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DA LUDOVICO DI FOSSOMBRONE A BERNARDINO OCHINO IL CAPITOLO DI SANT’EUFEMIA E LA SVOLTA CULTURALE DEL 1534-

«P ROFEXORI DELLO E VANGELO E DELLA R EGOLA DEI FRATI MINORI »

5. DA LUDOVICO DI FOSSOMBRONE A BERNARDINO OCHINO IL CAPITOLO DI SANT’EUFEMIA E LA SVOLTA CULTURALE DEL 1534-

a) Verso nuovi equilibri. L’ascesa di Bernardino d’Asti e la rete imperial-colonnese

Tra l’estate del 1533 e gli ultimi mesi del 1536 la storia cappuccina conobbe un passaggio cruciale, destinato a segnare l’identità collettiva della giovane congregazione in maniera decisiva. Una chiara consapevolezza dell’importanza di questo triennio per l’evoluzione della riforma emerge nitida dai ricordi del cronista Bernardino da Colpetrazzo, che degli eventi di quella fase fu giovane testimone:

Piacque al signor Iddio che nel trenta cessorno le guerre, la peste e la carestia. Et in questo tempo gran numero de’ frati vennero alla santa riforma de tutt’il corpo della religione, non solo semplici et idioti, ma gran moltitudine de’ primi dotti e sant’huomini che fussero in tutto il corpo della religione. Et all’hora appress’il mondo alzò il capo la puovera congregatione, imperochè per la venuta di questi grand’huomini e per le loro predicationi resero la congregatione celeberrima a tutt’il mondo, et molto più appress’i prelati della santa Chiesa, i quali conceperono tanta devotione a Capuccini, che gli reverivano com’apostoli de Christo. Et quindi fuorono sgombrate e buttate per terra le mal’openioni e mormorationi degl’avversarii […]. Et in questo tempo fuorono presi molti luoghi in tutte le provincie, et ce ne fuorono aggionte molte delle provincie che per prima i Capuccini non ci havevano luogo nissuno; et venevano ancor dal secolo molti nobbili et plebei a ricever l’habbito capuccino. Né mai fu in tutto questo tempo insino nel ’43, che per la partita di fra Bernardino Uchino ricevè una gran mortificatione, et fu tale che fu del tutto per rovinare.1

Nel racconto coinvolgente del cronista, il fiorire della riforma cappuccina negli anni ’30 era associato allo spegnersi dei fuochi delle guerre d’Italia, che avrebbe facilitato il passaggio di un «gran numero de’ frati» – tra i quali tanti «semplici et idioti» ma anche una «gran moltitudine de’ primi dotti e sant’huomini» – alla congregazione guidata da Ludovico da Fossombrone. Nella visione del Colpetrazzo, proprio l’ingresso tra i cappuccini di questi uomini colti ed esemplari, in grado con «le loro predicationi» di guadagnarsi il favore delle masse e la stima dei grandi prelati, aveva reso possibile il superamento dell’opposizione degli avversari della riforma e la sua espansione «in tutte le provincie», rendendo attraente la proposta cristiana2 dei cappuccini anche per un numero crescente di «nobbili et plebei», che iniziarono a desiderare di «ricever l’habbito capuccino».

1 C

OLPETRAZZO, MHOMC II, pp. 258-259. La fuga di Bernardino Ochino, com’è noto, va fatta risalire all’agosto 1542 e non, come indicato dal cronista cappuccino, all’anno successivo.

2 L’espressione è mutuata da G. M

ICCOLI, Francesco d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza

cristiana, Torino, Einaudi, 1991. Si vedano anche IDEM, Francesco d’Assisi. Memoria, storia e

storiografia, Milano, Biblioteca Francescana, 2010; A. VAUCHEZ, Francesco d’Assisi. Tra storia e

memoria, Torino, Einaudi, 2010 (ed. or. Paris 2009); G. G. MERLO, Intorno a francescanesimo e

