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Partecipazione: una prospettiva di procedimenti inclusivi

3.2. Tipologie

3.2.1. Partecipazione: una prospettiva di procedimenti inclusivi

La realizzazione di processi decisionali che coinvolgano gli attori territoriali e sociali, non è fatto semplice, anzi, tenuto conto del numero dei partecipanti (che possono raggiungere il centinaio di persone) può sembrare un'impresa impossibile.

Occorre, infatti, che non solo si discuta, ma che in tempi ragionevolmente brevi si giunga a una conclusione costruttiva. Innumerevoli potrebbero essere le ragioni per cui, d'altra parte, una volta convocate le assemblee, o le conferenze dei servizi, non si riesca ad ottenere una soluzione, o perché esistono conflitti poco chiari, che nessuno riesce a sbrogliare, o perché alle riunioni manca qualcuna delle amministrazioni interessate.

Può anche capitare che non tutti i partecipanti si esprimano pubblicamente e quei pochi interventi non siano espressivi degli interessi della collettività, per cui al termine dell'assemblea gli amministratori sono chiamati a giungere a una conclusione che però resta aleatoria rispetto alle istanze dei presenti. Non è raro che accada che i cittadini ne escano frustrati, ritenendo di non esser stati ascoltati, e gli amministratori irritati per non essere riusciti ad essere abbastanza convincenti e a non avere risposto alle critiche manifestate dai presenti.

Per ovviare a queste problematiche sono stati creati metodi di interazione e di comunicazione molto elementari, che partono dal presupposto di ottenere che tutti i partecipanti si esprimano, dispongano di informazioni adeguate, e siano messi in condizione di capirsi e di arrivare a soluzioni condivise. Numerosi sono approcci, le metodologie e le tecniche possibili che hanno alle spalle una lunga riflessione di natura teorica (filosofica, antropologica, psicologica) sui temi del dialogo, della gestione dei gruppi, dell’ascolto, della risoluzione dei conflitti.

È ovvio che nessuna tecnica sia risolutiva, ma possa fornire un valido aiuto, e nessuna sia utilizzabile in tutti i contesti. A seconda delle circostanze, può essere meglio sceglierne una piuttosto che un’altra o combinarle tra di loro: una strategia appropriata nasce di solito dalla combinazione di tecniche diverse, che ne costituiscono pertanto gli ingredienti base.

Bobbio, nel manuale “A più voci”, raggruppa queste tecniche in tre famiglie, a seconda dei problemi che esse si propongono di affrontare, distinguendo tra:

 tecniche per l’ascolto, ossia metodi che aiutano a capire come i problemi sono percepiti dagli stakeholder e dai comuni cittadini. Possono essere impiegati soprattutto nella fase preliminare, quando si tratta di avviare un processo inclusivo, individuare i possibili interlocutori e capire quali sono i temi su cui lavorare;

 tecniche per l’interazione costruttiva, ossia metodi che aiutano i partecipanti a interloquire tra di loro e a produrre conclusioni interessanti. Possono essere impiegati per organizzare e gestire il processo decisionale inclusivo;

 tecniche per la risoluzione dei conflitti, ossia metodi che aiutano ad affrontare questioni controverse. Possono essere impiegati quando sorge un conflitto.

Una distinzione che non può essere netta, anche perché molte tecniche si trovano a cavallo tra due campi diversi, anche se la maggior parte di esse si basa su alcuni principi comuni.

Innanzitutto l'idea che tra i partecipanti occorra comprendersi.

“Gli specialisti, sia i tecnici che gli amministrativi, usano linguaggi incomprensibili ai profani (e tutti noi siamo profani rispetto a qualche specialista), e tendono a dare per scontate premesse che per gli altri sono invece indispensabili. Gli stessi concetti possono essere sempre espressi con il linguaggio comune. La comunicazione, il parlare semplice sono requisiti essenziali di qualsiasi processo partecipativo. Certe volte può essere utile far vedere le cose piuttosto che descriverle a voce o per iscritto, mostrare un plastico invece che un disegno architettonico (che la maggior parte della gente non capisce , fare esempi piuttosto che citare dei numeri (pochi capiscono uanto è grande un volume espresso in metri cubi, ma tutti hanno un’idea della dimensione del Colosseo). Ci vuole in sostanza un lavoro di traduzione, che permetta di mettere tutti alla pari. Alcuni approcci ricorrono, a tecniche di simulazione per facilitare la comprensione dei problemi e lo scambio tra i partecipanti” 1.

Un altro aspetto è la stesura di regole del gioco e l'accettazione da parte dei partecipanti. Se, infatti, la spontaneità è necessaria per il giusto svolgimento del processo inclusivo, la partecipazione non può essere lasciata allo stato brado, ma è necessaria una cornice ben definita all'interno della quale possa delinearsi.

Essa è funzionale soprattutto nella logica dei tempi della partecipazione, per evitare che le discussioni si protraggano all'infinito con conseguente frustrazione dei partecipanti.

Le regole, inoltre, devono essere abbastanza flessibili da permettere un adeguamento del processo alle circostanze, ma abbastanza rigide da fissare confini certi. Ciascuno dei partecipanti deve sapere esattamente a che gioco sta giocando. Le regole variano da un approccio all’altro, anche de sono ammesse alcune costanti.

