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L’APPROVAZIONE PONTIFICIA E IL LEGAME CON CATERINA CIBO (1528-1529)

I «F RATI M INORI DELLA VITA HEREMITICA »

3. L’APPROVAZIONE PONTIFICIA E IL LEGAME CON CATERINA CIBO (1528-1529)

a) “Intercedente ducissa Camerini”. La bolla Religionis zelus (1528)

Mentre Giovanni da Fano si dedicava alla stesura del Dialogo de la salute, Matteo da Bascio era tornato alla vita eremitica e alla predicazione itinerante nel territorio di Fabriano, trovando rifugio nella chiesa di san Martino a Cerreto d’Esi. In questo luogo, forse già dall’estate del 1526, a Matteo si unirono un fra Prospero, di cui sappiamo molto poco, e l’ex osservante veneto Paolo Barbieri da Chioggia, personaggio di primo piano nella storia cappuccina delle origini1. Successivamente, nel corso del 1527, si aggregò alla piccola fraternità anche il giovane Pier Matteo Antonini, di nobile famiglia, che poi da cappuccino si chiamerà Giuseppe da Collamato2. A san Martino i tre compagni «haveano fatto un poco de ridotto o stipa, e dormevano come, con reverentia, fanno gli animali. E da queste genti erano sovvenuti di mangiare e bere. Et detto fra Paulo vi stette più assiduo che fra Matteo, perché fra Matteo era più vagabondo»3.

Mentre Matteo da Bascio attirava imitatori per le contrade fabrianesi, Ludovico e Raffaele da Fossombrone si stabilirono invece presso l’eremo di San Cristoforo di Arcofiato, a tre chilometri da Camerino4: vi rimasero per quasi due anni, durante i quali

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Su Paolo da Chioggia, oltre alla voce in Lexicon capuccinum e le informazioni contenute in FC, ad

nomen, si vedano GERARDO DA VILLAFRANCA, P. Matteo da Bascio e Paolo da Chioggia. Studio sulla

loro vita, Chioggia, Stabilimento Tipografico G. Vianelli e C., 1913; DAVIDE DA PORTOGRUARO, Il primo

cappuccino veneto: P. Paolo da Chioggia, in «Collectanea Franciscana», XI, 1941, pp. 35-69;

GIANCRISOSTOMO DA CITTADELLA, P. Paolo da Chioggia e la Confraternita del SS. Crocefisso, Padova, Tipografia Antoniana, 1946; C.URBANELLI, Paolo da Chioggia primo cappuccino veneto e la riforma

cappuccina, in Le origini dei cappuccini veneti. Studi per il 450° di fondazione (1535-1985), Venezia-

Mestre, Curia Provinciale Frati Cappuccini, 1988, pp. 67-77. 2

Cfr. SARACENO, MHOMC I, pp. 235-236.

3 Sacerdote, un tempo notaio, Paolo da Chioggia «predicava nel castello rare volte e assai manco di fra Matteo», «era più dotto e più letterato di detto fra Matteo» e «spesso era visitato in San Martino da altri frati de più bande che seguitavano lo stil suo e abito». Nel tempo del soggiorno a san Martino, avrebbe scolpito un mirabile crocifisso in rilievo, «grande quanto un grand’uomo», che a fine secolo era oggetto di devozione popolare nella chiesa di Santa Maria della Piazza, sempre a Cerreto. È possibile inoltre ipotizzare una sua partecipazione attiva alla redazione delle ordinazioni di Albacina: secondo alcuni critici, infatti, dietro la codificazione delle norme dettate da Ludovico da Fossombrone nel 1529 ci sarebbe la penna di un giurista, qual era, unico tra i primissimi cappuccini, Paolo da Chioggia. È quanto emerge da una testimonianza raccolta nel tardo Cinquecento dal canonico Giuseppe Zarlino da Chioggia, autore di una campanilistica Informatione intorno la origine della congregatione dei reverendi frati

capuccini in cui Paolo da Chioggia viene presentato come iniziatore della riforma cappuccina. L’opera fu

edita una prima volta in Venezia, appresso Domenico Nicolini, 1579 e poi ripubblicata in G.ZARLINO, De

tutte l’opere del R. M. Gioseffo Zarlino da Chioggia, IV, Venezia, Appresso Francesco de Franceschi

