I palazzi di epoca sassanide presentavano in molti casi una decorazione architettonica, sia interna che esterna, eseguita tramite l’impiego di formelle coprenti di forma prevalentemente quadrata o rettangolare, talvolta disposte in successione l’una accanto all’altra. Vista l’alta deperibilità dello stucco, tali formelle richiedevano un’opera di restauro pressoché continua, ed è probabile che i rimaneggiamenti costituissero pure un’occasione per demolire l’intera decorazione rovinata al fine di sostituirla con una di nuova(1).
I soggetti delle formelle in stucco sono solitamente animali e vegetali, benché siano molto comuni i busti, o le figure umane intere, e un paio di alette spiegate accompagnate da un monogramma e da una mezzaluna. Questi ultimi temi sono molto cari all’iconografia “ufficiale” sassanide, vista la loro associazione all’idea di regalità o di gloria sovrana (khvarnah): un esempio è l’ariete dotato di una collana e di nastri svolazzanti, presente anche in una mattonella proveniente da uno scavo non documentato dell’Iraq datato al VI secolo. Molte volte gli animali, così come le figure umane, sono compresi entro una cornice circolare costituita da una fila di perle con tralci vegetali all’esterno: è un elemento decorativo davvero amato e diffuso in tutto l’antico mondo iranico di cui non conosciamo ancora esattamente l’origine e il significato. L’unico dato certo è che, presso i siti di epoca sassanide scavati secondo criteri scientifici, il cosiddetto “medaglione perlato” si rintraccia solo nell’ambito dei decori a stucco(2).
Altri esempi rinvenuti in ambito architettonico sono, ad esempio, i due cavalli aureolati da un semicerchio a tre festoni, stanti ai due lati di uno stelo fiorito, che si trovano su un capitello della chiesa di Vignory (Haute- →(1)CURATOLA G., SCARCIA G., 2004, p. 97;
Marne). In un tessuto di ispirazione sassanide, rinvenuto ad Antinoe, si vede la medesima aureola sopra la testa degli stessi cavalli che si fronteggiano. La copia è innegabile: un motivo di provenienza iranica, ripreso nella valle del Nilo, riappare ai confini della Champagne ad opera di uno scultore romanico. Anche l’aquila a due teste condivide il medesimo percorso di diffusione: quest’immagine apotropaica dell’arte ittita riappare successivamente in quella sassanide (dove la sua sagoma corrisponde con quella della palmetta), prima di concretizzarsi nelle forme bizantine (vedi i tessuti del Tesoro di Sens, IX-X secolo; di San Pietro a Salisburgo, XI-XII secolo), musulmane e romaniche (vedi l’abaco di un capitello del chiostro di Moissac). Infine, pure i pannelli marmorei scolpiti dell’antica cattedrale di Sorrento (X-XI secolo) non possono non farci pensare ai tessuti e all’argenteria sassanidi: ritroviamo sia il cavallo alato in un medaglione, sia i grifoni affrontati ai due lati di un albero sacro, che denunciano inequivocabilmente il modello persiano(3).
Preziose testimonianze provengono pure dall’ambito della ceramica. In Mesopotamia settentrionale, dove prevaleva il gusto per la ceramica grezza, a volte decorata tramite l’utilizzo di stampi, sono stati rinvenuti un frammento di ceramica e un vaso intero, entrambi decorati con cervidi raffigurati sia isolati, all’interno di un medaglione perlato con un nastro svolazzante al collo, sia in processione all’interno di cornici orizzontali. Altre due brocche ansate tardo-sassanidi conservate rispettivamente in Svizzera e in Israele, di probabile produzione iranica settentrionale, presentano decori a cornici circolari contenenti capridi e cervidi singoli, motivi ricorrenti pure nei vasi in metallo prezioso che non tutte le classi sociali potevano permettersi, avvalendosi, per l’appunto, di imitazioni in materiale meno caro(4). A partire dal IX secolo, poi, una forte corrente islamica introdusse, nella ceramica smaltata, più di un motivo di origine sassanide. I più tipici sono: fasce concave o convesse adorne di rosette, di ovoli e di foglie a cuore, motivi architettonici frequenti negli stucchi sassanidi; animali di fantasia alternati in una serie di metope che dovevano formare il fregio di un orlo; il pavone che porta una collana e
→(3)GHIRSHMAN R., 1962, p. 303; →(4) CURATOLA G., SCARCIA G., p. 114;
Venezia. Pavone che fa la ruota (verso il 976). Venezia, San Marco; (da Ghirshman R., 1962).
