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"De homini carnali fare spirituali" : Bernardino Ochino e le origini dei Cappuccini nella crisi religiosa del Cinquecento

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(1)

DOTTORATO DI RICERCA IN

STORIA (POLITICA, SOCIETÀ, CULTURE, TERRITORIO)

COORDINATORE PROF. MARIO BELARDINELLI

XXIV CICLO

(2008-2011)

«D

E HOMINI CARNALI FARE SPIRITUALI

»

Bernardino Ochino e le origini dei cappuccini

nella crisi religiosa del Cinquecento

MICHELE CAMAIONI

TUTOR: PROF. PAOLO BROGGIO

PROF. GIORGIO CARAVALE

(2)
(3)

«D

E HOMINI CARNALI FARE SPIRITUALI

»

Bernardino Ochino e le origini dei cappuccini

nella crisi religiosa del Cinquecento

INTRODUZIONE p. 6

Abbreviazioni p. 26

PARTE PRIMA

I

«F

RATI

M

INORI DELLA VITA HEREMITICA

»

(1525-1533)

1. Gli ordini religiosi al tempo di Lutero: tra rilassamento morale e predicazione eterodossa

p. 29 a) Dalla renovatio alla Riforma. Profeti, “mezzi romiti” e predicatori

filo-luterani nell’Italia del primo Cinquecento

b) L’unità impossibile dell’ordine francescano. La bolla Ite vos e la divisione definitiva tra osservanti e conventuali (1517)

c) L’Osservanza contestata. Integralismo francescano ed esperienze di riforma dell’ordine dei frati minori prima dei cappuccini

2. Le origini dei cappuccini tra agiografia e storia. Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone (1525-1527)

p. 59

a) Una strana coppia: Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone (1525) b) Un interludio monastico. L’incontro di Ludovico da Fossombrone con i

camaldolesi (1526)

c) “Vagabundi, superbi, ambitiosi, che desiderano essere chiamati reformatori de l’ordine”. Il primo Dialogo de la salute di Giovanni da Fano (1527)

3. L’approvazione pontificia e il legame con Caterina Cibo (1528-1529) p. 76

a) “Intercedente ducissa Camerini”. La bolla Religionis zelus (1528)

b) Una questione controversa. Il primo capitolo e le ordinazioni di Albacina (1529)

4. «Se la secta de li capucini sia da Dio, nescio». La prima espansione e la reazione degli osservanti (1529-1533)

p. 90

a) Da Camerino a Roma. La ricerca di nuovi protettori e l’accordo con i recolletti calabresi (1529-1530)

b) Resistenze osservanti e ostilità curiali. La “guerra dei brevi” e il Memoriale del Carafa (1531-1533)

PARTE SECONDA

«P

ROFEXORI DELLO

E

VANGELO

E DELLA

R

EGOLA DEI FRATI MINORI

»

(1534-1536)

5. Da Ludovico di Fossombrone a Bernardino Ochino. Il capitolo di Sant’Eufemia e la svolta culturale del 1534-1536

p. 108

a) Verso nuovi equilibri. L’ascesa di Bernardino d’Asti e la rete imperial-colonnese

b) «Tocha principalmente li capi». Il quaresimale romano di Bernardino Ochino (1535)

(4)

c) La riforma si diffonde. Le missioni dei predicatori e la fondazione di nuovi conventi

d) Il primo capitolo di Sant’Eufemia, l’elezione di Bernardino d’Asti e la frattura con Ludovico da Fossombrone (1535)

e) Diplomazia imperiale e strategie curiali. La commissione d’inchiesta sui cappuccini (1536)

f) Nella tela valdesiana. La predicazione ochiniana a Napoli e le prime accuse dei teatini (1536)

g) La ripetizione del capitolo di Sant’Eufemia e la conferma di Bernardino d’Asti (1536)

6. «In vita mixta sequitaranno Christo». Le prime costituzioni cappuccine (1536-1537)

p. 158

a) Vita attiva e vita contemplativa. Il dibattito cinquecentesco sulla vocazione del cristiano e la proposta cappuccina

b) Le costituzioni cappuccine e l’ideale della vita mixta (1537)

c) Mistica unitiva e theologia crucis. Orazione e predicazione nella primitiva legislazione cappuccina

7. Come un nuovo Saulo. La conversione cappuccina di Giovanni da Fano e la riscrittura del Dialogo de la salute (1536)

p. 175

a) Un controversista all’avanguardia. L’Incendio de zizanie lutherane (1532) b) Alla ricerca della vera intentio di frate Francesco. Il passaggio di Giovanni

da Fano ai cappuccini e il Dialogo de la salute emendato (1536)

c) L’eredità dei francescani spirituali. Il misterioso trattato dell’Amore

evangelico fonte segreta del Dialogo de la salute

PARTE TERZA

«E

VANGELICI PREDICATORI

»

(1537-1542)

8. Strategie e metodi dell’apostolato cappuccino nel periodo della grande espansione (1536-1542)

p. 199

a) Consolidamento istituzionale e diffusione geografica. Il vicariato generale di Bernardino d’Asti (1536-1538)

b) Ascetismo e povertà integrale. La “predica del buon esempio” come strategia insediativa

c) Fedeltà romana e radicamento locale. La rinuncia al privilegio dell’esenzione e la “linea episcopalista” dei primi cappuccini

d) Pastorale della paura e spiritualità evangelica. Tradizione e innovazione nella predicazione cappuccina degli anni ’30

e) Le Prediche italiane di Bernardino Ochino

f) “Officio di legge” e “officio di evangelio”. L’Alfabeto cristiano di Juan de Valdés e la questione della ricezione della predicazione ochiniana

g) Modello ochiniano e predicazione cappuccina. Per una classificazione dell’oratoria interna all’ordine negli anni precedenti al concilio di Trento h) La “catena” della carità. Dalla predicazione alla riforma della società

cristiana

i) Orazione mentale e alfabetizzazione religiosa delle masse. I catechismi dei primi cappuccini e il rebus del Dialogo attribuito ad Antonio da Pinerolo l) Apostolato cappuccino e spiritualità eterodossa. La “diversità” ochiniana e il

(5)

9. Riforma cappuccina e riforma urbana. L’impatto sociale della predicazione di Bernardino Ochino

p. 267

a) Eredità osservante e modello riformato. L’evangelismo sociale dei cappuccini b) “Nutrire Christo nel povero”. La predicazione sociale di Bernardino Ochino c) Dalla riforma sociale alla contestazione politica. Il ruolo di Bernardino

Ochino nelle strategie anti-farnesiane di Ascanio Colonna e nella ribellione di Perugia del 1540

10. «Paiono lutherani, perché predicano la libertà dello spirito». L’eterodossia cappuccina durante il governo di Bernardino Ochino (1538-1542)

p. 300

a) Dal Consilium de emendanda ecclesia alla Licet ab initio. L’itinerario cappuccino di Bernardino Ochino negli anni cruciali del pontificato farnesiano (1537-1542)

b) «Non piaccia a Dio che costui apostatasse fra noi che faria più danno lui che Luthero». La fuga di Bernardino Ochino tra mito e realtà (1542)

c) «Et a chi potremo noi hormai credere, quando costoro che credevamo santi ci hanno gabbato?». I cappuccini dopo Ochino (1542-1543)

PARTE QUARTA

L

IBRI E DOTTRINE

11. I frati minori e la stampa p. 362

a) Libretti di pietà e letteratura religiosa in volgare nell’Italia del primo Cinquecento

b) Mistica unitiva e catechesi della contemplazione. Tullio Crispoldi e Battista da Crema

c) Dal confessionale alla “camera del cuore”. La letteratura spirituale dei frati minori dagli osservanti ai cappuccini

12. Eterodossie francescane p. 386

a) Libero Spirito e propaganda cappuccina. Il Dyalogo de la unione di Bartolomeo Cordoni

b) Mistica dell’unione e giustificazione per fede. Il Dyalogo de la unione tra Ugo Panziera, Martin Lutero e Margherita Porete

c) L’Amore evangelico. Radicalismo francescano e lettura esoterica della Scrittura in un misterioso testo esegetico circolante tra i primi cappuccini

13. Il programma editoriale dei primi cappuccini p. 447

a) La spiritualità cappuccina nel dibattito dottrinale degli anni ’30 su giustificazione e predestinazione

b) Una mistica regolata. L’Arte de la unione di Giovanni da Fano

c) Libero Spirito, valdesianesimo e indizi cripto-protestanti negli scritti italiani di Bernardino Ochino

EPILOGO p. 489

TAVOLE p. 496

(6)

I

NTRODUZIONE

Nel composito affresco sull’Italia religiosa del Cinquecento, cui la storiografia sta restituendo tinte sempre più nitide e vivaci, la ricostruzione delle vicende legate alle origini dei nuovi ordini sorti nella prima metà del secolo ha assunto negli ultimi anni una posizione di primario rilievo. Esito tutt’altro che piano delle vibranti tensioni profetico-spirituali che agitavano la società italiana negli anni aspri delle «guerre horrende» e della prima, tardiva reazione della Chiesa di Roma all’infiltrazione nella penisola delle dottrine luterane, la nascita di congregazioni destinate a duratura e influente presenza nell’organigramma della Chiesa della Controriforma, come quelle dei barnabiti, dei cappuccini, dei gesuiti, dei somaschi e dei teatini, segnò profondamente il corso della storia religiosa del XVI secolo1.

