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1.4 Gli approcci allo studio delle politiche pubbliche

1.4.2 Il paradigma marxista

Di certo molto differente rispetto alla public choice, di certo con sviluppi scientifici che hanno conosciuto ambiti differenti, la teoria marxista era e resta una di quelle teorie, classificabili come classiste, che ha proposto un proprio modo, originale e molto affermato nel corso del „900, di studiare e di approcciarsi all‟analisi delle politiche pubbliche.

Una prima chiarificazione da compiere è quella di definire cosa si intende con teoria marxista, perché nel corso della storia dall‟800 ad oggi si sono avuti una serie di sviluppi di approcci e paradigmi che si rifanno al marxismo.

Qui, nel nostro caso, quando parliamo di teoria marxista della società intendiamo far riferimento alla teoria elaborata da Marx e presentata dal sociologo tedesco nel testo Il Capitale e nella elaborazione meno dottrinale e più analitica data ne Il Manifesto del

Partito Comunista scritto insieme ad Engels.

Innanzitutto, se nel caso della public choice, l‟elaborazione concettuale del paradigma è collocabile intorno agli anni ‟40 del secolo XX, l‟elaborazione marxista è collocabile, a sua volta, negli anni „40 del secolo XIX, ovvero esattamente cento anni prima. L‟esplicitazione della collocazione storica spiega anche la presenza di certi termini che ad oggi potrebbero apparire inusuali; è opportuno addentrarci nel significato di quelle espressioni per capire in che modo la teoria marxista studia le politiche pubbliche e su quali basi teoriche arriva alle proprie considerazioni.

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Innanzitutto il punto di partenza della teoria marxista, così come si evince da Marx nel Capitale, è il riconoscimento che tutta la storia umana è stata sempre pervasa da una “dicotomia strutturale in cui due classi si contendono il potere politico e il potere economico”.64

Ogni società umana quindi, così come espresso da Marx, è espressione di questa lotta tra due classi, tra due classi che in seguito Poulantzas chiamerà “formazioni sociali”, le quali, hanno tra loro non un rapporto di isolamento e in seguito di lotta, ma sono sempre in rapporto di conflitto e una delle due rispetto all‟altra ha sempre avuto un rapporto di subordinazione in cui vi era e vi è la dominanza di una classe sull‟altra (in altre parole esiste un rapporto continuativo tra le due classi o formazioni sociali).

Questa predominanza dell‟una sull‟altra per quanto rimanga invariabile nella sua natura cambia però nelle sue modalità. Cambia, perché differenti e altre sono le classi in lotta. Se in epoca schiavista avevamo da un lato gli schiavi e dall‟altro i padroni, in epoca feudale da un lato i feudatari “a dominare” e dall‟altro i servi della plebe come classe dominata; ora in epoca capitalistica, abbiamo da un lato i padroni della “classe borghese” e dall‟altro gli sfruttati della “classe operaia”.

Infatti è proprio Marx nel “Manifesto del Partito Comunista” a spiegare come dalle lotte di classe del feudalesimo si sia passati alla lotta capitalistica. Anche nella società capitalistica, nata, come teorizzano i “borghesi” secondo lo stesso Marx, per superare la dicotomia strutturale, la “società borghese moderna, sorta dal tramonto del feudalesimo, non ha eliminato gli antagonismi fra le

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classi. Essa ha, soltanto, sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta”.65

La particolarità dell‟epoca capitalistica, secondo Engels e Marx, sta nel fatto che la classe borghese è il frutto evolutivo legato ad un lungo processo di sviluppo di una serie di modi di produzione. Il punto di analisi e di formazione delle classi è legato, secondo Marx, ai modi di produzione che in una determinata epoca storica segnano i rapporti economici.

In ogni epoca, quella determinata società ha avuto un proprio modo

di produzione (che potremmo anche chiamare come fasi di

produzione) ed è stata caratterizzata sia da una tipologia dei mezzi

di produzione sia da una organizzazione dei rapporti tra i vari attori

che hanno partecipato (partecipano) al processo produttivo (questo aspetto è comunemente definito come relazioni di produzione). Ogni periodo storico, secondo i marxisti, è organizzato seguendo questi rapporti che variano nella forma da società a società, ma che persistono come tipi distintivi in ciascuna di esse.

