• Non ci sono risultati.

4 «SE LA SECTA DE LI CAPUCINI SIA DA DIO, NESCIO» LA PRIMA ESPANSIONE E LA REAZIONE DEGLI OSSERVANTI (1529-1533)

a) Da Camerino a Roma. La ricerca di nuovi protettori e l’accordo con i recolletti calabresi (1529-1530)

Grazie alla legittimazione pontificia ricevuta con la concessione della bolla Religionis zelus e al supporto di Caterina Cibo, a partire dalla seconda metà del 1529 la riforma cappuccina si diffuse anche al di fuori di Camerino e delle Marche. Nell’estate di quell’anno Ludovico da Fossombrone, giunto a Roma forse al seguito della Cibo1, ottenne dai fratelli della duchessa la concessione di un luogo presso la chiesa di Santa Maria dei Miracoli2, legata all’arcispedale di San Giacomo degli Incurabili3 di cui i Cibo erano protettori4. Probabilmente dal luglio del 1529 si costituì così un primo nucleo di cappuccini “romani”, presto cooptati dagli ufficiali del San Giacomo nelle attività di assistenza e conforto dei malati ricoverati nel grande ospedale, che proprio nei duri anni seguiti al sacco di Roma attraversava un serio periodo di crisi, economica e strutturale5. La collaborazione offerta dai cappuccini al rilancio dell’ospedale contribuì a far conoscere la giovane congregazione anche a Roma, centro della cristianità e della politica ecclesiastica.

Proprio nell’ambito del San Giacomo, Ludovico e i suoi compagni6 entrarono in contatto tra gli altri con il notaio e canonico senese Francesco Vannucci. Questo influente personaggio di curia, membro del Divino Amore romano e destinato a diventare nel 1535 l’elemosiniere di papa Paolo III Farnese, era in rapporti in quegli

1

Sul viaggio a Roma della Cibo, cfr. URBANELLI, Storia, I, pp. 271-272. 2 Cfr. E

DOARDO D’ALENÇON, Il primo convento dei Cappuccini in Roma. S. Maria dei miracoli, Alençon, Imprimerie Alençonnaise, 1907.

3 Su questo istituto, cfr. P.D

E ANGELIS, L’arcispedale di San Giacomo in Augusta, Roma, Tipografia Editrice Italia, 1955; P.PASCHINI, Tre ricerche sulla storia della chiesa nel Cinquecento, Roma, Edizioni Liturgiche, 1945, p. 37; SOLFAROLI, I devoti, cit., pp. 119-156. Della stessa autrice, si veda anche Le

confraternite del Divino Amore. Interpretazioni storiografiche e proposte attuali di ricerca, in «Rivista di

Storia e Letteratura Religiosa», XVII, 1991, pp. 315-332. 4

I fratelli di Caterina che probabilmente aiutarono i cappuccini sono Giambattista e Lorenzo, che erano succeduti al padre Franceschetto nel ruolo di protettori del San Giacomo. Ibidem, pp. 316-317.

5 Anche se non possiamo affermare con certezza che grazie al contributo dei volenterosi frati guidati da Ludovico da Fossombrone «l’ospedale cambiò volto», è certo che anche per merito dei cappuccini, i quali di fatto supplirono con il loro intervento alla momentanea carenza di personale stipendiato, il difficile momento venne superato e il San Giacomo tornò presto a svolgere la sua determinante funzione sociale. Cfr. I cappuccini, cit., p. 30. Si vedano inoltre COLPETRAZZO, MHOMC II, p. 292;SALÒ, MHOMC V, pp. 179-182; FOLIGNO, MHOMC VII, p. 178; BOVERIO, Annales, an. 1530. Cfr. BLACK, Le confraternite

italiane del Cinquecento, cit., p. 97; FC, ad nomen; SOLFAROLI, I devoti, cit., pp. 154-155; P.TACCHI

VENTURI, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, 2 voll., Roma, Civiltà Cattolica, 1931, I/1, p. 412. 6 Uno di loro era il fratello laico Francesco da Macerata, del quale parla C

OLPETRAZZO, MHOMC II, p. 405. Cfr. anche URBANELLI, Storia, I, p. 273 e soprattutto FC, ad nomen.

anni con Caterina Cibo e non è escluso che proprio su istanza della duchessa iniziò a interessarsi dei cappuccini, con i quali dovette entrare subito in sintonia7.