Come entità collettive portate per propria natura a esprimere un’identità plurale, caleidoscopica, costantemente ridefinita attraverso un’articolata dialettica interna e un fittissimo intrecciarsi di piani di interazione con gli altri soggetti istituzionali, civili ed ecclesiastici, centrali e periferici, gli ordini religiosi costituiscono per la storiografia contemporanea un prezioso e in parte ancora inesplorato terreno di indagine2. Approcciando lo studio di queste realtà con uno sguardo attento a valutarne le metamorfosi identitarie e le forme di autorappresentazione nel più ampio contesto della storia culturale e sociale del tempo, recenti ricerche hanno dimostrato come le vicende delle nuove congregazioni del Cinquecento possono rappresentare per gli studiosi di oggi un ambito privilegiato entro il quale far emergere, nella sua effettiva concretizzazione storica, quel «nesso inestricabile» tra politica e religione che appare sempre più caratteristico delle società di antico regime3.

1 Cfr. G. F

RAGNITO, Gli Ordini religiosi tra Riforma e Controriforma, in Clero e società nell’Italia

moderna, a cura di M.ROSA, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 115-205. 2

Cfr. Identità collettive tra Medioevo ed Età moderna, a cura di P. PRODI eW. REINHARD Bologna, CLUEB, 2002.

3 Cfr. M. C

AFFIERO, premessa a Identità religiose e identità nazionali in età moderna, a cura di M. CAFFIERO,F.MOTTA e S.PAVONE, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», I, 2005, pp. 7-11.

(7)

Nel solco tracciato da Giovanni Miccoli con i due fondamentali contributi pubblicati tra gli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo nella Storia d’Italia di Einaudi4, diversi storici e gruppi di ricerca si sono dedicati negli ultimi due decenni a una profonda rilettura della storia degli ordini religiosi del Cinquecento5, segnando un progressivo distacco dalla visione tradizionale che ne relegava lo studio nel circuito erudito della storiografia confessionale per proporre, finalmente, un più maturo approccio contestuale e interdisciplinare, capace di cogliere la complessità del profilo degli ordini e dei loro principali rappresentanti come «punto di riferimento autorevole e insostituibile» per le società di antico regime non solo in campo religioso, ma anche in ambito politico, culturale, scientifico ed economico6.

Tale processo ha evidentemente tratto beneficio dalla parallela operazione storiografica, avviata dalle ricerche sul movimento degli “Spirituali” e sulla Riforma in Italia realizzate da studiosi quali Aubert, Caponetto, Firpo, Fragnito, Ginzburg, Prosperi, Rotondò, Seidel Menchi e Simoncelli7, che ha portato a una progressiva decostruzione e ridiscussione del rassicurante paradigma jediniano articolato intorno alle categorie di Riforma Cattolica e Controriforma8. Nella visione del grande storico tedesco, dominata dalla tensione a ricomporre nella formula onnicomprensiva di Riforma cattolica le variegate esperienze religiose che animarono il mondo cattolico prima e dopo Lutero, fino al concilio di Trento, l’origine dei nuovi ordini religiosi del Cinquecento veniva astrattamente interpretata come il risultato di un processo sostanzialmente lineare, che dalle correnti tardo-medievali della devotio moderna e delle riforme osservanti degli ordini mendicanti aveva condotto, tra XV e XVI secolo, al

4 Cfr. G.M

ICCOLI, La storia religiosa, in Storia d’Italia. II: Dalla caduta dell’impero romano al secolo

XVIII, Torino, Einaudi, 1974; Storia d’Italia. Annali 9: La Chiesa e il potere politico, a cura di G.

CHITTOLINI e G.MICCOLI, Torino, Einaudi, 1986.

5 Oltre ai contributi contenuti nel segnalato Identità religiose e identità nazionali, si vedano Ordini

regolari, a cura di S.FECI e A.TORRE, numero monografico di «Quaderni Storici», CXIX, 2005, e

Religione, conflittualità e cultura. Il clero regolare nell’Europa d’antico regime, a cura di M. C. GIANNINI, numero monografico di «Cheiron», XXII, 2005.

6 Cfr. F.R

URALE, Monaci, frati, chierici. Gli Ordini religiosi in età moderna, Roma, Carocci, 2008, spec. p. 16 dove la funzione degli ordini religiosi nella società di antico regime viene paragonata a quella svolta dai moderni partiti politici nell’Europa otto-novecentesca.

7 Si rimanda alla Bibliografia per riferimenti più puntuali. 8 Cfr. H.J

EDIN, Riforma cattolica o Controriforma? Tentativo di chiarimento dei concetti con riflessioni

sul Concilio di Trento, Brescia, Morcelliana, 1957; IDEM, Storia della Chiesa, 10 voll., Milano, Jaca Book, 1975, VI, pp. 513-514. Per una sintesi, cfr. P.PRODI, Il binomio jediniano “riforma cattolica e

controriforma” e la storiografia italiana, in «Annali dell’Istituto Storico Italo-Germanico in Trento», VI,

1980, pp. 85-98; A. PROSPERI, Riforma cattolica, Controriforma, disciplinamento sociale, in Storia

dell’Italia religiosa. II. L’Età moderna, a cura di G.DE ROSA e T.GREGORY, Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 3-48.

(8)

risveglio del fenomeno confraternale e assistenziale, trovando in esperienze come gli oratori del Divino Amore il laboratorio di iniziative destinate poi a confluire nelle nuove congregazioni regolari.

Alla base della proposta jediniana stava la volontà superare «la vecchia antinomia» storiografica che contrapponeva «da una parte la visione di una Riforma portatrice della modernità e la Controriforma come pura reazione e dall’altra la rivendicazione di una priorità e di una autonomia della Riforma cattolica»9: a tal fine, Jedin suggeriva di guardare alla Riforma cattolica e alla Controriforma come a dei fenomeni «strettamente intrecciati», adottando una prospettiva in grado di valorizzare le linee di continuità che caratterizzarono l’evoluzione delle forme di pietà e della politica ecclesiastica nel passaggio dai fermenti riformatori del primo Cinquecento all’assetto meno opaco e sfuggente della vita religiosa dell’età tridentina10.

Molteplici fattori, non ultime le stesse vicende dei nuovi ordini, dimostrano tuttavia come il movimento di riforma che investì il corpo ecclesiale nei primi decenni del Cinquecento fu caratterizzato, in realtà, da un’eterogeneità di apporti e da un tale grado di contaminazione tra uomini, luoghi e dottrine, da non poter essere efficacemente racchiuso nel generico contenitore di una presunta riforma endogena alla Chiesa di Roma alternativa e, in alcuni suoi aspetti, precedente alla Riforma luterana. Proprio la difficoltà oggettiva a inquadrare nel nitido disegno jediniano alcune delle più significative esperienze e istanze di riforma religiosa prodottesi nella penisola nell’età compresa tra i pontificati di Clemente VII de’ Medici (1523-1534) e Paolo III Farnese (1534-1549), ha concorso a determinare la tendenza di tanti studi dedicati agli ordini religiosi a indirizzare la propria analisi sul periodo postridentino, con il risultato di un insufficiente approfondimento del ruolo svolto dalle istituzioni regolari nelle questioni cruciali della storia religiosa dell’Italia del primo Cinquecento, come quelle relative alle dinamiche curiali che condussero negli anni ’40 all’ascesa del gruppo inquisitoriale, ai fattori socio-politici e dottrinali che impedirono l’affermazione in Italia delle chiese

9 P.P

RODI, Il paradigma tridentino. Un’epoca della storia della Chiesa, Brescia, Morcelliana, 2010, pp. 31-32.

