di Marco Borrelli
Introduzione
Il termine globalizzazione, ampiamente utilizzato nei molteplici ed eterogenei ambiti della ricerca scientifica, sia di base che sperimentale, è divenuto oggi, un concetto fin troppo utilizzato per descrivere feno‐ meni e processi di trasformazione degli attuali modelli della società del XXI secolo. Si proverà, di seguito, ad intercettare, sia le dinamiche che agiscono nel settore dell’interno architettonico, che le relazioni sca‐ turite nel campo specifico dell’architettura dei luoghi dell’istruzione, in riferimento agli elementi quali corpo-mente e azione-movimento. Si cer‐ cherà inoltre, di analizzare in dettaglio, l’archè dello spazio dell’appren‐ dimento riportando il focus e l’attenzione, alle tematiche della fenome‐ nologia dell’esperienza nel tentativo di “risensualizzare” l’architettura, troppo condizionata dalla crescente egemonia della vista che produce un conseguente appiattiamento (allontanamento) e distacco della stessa dall’uomo.
Nel campo della cultura del progetto, si assiste ad un fenomeno in atto, che evidenza un processo di modificazione del concetto di spazio fisico organizzato secondo criteri che, di volta in volta, sembrano ade‐ guarsi ai bisogni fisiologici, identitari, e relazionali dei suoi abitanti. Nel presente capitolo si valorizza il ruolo della corporeità dell’indi‐ viduo, abitante lo spazio della scuola, nella direzione di un filone di ricerca e di analisi che inquadra anche le trasformazioni in atto stret‐ tamente legate a concetti quali fluidità, nomadismo, ubiquità e velocità tipiche della società del contemporaneo, così come teorizzate da Zyg-
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Per effetto dei fenomeni della globalizzazione, seguendo tali pro‐ cessi di “fluidificazione”, così come avviene in fisica per i liquidi che non hanno una forma ben delineata ma ne assumono quella del suo contenitore, lo spazio della scuola, in architettura, viene continua‐ mente ridefinito da situazioni mutevoli e dinamiche, perdendo così i contorni chiari e definiti della propria forma.
Tale tendenza, si sostanzia in un tentativo di trasformazione dello spazio stesso considerato tradizionalmente come “solido”, perché troppo rigoroso, bloccato e spesso stereotipato, in uno spazio conside‐ rato “liquido”, comprensivo, libero, e customizzato. Al centro di qual‐ siasi trasformazione del pensiero, che poi si traduce in comportamento dell’uomo, risiede l’importanza del ruolo che lo stesso uomo fruitore o ancora meglio abitante riveste nell’architettura che sia essa la casa, l’uf‐ ficio, l’ospedale, la chiesa, la scuola, il mercato o altro ancora, adottando un ideale di domesticità “diffusa”. Infatti, nell’attuale dimensione del contemporaneo si assiste purtroppo, ad una imposizione del fenomeno architettonico che mortifica troppo le aspettative dell’uomo, margina‐ lizzandolo, se non addirittura, escludendolo. Tutto ciò perché si favo‐ risce sempre di più, in architettura, la ricerca formale e figurativa, a discapito dell’esperienza d’uso dell’uomo nel sistema di relazioni che determinano l’esperienza spaziale nella sua complessità, trascurando il portato culturale e scientifico offerto dalla definizione di spazio prima-
rio di Carlo De Carli (1910 – 1999), in cui si delinea una definizione di
spazio delle intime relazioni o spazio del gesto.
Il nuovo orizzonte a cui si tende, per favorire una riappropriazione da parte dell’uomo degli spazi propri dell’abitare, può essere intravisto nella convergenza tra, la disciplina della progettazione d’interni e le teorie delle neuroscienze cognitive, in cui l’uomo stesso, inteso come insieme mente‐corpo, dialoga attivamente con l’ambiente del suo intorno di pros‐ simità modificandolo e contemporaneamente venendo modificato in un forte rapporto dialettico e biunivoco. Nell’ambito della progettazione e più nello specifico a quello riferibile agli spazi dell’apprendimento, tale convergenza appare ancora più calzante, in quanto, superata la stagione della prima metà del ‘900 in cui il progetto era incentrato solo sugli stan-
dard capaci di garantire una performance ottimale dello spazio nell’eser‐
cizio delle funzioni assegnategli (studio, didattica frontale, attività labo‐ ratoriale etc. etc.), adesso si sta passando, attraverso un’attenta analisi sia del comportamento degli attori protagonisti della scuola che degli
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attuali strumenti a disposizione per la condivisione della conoscenza, ad un’organizzazione funzionale sempre più fluida e dinamica nonché inclusiva, al fine di favorire il processo di crescita dell’alunno, guidato dal docente, in un meccanismo di scambio reciproco.
