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LA PRODUZIONE DELLE STOFFE: MATERIE PRIME E COLORANTI 4.1) LE FIBRE TESSILI: LANA, LINO, SETA

3.9) IL MOTIVO DEI VOLATILI AFFRONTATI ALL’ALBERO DELLA VITA

4) LA PRODUZIONE DELLE STOFFE: MATERIE PRIME E COLORANTI 4.1) LE FIBRE TESSILI: LANA, LINO, SETA

È probabile che l’addomesticamento della pecora inizi già dal X millennio a.C., nella zona attualmente compresa tra Afghanistan e Iraq; tuttavia, le prime testimonianze certe di panni in lana risalgono al periodo tra VI e IV millennio a.C. È la Mesopotamia il paese che riveste una centrale importanza, sia dal punto di vista economico che culturale, nell’allevamento degli ovini e nel commercio delle lane. Tutte le civiltà basate sull’allevamento, bovino od ovino, hanno rivestito gli animali e i prodotti da essi derivati (corna, pelli, vello e tessuti), di particolari significati simbolici, tanto che, in molti casi, le stoffe così realizzate venivano usate per il confezionamento delle vesti cultuali, come presso gli antichi Romani. C’è un filo rosso che lega l’antichità mesopotamica al mondo ebraico e, a partire da quest’ultimo, all’abbigliamento liturgico e rituale cristiano. Ad esempio, nel corso del Medioevo, l’agnello, inteso in senso mistico, e la lana, che da esso proviene, vengono rivestiti di numerosi simbolismi: fin dal secolo IX si ricordano riti nei quali sono protagonisti agnelli di cera, confezionati in Laterano, e distribuiti al popolo in veste in amuleti. Inoltre gli agnelli vengono considerati metafora dell’agnello eucaristico e del battesimo purificante; il loro candore viene associato alla verginità di Maria(1). Ovviamente la lana, fibra senza alcun dubbio molto più grezza rispetto, ad esempio, alla seta, verrà nei secoli prevalentemente usata per le vesti utilizzate in ambito monastico, stando con ciò a significare l’umiltà e la semplicità della vita consacrata(2).

Il lino è una delle piante che si adatta al meglio a condizioni climatico- ambientali anche molto differenti, e le cui proprietà si estendono da quelle per l’abbigliamento a quelle alimentari e curative. Nell’Antico Testamento ci si imbatte spesso nel termine “kuttōnet”, dall’accadico “kitû”, “lino”,

→(1) «Per Rabano Mauro (784-856) la lana, oltre ad essere simbolo della tradizione ebraica, diviene anche “segno” di Maria: “Vellus est Virgo Maria, ut in Psalmis descendit sicut pluvia in vellus, id est, per Spiritum Sanctum veniet Christus in uterum Virginis”» (vedi PICCOLO PACI S., 2008, p. 187);

dall’ugaritico “kitītu”, “veste di lino”, stante probabilmente ad indicare sia una fibra che una tipologia di veste. In aramaico indica, infatti, sia una “stoffa di lino”, che una “veste – tunica”. Anche in Omero troviamo un termine assai simile: “chitón” che sta per “veste corta”, mentre l’arabo “quţun” sta per “cotone”, ma è probabilmente correlato ai precedenti per la tipologia di stoffa, chiara e sottile. Per gli Egizi il lino aveva una notevole importanza semantica: era considerato materiale igienico e puro, sia in senso fisico che spirituale; inoltre, il suo ciclo vitale era metafora della vita umana, a partire dal fusto che veniva battuto e “ucciso” per ottenere la fibra resa candida e malleabile. Simili considerazioni sono presenti pure negli scritti dei Padri della Chiesa. Nell’Apocalisse le vesti lintee servono a connotare le sante figure come personaggi al di fuori del contesto terreno. Gli abiti del sommo sacerdote erano anch’essi in lino, candido o intessuto con filati diversi, pure metallici; così doveva essere con ogni probabilità anche per i sacerdoti comuni. Questo perché si voleva sottolineare il concetto dell’acquisizione del candore intimo attraverso la restrizione volontaria e sofferta imposta al sacerdote, e simboleggiata nelle vicissitudini che la pianta del lino subisce durante la sua trasformazione da fusto legnoso e bruno a tessuto luminoso. Anche nell’ordinazione del re la veste lintea giocava un ruolo di prim’ordine(3); con l’avvento del cristianesimo poi il lino continuerà a mantenere il suo valore sacrale, confermato anche dagli scritti dei commentatori biblici(4).