10

Recentemente John O’Malley ha suggerito di risolvere l’antica querelle storiografica sulla forma e i contenuti della categoria storiografica di Riforma cattolica con l’impiego dell’espressione «early modern Catholicism». Cfr. J.W. O’MALLEY, Trento e dintorni: per una definizione del cattolicesimo nell’età

(9)

riformate, o ancora al rapporto tra dissenso religioso, strategie dell’aristocrazia filo-imperiale e opposizioni municipali alle pretese egemoniche della Chiesa di Roma.

Grazie anche all’apertura degli archivi dell’ex Sant’Ufficio romano e alle edizioni dei processi inquisitoriali che interessarono nel secondo Cinquecento alcuni dei principali esponenti del movimento evangelico-valdesiano11, è d’altra parte ormai ben salda tra gli studiosi la consapevolezza della complessità di un passaggio storico, quello della transizione dalla Riforma (1517) e dal sacco di Roma (1527) all’istituzione dell’Inquisizione romana (1542) e al concilio di Trento (1545-1563), dai contorni assai meno netti e lineari di quanto la storiografia di derivazione controriformistica abbia voluto far apparire. A questa rinnovata consapevolezza storiografica fa da corollario l’ormai altrettanto diffusa convinzione della necessità di indagare sui fenomeni più vistosi e problematici della magmatica fase pretridentina, compreso l’emergere dei nuovi ordini religiosi, guardando ad essi non come al risultato di coerenti strategie ecclesiastiche o ad eventi teleologicamente preordinati, ma come al prodotto di una crisi: all’esito cioè più o meno prevedibile di processi che, analizzati nelle loro varie componenti e nel loro effettivo dispiegarsi diacronico, sfuggono clamorosamente alle semplificazioni storiografiche, reclamando una specificità che si segnala negli scarti e nei conflitti più che nella stucchevole continuità adombrata dalle ricostruzioni agiografiche e apologetiche, dominanti in ambito storiografico fino a tempi non lontani dai presenti.

Proprio con il peso di tale tradizione storiografica devono fare oggi i conti gli studiosi che si propongono di rileggere la storia delle origini dei nuovi ordini religiosi del primo Cinquecento. Com’è stato messo in evidenza da Elena Bonora nell’introduzione al suo importante studio sui primi barnabiti, si tratta in altri termini di sottrarre le vicende dell’origine dei nuovi ordini religiosi al «brumoso ma aureo mito degli inizi», costruito dalla storiografia militante interna alle stesse congregazioni tra la seconda metà del XVI e i primi decenni del XVII secolo12. È infatti durante questo periodo di generale chiusura confessionale e di riorganizzazione in senso centralistico dell’istituzione ecclesiastica, che sotto il segno della pervasiva presenza del Sant’Ufficio e su impulso

11

Il riferimento è chiaramente alle edizioni dei processi Calandra, Carnesecchi, Morone e Soranzo, realizzate nell’ultimo ventennio da Massimo Firpo, Dario Marcatto e Sergio Pagano.

12 E. B

ONORA, I conflitti della Controriforma. Santità e obbedienza nell’esperienza religiosa dei primi

(10)

di cardinali protettori sempre più intraprendenti, i vertici di congregazioni interessate in passato da infiltrazioni eterodosse, come quelle dei cappuccini, dei gesuiti e degli stessi barnabiti, furono chiamati a rivedere la propria legislazione e a fissare in cronache ufficiali una versione condivisa dei primi decenni della loro storia13.

Consapevoli dell’urgenza di presentare ai propri interlocutori un profilo istituzionale funzionale allo stabile inserimento dei rispettivi ordini nell’organigramma idealmente monolitico della Chiesa della Controriforma, gli autori di queste prime imprese storiografiche non poterono che articolare la loro narrazione sul canovaccio apologetico imposto dalle esigenze del momento, filtrando attraverso la griglia distorcente del paradigma inquisitorial-controriformistico il racconto di eventi, personaggi e dottrine che avevano forgiato, non sempre in maniera limpida e coerente, l’identità originaria della congregazione. Questo “peccato originale” della storiografia interna agli ordini religiosi, complementare all’altrettanto strumentale operazione di definizione di nuovi modelli di santità adeguati ai mutati contesti politici e religiosi dell’età postridentina14, era destinato a incidere profondamente sulla riflessione storiografica dei secoli successivi e ancora oggi rappresenta una ricorrente insidia per gli studiosi, non di rado costretti a misurarsi con lacune documentarie non altrimenti colmabili, se non ricorrendo proprio alle fonti interne agli ordini.

Sotto il profilo metodologico, la sfida che si presenta allo storico interessato a ricostruire i processi genetici e il primo sviluppo dei nuovi ordini religiosi del Cinquecento consiste dunque, in primo luogo, nell’aggirare il rischio di restare prigionieri della retorica agiografica e dei tatticismi apologetici delle cronache ufficiali degli ordini stessi. Tale pericolo può essere evitato operando un serrato confronto tra le informazioni desumibili da questo tipo di documenti e i dati forniti sui medesimi eventi dalle fonti esterne, indispensabili per ricostruire i contesti entro i quali tali eventi si verificarono e per cogliere la reale portata storica di un determinato avvenimento, della produzione e circolazione di un testo, dell’instaurarsi di una relazione istituzionale e via dicendo. Questa operazione di sovrapposizione e di bilanciamento tra la documentazione prodotta dagli ordini e le testimonianze ad essi esterne, ove possibile,

13

Cfr. Nunc alia tempora, alii mores. Storici e storia in età postridentina. Atti del Convegno

internazionale (Torino, 24-27 settembre 2003), a cura di M.FIRPO, Firenze, Olschki, 2005. 14 Cfr. M.G

OTOR, I beati del papa. Santità, Inquisizione e obbedienza in età moderna, Firenze, Olschki, 2002.

(11)

permette di grattare via le incrostazioni storiografiche più resistenti e di interrogare le fonti interne alle congregazioni considerandole non più soltanto come resoconti storici di più o meno certa affidabilità, ma anche come ricostruzioni post eventum in grado di dire molto sulle concrete e contingenti istanze di autorappresentazione che, in un determinato momento della storia dell’ordine, ne motivarono la realizzazione15.

Sulla scorta di tali riflessioni di metodo e tenendo presenti le più recenti acquisizioni della storiografia sull’Italia religiosa nell’età della Riforma, negli ultimi anni sono state prodotte ricerche penetranti e puntuali sulla nascita dei nuovi ordini religiosi cinquecenteschi, in particolare sulle congregazioni di chierici regolari approvate da Roma tra gli anni ’20 e ’40, dai barnabiti ai gesuiti, fino ai teatini. Per quanto non sempre esaustivi, tali lavori hanno avuto il merito di mostrare come sia oggi possibile sottrarre il fenomeno della nascita dei nuovi ordini al pio isolamento in cui l’aveva relegato una tradizione storiografica intrisa di devozionalismo e fervore confessionale, per collocarlo invece nel concreto contesto socio-politico e religioso dell’Italia del primo Cinquecento, reinterpretandone le vicende alla luce di un’accresciuta conoscenza dei fattori storici e delle reali forme di interazione di tali gruppi riformatori con poteri istituzionali, altolocati protettori ed esponenti di affini esperienze spirituali16.

Ancora in attesa di un’adeguata riconsiderazione è invece la storia dei primi cappuccini. A fronte dell’importante iniziativa di edizione delle fonti del primo secolo di vita dell’ordine, realizzata dall’Istituto Storico Cappuccino di Roma a cavallo degli anni ’80 e ’90 dello scorso secolo17, si avverte ormai da tempo l’opportunità di uno studio aggiornato sulle vicende che, tra il 1525 e il 1542, segnarono l’irrompere della riforma cappuccina e di Bernardino Ochino nella realtà caotica dell’Italia

15

Esemplare in tal senso i casi dei cappuccini e dei gesuiti, efficacemente sintetizzati, nel citato volume Nunc alia tempora, alii mores, dai contributi di G.MONGINI, Censura e identità nella prima storiografia

gesuitica (1547-1572) (pp. 169-188); F. MOTTA, Il serpente e il fiore del frassino. L’identità della

Compagnia di Gesù come processo di autolegittimazione (pp. 189-210); M.GOTOR, «Un paradosso

ombreggiato da oscuro enigma»: il mito delle origini e Bernardino Ochino nella storiografia cappuccina tra Cinque e Seicento (pp. 211-231).

16 Si colloca a mezza strada di questa evoluzione storiografica il volume miscellaneo Religious Orders of

the Catholic Reformation. In Honor of John C. Olin on his Seventy-Fifth Birthday, a cura di R. L. DEMOLEN, New York, Fordham University Press, 1994, dove si veda in particolare il contributo di E.G. GLEASON, The Capuchin Order in the Sixteenth Century (pp. 31-57).