I processi sono in genere strutturati in fasi, la cui successione deve essere nota fin dall’inizio. La durata delle varie fasi e dei singoli

incontri deve essere predefinita accuratamente, non sono consigliabili riunioni che durano per ore, perdendo via via partecipanti.

Anche l’organizzazione degli spazi deve essere molto curata, perché l’interazione tra i partecipanti può essere favorita dalla loro disposizione.

La maggior parte delle esperienze partecipative, in Italia, sono condotte attraverso assemblee pubbliche o consigli comunali aperti. Questi sistemi, sono tecniche di discussione molto primitiva nelle quali si registrano rapporti più di forza che soluzioni ai problemi. Il problema è invece esattamente il contrario: ossia di sbloccare, attraverso argomenti e negoziati, i rapporti di forza esistenti.

Le amministrazioni sono tradizionalmente abituate a lavorare mediante atti formali, hanno bisogno di basarsi su certezze e diffidano di ciò che non si può documentare con precisione.

Anche i meccanismi partecipativi tradizionali (come le osservazioni dei cittadini ai piani regolatori o quelle sulle procedure di valutazione di impatto ambientale) sono basate su questi presupposti. In queste procedure manca il rapporto diretto, le comunicazioni si svolgono esclusivamente per iscritto e prevedono l’uso di un linguaggio formale e non è prevista alcuna interazione tra i cittadini e l’amministrazione. Quest’ultima è soltanto tenuta a rispondere alle osservazioni nuovamente in forma scritta.

Queste forme di partecipazione non consentono alcuno sviluppo di tipo dialogico. Permettono di affermare e difendere degli interessi, ma non di ridefinirli nel contesto decisionale. L’approccio consensuale assume, invece, come aspetto centrale proprio la possibilità di trasformare, attraverso il confronto, la natura delle poste in gioco. Altro aspetto essenziale è l'abbattimento delle relazioni formali e di qualsivoglia crisma dell'ufficialità. Per raggiungere questo obiettivo è necessario studiare come accogliere e mettere a proprio agio i partecipanti, e favorire l'accessibilità del luogo di incontro.

“L’invito dovrebbe essere sufficientemente caldo e motivante, ovvero essere preceduto da una fase di ascolto che ha la funzione principale di costruire un rapporto di fiducia e collaborazione: serve a poco

convocare un incontro pubblico, ancorché informale, se non si è fatto nulla per animare il contesto di intervento in modo da creare un’aspettativa per uell’evento”2.

I metodi inclusivi si basano sempre su riunioni di piccoli gruppi (dalle 5 alle 20 persone in cui le persone non hanno l’obbligo di fare

interventi, ma possono limitarsi a esprimere il loro pensiero in poche parole, controbattere a uello che dicono gli altri, prendere la parola più volte nel corso della stessa sessione, interrompersi a vicenda. Quando i partecipanti sono numerosi, li si può suddividere in tanti piccoli gruppi di lavoro che in seguito troveranno il modo di relazionarsi tra di loro.

“L’amministrazione che propone e guida un processo di tipo inclusivo deve aver cura di mettere a disposizione del pubblico tutti gli elementi conoscitivi in suo possesso e rendere trasparenti agli occhi dei partecipanti lo svolgimento del processo stesso. Deve inoltre pretendere che tutti i partecipanti facciano lo stesso, gli uni con gli altri. Deve in altre parole scommettere sulla fiducia. Dare le informazioni cruciali a chi normalmente non ne dispone è un modo per dotarlo di un potere analogo ad altri attori dell’arena. Ma è anche un modo per creare un piccolo spiazzamento positivo che tendenzialmente è utile a costruire fiducia verso il processo. O meglio, è uno strumento prezioso per smontare fre uentissimi atteggiamenti di diffidenza” 3.

La trasparenza è rara, non solo perché c’è sempre chi ha interesse a non rivelare la informazioni in suo possesso, ma soprattutto perché è faticosa. Praticare la trasparenza significa dedicare energie alla diffusione delle informazioni tra i partecipanti, non lasciare nessuno indietro, curarsi di tutti. E tuttavia è un passo assolutamente indispensabile. Quando cala la trasparenza (e cresce l’opacit ), cominciano a crearsi squilibri e a incrinarsi la fiducia. Il principio della trasparenza distingue questo approccio dalle pratiche di negoziazione occulta.

“Normalmente in Italia, quando si tratta di prendere una decisione complessa, i responsabili delle amministrazioni cominciano a tessere una fitta rete di relazioni informali con i vari protagonisti negoziando possibili soluzioni. Queste relazioni sono tenute rigorosamente segrete; il grande pubblico non sa quali negoziati sono in corso e con chi. Anche i risultati di tali contrattazioni sono tenuti segreti: può accadere che in un progetto o in un atto deliberativo venga introdotto un cambiamento che è il risultato di ualche accordo, senza che si sappia chi ha voluto quel cambiamento e attraverso quale tipo di scambio. Le pratiche della negoziazione sottobanco possono avere effetti devastanti perché seminano il sospetto e la dietrologia”4.

1 Bobbio Luigi “A più voci”, Edizioni scientifiche Italiane , Roma 2004, pag. 56. 2 Bobbio, cit., pag. 58.

3 Bobbio, cit., Pag. 60. 4 Bobbio, cit., Pag. 61.