Nella lettura dell’esperienza storica dell’architettura scolastica ita‐ liana del Novecento, effettuata con un taglio più analitico, si possono evidenziare i contributi di due figure emblematiche; quella della peda‐ gogista, laureata in medicina ma principalmente educatrice, Maria
Montessori (1870‐1952) e quella dello psicologo ed insegnante Loris Malaguzzi (1920‐1994), che hanno segnato un passaggio epocale di
profonda trasformazione nella scuola circa il concetto di spazio e di relazione, apportando un forte impulso innovativo per il migliora‐ mento dell’esercizio di apprendimento dell’alunno‐studente.
La Montessori, per prima, introdusse il concetto di “libertà di movi‐ mento” del bambino‐allievo all’interno dell’aula didattica, così come dell’intero spazio scolastico, affinché egli potesse autonomamente applicare i principi acquisiti attraverso una spontanea rielaborazione che si concretizza in un’attività di lavoro libero che mira a far emergere le singole capacità di concentrazione portandolo in una condizione di raccoglimento assoluto; Malaguzzi, in seguito, delineò il concetto di “spazio come terzo insegnante”, insieme a una platea ampliata, com‐ prendente oltre ai docenti anche i familiari‐genitori; lo spazio doveva essere conformato sulla base di elementi (materiali, arredi, rivesti‐ menti) gradevoli al bambino, così da stimolare l’esplorazione sogget‐ tiva e la collaborazione con i coetanei affinché generasse un percorso educativo, efficace e di valore, perché improntato su una più profonda e sincera cooperazione.
Esiste ad oggi una differenza evidente nel campo delle innovazioni applicate alla scuola, tra i paesi del centro‐nord Europa e l’Italia. Infatti, nel primo caso, sono stati messi a punto negli ultimi vent’anni, notevoli cambiamenti ed evoluzioni, sia per l’applicazione del digitale con l’ag‐ giunta dei supporti tecnologici interattivi (smart‐object) per migliorare la gestione e l’interazione nella didattica, che per gli spazi architettonici facilmente riconfigurabili attraverso layout flessibili‐fluidi seguendo il principio che “la classe è la scuola”. La flessibiltà o fluidità delle classi, dei laboratori o dei connettivi‐corridoi funzionali non deve limitarsi alla deframmentazione dello spazio degli interni ma deve lasciar posto alla libertà d’azione, alla creatività degli alunni affinché i luoghi
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dell’apprendimento possano contenere diverse dimensioni da quella materiale organizzativa a quella metodologica a quella relazionale.
Il concetto più recente applicato in Italia, invece, è limitato alla rie‐ laborazione di nuovi setting degl’interni scolastici e della riorganizza‐ zione dello spazio dell’apprendimento/relazione sia dell’aula che del laboratorio definito “officina di metodo” espresso da Franco Frabboni (1935). Tale innovazione, in Italia, resta al momento una delle più audaci ed avvenieristiche soluzioni spaziali della scuola con il solo limite che è circoscritta alle sole attività della formazione attraverso una dinamica didattica e pedagogica improntata sul trasferimento della conoscenza dei soli saperi depositari (nozionistici ed enciclopedici) trascurando modalità di interlocuzione e di crescita della conoscenza euristica (problematici, costruttivi e creativi). Infatti, nonostante siano già state utilizzate alcune infrastrutture di servizio sia analogiche che digi‐ tali si è ancora molto lontani dall’applicazione dei principi innovativi estesi all’intero edificio scolastico affinché sia più facilmente rimarcato il protagonismo cognitivo e relazionale degli allievi, dei docenti all’in‐ terno di uno spazio fluido ed ampliato, favorendo così, il riscatto della dimensione interiore e della libertà creativa.
La linea di ricerca che affianca l’interno architettonico alla pedago‐ gia, alla psicologia ed alle neuroscienze, intrapresa negli ultimi anni, rappresenta per il futuro un’opportunità di investigazione verso un filone paradigmatico sul tema della corporeità (embodied) basato su un approccio di metodo sperimentale in quanto coniuga aspetti tec‐ nico scientifici ad altri empatici emotivi ed esperienziali.
Proprio in questa direzione si basa la riflessione condotta nel pre‐ sente capitolo in cui si passa ad analizzare i valori dell’interno archi‐ tettonico nell’ottica di una visione olistica ed interdisciplinare proprio perché collegata ai concetti di dimora-nido come prima forma archeti‐ pale, di vuoto come presenza di un’assenza e dello spazio interno inteso come interiorità dell’individuo soggetto percepiente in un più ampio discorso socio‐antropologico che partendo dalla definzione etimolo‐ gica della parola architettura declinata in campo etimologico semio‐ logico, semiotico e filosofico conduce alla realizzazione di un progetto architettonico adattandosi alle necessità psico‐fisiche e didattiche di: studenti, docenti, personale amministrativo e i genitori.
L’Archè dello spazio dell’apprendimento