17 Cfr. I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di C.C

ARGNONI, 5 voll., 6 to., Perugia, Edizioni Frate Indovino, 1988-1993 (d’ora in poi FC). Un’edizione ridotta di tali fonti è in I

Cappuccini. Fonti documentarie e narrative del primo secolo (1525-1619), a cura di V. CRISCUOLO, Roma, Curia Generale dei Cappuccini, 1994. Preziosa inoltre la serie dei Monumenta Historica Ordinis

Minorum Capuccinorum, i cui primi sette volumi contengono le edizioni delle prime cronache ufficiali

(12)

pretridentina18. Non sono mancate in realtà, soprattutto negli ultimi anni, nuove documentate riflessioni sul momento della genesi dell’ordine, affidate a contributi che hanno ravvivato la dialettica interna alla storiografia cappuccina sulla vexata quaestio del ruolo di Matteo da Bascio e di Ludovico da Fossombrone nella fondazione e nei primi anni di vita della congregazione19. Sembra però quasi essersi persa tra gli storici dell’ordine, dopo i preziosi stimoli forniti dai due importanti convegni tenutesi a Camerino nel 1978 e a Fossombrone nel 199320, la percezione della sempre più stringente esigenza di una maggiore contestualizzazione della primitiva vicenda cappuccina nel quadro della storia religiosa e politica del Cinquecento.

Nello specifico, appare oggi quanto mai opportuno integrare i risultati prodotti dalle ricerche che hanno analizzato la riforma cappuccina attraverso gli strumenti concettuali e le griglie interpretative proprie della storiografia francescana21, con le suggestioni provenienti dagli studi che si occupano della storia della Riforma in Italia e dei movimenti di dissenso interni alla Chiesa di Roma nella prima età moderna. Aspirazione del presente lavoro è proprio quello di avviare tale operazione di saldatura storiografica delle vicende cappuccine con il parallelo dipanarsi della storia sociale, politica e religiosa dell’Italia del tempo, tentando una lettura della riforma cappuccina non più soltanto come appendice cinquecentesca della secolare storia dell’ordine dei frati minori, ma anche e soprattutto come frammento della storia dell’Italia religiosa del primo Cinquecento: come espressione e coagulo, cioè, di correnti spirituali

18 Risultano infatti ormai datati, seppur complessivamente ancora validi, i lavori dei due storici cappuccini Cuthbert da Brighton e Melchiorre da Pobladura, la cui opera meritò a suo tempo gli elogi del Cantimori. Cfr. CUTHBERT DA BRIGHTON, I Cappuccini. Un contributo alla storia della Controriforma, Faenza, Società Tipografica Faentina, 1930 (ed. or. New York-Toronto 1929); MELCHIORRE DA

POBLADURA, Historia Generalis Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum. Pars prima (1525-1619), Romae, Institutum Historicum Ord. Fr. Min. Cap., 1947; D.CANTIMORI, Prospettive di storia ereticale

italiana del Cinquecento, in IDEM, Eretici italiani del Cinquecento, a cura di A. Prosperi, Torino, Einaudi, 2002 (I ed. Firenze 1939), pp. 419-481, spec. p. 423. Discorso analogo per il repertorio del Lexicon

capuccinum. Utili, ma non prodotte sulla base di nuove ricerche le sintesi di MARIANO DA ALATRI, I

Cappuccini. Storia di una famiglia francescana, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1997 (I ed. Roma 1994) e

A. FREGONA, I frati cappuccini nel primo secolo di vita (1525-1619), Padova, Edizioni Messaggero, 2006.

19 Ci riferiamo alla proposta di G.B

ARTOLOZZI, Le origini dei cappuccini: una rilettura delle fonti, in «Collectanea Franciscana», LXXVI, 2006, pp. 523-551, cui ha risposto V. CRISCUOLO, Divagazioni

storico critiche a proposito di una “Rilettura delle fonti cappuccine”, in «Laurentianum», XLIX, 2008,

pp. 3-51.

20 Cfr. Le origini della Riforma cappuccina. Atti del convegno di studi storici (Camerino, 18-21 settembre

1978), Ancona, Curia Provinciale Frati Cappuccini, 1979; Ludovico da Fossombrone e l’ordine dei cappuccini, a cura di V.CRISCUOLO, Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1994.

21 Cfr. G.G.M

ERLO, Nel nome di san Francesco. Storia dei frati minori e del francescanesimo sino agli

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profondamente segnate dalla tradizione dell’integralismo francescano22, ma allo stesso tempo sensibili alle nuove istanze sollevate da affini movimenti di riforma, come i circoli erasmiani che spingevano per il recupero della dimensione etica e interiore della fede e quei gruppi “evangelici” i cui esponenti, non temendo la condivisione di alcuni aspetti del pensiero luterano, promuovevano nell’Italia degli anni ’30 una religiosità basata sul primato della coscienza individuale e sulla centralità della dottrina paolino-agostiniana della grazia.

Di questi movimenti “evangelici”, come dimostra il caso del circolo napoletano riunito intorno all’elitario magistero di Juan de Valdés, Bernardino Ochino e diversi cappuccini suoi seguaci furono, a cavallo del terzo e del quarto decennio del secolo, parte integrante, condividendo e in alcuni casi guidando le scelte spirituali di Vittoria Colonna e di altri loro influenti protettori destinati poi, nel secondo Cinquecento, a incappare nelle sempre più strette maglie censorie dell’Inquisizione romana, ormai non più disposta a tollerare il diffondersi di correnti religiose animate da un radicale soggettivismo e da atteggiamenti anticerimoniali che implicitamente svalutavano il ruolo di mediazione svolto dalla Chiesa istituzionale23.

La stessa riforma cappuccina, d’altra parte, aveva preso le mosse da un gesto di disobbedienza alle gerarchie ecclesiastiche: tale infatti venne considerata l’iniziativa presa nel 1525 dall’osservante marchigiano Matteo da Bascio il quale, sulla base di una presunta concessione ottenuta vivae vocis oraculo da Clemente VII, si era ritenuto sciolto dai vincoli della vita regolare e si era votato a una vita nomade, dedicandosi alla predicazione itinerante e alla contemplazione eremitica. Condannato come apostata dai vertici dell’Osservanza, negli anni seguenti Matteo da Bascio era stato imitato e affiancato da altri frati desiderosi di far rivivere l’ideale pauperistico del primo francescanesimo. Tra questi primi compagni figurava un altro ex osservante marchigiano, Ludovico da Fossombrone, al quale va ascritto il merito di aver posto le basi per la legittimazione giuridica della nuova riforma, ottenuta nel luglio del 1528 con la concessione della bolla Religionis zelus.

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Cfr. C. CARGNONI, Fonti, tendenze e sviluppi della letteratura spirituale cappuccina primitiva, in «Collectanea Franciscana», XLVIII, 1978, pp. 311-398.

23 Si veda su questo punto l’importante introduzione di Massimo Firpo a J.

DE VALDÉS, Alfabeto

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Meno di dieci anni dopo, tra il 1536 e il 1537, tanto Matteo da Bascio quanto Ludovico da Fossombrone lasciavano clamorosamente l’ordine cappuccino in seguito al burrascoso doppio capitolo romano del 1535-1536, che segnò una svolta decisiva nella storia della giovane congregazione. Esautorando di fatto Ludovico da Fossombrone dalla carica di vicario generale e spingendo Matteo da Bascio a un esilio volontario in segno di protesta verso i nuovi indirizzi della congregazione, la riunione capitolare di Sant’Eufemia sancì infatti l’ascesa al vertice dell’ordine di un gruppo di famosi teologi e predicatori provenienti dall’Osservanza, i quali con le costituzioni approvate in quello stesso 1536 mitigarono l’iniziale tensione eremitico-contemplativa della riforma cappuccina, disegnando un ideale di vita mixta che prevedeva un più strutturato impegno dei frati nella predicazione e nell’apostolato ad gentes.

