generale e non solo benessere per alcuni settori a discapito di altri. E‟ vero che esistono i gruppi, ma la società come è oggi non è così rigidamente suddivisa in gruppi. Un tema centrale lo pongono Howlett e Ramesh quando sostengono che non è chiaro da cosa è determinata l‟influenza di ogni singolo gruppo.83 Inoltre le teorie

corporative presuppongono soltanto uno scontro tra i gruppi, o un accordo in base ad un interesse di natura economica. Inoltre, la dinamica dell‟homo homini lupus che viene ammorbidita dall‟intervento dello Stato è sì la spiegazione di alcune dinamiche (ad esempio il diritto serve a regolamentare i rapporti) ma come detto prima non tutto l‟agire è caratterizzato dalla massima hobbesiana. Inoltre la cooperazione tra i gruppi non sempre necessita dell‟intervento dello Stato. Esistono iniziative di natura profit o non profit o a carattere familiare le quali non sono l‟esito concertativo, né il frutto di un accordo tra le parti in ragione di uno

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scambio di interessi, ma sono spesso il frutto di una cooperazione tra attori senza bisogno dello Stato come ente garante.