In realtà, come si è avuto modo di accennare, la ragione più diretta del successo della riforma cappuccina nei primi anni ’30 va individuata più pragmaticamente nelle difficoltà incontrate dalla riforma all’interno dell’Osservanza, culminate nella sospensione della bolla In suprema nell’estate del 1533. Bernardino da Colpetrazzo non era tuttavia del tutto fuori strada, quando associava il momento d’oro della primitiva vicenda dei cappuccini alla mutata situazione geopolitica italiana dopo la pace di Bologna. È infatti anche grazie allo stabilirsi di un più saldo dominio imperiale sulla penisola3, che si crearono le condizioni per un inserimento della causa dei cappuccini nel più ampio progetto di controllo politico, sociale e religioso della società condotto dalle personalità più eminenti delle grandi famiglie aristocratiche fedeli a Carlo V e alla monarchia spagnola in Italia, con i Colonna del ramo di Genazzano e i Gonzaga di Mantova in prima linea. Forte del sostegno imperiale e di un profondo radicamento territoriale e clientelare tanto nel Regno di Napoli4, quanto nello Stato della Chiesa, questo eterogeneo ma coeso blocco di potere instaurò nel terzo decennio del secolo una dialettica serrata e non priva di tensioni con la Chiesa di Roma, le cui sorti dall’ottobre 1534 si legarono a doppio filo con le strategie familiari dell’attempato ma ambizioso nuovo pontefice, Paolo III Farnese5.

In questo quadro, la causa dei cappuccini si trasformò progressivamente da caso tutto interno al mondo francescano a questione degna di fare la sua comparsa nel carteggio diplomatico tra il papa e l’imperatore, finendo così presto nell’agenda di quegli influenti prelati che, negli stessi intensi anni precedenti la convocazione del concilio e l’istituzione del Sant’Ufficio del 1542, furono protagonisti su impulso dello stesso Paolo III di una serie di iniziative di riforma dell’apparato curiale e del sistema ecclesiastico a livello tanto centrale quanto periferico6. Il caso dei cappuccini, su esplicito suggerimento di Carlo V, venne infatti affrontato con quello stesso sistema delle commissioni cardinalizie per la riforma e per il concilio, a cui proprio a partire dal 1535-1536 vennero affidate la riorganizzazione di uffici curiali chiave come la Dataria e

3 Cfr. Sardegna, Spagna e Stati italiani nell’età di Carlo V, a cura di B.A

NATRA e F.MANCONI, Roma, Carocci, 2001; M.A. VISCEGLIA, Roma e la Monarchia Cattolica nell’età dell’egemonia spagnola in

Italia: un bilancio storiografico, in Roma y España. Un crisol de la cultura europea en la Edad Moderna (Actas del Congreso Internacional celebrado en la Real Academia de España en Roma del 8 al 12 de mayo 2007), a cura di C. J. HERNANDO SÁNCHEZ, 2 voll., Madrid, Sociedad Estatal para la Acción Cultural Exterior, 2007, I, pp. 49-77; EADEM, Roma papale e Spagna. Diplomatici, nobili e religiosi tra

due corti, Roma, Bulzoni, 2010.

4 Cfr. G.G

ALASSO, Il Regno di Napoli. Il Mezzogiorno spagnolo (1494-1622), in Storia d’Italia, a cura di G.GALASSO, 7 voll., Torino, Utet, 1992-2011, II; IDEM, Carlo V e Spagna imperiale. Studi e ricerche, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007.

5 Il cardinale Alessandro Farnese fu eletto papa con il nome di Paolo III nell’ottobre 1534. Cfr. P

ASTOR,

Storia dei papi, V, pp. 6 sgg.; C.CAPASSO, Paolo III (1534-1549), 2 voll., Messina, Principato, 1923- 1924, I, pp. 27 sgg.