Attore di primo piano di tale svolta fu proprio Bernardino Ochino, destinato poi nel 1538 a essere eletto vicario generale dell’ordine. Predicatore tra i più famosi in Italia nel periodo precedente al concilio di Trento, tra il 1535 e il 1542 il senese svolse un ruolo determinante nell’affermazione e nell’accreditamento istituzionale della giovane riforma cappuccina. Con le opere a stampa e la fortunata predicazione evangelica, tanto apprezzata negli ambienti più sensibili alle novità dottrinali, negli anni stimolanti e gravidi di attese che precedettero il concilio di Trento Ochino contribuì, insieme ad altri cappuccini, alla diffusione nei circoli religiosi italiani di una spiritualità intimistica e illuminativa, che agli occhi degli avversari dell’ordine presentava inquietanti similitudini con la condannata eresia medievale del Libero Spirito. Dottrine queste che, con la loro tendenza a sminuire la mediazione ecclesiastica e a ridimensionare il valore meritorio delle opere nell’economia della salvezza, nel primo Cinquecento potevano apparire sinistramente affini a quelle luterane e ancor più precisamente a quelle valdesiane, con le quali condividevano l’idea della centralità dell’illuminazione interiore – alternativa alla bibliolatria protestante – e del conseguente gradualismo esoterico della rivelazione. Un legame che non poteva sfuggire a un altro fondatore di ordini religiosi, il cardinale teatino e futuro inquisitore Gian Pietro Carafa, il quale già al principio degli anni ’30 aveva individuato i germi di una simile infezione ereticale nell’ardita dottrina di perfezione professata dal domenicano Battista da Crema, a sua volta maestro spirituale dei primi barnabiti e delle angeliche.

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Inquadrata da una simile prospettiva, la storia della nascita e del primo affermarsi dell’ordine cappuccino può essere efficacemente messa in relazione con la parallela vicenda delle altre congregazioni sorte nel primo Cinquecento e con le varie fasi della strisciante lotta interna all’istituzione ecclesiastica che agitò la Chiesa romana sotto i pontificati cruciali di Clemente VII e Paolo III, conducendo tra la fine degli anni ’30 e i primi anni ’40 a quella polarizzazione politico-dottrinale, che la storiografia ha sintetizzato delineando la ben nota contrapposizione tra gli orientamenti “intransigenti” di prelati quali il Carafa, l’Aleandro e il Badia, animati da una concezione di riforma intesa come restaurazione dell’autorità papale e contrapposizione frontale all’eresia, e l’approccio più moderato del movimento detto degli “Spirituali”, nella cui orbita si muovevano in quegli anni diversi sostenitori dell’ordine cappuccino24.

Vicino in diversi suoi componenti agli interessi imperiali in Italia, sotto la guida del cardinale veneziano Gasparo Contarini prima e del porporato inglese Reginald Pole poi, questo movimento politico e religioso tentò invano di imporre ai vertici della Chiesa una visione aperta e dialogante, tendente alla ricerca dell’accordo dottrinale con i protestanti e alla ricomposizione delle fratture interne al mondo cattolico attraverso la proposta di un cristianesimo etico e inclusivo, fondato erasmianamente su una religiosità anticerimoniale ma nutrito, più nel profondo, dalle nicodemitiche strategie di tolleranza suggerite dall’elitaria spiritualità illuminativa e antigerarchica dell’alumbrado Juan de Valdés.

Fu dagli esponenti di questo variegato fronte riformatore dalle inclinazioni ireniche e politicamente moderate, che dalla seconda metà degli anni ’20 e specialmente nel decennio successivo l’ordine cappuccino ricevette protezione e supporto logistico, conoscendo in maniera inattesa un’espansione rapida e travolgente in tutta la penisola italiana. Prezioso fu nella primissima fase il patronage accordato ai frati detti allora «della vita heremitica» dalla duchessa di Camerino Caterina Cibo, nipote di Clemente VII, il cui ruolo fu decisivo per l’approvazione pontificia della nuova congregazione (1528) e per la sua prima espansione nell’Italia centrale. Negli anni seguenti, complici i

24 Alcuni studi recenti hanno evidenziato, da prospettive differenti, la necessità di considerare in maniera meno rigida la tradizionale divisione tra “intransigenti” e “Spirituali”, approfondendo l’analisi delle dinamiche interne a tali gruppi, al collegio cardinalizio e al Sant’Uffizio durante i pontificati di Paolo III e Giulio III. Cfr. T.MAYER, What to Call the Spirituali, in Chiesa cattolica e mondo moderno. Scritti in

onore di Paolo Prodi, a cura di G.BRIZZI,A.PROSPERI e G.ZARRI, Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 11-26; M.FIRPO, Da inquisitori a pontefici. Il Sant’Ufficio romano e la svolta del 1552, in «Rivista Storica Italiana», CXXII, 2010, pp. 911-950.

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mutati equilibri curiali determinati dall’ascesa al soglio pontificio di Paolo III Farnese (1534), le sorti dell’ordine cappuccino si saldarono alle strategie politiche ed ecclesiastiche della famiglia Colonna, pilastro accanto ai Gonzaga del sistema di potere asburgico in Italia. Attraverso personaggi di primo piano della vita politica e religiosa dell’Italia del tempo, quali i fratelli Ascanio e Vittoria Colonna, l’esperimento cappuccino venne così inserito con successo nei programmi di riforma promossi a vari livelli dal cardinale Contarini e da vescovi di ampie vedute come Giovanni Morone, Ercole Gonzaga e Gian Matteo Giberti, i quali trovarono nella predicazione evangelica di Bernardino Ochino e degli altri cappuccini un prezioso supporto alla loro azione pastorale.

Legata a doppio filo alle strategie di Ochino e dei suoi influenti amici nella fase espansiva del movimento sensibile alla spiritualità evangelico-valdesiana, la causa dell’ordine cappuccino seguì le sorti dei propri influenti protettori anche nell’aspro passaggio dei primi anni ’40, segnato dal più evidente palesarsi delle contrapposte concezioni di riforma che animavano gli schieramenti curiali e dal progressivo irrigidimento della politica romana nei confronti dei gruppi del dissenso politico e religioso. Avvenne così che mentre nei territori dell’Italia centrale si incrinavano irrimediabilmente i rapporti tra i Colonna e i Farnese, con l’esito della sfortunata ribellione a Paolo III da parte di Ascanio Colonna e della città di Perugia nell’ambito della guerra del sale (1540-1541), sullo scacchiere della grande diplomazia maturava nella primavera del 1541 il definitivo fallimento della linea irenica del Contarini, incapace di far accettare al pontefice e a un collegio cardinalizio sempre più dominato dal Carafa il noto accordo dottrinale sulla giustificazione raggiunto con il luterano Melantone alla dieta tenutasi a Regensburg su istanza dell’imperatore Carlo V.

Non casualmente, fu proprio in questo momento drammatico per i Colonna e assai delicato per i grandi prelati che avevano favorito la diffusione della riforma cappuccina, che Bernardino Ochino e diversi altri suoi confratelli impressero alla loro predicazione un più marcato timbro eterodosso, esponendosi a sempre più frequenti denunce di eresia e contribuendo con un articolato programma editoriale alla diffusione di una spiritualità molto vicina, per lessico e contenuti, a quella racchiusa pochi anni dopo dagli “Spirituali” di Viterbo nel fortunato libretto del Beneficio di Cristo (1543). Quest’intensificarsi della propaganda evangelica da parte dei cappuccini non fece però

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che acuire l’insofferenza del Carafa e degli altri detrattori dell’ordine, che finì per essere individuato come il possibile anello debole della catena “spirituale”: attaccando Ochino e i cappuccini e dimostrando la loro infedeltà alla Chiesa di Roma, compresero i più acuti esponenti del gruppo inquisitoriale, si sarebbero colpiti e delegittimati indirettamente i Colonna, i Gonzaga e gli altri principali sostenitori dell’ordine, dal Contarini al Giberti fino al Morone e ai valdesiani dell’ecclesia viterbiensis. Anche se le fonti non permettono di appurarlo con chiarezza, è probabile che dietro la convocazione a Roma di Bernardino Ochino da parte di Paolo III nell’estate del 1542, si celassero dunque le pressioni del Carafa e degli altri cardinali destinati, proprio in quelle settimane, a prendere le redini del ricostituito tribunale del Sant’Ufficio25.

Com’è noto, Ochino non rispose a quella chiamata, scegliendo insieme ad altri confratelli la strada dell’apostasia e dell’esilio nella Ginevra calvinista. Fu l’ennesimo, nonché più grave gesto di disobbedienza alle gerarchie ecclesiastiche compiuto dai cappuccini delle prime generazioni, la cui vicenda appare dunque, a uno sguardo più attento, una storia di conflitti laceranti e di faticoso disciplinamento, percorsa come fu sin dai suoi esordi da una vena di spiritualismo anomico e radicale che segnò drammaticamente le biografie dei tre personaggi chiave del primo ventennio di vita della congregazione, Matteo da Bascio, Ludovico da Fossombrone e Bernardino Ochino, accomunati da un destino inquieto che li condannò a concludere i propri giorni al di fuori dell’ordine cappuccino. Esautorati Matteo da Bascio e Ludovico da Fossombrone, fuggito Bernardino Ochino, nel 1542 la congregazione cappuccina si ritrovava dunque orfana di un fondatore da proporre come modello ai frati più giovani, screditata agli occhi dei severi censori dell’ortodossia romana dall’eresia ochiniana e privata così di una salda assicurazione dal rischio, sempre presente, della soppressione e del riassorbimento nella grande famiglia dell’Osservanza, i cui vertici vivevano la scissione cappuccina come una ferita aperta.