Così le lotte di classe in epoca capitalistica sono lotte tra gli attori che partecipano al processo produttivo: i borghesi, in quanto detentori del capitale, e gli operai, in quanto detentori della forza lavoro. Secondo Marx gli attori che partecipano al processo produttivo però non sono attori alla pari in quanto “masse di operai vengono addensate nelle fabbriche e istruite militarmente.. gli operai così non sono soltanto servi del borghese padrone ma diventano servi anche degli scopi del borghese”66

. Secondo questa visione della contrapposizioni tra classi, l‟operaio è visto da Marx

65

K. Marx e F. Engels, Il Manifesto del partito comunista, Einaudi Editore, Torino 1970, p.100

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come schiavo del profitto in quanto il profitto è il fine ultimo, secondo i marxisti, dell‟agire. E‟, secondo Marx, proprio questo il punto nevralgico di ciò che attiene ai rapporti di produzione in epoca capitalistica: “questo dispotismo è tanto più meschino, odioso ed esasperante, quanto più apertamente esso proclama come proprio fine ultimo il guadagno”67

.

La nascita delle masse operaie è dapprima vista come la nascita di una massa che combatte contro i vecchi padroni (monarchi e aristocratici) e questa unione di masse operaie è così frutto proprio del volere della classe borghese la quale “utilizza” le masse per scalzare la vecchia classe aristocratica e prenderne il potere.

Infatti secondo Marx lo scopo della classe borghese è quello del dominio sulla funzione politica degli stati.

Nella concezione marxista, ben esposta da Poulantzas68, infatti il potere statale è suddiviso in funzioni le quali, e le vedremo tra poco, sono finalizzate al servizio della unica grande funzione sociale dello stato, ovvero il riconoscimento che lo Stato è il possessore di una particolare funzione, “essere il fattore di coesione dei livelli di una formazione sociale”69

. Come sostiene Engels infatti la presenza dello Stato è dovuta al fatto che la società umana è giunta ormai ad uno stadio di sviluppo tale da essere“ …

la confessione del fatto che la società si è avvolta in una contraddizione insolubile con sé stessa”70

, in quanto dominata e

lacerata da questa dicotomia strutturale. Seguendo quanto teorizzato da Engels, per evitare questa lacerazione insolubile e per

67 Idibem, p.110

68 N. Poulantzas, Potere politico e classi sociali, Roma, Editori Riuniti 1971 69

Ibidem, p.44

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evitare che questa lotta di classe con interessi economici in conflitto non distrugga la società stessa che si fa avanti la “la necessità di una potenza che sia in apparenza al di sopra delle classi e attenui il conflitto”71.

Così lo Stato, come lo definiscono i marxisti, è il rappresentante ufficiale della società con lo scopo di porre ordine, di governare il conflitto e di racchiuderlo per evitare che degeneri e distrugga la stessa società.

La funzione di ordine sociale dello Stato si esercita in tre modalità ed è‟ dall‟esercizio di questa modalità che si avrà poi una visione marxista del futuro, della rivoluzione, e quindi un giudizio di analisi e di critica alle politiche pubbliche che non sfuggono, secondo i marxisti, alla lotta dicotomica tra classi operaie e classi borghesi. Le tre funzioni si presentano come segue:

 Funzione tecnico-economica (livello economico);

 Funzione propriamente politica (livello della lotta politica); Funzione ideologica (livello dell‟ideologia).

Lo Stato opera con ciascuna delle tre funzioni, e l‟unione delle tre funzioni rappresenta appunto l‟iniziativa dello Stato. In ogni singolo periodo, in ogni singola epoca (definita anche fase di

produzione) però vi è, in concomitanza delle tre funzioni, la

funzione che viene definita come dominante. Quando si parla di funzione dominante non si fa riferimento all‟annullamento delle altre funzioni o ad un predominio dell‟una sulle altre, ma si fa riferimento al fatto che una determinata società viene organizzata

71 Ibidem, p. 50

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dallo Stato attraverso la sua funzione dominante. Come nell‟epoca feudale i rapporti di produzione venivano organizzati secondo la funzione dominante che era l‟ideologia (rappresentata dalla religione), in epoca capitalistica la funzione dominante è data dal livello economico e, di conseguenza, tutta la società e quindi la funzione globale dello Stato è dettata dalla produzione in stile capitalistico. In questo modo il livello politico e quello ideologico divengono funzioni che servono a ridurre il conflitto per favorire il livello economico di matrice capitalistica.

