3.3. Forme
3.3.1. Approccio Top Down e Bottom Up
Abbiamo già esaminato, nell'ambito del quadro normativo italiano, come i cittadini abbiamo facoltà di accesso alle informazioni della pubblica amministrazione per il tramite della legge sulla trasparenza. È chiaro che questo procedimento, è parte di un processo di partecipazione dei cittadini alla sfera pubblica, nel momento in cui si dà libero accesso non solo all'informazione, ma anche alla comunicazione, alle strutture e ai servizi degli enti.
La stessa legge consente tra le altre cose di potere presentare osservazioni e pareri rispetto ai quali la pubblica amministrazione è chiamata a tenere conto. In tal senso “partecipare” coincide con il diritto ad essere informati, ad esprimere il proprio parere, presentando all’ente locale ipotesi e obiezioni.
Se le procedure si fermano a questo livello, si potrà dunque parlare di partecipazione passiva, limitata, debole, poiché i cittadini pur informati sulle attività dell'ente, pur potendo esprimere il proprio parere, tuttavia non hanno un peso sulle decisioni che poi la pubblica amministrazione prenderà. È un caso, questo, di partecipazione formale, fittizia e facilmente manipolabile.
Se i processi partecipativi sono molteplici e si possono distinguere sia “per il diverso grado d’intensità e svolgimento” sia per le differenti caratteristiche e il numero dei “gradi di applicabilità e impatti sul processo e sugli esiti”1, è possibile fare una prima distinzione, nello
scenario urbanistico, tra partecipazione formale e partecipazione
attiva. Quest'ultima si realizza quando i cittadini hanno la garanzia che quanto da loro proposto sarà effettivamente valutato e preso in considerazione, che essi avranno la possibilità di essere coinvolti in laboratori di quartiere, associazioni e comitati che si interessano di problematiche ambientali o urbanistiche (nei quali mettere a disposizione la loro conoscenza non esperta, ma specifica non solo dei luoghi ma anche dei bisogni e delle potenzialità della collettivit ), e possano persino ricoprire ruoli di responsabilità (ad esempio portavoce degli interessi della comunità) nella stesura degli obiettivi e delle modalità di intervento.
La partecipazione, per essere realmente tale, dovrà dunque aprire il dibattito alle decisioni di tutti coloro che hanno un interesse nel progetto e nel territorio in cui insiste, ovvero gli stakeholder.
Essi potranno offrire il loro contributo per migliorare in efficacia, efficienza, equità e sostenibilità il progetto in esame, in interazione
con gli stockholders “che già partecipano attraverso gli stocks che mettono in gioco, ossia il loro capitale, professionalità, potere, impegno decisionale e rischio d’impresa”2.
Le due accezioni e le loro differenze sostanziali si ritrovano rispettivamente nella forma di pratica partecipativa di tipo top down, per un approccio volto ad accrescere il consenso popolare sulle decisioni politiche, e di tipo bottom up, per un metodo, invece, disposto a delineare scenari socialmente condivisi.
Questi procedimenti, naturalmente, non tengono conto di altre forme di partecipazione scaturite dal basso, intese quali mobilitazioni spontanee di cittadini volte a contrastare decisioni prese senza consultare la popolazione e percepite come imposizioni dall'altro. Come nel caso della Centrale a Carbone di Saline Ioniche, in Provincia di Reggio Calabria, struttura ritenuta lesiva della salute dei residenti. In queste forme di protesta e di ribellione locale, che nascono sotto una forte spinta emozionale e, in genere, hanno connotazioni politiche molto forti, spesso non esistono spazi di interazione al di fuori del conflitto. In questi casi le azioni messe in campo, strutturate secondo metodologie più consolidate potrebbero condurre a una visione più ampia disposta a sciogliere i nodi di tematiche quali lo sviluppo locale e la sostenibilità, predisponendosi alla concertazione e alla valutazione di ipotesi decisionali alternative. Nel panorama dei processi partecipativi appena delineato, è chiaro che o l'obiettivo finale deve essere quello della costruzione di consenso manipolato, in cui la garanzia del principio di partecipazione è la mera presentazione di osservazioni o lo stesso procedimento non ha alcun senso. Per, invece, essere funzionale, il processo partecipativo deve condurre alla costruzione positiva di consenso, con una costruzione consensuale e contestuale degli obiettivi e delle strategie da adottare. Tuttavia le pubbliche amministrazioni continuano a preferire metodologie di tipo top - down (letteralmente dall'alto verso il basso) piuttosto che adottare pratiche maggiormente inclusive.