Una posizione, quella dei cappuccini negli anni di mezzo del Cinquecento, resa peraltro ancor più delicata dalla contemporanea evoluzione degli equilibri interni alla curia romana verso esiti tutt’altro che favorevoli ai vecchi amici e protettori dell’ordine,

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Una strategia analoga potrebbe aver determinato la contemporanea convocazione a Roma del canonico regolare lateranense Pietro Martire Vermigli, priore di un altro ordine protetto dal fronte imperial-“spirituale”. Com’è noto, fu probabilmente proprio il Vermigli a convincere Ochino alla fuga in terra riformata quando, sulla via di Roma, i due predicatori incrociarono i propri passi nella città di Firenze.

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progressivamente spazzati via o comunque costretti a un cauto ripiegamento dall’ascesa ai vertici dell’istituzione ecclesiastica del severo inquisitore Gian Pietro Carafa: proprio nel momento in cui la fragilità istituzionale dell’ordine toccava il suo apice, si consolidava dunque a Roma il potere dell’uomo che sin dal 1532 aveva bollato come intollerabili gli atti di insubordinazione dei frati «vagabondi» alla Matteo da Bascio, denunciando poi passo passo, attraverso le delazioni dei solerti teatini, gli sviluppi in senso eterodosso della predicazione di Bernardino Ochino e dei cappuccini suoi seguaci. Fu con la rigida mentalità inquisitoriale del Carafa e degli altri prelati insediatisi tra gli anni ’40 e i primi anni ’50 a capo degli uffici chiave della Chiesa di Roma, che i cappuccini sopravvissuti alla tempesta scatenata dalla fuga di Ochino dovettero fare i conti. Nella severa concezione della vita religiosa e del governo ecclesiastico che ispirava le strategie di riforma di questi uomini, infatti, non c’era più spazio per le sfumature dottrinali e i precari equilibri ecclesiologici espressi fino a quel momento da esperienze spirituali liminari e sfuggenti come quella cappuccina, costantemente in bilico tra lettera e spirito, legge e coscienza, fedeltà e disobbedienza. Al pari dei barnabiti e in una certa misura dei gesuiti, anche i cappuccini che si trovarono a traghettare la congregazione nel mutato contesto politico e religioso dell’età tridentina compresero presto che l’ordine avrebbe potuto garantirsi la sopravvivenza soltanto a costo di una sofferta metamorfosi identitaria, finalizzata a neutralizzare il potenziale eversivo del misticismo spiritualista cui si era abbeverata la pietà cappuccina dei primi tempi e a permettere, così, il pieno inserimento dell’ordine che aveva nutrito l’eterodossia dell’eresiarca Ochino nei rigidi ranghi della Chiesa della Controriforma.

Un processo complesso e delicato, diretto dai vertici cappuccini attraverso una serrata dialettica con l’istituzione ecclesiastica e in particolare con la figura del cardinale protettore, la cui ingerenza negli affari dell’ordine divenne sempre più ingombrante sotto il magistero del carafiano Giulio Antonio Santoro (1578-1602), causa di non isolate manifestazioni di insofferenza da parte dei frati più gelosi dell’autonomia e più attaccati alle radici spirituali dell’ordine. Proprio il Santoro, negli stessi anni sommo inquisitore e probabile redattore del Compendium del processo Morone26, sostenne con decisione la realizzazione di una storia ufficiale dell’ordine cappuccino, che potesse

26 Sul significato storiografico del Compendium si veda l’introduzione di Massimo Firpo a Processo

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legittimare ideologicamente il progetto curiale teso a fare della “nuova” congregazione rinata dai torbidi ochiniani un pilastro della Controriforma militante.

Non era però certo un compito agevole, quello cui già dagli anni ’60 avevano iniziato a dedicarsi i primi storiografi cappuccini, chiamati da influenti committenti a interpretare le turbolente vicende delle origini alla luce dei requisiti imposti dalla nuova sensibilità religiosa e a definire, possibilmente, una versione della storia cappuccina compatibile con le esigenze devozionali e disciplinari della Chiesa tridentina. Come dimostrano le travagliate vicende editoriali di queste prime cronache cappuccine, ripetutamente reimpostate da differenti autori ma condannate a rimanere manoscritte fino al secolo scorso, il percorso di sistemazione storiografica intrapreso dai cappuccini nella seconda metà del Cinquecento raggiunse solamente in parte l’obiettivo, auspicato dai suoi committenti, di ricompattare i frati intorno a una memoria e a un modello di santità condivisi. Se infatti le argomentazioni degli storiografi concordavano nello smentire categoricamente la falsa diceria che attribuiva all’eresiarca Ochino il merito della fondazione dell’ordine, negando così ab initio la legittimità dell’intera esperienza cappuccina, assai più complicata e aperta a interpretazioni dissonanti si rivelò invece l’operazione di elaborazione in chiave apologetica di un’eredità spirituale macchiata in superficie dall’eresia ochiniana, ma risalente più nel profondo a uno spiritualismo mistico, dal sapore vagamente begardo, che rimaneva vivo tra i cappuccini anche nel passaggio tra XVI e XVII secolo, in un periodo segnato allo stesso tempo dal conformismo tridentino e dal riemergere carsico dell’eterodossia quietista.

La damnatio memoriae ai danni del “valdesiano” Ochino, in ultima analisi, non era sufficiente a troncare il legame ideale che, ancor prima della comparsa del senese nella storia cappuccina, si era stabilito tra il radicalismo ascetico-contemplativo dei primi cappuccini e le pericolose dottrine mistico-unitive della tradizione begarda e fraticellesca, ispiratrici in Spagna nello stesso torno di tempo della spiritualità esoterica degli alumbrados e di Juan de Valdés. Dietro la facciata di una ritrovata saldezza ecclesiologica, mostrata dai frati del secondo Cinquecento con uno zelante attivismo missionario nelle terre protestanti e con la preziosa collaborazione offerta ai piani pastorali di Carlo Borromeo e di altri protagonisti della stagione controriformistica, all’interno della congregazione continuavano dunque ad agitarsi e confrontarsi diverse anime e differenti ideologie della vita cappuccina, esprimendo una dialettica che

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concorreva a disegnare la fisionomia di un ordine dall’identità plurale, in grado di proporre con successo la propria presenza all’intera Europa cattolica dopo la rimozione nel 1574 dei vincoli che impedivano ai cappuccini di fondare conventi oltre le Alpi, ma allo stesso tempo incapace di esprimere al proprio interno il consenso ideologico necessario alla fissazione di un racconto univoco delle proprie origini e di una controversa eredità spirituale.

Con una parte almeno di queste articolate questioni tenta di misurarsi il presente studio, dedicato a indagare attraverso un approccio contestuale il ruolo di Bernardino Ochino e dei primi cappuccini nelle dinamiche socio-politiche e religiose dell’Italia del primo Cinquecento. La complessità della materia e la pluralità degli spunti offerti dall’effettivo lavoro di scavo archivistico hanno suggerito un piano multivettoriale di esposizione, all’interno del quale fosse possibile, pur nel generale rispetto di una narrazione diacronica, approfondire alcuni momenti chiave della primitiva vicenda cappuccina attraverso differenti prospettive e chiavi di lettura. Gli estremi cronologici entro i quali si articola la ricerca sono indicati formalmente dall’avvio dell’esperienza riformatrice di Matteo da Bascio (1525) – dalla quale prese le mosse il movimento che sotto la guida di Ludovico da Fossombrone avrebbe poi portato alla fondazione e al primo sviluppo dell’ordine cappuccino (1528-1534) – e dall’anno della fuga di Bernardino Ochino (1542), che segnò una drammatica cesura nella storia cappuccina, ponendo fine alla fase di maggiore coinvolgimento dell’ordine nelle complesse questioni sociali e religiose dell’età pretridentina. Non mancano tuttavia opportuni riferimenti alla storia delle riforme francescane precedenti a quella cappuccina e agli eventi che, nel primo Cinquecento, fecero da sfondo al maturare di esperienze spirituali e fenomeni sociali destinati a incidere, in varia misura, sulla formazione di una specifica identità cappuccina.