6 Cfr. F.G

UI, L’attesa del Concilio. Vittoria Colonna e Reginald Pole nel movimento degli “spirituali”, Roma, Editoria Università Elettronica, 1997.

la Penitenzieria e, in parallelo, la ripresa a tutto campo delle più ampie istanze riformatrici già discusse ai tempi del concilio Lateranense V e del Libellus ad Leonem X dei camaldolesi Giustiniani e Querini. Questo rinnovato slancio riformatore, favorito dalle prime mosse di papa Farnese, avrebbe portato nel 1537 alla redazione del Consilium de emendanda ecclesia: documento discusso, sostanzialmente mai applicato, ma che rappresenta la cifra del «nuovo corso riformatore inaugurato da Paolo III»7. Diviso in cinque parti, il Consilium era rivolto al papa e conteneva una sferzante critica agli abusi ecclesiastici e curiali, delineando i contorni generali di una riforma della prassi delle ordinazioni sacerdotali e degli ordini religiosi, tra i quali si proponeva addirittura di abolire le congregazioni conventuali. Forti cambiamenti erano inoltre previsti per l’apostolato dei regolari, in relazione al quale era auspicato il ripristino del controllo degli ordinari diocesani nei settori chiave della confessione e della predicazione8.

Tra i firmatari dell’ambizioso progetto di riforma presentato a Paolo III il 9 marzo 1537, accanto a Gian Pietro Carafa, a Jacopo Sadoleto e al maestro del Sacro Palazzo Tommaso Badia, figurava il nobile veneziano Gaspare Contarini9, che aveva presieduto una commissione di cui avevano fatto parte tra gli altri anche altri autorevoli esponenti dell’incipiente dissenso religioso italiano, dal cardinale inglese Reginald Pole, di sangue reale10, al colto benedettino Gregorio Cortese11, dal vescovo di Verona Gian Matteo Giberti12 all’ordinario di Gubbio Federico Fregoso, cugino di Ascanio e Vittoria

7 A

UBERT, Eterodossia, cit., p. 64. 8

Il testo del Consilium de emendanda ecclesia è in CT, II, pp. 131-145. 9 Sul Contarini, si vedano F. D

ITTRICH, Gasparo Contarini. Eine Monographie (1483-1542), Braunschweig, J. A. Wichert, 1885; FRAGNITO, Gasparo Contarini. Un magistrato veneziano, cit.; EADEM, Gasparo Contarini tra Venezia e Roma, in Gaspare Contarini e il suo tempo. Atti del Convegno

(Venezia, 1-3 marzo 1985), a cura di F.CAVAZZANA ROMANELLI, Venezia, Studium Cattolico Veneziano, 1988, pp. 93-123; E.G.GLEASON, Gasparo Contarini: Venice, Rome, and Reform, Berkeley, University of California Press, 1993.

10 Secondo il Pole, che fu poi legato pontificio al concilio di Trento nel 1545, bisognava «levar via in gran parte la Cancelleria, la Penitentieria in grandissima parte; che si facessero vescovi che sapessero predicare; che le parocchie non si dessero a cortigiani; che si lasciasse tutta la sua giurisditione libera alli vescovi, et che fossero huomini degni di stare al suo vescovato, come si faceva nella Chiesa primitiva».

Processo Morone, VI, p. 335. Sulle vicende biografiche dell’importante figura di Reginald Pole, cfr. D.

FENLON, Heresy and Obedience in Tridentine Italy: Cardinal Pole and the Counter Reformation, Cambridge, Cambridge University Press, 1972; P.SIMONCELLI, Il caso Reginald Pole. Eresia e santità

nelle polemiche religiose del Cinquecento, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1977; T. MAYER,

Reginal Pole Prince & Prophet, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, in riferimento al quale si

veda anche M.FIRPO, Note su una biografia di Reginald Pole, in «Rivista Storica Italiana», CXIII, 2001, pp. 859-874.

11 Cfr. F

RAGNITO, Il cardinale Gregorio Cortese, cit.

12 Il Giberti era stato, insieme a Francesco Guicciardini, il principale ispiratore della fallimentare politica filofrancese di Clemente VII. Dopo il sacco di Roma si era trasferito a Verona, dove aveva avviato un vasto programma di riforma della diocesi, attirando presso di sé alcuni degli intellettuali più influenti nel panorama culturale e religioso del primo Cinquecento. Lo studio più penetrante sull’azione politica e pastorale del Giberti rimane quello di PROSPERI, Tra evangelismo e Controriforma, cit. Sul circolo