In questo senso, se la funzione di coesione dello Stato ha come carattere dominante quello economico, nel nostro caso di politiche pubbliche, i marxisti teorizzano che, le funzioni politiche dello Stato (cioè la produzione di politiche pubbliche, di regolamenti, di norme e di educazione) sia controllata dal capitale (nella fattispecie dalla classe borghese). Questo è il concetto della visione strumentale dello Stato, cioè uno Stato (e le sue relative funzioni di unità e di coesione) che viene difeso (dalla classe borghese) in quanto strumento utile per il mercato capitalista e per la classe borghese stessa ( che è la classe dominante).

Le analisi marxiste delle politiche, come scrivono Howlett e Ramesh, si configurano sostanzialmente come “dimostrazione dell‟asservimento delle politiche agli interessi del capitale, prova di come quest‟ultimo si serva dello stato per perseguire i propri interessi”72.

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In questa visione il livello politico, e non solo quello burocratico, è visto come un operatore delle volontà e delle decisioni prese in seno alla classe borghese.

Le analisi delle politiche pubbliche quindi cercano, partendo da questo assunto, di dimostrare come il capitale detenga il monopolio della produzione delle politiche e cercando di spiegare come una rimodulazione dei rapporti di produzione permetta di generare nuove politiche.

Questa visione della società, che ha come punto di partenza il materialismo storico implica anche che le politiche che vengono prodotte siano il frutto non solo delle decisioni interne alla classe borghese ma siano anche condizionate dalle precedenti decisioni e dai precedenti modi di produzione.

Una visione così dicotomica della società e la visione di uno Stato come elemento strumentale della classe borghese che propongono gli autori marxisti, è stata in qualche modo corretta e re.-indirizzata in chiave più “soffice” da un altro studioso che si ispira al marxismo: Nicos Poulantzas, il quale nel suo testo “Potere politico

e classi sociali”73, per quanto rimanga legato alla visione della lotta di classe come lotta per il potere e quindi come lotta per l‟uso dello Stato, propone una analisi meno estrema delle politiche pubbliche. Poulantzas sostiene che l‟apparato burocratico non è “asservito” alla classe borghese in quanto coloro che ne fanno parte sono per la maggiore individui provenienti dalla classe proletaria e non da quella borghese e questa differenze estrazione sociale è quella che garantirebbe una certa “autonomia dal capitale”. Anche nella

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versione di Poulantzas quella marxista resta una teoria classista in quanto utilizza come unità di analisi le classi e si rifà al materialismo storico come concezione concettuale dell‟evoluzione della storia e dei fenomeni sociali.

Le teorie marxiste e più in generale quelle classiste, spiegano alcune condizioni che incidono nelle politiche. Ad esempio le riforme in alcune aree particolari del lavoro hanno visto e vedono contrapposte due fazioni: gli imprenditori metalmeccanici e gli operai metalmeccanici. Questa contrapposizione però non è addebitabile alla differenza di classe, ma ad una specifica contrapposizione ideologica tra i sindacati dei lavoratori e alcune categorie imprenditoriali. Nelle teorie classiste esistono alcune problematiche. In primis, è difficile distinguere con precisioni le classi. Siamo in una società altamente differenziata e fluttuante, che lo status di classe sembra perdere la propria definitività. Inoltre le teorie marxiste sia primarie che derivate poggiano sulla convinzione che la base dei rapporti nelle politiche abbia una matrice esclusivamente economica. Questa scelta esclude alcuni importanti aspetti come le proprie convinzioni ideali (spesso accade che i sindacati dei lavoratori non abbiano tutti la stessa opinione di fronte ad una politica industriale). La prima grande difficoltà ad utilizzare la chiave marxista come spiegazione delle politiche riguarda la difficile decifrabilità delle classi. Ma non solo. Un‟altra problematicità è rappresentata a mio avviso dall‟impostazione che sta alla base della contrapposizione. Per i marxisti la politica pubblica è necessariamente un gioco a somma zero (homo homini

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politiche non è così. Esistono fenomeni di cooperazione che la teoria marxista non spiega. In ultimo il rischio delle teorie classiste è quello di schiacciare l‟autonomia del singolo sotto il peso della volontà di classe: le teorie classiste non spiegano come è possibile l‟azione volontaria. Ricadono in maniera differente nella stessa trappola in cui cade la public choice: considerare come motori dell‟agire la massimizzazione dell‟utile (di classe).