Sulla base di ciò che Procopio di Cesarea scrive nel IV libro della Guerra

gotica, e di altre fonti documentarie, possiamo asserire che il baco da seta

domestico (Bombyx mori, che si nutre esclusivamente di gelso) sia stato introdotto a Bisanzio all’epoca di Giustiniano, intorno al 552, e che esso, con ogni probabilità, sia giunto dalla Cina. La seta fu uno dei primi filati realizzati in Cina, e la sua comparsa risale agli albori della civiltà cinese. Gli archeologi hanno rinvenuto bachi da seta in un sito archeologico della

→(3) PICCOLO PACI S., 2008, pp. 183-184;

→(4) «Afferma Rabano Mauro (784-856): “Byssus est iustitia; carnis afflictio; virginitas; acies virtutum; cultus exterior”, e più avanti prosegue: “Linus est populus gentilis […]; linum, subtilitas, […] id est, non intus malitiae subtilitatem teges, et sanctitatem foris ostendes […]. Linum, spiritualis intellectus”» (vedi PICCOLO PACI S., 2008, p. 184);

Cina settentrionale riconducibile alla cultura di Yangshao (o della Ceramica dipinta), sviluppatasi tra il 4800 e il 3000 a.C. In un altro sito, datato all’epoca della dinastia Shang (XVI-XI secolo a.C.), gli studiosi hanno rinvenuto l’ideogramma della parola “seta” scritto su ossa oracolari. Inoltre, alcuni dei primi testi cinesi, del I millennio a.C., comprendono canzoni popolari che nominano la tessitura della seta e i tessuti da essa derivati(5). Nonostante i Cinesi custodissero gelosamente i segreti dell’allevamento del baco e della seta ottenuta per trattura, le pratiche si diffusero gradualmente verso occidente. Fonti archeologiche ed iconografiche sembrano infatti confermare il racconto della principessa cinese che andò in sposa al re di Khotan (grande oasi nella regione desertica del Takla Makan) intorno al 450 d.C., con pacchettini di uova di baco nascosti tra i capelli. Diventa così molto più plausibile l’introduzione di altre razze di Bombyx mori nel bacino del Mediterraneo dopo il VI secolo, dal momento che esse erano già presenti in paesi più vicini come l’India o la Persia(6). Bizantini e arabi diffusero la bachicoltura nel Mediterraneo; le razze occidentali, quelle medievali e successive, erano probabilmente monovoltine (una sola schiusa di uova all’anno) fin dalla loro comparsa o appena dopo. Ci sono pervenuti trattati arabi sull’allevamento del baco da seta, nonché disegni cinesi di XII-XIII secolo che illustrano le pratiche allevatorie di quel popolo. Ad esempio, appare evidente l’uso di vassoi circolari, non molto ampi, di graticcio vegetale: su di essi i bachi venivano nutriti con foglie di gelso e, con una coppia di bastoncini, onde evitare il dannoso contatto con le mani, spostati delicatamente su una nuova lettiera per la necessaria pulizia. Tutte pratiche certosine che garantivano, tuttavia, un buon raccolto(7).

I rinvenimenti di stoffe in seta, o in cui sia impiegato tale filato, negli scavi archeologici del mondo occidentale mediterraneo non sono moltissimi, vista la deperibilità del materiale; inoltre, i più antichi non risalgono oltre il III secolo d.C. Il commercio di seta nel mondo classico avveniva per mano di mercanti intraprendenti che dai paesi mediterranei si spingevano

→(5)LIU X., SHAFFER L.N., 2009, p. 15; →(6) CRIPPA F., 2000, pp. 3-4;

verso Oriente, almeno sino all’India; ma anche i grandi imprenditori di Dura Europos, Palmira, e di altre città carovaniere della Siria e dell’Arabia, tennero vivo in età imperiale il commercio di questa fibra dall’altissimo prezzo, quanto mai richiesta però dalla società romana(8).

Sulla scorta degli autori antichi possiamo rilevare come, accanto alle sete cinesi, erano note nel mondo mediterraneo le bombycinae vestes e le coae

vestes: le prime sembra provenissero dall’Assiria o, come asserisce

Properzio, dall’Arabia; quanto alle seconde, il nome stesso ne indica la provenienza dall’isola di Coo, sebbene non si sia sicuri se qui si tessesse il materiale grezzo venuto dall’Asia o se si lavorassero, come pare più verosimile, i bozzoli di bachi cresciuti in loco. La seta era importata nel mondo romano o già tessuta (sericae vestes), o come filato (sericum nema), o in forma grezza, cioè non ancora preparata per la tintura e la tessitura (metaxa). La grande passione per la seta inizia in epoca augustea, quando non solo le grandi dame della corte imperiale indossano abiti in questa fibra, ma anche gli uomini si vestono di questo prezioso materiale. Le vesti poi, già di per sé costose per la rarità del materiale serico, venivano arricchite da ricami in oro, dalla tintura con la porpora, o dall’aggiunta di strisce di porpora: ne sono una testimonianza i mosaici che ci documentano della varietà e ricchezza degli ornamenti policromi applicati alle vesti o ricamati su di esse(9).