Sostenitore del San Giacomo era inoltre il fiorentino Antonio Pucci, che nell’ottobre del 1529 sarebbe subentrato allo zio Lorenzo ai vertici della Sacra Penitenzieria Apostolica8. Formatosi nei circoli degli umanisti bolognesi attratti dalla spiritualità di Elena Duglioli, in stretti rapporti con Paolo Giustiniani e i camaldolesi, nel maggio del 1514 il Pucci aveva pronunciato un articolato discorso sulla riforma della Chiesa all’apertura della nona sessione del concilio Lateranense V9. Riprendendo le tematiche espresse dagli amici Querini e Giustiniani nel Libellus ad Leonem X dell’anno precendente, il futuro cardinale dei Santi Quattro aveva toccato anche il nodo della riforma degli ordini religiosi, individuando in «ignoranza, ambizione e avarizia» i mali principali che affliggevano il clero regolare e rimarcando soprattutto l’effetto deleterio delle divisioni, introdotte prima dalle riforme dell’Osservanza e poi moltiplicatesi anche all’interno di tali movimenti. Per rimediare al degrado ormai dilagante nelle varie congregazioni, Antonio Pucci propose con decisione la riunione di conventuali e osservanti, ma questa misura non compare nei decreti finali del Lateranense e tanto meno venne accolta da Leone X nei successivi provvedimenti riguardanti dell’ordine dei frati minori: come si è visto, infatti, il pontefice e i suoi collaboratori dovettero rassegnarsi all’ormai insanabile divisione sancendo, con la bolla Ite vos del 1517, la separazione giuridica dell’ordine tra conventuali e osservanti.

Tanto il Vannucci quanto il Pucci erano membri della Compagnia di San Girolamo Carità, importante istituzione caritativa di origine curiale fondata nel 1519 dal cardinale di San Lorenzo in Damaso Giulio de Medici, il futuro Clemente VII, e approvata nell’anno seguente dal cugino e pontefice Leone X, che l’aveva elevata ad arciconfraternita10. Scopo della compagnia, che riuniva i prelati e gli ufficiali di curia interessati a sostenere le opere pie della città, era l’assistenza ai poveri vergognosi11, ai carcerati di nazione straniera e alle prostitute convertite, una categoria quest’ultima che

7

Cfr. SOLFAROLI, I devoti, cit., ad nomen.

8 Membro della camera apostolica sotto Leone X, suo parente, Antonio Pucci fu anche vescovo di Pistoia dal 1518 e nunzio papale in Svizzera, Francia e Spagna prima di ereditare dallo zio Lorenzo la carica di penitenziere maggiore, che conservò fino alla morte nel 1544, resistendo tenacemente alle proposte di riforma della Penitenzieria avanzate nel corso degli anni ’30 dal Contarini e dal Carafa. Dal 1531 prese il posto dello zio anche come cardinale dei Santi Quattro. Ibidem, ad nomen; TAMBURINI, La riforma, cit., pp. 123-124 e relativa bibliografia.

9 Cfr. M

INNICH, Concepts of Reform, cit., pp. 192-198; SOLFAROLI, I devoti, cit., pp. 106-110. 10

Ibidem, p. 160.

11 Con l’espressione «poveri vergognosi» erano indicate quelle persone che, per motivi di reputazione, si vergognavano di mendicare. Cfr. G.RICCI, Povertà, vergogna, superbia. I declassati fra Medioevo e Età

sarà oggetto privilegiato dell’apostolato dei cappuccini e dei primi gesuiti12. Tra i suoi protettori, accanto ad Antonio e Lorenzo Pucci, figurarono tra il 1528 e il 1536 alcuni dei prelati romani e del partito mediceo che maggiore influenza ebbero proprio in quegli anni sulle vicende dei cappuccini, come il cardinal di Trani Gian Domenico De Cupis13, legato anche all’ospedale di San Giacomo degli Incurabili, e lo stesso ex ministro generale dell’ordine dei minori Francesco Quiñones, che risulta ammesso all’arciconfraternita nel maggio del 153014.