La comunicazione e l'informazione nell'approccio top down avviene spesso con questionari, indagini, sondaggi che consentono di mantenere e difendere, da parte dell'amministrazione, una struttura decisionale di tipo piramidale.
La segretezza dell'informazione, la volontà di prevenire o impedire i conflitti sono elementi caratteristici di approcci esclusivi che, se possono avere il vantaggio di ridurre i costi e tenere sotto controllo i tempi di realizzazione, con l’uso di saperi tecnico scientifici, hanno anche il limite di non prevedere il reale effetto che il processo di trasformazione produce nel territorio e sugli abitanti, i quali possono rendere difficile l'attuazione del progetto stesso, come per altro accaduto in diverse circostanze. Anche quando i cittadini sono coinvolti, e ciò spesso accade alla fine del processo decisionale, giusto per verificare l'efficacia dell'amministrazione, molto spesso valutata
nel consenso sine qua non della cittadinanza, accade che si sollevino ampie conflittualità, bloccando il decorso progettuale. Per questo il confronto e il dibattito con i soli stockholders è limitante e da evitare. La partecipazione, gestita e indirizzata dall’alto intesa allo scopo di salvaguardare i principi funzionali del progetto, si rivela ingannevole ed apparente, si limita a soddisfare le condizioni previste dalla legge qualificandosi più come procedimento consultorio che non partecipativo.
Un approccio, invece, efficace è certamente quello inclusivo, in cui una comunicazione completa e veloce, favorendo l'adesione di una larga parte di attori consente di affrontare le istanze di conflitto di cui gli stessi sono portatori, in modo che siano affrontate e risolte per mezzo di alternative differenti.
È vero che in tal modo rientrano in gioco diverse alternative e la flessibilità del progetto, d'altra parte ciò ha il vantaggio di giungere a soluzioni condivise più durature nel tempo.
Innegabile che i punti di debolezza di un percorso inclusivo siano la dilazione temporale, la difficoltà di mediare i conflitti e il lievitazione dei costi, ma è il rischio da correre se si intende realmente realizzare una pratica democratica in cui siano coinvolti tutti gli attori che possono essere portatori di interessi nelle decisioni da prendere (stakeholder).
Quando avviene un'interazione di questo livello, si parla di approccio bottom - up, adottato da istituzioni insieme a diverse parti pubblico – private, con la volontà di promuovere il dialogo e la cooperazione tra le diverse forze politiche, sociali ed economiche della società. Secondo forme di comunicazione di tipo bidirezionale, in cui la comunità partecipa ai processi decisionali, definendo le problematiche e gli obiettivi, attraverso l'ideazione di strategie ed ipotesi alternative, mentre le istituzioni si impegnano alla collaborazione seria, accettando gli esiti finali derivanti da questi processi di interrelazione. Configurare una partecipazione “dal basso”, significa creare una rete di relazioni in cui, grazie ad una circolazione più diffusa delle informazioni e alla creazione di un clima di apprendimento, di dialogo e di cooperazione, ciascuno può mettere a disposizione le proprie conoscenze, confrontarsi con gli interessi e le prospettive degli altri attori in campo, ridefinire le proprie priorità nel corso dell’interazione, fino a conseguire una soluzione congiunta e condivisa. Un procedimento che, anche dal punto di vista sociologico, cambia la prospettiva per i partecipanti che, per la prima volta, possono dichiarare di “aver contributo al cambiamento, di essere stati ascoltati, di contare qualcosa nelle decisioni che riguardano la vita della comunità”.