Tessuto ispano moresco: pavone che fa la ruota (XI secolo). Londra, British Museum; (da Ghirshman R., 1962).
tiene nel becco un ramo, visto di fronte, mentre fa la ruota. Nato dalle “meraviglie” di un paradiso persiano, assimilato dai Romani all’immortalità celeste, riferito alla Resurrezione di Cristo dai Cristiani, il pavone è un oggetto frequentissimo nella scultura e pittura bizantine. Su una lastra del Louvre è ispirato ai motivi musulmani; frammenti di tessuti ispano-moreschi, conservati al British Museum, ne danno una versione assai simile(5). Pure una lastra marmorea nella basilica di San Marco a Venezia può servire da paragone. L’esecuzione della grande lastra veneziana, sistemata nella rampa di accesso all’ambone sud, ma quasi sicuramente in origine appartenente alla recinzione presbiteriale smontata nel XIII secolo, è stata attribuita ad una delle botteghe di scultori attiva sul volgere del secolo XI nell’ambito del cantiere contariniano. L’impaginato del pluteo appare piuttosto originale: tra ampi rami fogliati, che si dipartono da un arbusto mediano concluso da una pigna stilizzata, si collocano, ad altezze leggermente diverse, due dischi concavi che racchiudono, ognuno, un pavone, eretto su una sfera, che dispiega la ruota delle sue piume caudali, secondo uno schema assai simile a quello delle patere, un singolare tipo di scultura, per lo più destinata a decorare le facciate degli edifici, diffusa ampiamente in ambito veneziano a partire dalla prima metà del secolo XI(6).
L’arte sassanide, inoltre, abbonda di richiami ai preziosi ornamenti con cui si adornavano re e regine. Non solo collane, bracciali, orecchini, indossati indistintamente da figure maschili e femminili, ma anche lamine in metalli preziosi dotate di fori (brattee), destinate ad essere cucite o
→(5) GHIRSHMAN R., 1962, pp. 308-309; →(6) BARSANTI C., 2005, p. 65;
applicate sull’abito di persone di alto lignaggio che potevano permettersi tanto sfarzo. Il Museo d’Arte Orientale di Roma conserva una placca in argento costituita da un medaglione perlato contenente una testa di cinghiale (sebbene non sia del tutto chiaro se la placca costituisse la decorazione di un abito o di una bardatura)(7).
Lo studio dei piccoli manufatti in pietre semi-preziose istoriate (sigilli), e delle loro impronte su informe masse di argilla (bulle o cretule), risulta fondamentale per approfondire l’iconografia e le iscrizioni nella lingua diffusa all’epoca sassanide (pahlavi o medio-iranico). Vista la loro natura, tutti i livelli dell’antica società persiana utilizzavano i sigilli, forse anche come amuleti, ma quelli inscritti erano diffusi soprattutto tra le classi agiate quali governatori, membri del clero e aristocratici in generale. L’iconografia è davvero ricca in quanto, visto l’utilizzo personale che se ne faceva, consentiva al proprietario di adottare qualsiasi motivo prediletto, non sempre accettato in opere di carattere ufficiale. Non è raro incontrare nei sigilli animali o essere fantastici, (primo fra tutti il pegaso), affrontati secondo un’antichissima risoluzione iconografica, le cui radici vanno ricercate con molta probabilità nell’arte mesopotamica. Gli animali raffigurati singolarmente, specialmente uccelli, felini e capridi, costituiscono il gruppo più significativo. Anche il busto della figura umana occupa un posto di rilievo, da intendersi, in qualche caso, come un ritratto del possessore del sigillo. Di norma, solo gli dei e gli eroi sono raffigurati frontalmente nei sigilli(8).
