• Non ci sono risultati.

4.2 – La riqualificazione degli spazi educativi nelle scuole del II ciclo

di Paola Lista

In via preliminare va detto che la riqualificazione degli spazi educativi va inquadrata nella più complessiva impostazione di congetture e idee progettuali inerenti alla riqualificazione del patrimonio abitativo, con il quale le scuole e gli altri indispensabili servizi del territorio formano sistema. È nota la situazione della attuale crisi urbana, concentrata soprattutto nelle periferie e nelle aree di recente urbanizzazione che connettono, ormai senza soluzione di continuità, città e centri abitati in conurbazioni estese. Si tenta, e con scarsi risultati, di intervenire sugli effetti e non sulle cause del fenomeno territoriale, spostandone i ter‐ mini da qualitativi in quantitativi. La conseguenza, intravvista come incerta soluzione di questo stato di cose, è l’istituzione delle cosìddette “città metropolitane”.

E dunque nell’ambito di questa generale e non facile situazione che la riflessione va centrata sul metodo e sull’approccio complessivo ai problemi, presenti soprattutto nelle aree metropolitane, attribuendo agli spazi didattici un potenziale di riqualificazione di consistente peso specifico, considerandoli piccoli ma autentici incubatori per sti‐ molare una possibile inversione di tendenza.

Metodologicamente vale il “paradigma olistico” che comporta una visione “del tutto”, “dell’intero”, riconoscendo il carattere complesso del coacervo dei problemi territoriali, sociali, culturali, educativi che osta‐ colano l’avanzamento in direzione di una migliore qualità degli ambiti spaziali della vita. Una prospettiva globalistica potrebbe essere il qua‐ lificante e prioritario punto da mettere a capo di qualsiasi congettura o azione d’intervento, consentendo, in modo realistico, di pervenire a una visione sistemica dei problemi degli spazi abitativi e dei connessi spazi educativi e formativi.

Volendo delineare, in estrema sintesi, alcuni principi e criteri da porre a orientamento del problema della riqualificazione degli spazi didattici, dovremmo anzitutto “liberarci” sia dalle stereotipate tipo‐ logie abitative che da quelle scolastiche con le loro anonime defini‐ zioni edilizie, fatte anche di arredi e di minute suppellettili. Tipologie, occorre dire, che si presentano in modo ripetitivo, intercambiabile e

88

Capitolo 4

dunque esportabile in qualunque altro contesto urbano. Occorre libe‐ rarsi dalla concezione di cellule abitative o di attività didattiche (le aule) standardizzate e impersonali. Insomma, dovremmo, preliminarmente, respingere le formule progettuali rigide, calate dall’alto, in qualche modo “autoritarie”, tali cioè da inibire gli auspicabili processi di nuovi e creativi spazi e da limitare l’apporto auspicabile dei fruitori; contri‐ buto questo assai determinante, in linea tendenziale, all’auto‐progetta‐ zione degli ambienti.

“Qualsiasi forma architettonica che non cresca su dalla forma sociale è un corpo estraneo, è una imposizione” (Doglio, 1970). Alla definizione degli

spazi architettonici, dunque, non concorrono unicamente fattori astrat‐ tamente rientranti nella sola sfera della funzionalità e dell’economia delle idee. Si tratta, per converso, di dar corso a un processo proget‐ tuale, complesso e multidisciplinare, causante la qualità e l’autenticità della configurazione spaziale che nasce dal contributo dei fruitori, dalla oggettivazione delle molteplici esigenze, dall’esplicitazione dei bisogni.

Quanto questo approccio diverga da quello comunemente messo in atto nella progettazione o nella riqualificazione degli spazi desti‐ nati alla didattica è fin troppo evidente. Essi devono incorporare un insieme di qualità positive; anzitutto (come ha scritto Salvatore Settis per la città e il paesaggio che rivestono la stessa funzione educativa della scuola) “incarnano valori collettivi essenziali per la democrazia”.

Per Settis, le recenti ricerche di antropologi, sociologi, psicologi, sono illuminanti poiché “definiscono lo spazio in cui viviamo come un for-

midabile capitale cognitivo, che fornisce coordinate di vita, di comportamento e di memoria, costruisce l’identità individuale e quella collettiva delle comu- nità” (2017). Nella scuola, come nella città, la conoscenza deve potere

assumere la validità di viva e corale esperienza educativa. Non più una semplice, insensibile attività di apprendimento, bensì il soddisfa‐ cimento pieno e razionale della curiosità intellettuale e dell’impulso all’esperienza integrale, laboratoriale, della realtà. Questo, in buona sostanza, è l’aspetto più generale del problema.