Con l’arrivo a Roma dei cappuccini, inizia ad essere visibile nelle fonti l’azione svolta in loro favore da parte di Vittoria Colonna15. Insieme ad altri nobili sostenitori, tra i quali il fratello Ascanio Colonna e Camillo Orsini, la marchesa di Pescara agevolò l’insediamento dei cappuccini nella città pontificia16, trovando loro una sistemazione dopo che nell’ottobre del 1530 lo straripamento del Tevere costrinse i frati ad abbandonare la chiesa di Santa Maria degli Angeli17. Da quel momento, la dimora romana dei cappuccini divenne il convento di Sant’Eufemia, nei pressi di San Giovanni in Laterano, ricavato da una casa messa a disposizione dal cardinale Andrea Della Valle, protettore dei frati minori e vicino agli interessi di casa Colonna18.

12

Dotata di un’efficace struttura gerarchica e organizzativa, l’arciconfraternita di San Girolamo provvedeva inoltre alle esequie dei tanti cadaveri insepolti che venivano lasciati a marcire per le strade di Roma a causa dell’impossibilità di tanta povera gente di permettersi una dignitosa cerimonia funebre. Sulla Confraternita o Compagnia della Carità di Roma, a cui fu legato anche san Filippo Neri e la sua congregazione degli oratoriani, cfr. A. CARLINO, L’arciconfraternita di San Girolamo della carità:

l’origine e l’ideologia assistenziale, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», CVII, 1984, pp.

275-306; SOLFAROLI, I devoti, cit., pp. 157-200, che pubblica anche la matricola alle pp. 385-452. 13 Su di lui, cfr. la voce di F.P

ETRUCCI in DBI, XXXIII, 1987, pp. 602-605 e vedi infra, capitolo 5. 14

Cfr. SOLFAROLI, I devoti, cit., p. 173 n. 40. 15 Cfr. S

ALÒ, MHOMC V, p. 180. Sul rapporto di Vittoria Colonna con l’ordine cappuccino, si veda

Vittoria Colonna marchesa di Pescara, Roma, L’Italia Francescana Editrice, 1947.

16 Mattia da Salò ricorda anche «Nicolò Buffalini e Gioanni da Turino, insieme con Marcello Falonio». Sembra doversi escludere un diretto intervento della Colonna già nel corso dell’estate del 1529, in quanto nella seconda metà del 1529 la marchesa di Pescara non si trovava a Roma. Cfr. ALENÇON, De

primordiis, cit., p. 66.

17 Di questo infausto evento ha riportato una vivida testimonianza Caterina Guarnieri: «El predicto papa andò a Bologna a incoronare lo imperadore, e forono finite le guerre in questo tempo del 1530. In questo medesimo millesimo, nel mese de ottobre, occurse uno grandissimo deluvio, e ruvina alla ciptà de Roma, che non fu mai più veduto el simile, mandato da Dio per li molti peccati, per modo, secondo c’è stato referito, trabochò el Tevere, e saglì fine alli gradili de Sancto Pietro, e sumerse bona parte de Roma: le strade currevano come fiumi, e pieni de serpenti, che l’acqua l’aveva cavati de loro caverne; solamente a vederli caschavano morti [sic] le persone de paura. Questo cello referì uno fulignato che ce se retrovò, che con fatiga ne tornò vivo». GUARNIERI, Libro delle ricordanze, cit. Si cita da FC II, p. 416.

18 Non è del tutto chiaro quale tipo di atteggiamento avesse il Della Valle nei confronti dei cappuccini. Come protettore dei Frati Minori, doveva presumibilmente mostrarsi contrario a ogni tentativo di nuova divisione dell’ordine. Allo stesso tempo, tuttavia, il favore di cui i frati guidati da Ludovico da Fossombrone godevano presso Caterina Cibo e poi Vittoria Colonna dovettero indurlo a mostrare nei loro confronti un certo rispetto e in alcuni casi anche a sostenerli, come fece nel 1530 facilitando il loro stabilimento a Sant’Eufemia. Secondo il Colpetrazzo, un nipote del cardinale, Giuseppe Romano, si fece cappuccino e fu guardiano del convento di Montecasale. Cfr. COLPETRAZZO, MHOMC II, p. 279; APC ASSISI, Conventi, Montecasale (1530-1784), San Sepolcro (1604-1784), Ospizio di Parchiule (1572-