Anche l’impiego dei manufatti in metallo coincideva con quello di certi esemplari romani e bizantini prodotti espressamente per lo scambio di doni diplomatici o per la propaganda. Prodotti d’arte suntuaria quali, appunto, tessuti e metalli di gusto iranico (in questo caso di provenienza sogdiana) venivano con ogni probabilità commissionati persino dagli imperatori cinesi, esclusivamente per gli scambi diplomatici. Così come per altri generi santuari, quali i tessuti serici, anche la produzione di metalli preziosi lavorati finemente era oggetto di controllo da parte della corte (sebbene esistessero manifatture periferiche dove i canoni
→(7) CURATOLA G., SCARCIA G., p. 115; →(8) CURATOLA G., SCARCIA G., pp. 116-117;
Coppa. Un banchetto regale (VI-VII secolo d.C.). Baltimora, The Walters Art Gallery; (da Ghirshman R., 1962).
metropolitani riguardanti la forma degli oggetti, il peso, la purezza del metallo e l’iconografia, non erano rispettati). Tra i primi soggetti della toreutica sassanide si annoverano i busti umani, sia maschili che femminili, inscritti entro un medaglione e di norma appoggiati su un tralcio vegetale a volte modellato a forma di alette spiegate. Altri temi prediletti, specialmente dalla piccola nobiltà, sono: scene di caccia, musica e danza, e di banchetto regale, insieme a varie figurazioni animali(9). Il tema decorativo principe resta, comunque, l’immagine del re. Anche la coppa sassanide(10) ha carattere rappresentativo: foggiata in un laboratorio del palazzo reale, essa glorificava la maestà del re. Questi, infatti, indossa sempre la corona, anche quando ciò potrebbe sembrare strano, come nelle scene di caccia a cavallo e nelle scene intime nelle quali, oltre alla gioia di vivere, è rappresentata la bellezza femminile. Un’altra coppa, custodita nel Museo di Tehran, conferma la predilezione dimostrata dagli ultimi Sassanidi per la figura regale incorniciata entro una nicchia. Nella parte superiore la suddetta nicchia è decorata a merli, e
sopra c’è la mezzaluna. Da entrambe le parti, sui due stipiti, sono raffigurati sette uccelli in sette medaglioni. Due personaggi stanno rispettosamente ai due lati del trono che segue lo schema tradizionale(11).
Le regine prendevano parte solo qualche volta ai banchetti: una coppa, che è copia tarda del V secolo, ora al Museo di Baltimora, ne è la testimonianza. La coppia reale seduta sul trono è al centro della scena; la corona del banchetto, che il re offre a sua moglie, esprime l’invito a partecipare alla festa; le altre corone, poste ai piedi del trono, alludono alla presenza
→(9) CURATOLA G., SCARCIA G., p. 119;
→(10) Ghirshman sul tema cita in particolar modo un esemplare: “La coppa più bella, col re in trono, è quella in oro del Cabinet des Médailles di Parigi. Rappresenta Cosroe I e viene chiamata “Tazza di Salomone”; sembra sia stata offerta a Carlo Magno da Hārūn al-Rashīd ed entrò più tardi a far parte del tesoro di Saint-Denis. La figura del re è incisa in un medaglione di cristallo di rocca racchiuso in una cornice di vetri incastonati; sull’orlo esterno della coppa si trova un’altra fascia degli stessi vetri” (vedi GHIRSHMAN R., 1962, pp. 204-205);
India del Nord. Coppa decorata con un simurgh (epoca sassanide). British Museum; (da Ghirshman R., 1962).
sottintesa di altri commensali. Le teste di cinghiale simboleggiano una caccia fortunata, così come le corna di ariete o la melagrana sulla corona della regina alludono alla fertilità. Sullo scialle di quest’ultima si può notare un medaglione rotondo, ornamento sulle spalle e sul fianco, tipico della moda sassanide, molto apprezzato in seguito dai siriani e dai bizantini(12). Altre scene diffuse sono quelle di caccia, imperniate sull’imperatore, intento a scoccare una freccia contro la preda, sul suo destriero lanciato al galoppo volante o, meno frequentemente, appiedato. Tipici dell’arte sassanide sono i cerchietti posti in corrispondenza delle articolazioni del cavallo reale e anche delle prede.