Senese, 1589, p. 98. Edizione critica di Melchiorre da Pobladura in SARACENO, MHOMC I, pp. 482-526. La lettera del Lori è anche in FC II, pp. 341-345. Vedi inoltre ALENÇON, De primordiis, cit., p. 41 n. 2. La confutazione della versione dello Zarlino è uno degli obiettivi dichiarati della cronaca di Mario da Mercato Saraceno. Sul crocifisso di Paolo da Chioggia vedi anche URBANELLI, Storia, I, p. 217 n. 16. 4 Cfr. G. .B

OCCANERA, Camerino e i primordi dei Cappuccini, in Le origini della Riforma cappuccina, cit., pp. 79-96.

Ludovico iniziò a coltivare il progetto di dar vita a una nuova congregazione religiosa. Un primo passo in questa direzione fu come si è visto la decisione di rivolgersi al ministro provinciale dei conventuali, sotto la cui giurisdizione il Tenaglia chiese di essere accolto insieme al fratello e agli altri frati che si erano loro uniti in quei mesi5. Patrocinata da Caterina Cibo, l’iniziativa dovette andare a buon fine se nel Dialogo de la salute, dato alle stampe nel giugno 1527, Giovanni da Fano accusava i fratelli di Fossombrone di non essere né osservanti, né conventuali6.

Nel biennio trascorso ad Arcofiato, Ludovico e compagni furono chiamati dalle circostanze a dedicarsi con assiduità alle opere assistenziali, più che al desiderato raccoglimento eremitico, per il quale tanto avevano lottato. Nei mesi del sacco di Roma e dell’ultima, cruenta fase delle guerre d’Italia, il territorio di Camerino fu attraversato infatti dal passaggio di truppe mercenarie e da una violenta epidemia di peste, che il 10 agosto 1527 causò la morte del duca Giovanni Maria da Varano. In questo drammatico frangente, i fratelli Tenaglia e i loro seguaci assicurarono un prezioso sostegno alla popolazione di Camerino e a Caterina Cibo, la quale dopo la scomparsa del marito aveva assunto la reggenza del ducato7.

Contro il governo della Cibo, insorse negli ultimi mesi del 1527 uno dei figliastri del defunto Giovanni Maria, Rodolfo da Varano, che permise al cognato Sciarra Colonna8 di penetrare a Camerino con le sue truppe, mettendo a ferro e fuoco città e contado9.

5 L’esempio lo avevano fornito gli Scalzi spagnoli, che nel 1517 avevano architettato un simile espediente per sottrarsi al rigido controllo dell’Osservanza.

6 Come ha precisato Urbanelli, «è del tutto incredibile» che i due fratelli Tenaglia si siano stabiliti per qualche tempo «nel palazzo ducale dei Da Varano». Questa versione, fornita da Colpetrazzo, Saraceno e Lili, è smentita infatti dalla testimonianza di Nicola da Tolentino. Cfr. URBANELLI, Storia, I, p. 219, n. 24. A tali annotazioni si deve però aggiungere una precisazione: come hanno mostrato i recenti rinvenimenti di documenti della seconda metà degli anni ’20 in cui i primi cappuccini figurano come testimoni di atti notarili rogati per la duchessa di Camerino, è proprio in questo periodo che il rapporto di simpatia che legava i frati minori della vita eremitica a Caterina Cibo si salda in quell’amicizia e collaborazione profonde, che dal 1527-1528 si esprimerà in forma più compiuta, facendo della duchessa la «mamma» dei fratini scapuccini. Cfr. G. BARTOLOZZI, La fondazione del convento dei cappuccini di Renacavata a

Camerino, in «Collectanea Franciscana», LXXII, 2002, pp. 307-335; IDEM, Camerino e le origini dei

Cappuccini, in Presenze francescane nel camerinese, cit., pp. 193-202.