Nella prima parte della tesi (capitoli 1-4) si cerca così di descrivere la realtà magmatica e ribollente dell’Italia lacerata dal trauma delle guerre e percorsa dai fermenti del profetismo popolare e della predicazione itinerante dei romiti, i cui moniti apolittico-penitenziali andavano mescolandosi alle suggestioni eterodosse e potenzialmente eversive dei primi emuli nostrani della Riforma. È in questo coacervo di slanci libertari e di nuovi stimoli dottrinali, che affondano le proprie radici le esperienze pauperistiche del «mezzo romito» Matteo da Bascio e del gruppo di francescani rigoristi

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guidati da Ludovico da Fossombrone e destinati, entro il 1528, a formare il nucleo originario della riforma cappuccina.

Dopo aver seguito le vicende accidentate e ancora parzialmente oscure di questo movimento proto-cappuccino, nella seconda parte (capitoli 5-7) la narrazione si concentra sulla determinante svolta culturale e programmatica del 1535-1536, quando con l’ingresso nell’ordine cappuccino di grandi predicatori come Bernardino Ochino e Giovanni da Fano, l’ideale di vita dei primi cappuccini viene rimodellato in funzione di una attiva partecipazione dei frati ai programmi di riforma della società cristiana promossi da Vittoria Colonna, Gaspare Contarini e da altri influenti prelati sensibili alla nuova spiritualità evangelico-paolina caratteristica del primo Cinquecento. Alla definizione delle strategie di insediamento e dei metodi dell’apostolato cappuccino nella fase di massima espansione dell’ordine sotto la protezione della famiglia Colonna, del vescovo di Verona Giberti e di diverse figure di spicco del fronte imperiale in Italia, è dedicata invece la terza parte della tesi (capitoli 8-10), nella quale si segue il percorso dei cappuccini negli anni di governo di Bernardino d’Asti (1536-1538) e Bernardino Ochino (1538-1542).

Del magistero cappuccino del famoso predicatore senese si è cercato di mettere in evidenza un aspetto fino ad oggi poco approfondito, analizzando una serie di documenti editi ed inediti attraverso i quali è possibile percepire lo spessore socio-politico dell’azione di Ochino nell’Italia pretridentina. Nello specifico, si è considerata la particolare congiuntura del 1539-1541, durante la quale la predicazione ochiniana fornì un prezioso supporto ideologico alla ribellione antifarnesiana di Ascanio Colonna e della città di Perugia, esprimendo una carica di riforma sociale in grado di essere agevolmente indirizzata verso obiettivi di contestazione degli assetti gerarchici e degli equilibri politici consolidati.

Si è infine affrontata la delicata e ancora poco studiata questione dell’effettivo grado di condivisione, da parte degli altri cappuccini, della nota evoluzione in senso eterodosso conosciuta dal pensiero di Ochino tra la fine degli anni ’30 e i primi anni ’40. Si sono così poste le premesse per una più accurata ricostruzione della nutrita rete di appoggi e di complicità di cui il grande predicatore senese godeva non solo all’esterno, ma anche all’interno dell’ordine cappuccino. La definizione di una prima, necessariamente incompleta lista di frati che nel 1542 seguirono Ochino in esilio,

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comprendente tra gli altri ben cinque ministri provinciali, pur dovendo fare i conti con le lacune di una documentazione frammentata restituisce l’immagine sconcertante di un ordine lacerato dall’apostasia ochiniana, ma inizialmente tutt’altro che compatto nel condannare la rottura ecclesiologica e dottrinale con la Chiesa di Roma dell’uomo al quale, d’altra parte, nel 1538 e poi ancora nel 1541 i cappuccini avevano volontariamente affidato la carica di vicario generale.

Si è tentato in questo modo di illustrare uno dei nodi storiografici più intricati della storia cappuccina del periodo pretridentino, la cui valutazione non può prescindere dall’approfondimento di una ulteriore questione di particolare spessore: ci riferiamo al problema della concreta individuazione delle differenti matrici spirituali che nei primi decenni di vita dell’ordine concorsero a plasmare l’ideale cappuccino, rendendo la predicazione e gli scritti di Ochino e dei suoi confratelli particolarmente adatti alla diffusione della spiritualità evangelico-valdesiana del «beneficio di Christo». Tanto nella seconda, quanto nella terza parte è stata rivolta dunque una specifica attenzione alle testimonianze e ai pochi testi superstiti della predicazione cappuccina di Bernardino Ochino. La rilettura di questi preziosi documenti ha permesso di cogliere già nei sermoni pronunciati a Roma nel 1535 e a Napoli del 1536 la precoce presenza, nel pensiero ochiniano, di quell’intrigante impasto di spiritualismo begardo e solafideismo che negli anni successivi concorrerà all’affermazione della spiritualità cappuccina presso gli ambienti maggiormente attratti dalle novità dottrinali e favorevoli a un rinnovamento della predicazione popolare fondato sul rifiuto degli artifici retorici della scolastica e su una maggiore aderenza al semplice dettato evangelico.

Riprendendo tali spunti, nella quarta e ultima parte (capitoli 11-13) si è approfondita l’analisi della letteratura cappuccina primitiva, evidenziandone la stretta dipendenza da un testo chiave del movimento pre-quietista del primo Cinquecento, il Dyalogo de la unione spirituale di Dio con l’anima dell’osservante umbro Bartolomeo Cordoni, ardita sintesi in lingua volgare delle opere chiave dello spiritualismo francescano e dello Specchio delle anime semplici della beghina Margherita Porete, manifesto della corrente ereticale del Libero Spirito condannato dalla Chiesa sin dal 1311. Alla maniera di quanto accadde ai primi barnabiti con gli scritti di Battista da Crema, per i primi cappuccini la singolare ed esoterica operetta del Cordoni costituì un punto di riferimento assoluto, informando tanto le Prediche e i Dialogi sette di Bernardino Ochino, quanto

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l’Arte de la unione del più conservatore Giovanni da Fano, noto agli storici come controversista e denunciatore di predicatori eterodossi.

I cappuccini non si limitarono peraltro ad attingere a piene mani al Dyalogo de la unione per la composizione dei loro sermoni e dei loro scritti, ma tra il 1538 e il 1540 ne curarono la pubblicazione in almeno tre differenti edizioni, assicurandone la circolazione a Milano, a Venezia e nella Napoli valdesiana, dove proprio allora veniva diffusa la prima versione manoscritta del Beneficio di Cristo27. Questo attivismo editoriale denota una precisa strategia di diffusione, da parte dei cappuccini, dei temi chiave dello spiritualismo ascetico-mistico del Cordoni, la cui insistenza sul disprezzo del mondo, sulla dimensione interiore della vita di fede e sul ruolo cruciale dell’infinita misericordia divina nell’economia della salvezza, ben si confacevano agli obiettivi di Bernardino Ochino e degli “Spirituali” di ispirazione valdesiana, promotori di una spiritualità fondata sull’illuminazione come unica norma di fede e sull’adesione alla dottrina della giustificazione per fede.

Sotto questo aspetto, da un certo momento che può indicativamente esser fatto coincidere con il precipitare nel 1540-1541 della crisi tra i Colonna e papa Farnese, è possibile che Ochino e i cappuccini suoi più stretti collaboratori abbiano impiegato il linguaggio sfumato della mistica begarda come involucro di una predicazione «mascherata» sempre più vicina, nei suoi intimi obiettivi, a una concreta propaganda antiromana. Quella dello spiritualismo mistico come nicodemitico linguaggio di un dissenso gradualmente orientato verso approdi filo-riformati, tuttavia, non è una chiave interpretativa in grado di cogliere fino in fondo la natura profonda dell’eterodossia ochiniana. Anche dopo la fuga, infatti, la spiritualità del senese restò ancorata a una concezione illuminativa dell’esperienza religiosa, portando presto l’ex cappuccino a una valutazione critica dei metodi coercitivi attraverso i quali andavano consolidandosi le chiese riformate.

Attraverso la decisiva mediazione valdesiana, che ne attenuò le inquietanti tonalità prequietiste, il nocciolo del misticismo begardo del periodo cappuccino sopravvisse dunque alla svolta antiromana del 1542 e proseguì a ispirare in maniera persistente la

27 Queste considerazioni si sono rese possibili grazie al ritrovamento di due edizioni del Dyalogo de la

unione del Cordoni fino ad oggi sconosciute e certamente curate dai cappuccini. Pubblicate l’una a Napoli

nel 1539 e l’altra probabilmente a Venezia tra il 1538 e il 1540, queste due “nuove” edizioni riproducono il dialogo nella forma dell’edizione, già nota, fatta stampare a Milano nel 1539 dal cappuccino Girolamo da Molfetta, collaboratore di Ochino prima e dopo la fuga.