In un’ottica più ravvicinata, avvalendosi della sollecitazione offerta dalla elaborazione concettuale dell’embodied cognition va osservato che il termine embodied rinvia a varie specificazioni disciplinari che vanno dalle scienze cognitive, educative, motorie fino a quelle esteti‐ che. Queste ultime dovrebbero assumere particolare risalto agli occhi dei progettisti (architetti, designers, pedagogisti, docenti e dirigenti

Embodied cognition design: una sfida culturale per la scuola

scolastici) attenti a registrare i bisogni differenziati di tutti i fruitori degli spazi didattici. Spazi che, in primis, dovrebbero incorporare valenze estetiche (nel loro originario significato etimologico) e non solo gli standard della corrente, manualistica funzionalità.

In proposito, vale la pena di citare Arthur Danto, geniale filosofo dell’arte, che, a proposito delle opere d’arte e dunque dell’architettura, afferma che esse sono embodied meanings, (1981) ossia “incarnazione di significato”. Dunque, l’architettura degli spazi scolastici dovrebbe avere la funzione di una sorta di meccanismo produttore di senso, tale da stimolare la formazione della personalità creativa.

In particolare, il filosofo Maurizio Ferraris estende il concetto di embodied meaning a tutti gli oggetti sociali nei quali sono presenti significati e intenzioni (2007). Alcuni spunti di riflessione circa le rin‐ novate e più incisive funzioni degli spazi didattici possono prendere avvio dalle suddette considerazioni in uno con le impostazioni peda‐ gogiche più recenti, cogliendo alcuni punti forti della politica della scuola italiana 1, con attenzione alle esperienze di edilizia scolastica,

contrassegnate da profondi cambiamenti, di alcuni paesi tra cui il Giappone, la Danimarca e la Svezia.

Dall’ampio quadro di riferimenti teorici, legislativi, nonché dagli esempi già realizzati, assume, come si è già detto, una particolare fun‐ zione di stimolo il concetto di embodied cognition che, nel superare l’impostazione tradizionale della filosofia della mente, considera l’im‐ portante ruolo del corpo: la corporeità dell’allievo, in uno con la sua sfera cognitiva, sempre interagisce dinamicamente e positivamente con lo spazio circostante, se esso, beninteso, è qualitativamente effi‐ cace. Talvolta, come accade frequentemente, spazi anonimi e insignifi‐ canti possono finanche deprimere chi li vive.

In questo senso vale la pena di riportare una penetrante riflessione di J. Ortega y Gasset: “Lo spazio che ci circonda è la periferia di un più ampio

spazio in gran parte interiore”. È dunque evidente l’importanza della qua‐

lità dello spazio didattico, della sua definizione estetica e funzionale, dove si costruisce nel percorso educativo il senso della continuità for‐

1 D. M. n. 851 del 27 Ottobre 2015, legge 107/2015 e successivi decreti, scuole inno‐

90

Capitolo 4

mativa e coscienziale dell’allievo. Lo spazio didattico è configurazione pluridimensionale delle relazioni temporali, dei rapporti dell’essere col proprio ambiente, è luogo dell’esperienza individuale e socializzante. È il posto dove si forma la mente, sorge l’immaginazione e si svolge l’esercizio creativo.

Per questo, sin dai primi gradi del processo educativo e formativo e lungo tutto il suo percorso, lo spazio didattico va messo in relazione di continuità con gli spazi esterni, per stimolare, immaginare gli “intermi-

nati spazi al di là da quella” di leopardiana memoria; cioè l’appagamento

del desiderio d’infinito che è in tutti noi. Lo spazio non è mai chiuso e delimitato, sia nella sua accezione fisica sia nella nostra immagina‐ zione. Il suo potenziale è tale che talvolta diventa “l’assoluto anteriore” di ogni pensiero creativo. Nello spazio didattico la nostra esperienza trova la sua dimora, il suo stare con se stessa e con quella dei compa‐ gni. È lo spazio che Gaston Bachelard, nel suo saggio “La poetica dello spazio” definisce “lo spazio della immensità intima” (1975). Quale la pos‐ sibile ricaduta di questi principi e riflessioni sulla configurazione degli spazi didattici? Cosa comportano, sul piano della ricerca progettuale di nuove tipologie scolastiche innovative, e anche della riqualificazione e rifunzionalizzazione degli edifici adattati a scuola?