Il bottom up è quindi, un metodo effettivamente partecipativo, nel quale con la comunicazione e nel rispetto del principio dell'equità, si attua l'empowerment, ovvero il trasferimento del potere dai soggetti
pubblici agli attori sociali. È uno strumento di acquisizione del consenso perché rendendo responsabili i cittadini rispetto a un problema da risolvere, il loro coinvolgimento diventa condizione di garanzia per l'efficacia ed efficienza del progetto, diversamente da quanto accadrebbe con progetti calati dall'alto dalle amministrazioni. È chiaro che il successo di un processo partecipativo inclusivo dipende dalla capacità del promotore di identificare gli argomenti e gli interessi chiave della comunità, comprendendone le necessità, le risorse, la disponibilità ad impegnarsi e anche di negoziare.
All’ente pubblico spetta quindi il ruolo di prediligere, tra i tanti approcci e tecniche disponibili ognuna con i propri elementi di influenza e svolgimento, uelle più opportune non solo per l’ambito di riferimento su cui operare, ma anche per gli obiettivi preposti e per le risorse che è disposta ad utilizzare per il processo inclusivo di trasformazione del territorio.
Nel panorama nazionale ed internazionale, sono presenti una considerevole varietà di strumenti operativi ed a questo punto diventa doveroso capire approcci, metodi e tecniche che inducano a processi partecipativi. Nella fase preliminare assumono un ruolo fondamentale, le già citate tecniche d’ascolto attivo che possono manifestarsi attraverso i brainstorming, i focus group, l’outreach, iniziative di animazione territoriale, punti o sportelli, o attraverso l’unione di uesti approcci.
Tutti i processi inclusivi potrebbero riuscire meglio se emergesse da subito quali sono le problematiche importanti da sottoporre e quali interlocutori appartenenti alla comunità sono interessati ai processi di trasformazione del territorio.
Le tecniche interattive sono metodi che favoriscono forme di pianificazione bottom-up e portano al dialogo, dove l’informazione prevede anche reazioni (feedback) nei partecipanti. Il reperimento e l’analisi di tali risposte (commenti, opinioni, integrazioni informative e lo scambio di informazioni tra i vari attori consentono la formazione di scenari futuri condivisi mediante processi di apprendimento corale tra tecnici e cittadini.
Affinché le dinamiche del processo di partecipazione siano efficaci, è necessario trovare del modelli operativi che, nella gestione delle relazioni tra gli attori, da un lato supportino gli enti pubblici nella costruzione di politiche urbane e territoriali in una dimensione interattiva, e dall'altro recuperino il divario esistente tra le istanze di supporto alla decisione per la pianificazione e l'inadeguatezza degli strumenti tradizionali a esplicare relazioni concertative efficaci ai fini del raggiungimento degli obiettivi preposti.
Poi è il livello di maggiore o minore intensità della partecipazione o del coinvolgimento a variare l'applicabilità e gli impatti sui processi e sugli esiti dei progetti, sino al raggiungimento di una vera e propria produzione sociale che non significa “costruzione e ampliamento del
consenso su procedimenti già decisi”, ma deve rendere partecipi tutti i soggetti sin dalle fasi preliminari di preparazione delle strategie. Nel momento in cui, nel processo di trasformazione e gestione del territorio, si inseriscono nuove risorse economiche, provenienti da enti privati, si modificano sia gli interessi tra le diverse parti, le loro relazioni e le necessità.
Da un modello tradizionale, in cui lo Stato figura come autorità indiscussa e esclusivo depositario dell'interesse generale, si passa al coinvolgimento dell'attore privato e questo perché o non si possiedono le risorse economiche o non si hanno le capacità gestionali per soddisfare le istanze di trasformazione del territorio. Un modello uesto definito “parternariale”che, nato dalla mediazione tra interessi economici e collettivi, ottiene il consenso per mezzo degli istituti di Osservazione al Piano, degli Accordi di Programma o delle Conferenze dei servizi.
1 In “Le ragioni della partecipazione nei processi di trasformazione urbana” Roma - Parte 1B pag. 10 a cura di USPEL (Comune di Roma) e ECOSFERA, 2001, in Atti del Convegno reperibili al link:www.comune.roma.it/wps/portal/pcr?jppagecode=dip_pol_r_pe_u_sv_l_u_rag.wp