I decori ad animali, per lo più compositi, ornano tutta una serie di coppe. Uno di questi è il
simurgh, mitico uccello iranico, dal significato
beneaugurante, nel quale si trovano riuniti il leone, il cane, il grifone e il pavone. Altrove troviamo volatili, a volte raffigurati con i nastri legati al collo, o una collana, persino dotati di nimbo; arieti, con le corna arcuate e divergenti e nastri svolazzanti legati al collo; cervi, felini quali tigri e leoni (quest’ultimi anche alati), teste di cinghiale(13). Più volte è stato messo in luce il carattere oltremodo espressivo, quasi demoniaco, della maggior parte di questi animali, quasi fossero simboli delle potenze soprannaturali. È probabile abbiano avuto una così spiccata diffusione sul vasellame di lusso, sia in Oriente, che in Occidente (dall’inizio dell’era cristiana), grazie anche al gusto della società per il romanzo, per i racconti di viaggi in terre lontane e favolose, per tutto ciò che è misterioso, terribile, sovrumano. Simili agli essere fantastici che animano le leggende, gli orafi hanno ideato queste creature per suscitare terrore o stupefazione(14).
I prodotti della toreutica sassanide conobbero anticamente una grande diffusione, e sicuramente molti motivi iranici furono introdotti e accettati
→(12) GHIRSHMAN R., 1962, pp. 218-219; →(13) CURATOLA G., SCARCIA G., p. 110; →(14) GHIRSHMAN R., 1962, p. 219;
presso altre culture proprio com’era avvenuto per altri materiali facilmente trasportabili. I piatti in metallo, brocche, ecc., insieme ai tessuti, costituiscono gli arredi funebri più comuni delle tombe dei popoli centro- asiatici, cinesi e tibetani. Al contrario dei tessili, però, per i quali è spesso difficile dare un’attribuzione certa, molti oggetti in metallo (specialmente in argento e argento dorato) rinvenuti, ad esempio, pure in Cina, possono considerarsi prodotti di sicura manifattura sassanide. Prodotti analoghi, provenienti dalla Persia o dalle regioni adiacenti dov’era certamente nota la toreutica sassanide (Sogdiana, Battriana-Tokharestan e Corasmia), sono stati portati alla luce durante alcuni scavi in Cina, e numerosi sono custoditi in Giappone, nel deposito imperiale dello Shoso-in, presso Nara. Alcune tombe ipogee di epoca Tang (618-907), di proprietà di membri della famiglia imperiale, hanno mostrato pitture parietali raffiguranti servitori e dame nell’atto di porgere vassoi, vasi e caraffe tipici del mondo iranico. In tal modo possiamo affermare con certezza che i motivi ornamentali iranici conobbero una diffusione certa in Asia Centrale e nell’Estremo Oriente diventando, con ogni probabilità, alcuni tra gli articoli più richiesti in assoluto all’estero(15).
E non solo in Oriente, ma anche in Occidente dove gli influssi sassanidi sono ben visibili nell’arte ravennate di V e VI secolo. Pensiamo, ad esempio, ai mosaici che rivestono le volte a botte di due bracci del mausoleo di Galla Placidia (425-450), dove si possono riconoscere eleganti motivi ornamentali ispirati a quelli delle sete. Sullo sfondo di un intenso blu indaco si espande, infatti, una preziosa decorazione floreale costituita da globetti d’oro, piccole margherite bianche e grandi fiori geometrici con petali dentellati che si alternano ad altri fiori stilizzati simili a cristalli di neve. Motivi decorativi simili a questi si riscontrano soprattutto nei tessuti serici di Antinoe (Egitto); interessante al riguardo è un frammento di seta, conservato al Museo Storico dei Tessuti di Lione, che presenta medaglioni e rosette in una composizione simile, seguendo gusti e principi decorativi cari all’arte sassanide(16).