Dall’esamina dei pochi lacerti di seta cinese rinvenuti negli scavi di alcuni centri del mondo mediterraneo, si evince che stoffe cinesi giungevano in Occidente e venivano impiegate senza rimaneggiamenti, sebbene sia chiaro che esistevano contemporaneamente numerosi luoghi ove veniva tessuto il filato o in cui la metaxa, la seta grezza, veniva tinta, filata e tessuta. Tra questi ricordiamo Antiochia e Alessandria per la loro posizione vicina ai centri carovanieri, o portuali, cui faceva capo la via della seta, e per il fatto che in queste città vi erano fabbriche tessili che utilizzavano cotone, lino, lana; non si escludono però nemmeno manifatture minori in Italia e altrove. Ovviamente il più grande centro produttivo nella tarda antichità resta Costantinopoli dove, sin dal secolo

→(8) FLORIANI SQUARCIAPINO M., 1994, p. 25; →(9) FLORIANI SQUARCIAPINO M., 1994, pp. 25-26;

IV, esistevano manifatture imperiali, i “ginecei”, così denominati perché vi lavoravano quasi esclusivamente donne. L’industria della seta era, infatti, divenuta sempre più remunerativa con l’estendersi della passione per le vesti seriche in tutti gli strati della società(10).

Al Medioevo occidentale la seta giunse come prodotto tessile di eccezionale pregio, destinato ai più eminenti esponenti della vita sociale, politica e religiosa, in tutti i casi nei quali si imponeva la necessità di comunicare un’immagine di prestigio. La conservazione del discreto numero di sete di età medievale che ci è pervenuto, (comunque inferiore a quella che doveva essere effettivamente presente nell’Europa medievale), è dovuta a diversi fattori. Uno di questi è il fenomeno della venerazione dei corpi santi: data la sua preziosità, la seta era un tessuto comunemente utilizzato per avvolgere le reliquie. La sacralità dell’oggetto custodito, infatti, si trasmetteva “per contatto” alla stoffa, trasformandola così in reliquia secondaria, secondo lo stesso meccanismo dei brandea (panni appoggiati sul sepolcro o sul reliquiario del santo), che divenivano a loro volta oggetti di culto. Un alto numero di tessuti serici era destinato al servizio liturgico; la veste liturgica era del resto necessaria ad esprimere efficacemente la distinzione tra il laico e il sacerdote, rientrando anch’essa tra le res

sacrae. Nella casa del Signore, infatti, il lusso era giustificato dal desiderio

di rendergli gloria. La seta veniva pertanto adoperata anche ad ornamento dell’edificio di culto, nelle stoffe da parato, e nei tendaggi aventi la funzione di circoscrivere gli spazi, secondo un uso assai comune soprattutto prima dell’età romanica (vela alle pareti, tra gli intercolumni del corpo longitudinale e nel ciborio). Presenti, nei paramenti, pure ricami con oro e argento applicati o intessuti, perle, smalti e pietre rilucenti, che esaltavano la luminosità su un materiale già di per sé assai lucente come quello serico(11).

Tessuti serici si sono conservati, abbastanza integri, anche grazie all’uso che ne veniva fatto nelle pratiche funebri. Era consuetudine, infatti, vestirne il defunto (specialmente personaggi di alto rango che venivano inumati con l’abito della loro carica ricoperta in vita), avvolgerne il

→(10) FLORIANI SQUARCIAPINO M., 1994, p. 27; →(11) MIHÁLYI M., 1994, pp. 121-122;

sarcofago, sia internamente che esternamente, servirsene come sudario per santi, pontefici, vescovi, ma anche imperatori, sovrani e potenti. La seta costituiva pure il tessuto prediletto per gli abiti, sia d’uso che d’apparato, di signori d’alto rango e sovrani, laici ed ecclesiastici, nonché di persone legate alla loro cerchia più diretta(12).

In Italia la bachicoltura si afferma tra l’XI e il XII secolo, in particolare nel meridione, dove, con Federico II (1194-1250), si ebbe un vero impulso allo sviluppo di quest’arte, in mano soprattutto a musulmani ed ebrei. Proprio per limitare il crescente sviluppo di Svevi e musulmani, il papa Innocenzo IV (1243-1254) strinse un’alleanza con la Cina mongolia, la Pax mongolica (1260-1368), che ebbe, come conseguenza, anche quella di stabilizzare il commercio della seta e di favorire lo sviluppo della tessitura serica in Italia, sebbene pure l’impero bizantino continuasse a produrre sete prestigiose almeno fino al XV secolo. Dal XIV secolo è comunque l’Italia ad assumere una decisiva importanza nel panorama produttivo serico europeo: divengono note ed esportate in tutta Europa, andando a costituire parte del patrimonio tessile dei palazzi e delle chiese di ogni dove, le produzioni siciliane, toscane, venete, raffinate e sofisticate, davvero originali da un punto di vista artistico e tecnico(13).