L’ingresso a Roma di Ludovico da Fossombrone e dei suoi frati si rivelò fondamentale per la diffusione della riforma cappuccina nell’Italia meridionale. Come sede papale e centro nevralgico del governo della Chiesa, la Città Eterna era infatti la meta obbligata di tutti quei religiosi i quali, come Matteo da Bascio nel 1525, desideravano ottenere indulti e privilegi per condurre attività apostoliche non compatibili con la disciplina regolare. Mentre si trovava a Santa Maria dei Miracoli, così, Ludovico da Fossombrone ebbe modo di entrare in contatto con due frati osservanti della provincia di Calabria, Bernadino Molizzi da Reggio e Antonio da Gatrimolis19. Giunti a Roma come rappresentanti di un gruppo di recolletti che intendevano condurre vita eremitica in comunità, i due avevano ottenuto dalla Penitenzieria un breve non «dissimile da quello già emanato dalla Penitenzieria il 18 maggio 1526 a favore dei frati marchigiani Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone»20.

Venuti a conoscenza dei primi cappuccini, Bernardino da Reggio e il suo compagno maturarono l’idea di legare l’iniziativa dei recolletti calabresi alla più solida congregazione dei frati minori della vita eremitica, la cui riforma si fondava non solo su un indulto della Penitenzieria, ma anche sulla bolla Religionis zelus del 152821. A tale

19 Secondo alcune fonti locali, già nel corso del 1525 Bernardino Molizzi si sarebbe recato a Roma insieme a Ludovico Comi da Reggio per chiedere l’approvazione della loro riforma. Nell’opera di P. GUALTIERI, Glorioso trionfo over leggendario di SS. Martiri di Calabria, Napoli, per Matteo Nucci, 1630, autore che riporta anche alcuni stralci della Cronaca manoscritta di Girolamo da Dinami, si legge ad esempio che «i predetti beati Reggini circa l’anni 1525 ottennero breve apostolico, con potestà di potersi riformar». Per il cappuccino Girolamo da Dinami, che scriveva nella seconda metà del Cinquecento, i due frati calabresi avrebbero incontrato ai Santi Apostoli fra Bonifacio d’Anticoli, futuro cappuccino e forse allora conventuale. Questa notizia è stata però smentita in ALENÇON, De primordiis, cit., pp. 73-74 e in V.CRISCUOLO, Cappuccini e recolletti calabresi, in Ludovico da Fossombrone e

l’ordine dei cappuccini, cit., pp. 184 n. 36. Proprio Criscuolo ha inoltre precisato a ragione che «è priva di

qualsiasi base storica» la notizia di un incontro in questa occasione di Bernardino e Ludovico da Reggio con Matteo da Bascio (ibidem, p. 185), smentendo così F. RUSSO, I frati minori cappuccini della

provincia di Cosenza. Dalle origini ai nostri giorni, Napoli, Laurenziana, 1965, p. 24.

20 Questi osservanti calabresi erano chiamati recolletti in virtù della loro battaglia in favore dell’istituzione delle case di recollezione. Cfr. CRISCUOLO, Cappuccini e recolletti, cit., pp. 188-189. 21 Fonti privilegiate per la storia dei recolletti e dei cappuccini calabresi sono le cronache locali di autori francescani, edite e manoscritte. La prima in ordine cronologico ad esser stata pubblicata è quella di GIOVANNI ROMEO DA TERRANOVA, Dell’origine, et principi della Congregatione de’ Padri Capoccini

nella provincia della Marca, et di Calabria, cavato da gli scritti del Padre Fr. Giovanni di Terra nova,

edita in S. MARULI, Historia sagra intitolata Mare oceano di tutte le religioni del mondo, Messina, Stamperia di Pietro Brea, 1612, pp. 375-393, e riedita poi in Acta Sanctorum, Parisiis, apud Victorem Palme, 1863 sgg., Maii IV, 1866, pp. 281-289, in «Analecta Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum», XXIII, 1907, pp. 9-19, 118-126, 150-153, 178-185, 214-219, 248-253 e in edizione autonoma (Firenze, Tip. Barbera, 1908) a cura di Edoardo d’Alençon e infine in FC II, pp. 1260-1292 in versione moderna. È invece rimasta a lungo manoscritta la Cronaca del cappuccino Girolamo da Dinami, composta nel secondo Cinquecento, pubblicata integralmente in FC II, pp. 1292-1336. Ancora inedite la Cronaca