Accanto a pochi esempi ai quali possiamo riferirci, sarà di qualche utilità soffermarsi su alcuni punti:

• intendiamo presupposto fondamentale quello di formare una crescente, realistica cultura dell’autonomia (non solo teorica, ma tale da trasferirsi in compiuti atteggiamenti e attività didatti‐ che), così da utilizzare pienamente le opportunità di flessibilità spaziale, organizzativa e didattica;

• l’idea pedagogica della didattica laboratoriale, già utilmente attiva nella prassi di molte istituzioni scolastiche, va estesa e incrementata, realizzando in toto la scuola dei laboratori.

L’idea, non nuova, è quella di Franco Frabboni che intende la scuola dei laboratori come «officina di metodo», cioè un’organizzazione laborato‐ riale (2005) capace di innescare stimolanti dinamiche di apprendimento, con un’intensa attività di «aggregazione-disaggregazione-riaggregazione» degli allievi. Ciò va attuato trasformando le aule in luoghi d’interazione tra il pensabile e il possibile, veri luoghi della creatività a tutto campo.

Ne conseguono alcune forti caratteristiche degli ambienti didattici: la flessibilità e la caratterizzazione spaziale, la componibilità delle sup‐

Embodied cognition design: una sfida culturale per la scuola

pellettili, la possibilità di frazionare o dilatare gli spazi con semplici manovre, l’opportunità di variare l’illuminazione.

Per ogni campo disciplinare, per ogni materia d’insegnamento è ipotizzabile uno specifico laboratorio. La loro aggregazione creerebbe un sistema di laboratori, ossia di spazi ideali in cui si sperimentano tecniche, procedimenti, connessioni interdisciplinari; veri campi di esperienza e di apprendimento sia per gli allievi che per i docenti. Così diventerebbero effettivi spazi interni di fluidificazione con quelli esterni del quartiere, della città, del paesaggio, necessari allo scopo di strin‐ gere alleanze con le opportunità culturali del territorio.

Occorre nella scuola integrare l’elemento naturale con quello arti‐ ficiale, partendo dai suggerimenti offerti dalla dialettica tra natura e artificio, tra sensibilità e ragionamento, tra organicità e razionalità.

Naturalmente, sul piano progettuale, va considerata l’integrazione organica tra spazi interni e spazi esterni (opportunamente attrezzati e alberati) con una buona e sicura mobilità che diventa infrastruttura di coinvolgimento tra scuola e territorio. Così da creare nuovi «spazi‐cer‐ niera» attrezzati per accogliere attività di partenariato con le espres‐ sioni rappresentative della comunità locale, degli organismi culturali e produttivi. Realisticamente potranno aver luogo linee di effettiva e non solo dichiarata collaborazione tra scuola ed extra scuola, nella permanente prospettiva socio‐culturale di un sistema formativo e di orientamento integrato.

L’ampiezza dell’area di riferimento, in questa esplorazione della complessità degli ambienti educativi, ci porta a prendere atto e coscienza (ai fini di un approccio, non conforme e di routine, del pro‐ blema della riqualificazione degli spazi didattici) dell’importanza degli ambiti spaziali della scuola che vanno considerati come un sistema complesso. Una complessità sulla quale s’interviene spesso con semplificazioni progettuali che inducono “anche i più inguaribili

riduzionisti a chiedere aiuto al vecchio organicismo aristotelico, il quale rico- nosce che una casa non è la somma dei mattoni e delle travi ma qualcosa di più”. (Pace G.M., 1994). Allora, procedimenti, indagini e connessi

mezzi per compierle, orientati dal paradigma olistico, non possono che fare riferimento alla cosìddetta “metodologia della complessità”. Metodologia certamente in via di consolidamento sia per opera della letteratura specifica sia per interventi, buone pratiche e correlazioni dirette con la realtà e la complessità dei fenomeni. Preliminare a que‐

92

Capitolo 4

sto approccio metodologico, come efficacemente sostiene Jean‐Louis Le Moigne, è la fase iniziale che è quella, certamente non paradossale, della “progettazione della progettazione”.

Bibliografia

Bachelard G. (1975). La poetica dello spazio, Bari: Dedalo. Danto A. (1981). La trasfigurazione del banale, Bari: Laterza.

Doglio C. (1970). Forme sociali e forme architettoniche, Centro internazio‐ nale ricerche sulle strutture ambientali, Pio Manzù.

Ferraris M. (2007). Science of Recording, Frankfurt/aM, Ontos Verlag. Frabboni F. (2005). Il Laboratorio, Bari: Laterza.

Pace G.M. (1994) Pensieri complessi, in la Repubblica, Roma. Settis S. (2017). Architettura e democrazia, Torino: Einaudi.

CAPITOLO 5