Un altro esempio è costituito dai mosaici della volta del vestibolo della
→(15) CURATOLA G., SCARCIA G., pp. 110-112; →(16) RIZZARDI C., 1991, p. 369;
piccola cappella Arcivescovile, posta all’interno dell’Episcopio ravennate. Sullo sfondo aureo losanghe, ottenute mediante l’intreccio di bianchi fiori tripetali stilizzati e fiori rossi quadripetali, contengono ciascuna un volatile di diversa specie: colombe, pavoni, pernici, faraone, varie specie di anatidi, pappagalli verdi con al collo il tipico nastrino svolazzante caro all’iconografia sassanide. Simili schemi decorativi si riscontrano sia sulle sete sassanidi o da esse derivate, sia in numerosi mosaici pavimentali di Antiochia, oppure in opere di toreutica(17). Motivi di gusto sassanide caratterizzano poi il “tablion” dell’imperatore Giustiniano nel pannello absidale di S. Vitale di Ravenna, che presenta sullo sfondo oro medaglioni circolari di colore rosso contenti piccoli uccelli verdi stilizzati; simili orbicoli, visibili sul “tablion” degli arcangeli Michele e Gabriele, raffigurati nei rinfianchi dell’arco trionfale di Sant’Apollinare in Classe (metà VI sec.), racchiudono uccelli e palmette: una decorazione identica è presente sugli abiti di alcuni personaggi al seguito dell’imperatore raffigurati nei rilievi rupestri di Tāq-i-Bustān, trovando poi ulteriore diffusione anche in piatti d’argento sassanidi di notevole finezza esecutiva(18).
Nell’altro pannello imperiale dell’abside di San Vitale le due piccole punte sovrastanti l’acconciatura dell’imperatrice Teodora non sono altro che una variante delle doppie ali, simboleggianti la vittoria, presenti sulle corone sassanidi. Troviamo, inoltre, sulle tuniche seriche delle dame che accompagnano l’imperatrice: piccole anatre blu poste su fondo beige, palmette blu-verdi stilizzate, uccellini rossi emergenti da un fondo verde brillante, tutti motivi che si ripetono disposti uniformemente secondo precise trame geometriche(19).
Non solo nei mosaici e negli stucchi, ma anche nelle sculture di Ravenna si rintracciano evidenti suggestioni orientali. Esempi significativi sono due coppie di capitelli conservati nel Museo Arcivescovile, di provenienza costantinopolitana, databili tra la fine del V e l’inizio del VI secolo. Due di essi hanno la parte inferiore rivestita di foglie d’acanto finemente dentellato, mentre la parte superiore è ornata da mezze figure di arieti
→(17) RIZZARDI C., 1991, p. 371; →(18) RIZZARDI C., 1991, p. 373; →(19) RIZZARDI C., 1991, pp. 373-374;
Codex Aureus Epternacensis: pagina ornamentale introduttiva del
Vangelo di Marco (fol. 51v); Nuremberg, The Germanisches Nationalmuseum Library; (da “La Persia e Bisanzio”, 2004).