7 Cfr. C

OLPETRAZZO, MHOMC II, pp. 222-224; FOLIGNO, MHOMC VII, pp. 176-178; URBANELLI,

Storia, I, p. 223. Nella città della Cibo, lo stesso Matteo e i due fossombronesi si distinsero nel 1527 per

l’assistenza ai malati di peste. Cfr.SENSI, La peste del 1527 a Camerino, cit., pp. 333-340, dove si spiega come, quando nel 1522 giunse a Camerino, annunciata secondo le cronache coeve dal «volo d’infinite farfalle dall’Abruzzo», la peste venne accolta dalla cittadinanza come un «castigo divino» per le «discordie civili» e fu considerata l’adempimento delle Profezie del Beato Tomasuccio risalenti al 1377 – il Tomasuccio era «un predicatore itinerante dell’Osservanza francescana» – causando, peraltro, la morte del marito di Caterina Cibo, Giovanni Maria Varano. Più in generale, cfr. W.ANGELINI, La situazione

politico-religiosa della Marca nel primo trentennio del secolo XVI, in Le origini della Riforma cappuccina, cit., pp. 65-78; La Marca e le sue istituzioni al tempo di Sisto V, a cura di P.CARTECHINI, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali – Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, 1991. 8 Sciarra Colonna era fratello di Ascanio e come questi comandante imperiale.

9 Cfr. M. T. G

UERRA MEDICI, Famiglia e potere in una signoria dell’Italia centrale. I Varano di

Mentre Caterina veniva imprigionata, da Castel Sant’Angelo e poi da Orvieto Clemente VII, mettendo da parte le passate frizioni tra Medici e Della Rovere, si adoperò per via diplomatica per far giungere alla nipote il sostegno del duca di Urbino, Filippo Maria10. Questi colse l’opportunità di cancellare le vecchie ruggini con Caterina Cibo e porre così le premesse per l’attuazione del piano che avrebbe portato all’unione di Urbino e Camerino nella persona del figlio Guidobaldo.

A tale scopo furono intavolate delle trattative tra la duchessa e il Della Rovere, che condussero nel dicembre 1527 alla firma di un accordo segreto per il matrimonio dell’erede al ducato camerinese Giulia Varano, figlia di Caterina Cibo, con il figlio del duca urbinate Guidobaldo Della Rovere11. Nel frattempo, con l’intervento in favore della Cibo delle soldatesche inviate dal fratello Gian Battista, dal duca di Urbino, dal legato della Marca e dagli stessi Varano di Ferrara, Sciarra Colonna era stato indotto ad abbandonare Camerino. Dopo tre mesi di reclusione, la reggente Caterina riprese possesso del proprio stato. Dal trattato di pace concluso con il Colonna, tuttavia, vennero esclusi i Varano del ramo ferrarese, Ercole e i due figli Alessandro e Mattia. Questi nel febbraio del 1528 tentarono così un colpo di mano, sventato soltanto grazie all’intervento del Della Rovere12. L’episodio rinsaldò il legame con il duca di Urbino, interessato a garantire una solida permanenza della Cibo alla guida del ducato di Camerino in vista del matrimonio tra Guidobaldo e Giulia Varano, che si sarebbe potuto celebrare soltanto al compimento del quattordicesimo anno di età da parte di quest’ultima, vale a dire nel 153413.

In questi anni, nonostante due ulteriori assalti armati da parte dei Varano di Ferrara14 e grazie anche all’«amicizia» stretta dalla duchessa con Carlo V e con alcuni dei più influenti rappresentanti in Italia dell’imperatore, la reggenza di Caterina fu sostanzialmente «tranquilla»15. È in questo complesso quadro politico-diplomatico, che va inserito e valutato lo stabilirsi di un legame e di una collaborazione sempre più stretti tra la duchessa di Camerino e i primi cappuccini. Com’è stato suggerito, supportare la

10 Cfr. F

ELICIANGELI, Notizie e documenti, cit., p. 56.