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predicazione e gli scritti ochiniani posteriori all’apostasia, impedendo al percorso intellettuale e religioso del predicatore senese di trovare un approdo definitivo nelle nuove ortodossie riformate. Irriducibile alle pretese di conformismo proprie di ogni organizzazione fondata su un codice di verità di natura dogmatico-teologica, il radicale soggettivismo religioso appreso ai tempi della militanza cappuccina dai maestri dello spiritualismo francescano e alumbrado provocò, infine, la condanna e l’espulsione di Ochino anche dalle cittadelle sempre più chiuse dell’Europa protestante, motivando l’inclusione della sua vicenda tra le storie dei combattenti per la libertà religiosa e dei famosi Eretici italiani del Cinquecento raccontati dal Cantimori28.

Maledetto dalla Chiesa di Roma, rifiutato dai capi della Riforma, Bernardino Ochino si spegneva nel 1564 tra gli anabattisti moravi di Slavkow, la vecchia Austerlitz, alle estreme propaggini dell’Europa cristiana. Negli stessi mesi, a Roma Pio IV emanava la bolla di approvazione dei decreti dell’appena concluso concilio di Trento, mentre il cappuccino Mario da Mercato Saraceno iniziava la stesura delle prime cronache dell’ordine. Si apriva così, tra ritrovate certezze confessionali e complicati percorsi della memoria, la lunga e discussa stagione della Controriforma. L’ordine cappuccino, nonostante Ochino e la controversa eredità spirituale dei primi padri, ne sarebbe stato uno degli attori di primo piano. Ma a caro prezzo.

28 Cfr. R.H.B

AINTON, La lotta per la libertà religiosa, Bologna, Il Mulino, 2001 (I ed. it. 1961; ed. or. Philadelphia 1951); CANTIMORI, Eretici italiani, cit.

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Ringraziamenti

Come frutto di un intenso triennio di ricerca, questa tesi di dottorato racchiude in sé l’essenza di un’esperienza umana e formativa che ricorderò sempre con un pizzico di emozione e con un sentimento di simpatia verso tutti coloro i quali, a vario titolo, vi hanno preso parte.

Un ringraziamento particolare va al professor Paolo Broggio, per aver facilitato la ricerca in ogni modo e per averla orientata con discrezione e competenza, permettendomi di lavorare in un clima di fiducia che si è rivelato determinante nei momenti delicati dell’elaborazione finale e della stesura della tesi. Al professor Giorgio Caravale, che segue queste indagini ochiniano-cappuccine sin dagli anni della tesi di laurea, desidero esprimere tutta la mia riconoscenza per aver stimolato con spirito critico e preziose intuizioni ogni fase della ricerca, insegnandomi che lo spessore di un lavoro storiografico deriva non dal suo grado di erudizione, ma dalla capacità dell’autore di interrogare le fonti e interpretare i documenti con rigore, profondità di analisi e onestà intellettuale. Vorrei inoltre ricordare con stima e gratitudine i professori Francesca Cantù, coordinatore della Sezione di Storia Medievale e Moderna del Dottorato in Storia, e Stefano Andretta, direttore del Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici dell’Università Roma Tre, i quali hanno permesso l’avvio di questo progetto e ne hanno sostenuto la realizzazione unitamente agli altri docenti della Sezione.

Ai padri Costanzo Cargnoni, Paul Hanbridge e Gianluigi Pasquale va un ringraziamento sentito per le osservazioni sempre pertinenti e per aver agevolato con generosità le mie ricerche negli archivi e nelle biblioteche cappuccine di Assisi, Firenze, Lucca, Roma e Venezia, di cui ricordo con riconoscenza il personale, in particolare la dottoressa Patrizia Morelli. Prezioso è stato inoltre il supporto del padre Pietro Messa, preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum, di cui ho imparato ad apprezzare la silenziosa e ricca biblioteca, scrigno di cultura e di buoni libri messi a disposizione degli studiosi con professionalità e spirito di gratuità.

Con il collega di dottorato Carlo Campitelli e con i compagni di studio Guillaume Alonge e Andrea Vanni ho condiviso alti e bassi della ricerca e della vita degli ultimi tre anni. Grazie di cuore, per i consigli e per l’amicizia. Grazie anche a Felice Accrocca, Simonetta Adorni Braccesi, Gian Mario Italiano, Paolo Salvetto, Filippo Sedda e a tutti gli altri studiosi che hanno contribuito con le loro segnalazioni e riflessioni a migliorare questo testo e a limarne, per quanto possibile, le imperfezioni. Un ringraziamento del tutto speciale va infine al professor Alberto Aubert che un giorno mi parlò, alla sua maniera, di Delio Cantimori e di Bernardino Ochino.

Le immagini riprodotte in apertura delle parti I, II e III della tesi sono tratte dal manoscritto dell’archivio provinciale cappuccino (APC) di Assisi segnato F. III. 1. L’immagine che presenta la IV parte riproduce, invece, il frontespizio di una copia dell’Imitatio Christi appartenuta ai cappuccini di Panicale, anch’essa oggi conservata presso l’APC di Assisi.

(26)

A

BBREVIAZIONI

AC Archivio del Comune

AGC Archivio Generale dei Cappuccini (Roma) ASFM Archivio Storico dei Frati Minori (Roma) APC Archivio Provinciale dei Cappuccini AS Archivio di Stato

ASV Archivio Segreto Vaticano

BAV Biblioteca Apostolica Vaticana BC Biblioteca del Comune

Beneficio di Cristo BENEDETTO DA MANTOVA – M.FLAMINIO, Il beneficio di Cristo, a cura di S. Caponetto, Torino, Claudiana, 1991 (I ed. 1975).

BN Biblioteca Nazionale

BNC Biblioteca Nazionale Centrale

BOVERIO, Annales ZACCARIA BOVERIO, Annales Minorum Capucinorum seu sacrarum historiarum

ordinis S. Francisci qui Capuccini nuncupatur, Lugduni, Landry, 1632, I. Bullarium Capucinorum Bullarium ordinis FF. Minorum S. P. Francisci Capucinorum seu collectio

bullarum, brevium, decretorum, rescriptorum, oraculorum etc. quae a Sede Apostolica pro ordine capucino emanaverant, a cura di Michele da Tugio, 7

voll., Roma, typis Joannis Zempel, 1740-1752.

COLPETRAZZO BERNARDINO DA COLPETRAZZO, Historia Ordinis Fratrum Minorum

Capuccinorum (1525-1593), 3 voll., a cura di Melchiorre da Pobladura,

MHOMC II-IV, Assisi, Collegio S. Lorenzo da Brindisi dei Minori Cappuccini, 1939-1941.

CORDONI,

Dyalogo de la unione

BARTOLOMEO CORDONI DA CITTÀ DI CASTELLO, Dyalogo della unione

spirituale de Dio con l’anima dove sono interlocutori l’Amor divino, la Sposa Anima et la Ragione humana, [Venezia], [s.e.], [1538/1540].

Costituzioni 1536 Constitutioni de li frati minori detti Cappuccini. Edizione critica in FC I, pp.

227-464.

CT Concilium Tridentinum. Diariorum, Actorum, Epistolarum, Tractatuum nova collectio, 13 voll., Societas Goerresiana, Friburgi Brisgoviae, Herder, 1901 sgg.

DBI Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,

1960 sgg.

DIP Dizionario degli Istituti di Perfezione, a cura di G.PELLICCIA e G.ROCCA, 10 voll., Roma, Edizioni Paoline, 1974-2003.

FC I frati cappuccini. Documenti e testimonianze del primo secolo, a cura di C.

CARGNONI, 5 voll., 6 to., Perugia, Edizioni Frate Indovino, 1988-1993.

FOLIGNO PAOLO DA FOLIGNO, Origo et progressus ordinis Fratrum Minorum

Capuccinorum, a cura di Melchiorre da Pobladura, MHOMC VII, Romae,

Institutum Historicum Ord. Fr. Min. Cap., 1955.

Lexicon capuccinum Lexicon capuccinum. Promptuarium historico-bibliographicum ordinis fratrum Minorum capuccinorum (1525-1950), Romae, Bibliotheca Collegi Internationalis S. Laurentii Brundusini, 1951.

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