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Una volta terminato di presentare i paradigmi che nel dibattito scientifico vengono maggiormente utilizzati al fine di studiare e analizzare le politiche pubbliche, è necessario spiegare su quale di questi paradigmi è caduta la preferenza per l‟analisi dei dati di questa ricerca.

Il paradigma con il quale ho scelto di indagare i dati e quindi valutare e misurare le politiche sociali è quello relazionale, detto anche paradigma di rete. Il punto centrale della mia scelta non poggia sui meccanismi valutativi da utilizzare, ma sull‟assunto centrale della teoria relazionale.

Infatti per la teoria relazionale la società è essa stessa relazione, ed in primis relazione. Condivido questa impostazione come impostazione teorica che prima di spingerci all‟analisi imposta il problema del fatto sociale.

L‟essere una relazione comporta inevitabilmente che l‟oggetto dello studio non sia appena uno dei poli della relazione, o solo entrambi (ad esempio o l‟individuo o l‟istituzione o appena entrambi), ma nell‟oggetto dello studio entra in gioco la proprietà della relazione

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che ha effetti sia su ego che su alter (i due poli), ma che non è la risultante degli stessi. Se i paradigmi di matrice individualista poggiano la loro attenzione solo sull‟agire individuale, il neo istituzionalismo poggia la propria attenzione sull‟altro aspetto della relazione: le istituzioni. Nessuno dei due paradigmi però tiene conto dell‟effetto che la reazione come proprietà autonoma ha sui poli, e nessuno dei due tiene conto del fatto che l‟altro lato della relazione incide sia sulla relazione che sul modo con cui l‟altro termine si relaziona.

Infatti, se sia ego che alter sono “comprensibili” e conoscibili solo attraverso le relazioni che essi hanno in piedi e che li definiscono, è necessario dotarsi di uno strumento che abbia come oggetto le relazioni per non cadere in riduzione. L‟unico paradigma che tiene conto di questa relazionalità del sociale è quello relazionale. E‟ questo il motivo per il quale ho deciso di indagare e valutare le politiche pubbliche dei casi scelti attraverso il paradigma relazionale. Se assumiamo come nostra la posizione di Donati secondo il quale la società è in primis una relazione, ciò significa che tutti i fenomeni che avvengono all‟interno del sociale, sono essi stessi una relazione. E necessitano di un adeguato strumento di analisi che colga non solo le implicazioni che un termine della relazione ha sull‟altro, ma anche, e propriamente, l‟effetto generato dalla relazione sui termini che la compongono. Per questo il paradigma di rete è quello maggiormente adeguato.

Il paradigma relazionale permette di osservare il fenomeno sociale nella sua completezza (cioè nella completezza delle sue relazioni che sono la proprietà distintiva), e quindi anche utilizzare tutte le

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indicazioni che emergono dagli altri paradigmi. Infatti a differenza degli altri paradigmi quello relazionale si situa ad un livello più elevato nel senso concettuale. Per la teoria relazionale della società infatti il punto di partenza è osservare le relazioni che ci sono e quindi indagare i termini. Questo passaggio permette di considerare i termini come un fattore determinante ma senza cadere nelle riduzioni o conflazioni dell‟uno verso l‟altro.

Osservare la società come individui-in-relazione permette di evitare errori di valutazione e quindi di modalità di indagine in cui a mio avviso ricadono i paradigmi che si rifanno ad una matrice individualista, in quanto una politica ha sempre una relazione continuativa tra chi la produce e il soggetto che la riceve. Di seguito concettualizzare la realtà sociale come frutto dell‟agire individuale nasconde il fatto che la struttura sociale, o meglio ancora la realtà pre-esistente rispetto a noi, preesistente al nostro agire influenzi in maniera determinante il mio agire.