11 Il patto matrimoniale doveva restare segreto in quanto era contrario alle disposizioni testamentarie di Giovanni Maria Varano, che aveva indicato in un Varano di Ferrara il futuro sposo della figlia Giulia.

Ibidem, pp. 283-291 per le ultime volontà del duca di Camerino.

12 Scampato il pericolo, spiega Feliciangeli, la Cibo mostrò una feroce «inclinazione alla vendetta» nei confronti dei fiancheggiatori dei suoi nemici. Ibidem, p. 88.

13 Il contratto matrimoniale venne siglato, dopo lunghi negoziati che avevano visto Caterina Cibo ricevere offerte per la mano di Giulia anche da Ascanio Colonna per uno dei suoi figli, nell’ottobre 1534. Ibidem, p. 174.

14 Liberato per motivi poco chiari da Filippo Maria Della Rovere, nel corso del 1528 Ercole Varano organizzò una nuova rivolta contro Caterina Cibo, la quale avvertita per tempo dalla duchessa di Urbino, Eleonora Gonzaga, riuscì anche stavolta a respingere l’attacco dei varanesi di Ferrara, scomunicati poi nel 1529 da Clemente VII. L’altro attacco, che giunse a mettere in pericolo la vita stessa della Cibo, avvenne nell’aprile 1534 ad opera di Mattia da Varano. Ibidem, pp. 94 sgg. e 152 sgg.

nascente congregazione che faceva riferimento a Ludovico da Fossombrone significava, per la Cibo, ritagliarsi uno spazio autonomo di manovra sulla scena religiosa cittadina, che a causa dello stretto rapporto intessuto nei decenni precedenti dalla famiglia ducale con l’Osservanza, non appariva certo favorevole alle strategie dinastiche della duchessa16.

Sotto questa luce, il patronage assicurato ai cappuccini dalla duchessa di Camerino deve dunque essere considerato come qualcosa di più del semplice frutto di un personale coinvolgimento religioso o di un segno di gratitudine per l’assistenza che i primi cappuccini avevano prestato alla popolazione durante le epidemie di peste che colpirono Camerino nel 1523 e nel 1527. Questo intreccio di sincere simpatie spirituali e più prosaiche motivazioni politiche fu decisivo per la prima approvazione canonica della neonata riforma cappuccina, perché procurò a Ludovico da Fossombrone e ai suoi compagni un alleato potente non solo nel territorio camerinese, area privilegiata per la prima espansione della congregazione, ma anche presso la curia romana di Clemente VII e in particolare in un ufficio chiave come quello della Penitenzieria, i cui rappresentanti avevano il potere di concedere dispense e approvare le proposte di singoli religiosi o di gruppi desiderosi di apportare modifiche alla vita regolare, come nel caso dei cappuccini17.

Dei movimenti e delle strategie di Matteo da Bascio e dei fratelli Ludovico e Raffaele da Fossombrone nei primi mesi del 1528, possediamo soltanto una serie di tracce sparse e disorganiche. Nel loro insieme, ad ogni modo, esse ci offrono uno spaccato indicativo del progressivo consolidarsi del rapporto tra i tre futuri cappuccini, in particolare i due fratelli Tenaglia, e la loro più influente sostenitrice, Caterina Cibo. Per Ludovico e Raffaele da Fossombrone, «cum quibusdam sociis suis», nella prima metà del 1528 Caterina Cibo inoltrò allo zio Clemente VII una supplica, con la quale richiedeva di concedere loro un eremo sito nei pressi di Cessapalombo18. Questa richiesta, di cui non