Colonna13. Proprio alla marchesa di Pescara, ospite romana del Contarini sullo scorcio del 1536 nel palazzo colonnese dei Santi Apostoli, spetta il merito di aver saputo convertire alla causa dei cappuccini alcuni dei principali esponenti del collegio cardinalizio. Tale coinvolgimento riguardò prevalentemente i sostenitori della corrente curiale aperta al dialogo religioso e sensibile all’irenismo erasmiano ispiratore sotto Carlo V della politica estera asburgica, su tutti il Contarini, il senese Girolamo Ghinucci e il mantovano Ercole Gonzaga. Per il tramite della Colonna e di questi potenti curiali, vennero presto interessati della questione cappuccina anche il Giberti, Camillo Orsini, il futuro governatore di Milano Alfonso d’Avalos, marchese del Vasto e cugino della marchesa14, e ancora, complici Caterina Cibo e probabilmente il Fregoso che ne frequentava la corte in compagnia del Brucioli e dei fratelli Folengo, la duchessa di Urbino Eleonora Gonzaga.

Alti prelati, pragmatici uomini d’arme e raffinati umanisti imbevuti di neoplatonismo si mobilitarono, muovendosi tra le maglie del fitto reticolo imperial-colonnese, per proteggere e nutrire la crescita di una congregazione i cui principi ispiratori sembravano poter ben servire la causa di una riforma ecclesiastica basata sul recupero etico dell’interiorità e della «medulla»15 del vangelo, con una sincera apertura al confronto e alla contaminazione con le correnti spirituali evangeliche del primo Cinquecento, luteranesimo compreso. Caratteristiche, queste, che rendevano invece la spiritualità cappuccina decisamente avulsa dall’ardore controversistico e antiereticale che animava i propositi riformatori di altre influenti figure richiamate a Roma da Paolo III, in primis il teatino Carafa, il battagliero nunzio Girolamo Aleandro16 e i filoasburgici, ma conservatori Rodolfo Pio da Carpi e Juan Alvarez de Toledo. Una strana alleanza, quella tra i primi cappuccini e il gruppo dei riformatori del partito imperiale, favorita dal

gibertino di Verona si vedano anche P.SALVETTO, Tullio Crispoldi nella crisi religiosa del Cinquecento.

Le difficili «pratiche del viver christiano», Brescia, Morcelliana, 2009, passim.

13 Un aggiornato profilo religioso di Federico Fregoso si deve a G. A

LONGE, Evangelismo francese e Riforma italiana: l’esperienza religiosa di Federico Fregoso, tesi di laurea, Torino, Università degli Studi, Facoltà di Lettere e Filosofia, a.a. 2008-2009.

14 Alfonso d’Avalos era nato a Ischia nel 1502 dal marchese del Vasto Iñigo II e da Laura Sanseverino. Rampollo di una delle casate più potenti del Regno di Napoli, rimase orfano in giovane età e fu educato dalla zia Costanza d’Avalos, principessa di Francavilla. Seguì nella carriera militare il cugino Ferdinando Francesco, marito di Vittoria Colonna, partecipando alla battaglia di Pavia (1525) e diventando in seguito capitano generale della fanteria imperiale in Italia. Non prese parte per «scrupoli religiosi» al sacco di Roma del 1527. Diresse poi nel 1535 la spedizione di Carlo V contro Tunisi. Dal 1536 fu a capo della fanteria imperiale in Lombardia, diventando nel 1538 governatore dello Stato di Milano per conto di Carlo V. Cfr. la voce di G.DE CARO in DBI, IV, 1962, pp. 612-616.

15 L’espressione, che rievoca i toni della predicazione italiana di Bernardino Ochino, è tratta dalle costituzioni cappuccine del 1536, per le quali vedi infra, capitolo 6.