Per quanto riguarda le teorie che hanno come oggetto i gruppi, ovvero sia quella pluralista che quella corporativa, ci sono alcuni aspetti che mi risultano controversi. In primis, è evidente che all‟interno delle dinamiche di decisione delle politiche esistono gruppi che tentano in maniera più o meno efficace di influenzare le politiche al fine di favorire il proprio interesse. Muovere l‟analisi da questo aspetto infatti significa non considerare tutte quelle iniziative di produzione del benessere a carattere caritatevole: una simile analisi a mio avviso non considera una parte dei soggetti che sono importanti nella produzione di quei beni che Donati chiama come relazionali. In altri termini, un‟analisi che osservi i gruppi

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dimentica una parte delle relazioni che esistono sia all‟interno dei gruppi sia in settori della società che non sono catalogabili come gruppi. Il punto nevralgico della Teoria relazionale poggia sulla necessità di favorire politiche che “vengano fatte con i soggetti e non sui soggetti”, e in questo senso i modelli di confronto o concertazione tra gruppi mi sembra che siano abbastanza deficitari in quanto le politiche vengono misurate sulla base di degli interessi in gioco (legittimi) e non su chi sono i soggetti che presentano il bisogno.

La scelta di questo paradigma sta nelle sue premesse strutturali: cioè pensare i fatti sociali come relazioni ritengo sia il modo migliore per comprendere quanto accade senza dimenticare nulla nell‟osservazione. Per questo motivo ritengo quello relazionale come il paradigma come il più adeguato a capire di che “pasta” sono fatte le politiche. La citazione di Donati “fare politiche con i soggetti e non sui soggetti”, è il parametro che meglio esprime la valutazione che sarà compiuta. Qui stiamo parlando del principio di sussidiarietà, così come proposto da Donati e Colozzi nel testo “La Sussidiarietà: che cos‟è, come funziona”116 A mio avviso, la costruzione delle politiche se avviene in relazione tra agente che le produce e soggetti destinatari genera una maggiore comprensibilità del problema e una maggiore riuscita della stessa.

Gli approcci che non riescono a superare una modalità di intervento di tipo uni-direzionale, ricadono in ciò che Wilke considera inefficiente e inefficace in quanto il soggetto destinatario della politica reagirà tentando di resistere a interventi di modifica ad esso

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diretti. A questa annotazione posta da Wilke, a mio avviso, l‟unica possibilità di superamento del problema è il dialogo relazionale, cioè un continuo processo di dialogo, comprensione e intervento tra il soggetto detentore della titolarità di “fare” le politiche e gli altri soggetti nei cui spazi ricade la politica stessa( a livello micro, ma lo vedremo più avanti, Donati definisce questo come guida relazionale). Non va dimenticato che la non trasparenza dei sistemi di matrice luhmaniana, è superabile solo da soggetti in relazione orientati reciprocamente. Altrimenti la non trasparenza dei sistemi, che era e resta uno dei pilastri del pensiero moderno, non è superabile da tecniche di perfezionamento degli attori se essi non sono in qualche modo chiamati a collaborare. Un miglioramento dell‟efficienza burocratica che non abbia come fine i soggetti con i quali entra in relazione finisce per creare una burocrazia magari meno costosa ma sicuramente e non necessariamente maggiormente efficace.

Il principio di sussidiarietà così come presentato e discusso da Donati e Colozzi nel testo: “La sussidiarietà: cos’è, come

funziona” , diviene il parametro di valutazione delle politiche, in

quanto l‟applicazione del principio di sussidiarietà è esattamente lo strumento di misurare quanto le politiche sono fatte con i soggetti e non su i soggetti. Ad esempio, in relazione ai bisogni sociali nati in una determinata sfera (parliamo ad esempio della sfera famiglia) la teoria relazionale ritiene che non si possa rispondere (a questi bisogni) se non coinvolgendo e attivando come attore chiave di quella risposta proprio quella sfera, cioè l‟ambito nel quale il bisogno si è manifestato.

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Per non cadere nell‟ideologia di chi deve difendersi dal confronto, sottolineo che comprendo che anche il paradigma relazionale può avere dei limiti. Ad esempio, la produzione di beni relazionali da parte delle due sfere differenziate avviene solo se coloro che si relazionano sono orientati reciprocamente. Una collaborazione tra Terzo settore e Stato è possibile solo nel caso in cui i due attori sono disposti a collaborare in maniera positiva. In caso contrario la collaborazione non può generare effetti positivi e a risentirne sarebbe l‟esito stesso della politica. Ma confermo la scelta del paradigma proprio per il fatto che l‟analisi relazionale della realtà sociale proposta da Donati ritengo porti ad una maggiore comprensione del “fenomeno sociale” e quindi, ad una, più efficace, valutazione dello stesso.

1.6 Le modalità di programmazione delle politiche