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L’appoggio dato ai cappuccini può essere letto come ricerca di una strada alternativa, da parte di Caterina Cibo, rispetto alla tradizionale politica religiosa dei Da Varano, sostenuti dagli osservanti sia del ramo maschile, sia di quello femminile. In questa prospettiva, si può trovare una spiegazione “politica” all’assenza di testimonianze sui rapporti di Caterina con la cognata Camilla Battista da Varano, riverita mistica morta nel 1527 in odore di santità nel monastero delle clarisse di Santa Chiara di Camerino, che il padre Giulio Cesare Varano aveva costruito appositamente per tenere vicino a sé la figlia fattasi monaca. Su di lei, cfr. Beata Baptista Varani et primordia Ordinis F. M. Capuccinorum, in «Analecta Ordinis Minorum Capuccinorum», XXII, 1906, pp. 240-244; P. LUZI, Camilla Battista da Varano. Una

spiritualità fra papa Borgia e Lutero, Torino, Gribaudi, 1989; P.L.FALASCHI, Signori e Minori nell’area

camerte, in Presenze francescane nel camerinese, cit., pp. 177-202; Dal timore all’amore. L’itinerario spirituale della beata Camilla Battista da Varano, Assisi, Edizioni Porziuncola, 2009.

17 Cfr. F. T

AMBURINI, Santi e peccatori. Confessioni e suppliche dai Registri della Penitenzieria

dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-1586), Milano, Istituto di Propaganda Libraria, 1995.

18 L’eremo di Cessapalombo era anche noto come «la Grotta de sancta Maria Magdalena». Al posto degli indegni clareni che in quel momento lo occupavano conducendo «vitam dissolutam in malum exemplum populorum vicinorum», la duchessa di Camerino proponeva di collocare in questo luogo, previa

conosciamo l’esito, va collocata in una fase assai significativa dell’attività riformatrice di Ludovico da Fossombrone. Mentre infatti Matteo da Bascio proseguiva in maniera autonoma la vita di predicatore itinerante, assistendo i malati e contribuendo con le sue imprevedibili apparizioni urbane alla promozione di iniziative pubbliche in favore dei poveri19, Ludovico si adoperò per dotare di una patente di legittimità la piccola fraternità che andava formandosi intorno alla sua guida carismatica.

Secondo le disposizioni contenute nella bolla Ite vos del 1517, per realizzare una nuova rifoma francescana era richiesta l’autorizzazione del ministro generale dell’ordine di appartenenza, senza la quale non era permesso ai promotori presentarsi in curia per ricevere l’approvazione canonica. Per questo motivo, ritenendo che non avrebbe mai ottenuto un tale permesso dal generale degli osservanti, Ludovico da Fossombrone aveva optato per il passaggio sotto la giurisdizione dei conventuali20. Sotto la protezione dei conventuali, forte del sostegno di Caterina Cibo e incoraggiato da molti ex confratelli osservanti attestati sulle posizioni riformiste che la penna di Giovanni da Fano aveva attribuito al «Frate Stimolato» nel Dialogo de la salute21, Ludovico da Fossombrone poteva concretamente aspirare a dar vita a una nuova congregazione canonicamente legittima e approvata.

Quando nell’ultima decade del giugno 1528 la Cibo si mosse da Camerino per recarsi in visita a Clemente VII, che lasciato il rifugio di Orvieto si era trasferito a Viterbo, il frate decise così di accompagnare la duchessa per presentare alla curia papale il proprio progetto e chiederne l’approvazione22. Insieme al fratello Raffaele, Ludovico si rivolse in prima istanza al cardinale protettore dei minori Andrea Della Valle, il cui consenso era imprescindibile per sperare in una positiva accoglienza dell’iniziativa da parte del papa e degli ufficiali della Penitenzieria.

autorizzazione del vescovo di Camerino, i religiosi suoi protetti, elogiandoli come frati «qui non solum servant Regulam beati Francisci, sed veram vitam heremiticam faciunt, in maxima paupertate Altissimo famulantes». La supplica è in ROMA, AGC, PC 8 (2) ed è edita in EDOARDO DA ALENÇON, Les premiers

couvents des Frères-Mineurs Capucins. Documents et souvenir de voyage, Paris-Couvin, Editore, 1912,

pp. 26-27 e in FC II, pp. 313-316.