16

Cfr. F.GAETA, Documenti da codici vaticani per la storia della Riforma in Venezia, in «Annuario dell’Istituto Storico Italiano per l’Età Moderna e Contemporanea», VII, 1955, pp. 5-53; IDEM, Un nunzio

pontificio a Venezia nel Cinquecento (Girolamo Aleandro), Venezia-Roma, Istituto per la Collaborazione

peso crescente assunto nella congregazione proprio da quei frati «dotti» e «santi» fattisi cappuccini dopo il 1533, e apparentemente vincente per quasi un decennio. Essa venne tuttavia vissuta con sentimenti ambivalenti dai cappuccini della primissima generazione, Colpetrazzo compreso, divisi tra l’ammirazione per quei grandi uomini che stavano garantendo alla riforma un fondamento finalmente stabile e il timore, condiviso con il vecchio capo Ludovico da Fossombrone, che nella «prattica» con i secolari e nella proiezione verso un apostolato sempre più impegnativo potessero celarsi i germi di una degenerazione, nel lungo periodo, dell’originario ideale ascetico-contemplativo dei «frati minori della vita heremitica»17.

Ecco allora che, a chiosa del brano precedentemente citato, Bernardino da Colpetrazzo non poteva esimersi dal fare una precisazione destinata a ritagliarsi un posto di primo piano nella storiografia dell’ordine, con il suo tentativo ante litteram di una periodizzazione della storia cappuccina delle origini e l’ingenuo, ma rivelatore interrogarsi del cronista su quale fosse stato «il più glorioso stato» della congregazione: quello degli anni eroici caratterizzati dalle imprese di Matteo da Bascio, Ludovico da Fossombrone e Caterina Cibo (1528-1533), oppure quello della grande espansione (1533-1543), che segue la parabola esaltante ma pericolosa di Bernardino Ochino e Vittoria Colonna, portando i cappuccini prima ai vertici della vita religiosa del tempo e poi dritti nelle braccia del Sant’Ufficio?18

La questione, se considerata nella prospettiva più ampia della vicenda complessiva dell’ordine francescano, riconduce sul piano storiografico alla dialettica primordiale tra il «francescanesimo subordinativo» di Francesco e della originaria fraternità, in cui l’ideale anacoretico-pauperistico e il principio della minoritas prevalevano sugli aspetti istituzionali e organizzativi, e il «minoritismo dominativo» realizzato a partire dalla metà del Duecento, dopo la deposizione di frate Elia, attraverso la progressiva sacerdotalizzazione dell’ordine, il superamento dell’iniziale precarietà insediativa con la costruzione di solidi conventi cittadini e una sempre maggiore apertura alle più varie

17 Era quanto era accaduto, d’altra parte, ai discepoli di Francesco ai tempi di frate Elia e poi ancora a tutte le riforme realizzate dai frati “spirituali” all’interno della famiglia francescana, fino all’Osservanza da cui i cappuccini erano scappati.

18 «Et facendo comparatione dello stato della congregatione dal ’28 insino nel ’33 et dal ’33 insino al ’43, l’ultimo fu il più glorioso. Ma io che mi truovai in quel tempo nella puovera congregatione, giuditiosamente ripensando, dico ch’il più glorioso stato che sia stato mai nella nostra congregatione fu dal ’28 insino nel ’33, perché fu più conforme al principio della religione et al tempo del padre san Francesco. Non niego però ch’il secondo stato in sino nel ’43 non fusse più glorioso appresso il mondo et che non ci fussero maggior numero de’ frati e più dotti e gran predicatori; ma perché la religione del serafico Francesco è fundata in humiltà, povertà e despresso di se stesso e nella santa e perfetta contemplatione, mai fu più conforme a tutte queste cose che dicano perfettione, quanto fu nel primo stato, dove veramente con ogni grado di perfettione se renuovò il primo stato della religione, et fu reso al mondo l’habbito, la vita, l’humiltà, il desprezzo del mondo et la vera contemplatione che tenne il padre san Francesco con i suoi compagni». COLPETRAZZO, MHOMC II, p. 259.

forme di apostolato, compreso l’esercizio della confessione e dell’ufficio inquisitoriale19. Questo tipo di sviluppo, congeniale alle esigenze pastorali del papato allora guidato dal volitivo Gregorio IX, avrebbe condotto già nel 1241 un francescano, Leone da Perego, ad assumere l’incarico prestigioso di arcivescovo di Milano, sancendo così l’irreversibilità di un processo che, grazie anche alla vigorosa azione normalizzatrice di Bonaventura da Bagnoregio, avrebbe accentuato nei decenni seguenti la fisionomia di un francescanesimo aristocratico, teologico ed «ecclesiasticizzato»20.