dalle corna ricurve; fra di essi si innalzano alternativamente volatili e cornucopie. Sempre a due zone è l’altra coppia di capitelli del Museo Arcivescovile: la parte inferiore, rivestita da eleganti tralci di vite ricchi di grappoli d’uva, è nettamente separata da quella superiore per mezzo di una piatta cornice che attraversa orizzontalmente tutto il corpo del capitello; la zona superiore presenta agli angoli protomi di grifoni con le teste e le ali in posizione eretta, fra cui si alternano una protome di bue e una di leone. Ritroviamo una simile ornamentazione su una stoffa,
proveniente da Antinoe, ora alla Dumbarton Oaks Collection (V-VI secolo), raffigurante, alternativamente in vari registri, coppie contrapposte di protomi di leoni, o di cavalli, innalzantesi da una coppa uscente da volute di acanto sovrapposte, mentre il bordo è ornato da medaglioni che racchiudono cavalieri, o figure di pantere, e leoni di tipo persiano(20). Un altro esempio, sempre proveniente dal mondo occidentale, è il cosiddetto “Codex Aureus Epternacensis”,
(un evangeliario del 1030 d.C. circa), ora al Nuremberg Germanisches Nationalmuseum. Due
Codex Aureus Epternacensis: pagina ornamentale introduttiva del
Vangelo di Luca (fol. 75v); Nuremberg, The Germanisches Nationalmuseum Library; (da “La Persia e Bisanzio”, 2004).
pagine ornamentali introducono ogni Vangelo; quelle che
precedono il Vangelo di Marco (fogli 51v- 52r) presentano una doppia fila di perline come bordura, e quattordici strisce ornamentali che si ripetono, a due a due, a partire dall’esterno verso l’interno, per un totale di sette diverse bande decorative. Tra quest’ultime, quattro dispiegano motivi animali, mentre le altre tre
ornamentazioni vegetali. Un tipico influsso sassanide è visibile nella fascia con anatre, caratterizzate dal doppio nastro svolazzante intorno al collo, e da un elemento fitomorfo pendente dal becco (simile ad una fogliolina), presenti, nella medesima foggia, su un pluteo del coro della cappella di Santo Aspreno (X secolo), a Napoli. Vi sono poi bande che dispiegano una decorazione a leoni e grifoni affrontati ad un alberello della vita che denotano un’evidente origine iranico-mesopotamica. Dal rostro dei grifoni (della 2° e 13° striscia) pende un elemento vegetale, mentre la lingua dei leoni è oltremodo arricciata tanto da sembrare un viticcio intrecciato(21). Le pagine introduttive al Vangelo di Luca (75v-76r) dispiegano un’altra
Tessuto linteo decorato con leoni in posa araldica entro pannelli quadrati; X secolo, Egitto fatimida (New York, The Metropolitan Museum of Art); (da “La Persia e Bisanzio”, 2004).
decorazione, pur sempre improntata all’imitazione dei tessuti sassanidi: una doppia fila di perline incornicia i fogli, ognuno diviso, sia in lunghezza che in larghezza, in pannelli quadrati contenenti ciascuno un leone. Quest’ultimi sono affrontati l’uno all’altro in una posa tipicamente araldica; nelle intersezioni tra i quadrati vi sono profili umani, sempre affrontati l’un l’altro. Sebbene la resa delle bestie sia d’influenza occidentale, è da notare come sia proprio la foggia araldica a subire l’influsso sassanide: basti confrontare questa pagina con un tessuto linteo di X secolo, attribuito all’Egitto fatimida, dove troviamo i leoni ancora una volta in posa araldica all’interno di pannelli quadrati (seppur non affrontati)(22).
Degne di nota sono, infine, le pagine che preludono al Vangelo secondo Matteo: qui l’influsso dei tessili sassanidi decorati a rotae è fondamentale. La pagina è caratterizzata, infatti, da file di cerchi alternativamente rosso-arancione e bianchi. I primi contengono ornamenti vegetali, i secondi volatili (forse pernici),
entrambi, a loro volta, racchiusi entro cornici geometrico-fitomorfe che adornano ulteriormente l’interno dei compassi. Tra queste cornici interne e la cornice esterna della rota vi sono draghetti e palmette a riempire gli spazi interstiziali. Gli interstizi tra le rotae, invece, sono decorati con motivi vegetali di gusto occidentale. Oltre che nell’impostazione ad rotellas,
Codex Aureus Epternacensis:
pagina ornamentale introduttiva