19 Il 2 maggio 1528, ricevuto in elemosina un bue, Matteo da Bascio chiese al consiglio comunale di Fabriano di allestire un pranzo per i più bisognosi. URBANELLI, Storia, I, pp. 217-218; II, doc. n. 14. Nel

Diario del camerinese Bernardino Lilii, sotto la data del 10 luglio 1528 si annota: «Venne in Camerino un

Frate Scappuccino». È possibile che si trattasse di Matteo da Bascio o di un altro religioso che portava l’abito della nuova congregazione approvata poco più di un mese prima da Clemente VII, ma non è escluso che fosse un semplice predicatore itinerante, come il Brandano: nel primo Cinquecento, infatti, il termine «scappuccino» era sovente utilizzato come sinonimo di «eremita» e poteva addirittura essere confuso con quello di «teatino».

20 A concedere al Tenaglia e ai suoi compagni tale facoltà fu probabilmente il ministro provinciale delle Marche successore di Giovanni da Fano, Paolo da San Severino, che attratto anch’egli dalle iniziative per una più stretta osservanza della Regola, dopo il 1532 passerà alla riforma interna all’Osservanza. Cfr. S. RINALDI, Series chronologica Capitulorum… Marchiae Anconitanae Regularis Observantiae, in «Miscellanea Franciscana», XXXII, 1932, p. 79.

21 Cfr. C

OLPETRAZZO, MHOMC II, pp. 179, 228-233; URBANELLI, Storia, I, p. 226. 22 Cfr. C

All’influente prelato, di cui va sottolineata la fedeltà al partito colonnese23, venne sottoposto il testo di una supplica con la quale i due Tenaglia esponevano le linee programmatiche della nuova congregazione, chiedendo nello specifico: di poter condurre vita eremitica e contemplativa in un luogo solitario, sotto la protezione dei conventuali; di portare la barba lunga e indossare il grezzo abito eremitico con il cappuccio quadrato, che sarà tipico dei primi cappuccini; di eleggere un proprio custode dotato delle medesime prerogative e autorità di un ministro provinciale; di ammettere nella nuova fraternità chierici e religiosi provenienti da altri ordini «superiorum suorum licentia petita non obtenta»24.

Proprio quest’ultimo punto, che consentiva il passaggio alla riforma anche dei frati osservanti previa una semplice comunicazione ai superiori25, dovette determinare l’iniziale mancato accoglimento della supplica26. Evidentemente il Della Valle temeva nuovi disordini all’interno dell’ordine francescano. La supplica venne allora ripresentata priva di tale formulazione, che fu scaltramente sostituita dalla richiesta di poter godere degli stessi privilegi dei camaldolesi. Si trattava di un raffinato escamotage, dal momento che tra le prerogative proprie dei camaldolesi, in forza della bolla Illa quae concessa da Eugenio IV nel 1435, vi era anche quella di ricevere chierici e frati di ogni provenienza27.

23 La famiglia Della Valle faceva parte nel primo Cinquecento di quell’«eterogeneo nucleo di individui e gruppi – nobiles viri, mercatores, milites, domicelli, appartenenti alle élites romane» che dai tempi di papa Martino V Colonna avevano stretto con il ramo di Genazzano della potente casata un sempre più stretto rapporto clientelare o di vassallaggio. Tra le nomine cardinalizie di prelati «appartenenti al ceto municipale e legati da tempo ai Colonna da stretti vincoli clientelari», che nel 1517 accompagnarono per volontà di Leone X l’elevazione alla porpora di Pompeo Colonna, figurava anche quella di prelati come Alessandro Cesarini, Domenico Jacobacci e Andrea Della Valle, i quali «avrebbero costituito un primo nucleo del gruppo di potere colonnese all’interno del collegio cardinalizio, raccolto intorno alla figura emergente del cardinale Pompeo». Tra gli otto romani nominati cardinali nel 1517 c’era anche Gian Domenico De Cupis. Su Andrea Della Valle, cfr. CH.RIEBESELL, Della Valle Andrea, in DBI, XXXVII, 1989, pp. 720-723. Per il suo rapporto con i Colonna e per il significato politico delle creazioni cardinalizie del 1517, cfr. SERIO, Una gloriosa sconfitta, cit., pp. 47, 238 e passim.