Contro un simile allontanamento dalla purezza delle origini e da quella che consideravano l’autentica vocazione francescana, come si è visto, nei secoli successivi si erano costituiti gruppi e movimenti di varia ispirazione ed estrazione sociale. Alcuni di essi si erano snaturati, affascinati da un radicalismo gioachimitico e vagamente anarchico che li aveva resi facile preda delle strumentalizzazioni politiche del fronte ghibellino, esponendoli inevitabilmente alla condanna per eresia e a spietate repressioni. Altri movimenti invece erano riusciti a incanalare nel più rassicurante alveo dell’ortodossia le loro aspirazioni di riforma e di ritorno a un’osservanza integrale della Regola, garantendosi così un futuro più stabile e duraturo21. Il passaggio dalla fase della lotta per l’affermazione a quella dell’inserimento istituzionale nell’organigramma della Chiesa, tuttavia, aveva puntualmente innescato anche in questi gruppi un processo di metamorfosi – culturale, ideale e talora anche sociale – tale da riprodurre alla lunga quegli stessi tratti degenerativi da essi aspramente criticati alle origini, aprendo così la strada a riemergenti integralismi e a nuove espressioni di recupero e attualizzazione della sempre sfuggente «grazia delle origini»22.

A tali mutamenti, a giudicare dai resoconti allarmanti sullo stato dell’ordine nel primo Cinquecento, non era certo stata immune l’Osservanza, dalla quale si erano faticosamente affrancati i primi cappuccini. Ma un analogo destino, sembra ammettere il Colpetrazzo, era poi toccato, almeno in parte, alla stessa riforma cappuccina, che fattori esterni e vicende umane complesse avevano condotto verso opzioni istituzionali non del tutto in linea con il mitizzato «francescanesimo subordinativo» delle origini, così esaltato da Ludovico da Fossombrone e dai suoi primi seguaci. Naturale dunque,

19 Cfr. P. E

VANGELISTI, Tra genesi delle metamorfosi nell’Ordine dei Minori e francescanesimo

dominativo, in Il francescanesimo dalle origini alla metà del secolo XVI, cit., pp. 143-187.

20 Cfr. G. G. M

ERLO, Leone da Perego frate Minore e arcivescovo, in «Franciscana», IV, 2002, pp. 29- 110; IDEM, Intorno a francescanesimo e minoritismo, cit., pp. 75-106.

21 Cfr. B

URR, The Spiritual Franciscans, cit.;NIMMO, Reform and division, cit., pp. 139-201; 240-279. 22 Di qui l’impiego delle profezie gioachimite sulla più perfetta riforma, che identificavano in Francesco d’Assisi l’apolittico angelo del sesto sigillo e vedevano nel susseguirsi di nuove esperienze francescane “spirituali” un progressivo avvicinamento alla forma definitiva di vita religiosa, punto di partenza per la realizzazione di una edenica società del Vangelo. Cfr. REEVES, The Influence of Prophecy, cit., pp. 175- 241. A tale visione apologetica della storia francescana, si richiameranno nel secondo Cinquecento i primi cronisti cappuccini, in particolare il grande predicatore Mattia Bellintani da Salò.

per il cronista ormai piegato dagli anni e rassegnato al conformismo disciplinare imposto all’ordine dalla Controriforma, assegnare al «primo stato» (1525-1533) la titolarità di una maggiore conformità alla «religione del serafico Francesco», «fundata in umiltà, povertà e despresso di se stesso e nella santa e perfetta contemplatione».

L’esito della fuga clamorosa di Bernardino Ochino, con i rovinosi strascichi per una congregazione che aveva seriamente rischiato la soppressione o il ritorno sempre osteggiato sotto il governo dell’Osservanza, costituiva d’altra parte nel secondo Cinquecento un giudizio storico inappellabile su una questione che, però, aveva a suo tempo appassionato i frati e prodotto profonde lacerazioni all’interno della giovanissima congregazione, fino al drammatico doppio capitolo romano del 1535-1536, alla silenziosa uscita dall’ordine dell’enigmatico Matteo da Bascio e all’assai più traumatico