Capuccina in cui si tratta del principio, ed origine de’ Frati Minori Capuccini in questa provincia di Reggio Calabria. Della vita, miracoli, ed opere meravigliose de’ due primi beati fondatori di essi Capuccini Ludovico, e Bernardino il Giorgio da Reggio... Composta dal molto reverendo padre Bonaventura Campagna da Reggio diffinitore capuccino. In Reggio l’anno 1628, conservata in ROMA,

scopo, il 16 agosto 1529, nella residenza romana del protonotario apostolico «Berardus Ruta de Neapoli»22, il notaio Francesco Vannucci redasse il testo di una convenzione tra i due osservanti calabresi e Ludovico da Fossombrone23. Il documento stabiliva che la comunità dei recolletti calabresi, dimorante nell’eremo di Sant’Angelo di Vallettuccio, sarebbe stata aggregata alla congregazione cappuccina, partecipando così delle medesime prerogative giuridiche e legislative24.

AGC, ms. AB 66, di cui alcuni brani sono pubblicati in FC II, pp. 1336-1370; il Trattato del principio e

progresso della religione cappuccina nella provincia di Reggio Calabria di Enrico Nava, che si trova in

CITTÀ DEL VATICANO, ARCHIVIO DELLA CONGREGAZIONE PER LE CAUSE DEI SANTI, Scritti del Ven.

Gesualdo [Melacrinò], n. 7, Memorie concernenti a’ cappuccini… raccolte da fr. Gesualdo da Reggio, religioso di questa provincia. Applicato nella Libraria de’ PP. Cappuccini di Terranova. 1771, pp. 669-

802, ma vedi tutto il codice, una copia dattiloscritta del quale si trova in ROMA,AGC, G 102 XIII; la

Cronaca Cappuccina di Giuseppe Zuccalà da Reggio (1739), segnalata da RUSSO, I frati minori

cappuccini della provincia di Cosenza, cit., p. 9. Per una panoramica generale, cfr. CRISCUOLO,

Cappuccini e recolletti, cit., pp. 176-178, il quale opportunamente a proposito di queste opere nota che

«esse sono contrassegnate da alcuni limiti, comuni purtroppo a tutte le fonti narrative del nostro Ordine: tra questi possiamo enumerare, tra l’altro, la non sempre assoluta affidabilità e veridicità storica, […] un forte spirito apologetico e parenetico, e infine l’interdipendenza, che in più casi è strettamente letterale». 22 L’assonanza fonetica dei nomi, ma anche l’appellattivo di «napoletano», suggeriscono una possibile identificazione di questo altrimenti sconosciuto «Berardus Ruta Neapolitani» con il poeta Bernardino Rota, protagonista della vita culturale e religiosa della Napoli valdesiana degli anni ’30 e stretto conoscente di Pietro Carnesecchi, il protonotario apostolico amico di Vittoria Colonna e di Caterina Cibo, che accusato di eresia dai giudici dell’Inquisizione Romana volle il Rota nel 1560 tra i testimoni del suo processo. Marito della nobile Porzia Capece, stando agli scarni dati biografici disponibili Bernardino Rota trascorse a Napoli gran parte della sua vita. Non si hanno informazioni riguardo a un suo impiego come protonotario apostolico alla fine degli anni ’20, né su una sua presunta abitazione romana. Dalle deposizioni del Carnesecchi, sappiamo che suo fratello Alfonso fu a Roma come rappresentante del marchese Alfonso d’Avalos, nipote di Vittoria Colonna. Flebili tracce di legami tra il Rota e la famiglia Colonna sono rintracciabili nell’attività artistica del pittore Polidoro Caldara da Caravaggio, che dopo aver affrescato a Napoli nel 1523-1524 lo splendido palazzo di Bernardino Rota, decorò nel 1526 con scene sulla vita della Maddalena e di Santa Caterina la cappella di fra Mariano della chiesa romana di San Silvestro al Quirinale, a cui era legata Vittoria Colonna. Contatti tra il Rota e la Colonna, oltre che ai comuni interessi poetici e spirituali, si possono ipotizzare considerando la vicinanza tra la villa di Pizzofalcone del Rota e la residenza ischitana della marchesa, dove Vittoria Colonna soggiornò lungamente attendendo all’educazione del nipote Alfonso. Cfr. Processi Carnesecchi, ad nomen; G. PATRIZI, Vittoria Colonna, in DBI, XXVII, 1982, pp. 448-457.

23 Originale in R

OMA, AGC,QA 220, n. 242, dove se ne conservano anche due copie. Edizione critica del documento in CRISCUOLO, Cappuccini e recolletti, cit., pp. 211-219.

24 Nello specifico, l’atto faceva riferimento ai «privilegiis et gratiis hactenus concessis et in posterum concedendis fratribus heremiti heremi Camaldulensis Beati Romoaldi», che prevedevano la possibilità di «recipere ad suum consortium nedum venientes saeculares, sed etiam ecclesiasticas ac religiosas personas cuiuscumque Ordinis ac professionis existant». In forza di queste facoltà, Ludovico da Fossombrone si riteneva autorizzato ad accogliere le suppliche di quei religiosi i quali, come il Molizzi, il de Gatrimolis e gli altri recolletti calabresi, dichiaravano il loro desiderio di essere aggregati alla congregazione dei cappuccini, dei quali si impegnavano a seguire l’esempio nell’osservanza della Regola, nella forma dell’abito e nella struttura di governo, che sarebbe stata definita da un capitolo provinciale – il primo nella storia dei cappuccini – volto all’elezione di un vicario con i poteri di commissario del vicario generale. Sui cappuccini calabresi si vedano F.SECURI, Memorie storiche sulla provincia dei cappuccini di Reggio

di Calabria, Reggio Calabria, Stab. Tip. Luigi Ceruso, 1885; GIOCONDO LEONE DA MORANO CALABRO, I

cappuccini e i loro 37 conventi in provincia di Cosenza, 2 voll., Cosenza, Fasano Editore, 1986; F.

RUSSO, I minori cappuccini in Calabria, Roma, Tip.O. Rossi, 1953. Concluso l’accordo, i due recolletti fecero ritorno in Calabria, non mancando, quando si trovarono a passare per Napoli, di far ratificare il documento originale della convenzione con lettere esecutoriali della corte reale. Per Criscuolo, ciò

Il patto stabilito con Ludovico da Fossombrone, tuttavia, non dovette trovare immediata accoglienza presso Ludovico da Reggio e gli altri frati calabresi, i quali probabilmente speravano ancora di poter realizzare la riforma restando all’interno dell’Osservanza. Di fatto, la convenzione tra i cappuccini marchigiani e i recolletti calabresi diventerà concretamente operativa soltanto nella seconda metà del 1533, quando la sospensione della bolla In suprema e quindi del nuovo tentativo di introdurre tra gli osservanti le case di recollezione, indurrà molti riformati a passare tra i cappuccini25. Non è qui possibile seguire nel dettaglio le vicende dei frati calabresi in questo frangente: basterà dire che essi, dopo una breve permanenza comunitaria a Vallettuccio, nel corso del 1530-1531 dovettero disperdersi a causa forse del disturbo degli osservanti della Comunità: Bernardino Molizzi fu così mandato a Reggio come custode, mentre Ludovico Comi si diresse a Monteleone (Vibo Valentia) e poi a Pizzo Calabro, dove entrò in contatto con il potente Ferrante Carafa, duca di Nocera, la cui protezione risulterà decisiva per lo stabilimento della riforma cappuccina in Calabria26.

Come i recolletti calabresi, allacciarono presto strette relazioni con i cappuccini anche gli osservanti riformati della provincia romana, guidati da Stefano de Molina e da due futuri vicari generali dei cappuccini, Bernardino d’Asti e Francesco da Iesi. Questi tre frati furono nel 1532 tra i principali promotori della In Suprema, la bolla pontificia che autorizzava la riforma all’interno dell’Osservanza. Prima di questa data, diversi osservanti romani fecero richiesta di essere ammessi nell’ordine cappuccino. Già nel