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L'AMBITO PIÙ CONSERVATIVO?

1.2. ARCHIVIO DEGLI STUDI E DELLE TEORIE VS NUOVE FRONTIERE

1.2.1. Processualismo e Post-processualimo: il confronto

L'aspetto delle pratiche funerarie viene indagato in modo approfondito soprattutto a partire dagli anni '60 del secolo scorso, in seno alle teorie sviluppate dalla corrente anglofona Processualista. Il focus è concentrato sulla dimensione economica e sociale ricostruibile analizzando ogni aspetto di una sepoltura considerata come il riflesso speculare, isomorfo, dell'organizzazione del livello di strutturazione interna raggiunto dalla comunità di riferimento. L'antropologo Arthur A. Saxe scrive nella sua tesi di dottorato che «When archaeologist excavate a set of burials they are not merely excavating individuals, but a coherent social personality who not only engaged in relationships with other social personalities but did so according to rules and structural slots dictated by the large social system»95.

Alcune definizioni basilari vengono collegate, in modo diretto e indiretto, alla figura del defunto:

1- La social identity, corrispondente alla posizione sociale o status96;

2- La social persona, a rappresentare la somma delle identità sociali di un individuo, delle quali solo alcune sono ritenute dagli appartenenti al gruppo come "appropriate" nel trattamento delle spoglie del defunto97;

3- La social unit, considerata nei due caratteri di complessità strutturale e ampiezza, ovvero l'insieme sociale degli individui che riconosce una posizione di responsabilità allo status del defunto98.

Secondo gli studiosi processualisti queste dimensioni influenzano l'espressione funeraria con la conseguenza che il grado di sviluppo sociale ed economico della stessa comunità antica decreta la variabilità nel trattamento dei resti umani e nell'aspetto che il complesso funerario assume sulla base di una selezione volontaria99.

A chiarire questi principi di analisi interviene l'antropologo e storico Joseph Tainter100 che introduce un criterio di valutazione della sepoltura a corollario delle osservazioni precedenti:

4- La energy expenditure, in base alla quale più elevato è il rango del deceduto, maggiore deve essere l'impegno profuso dal gruppo nella costruzione del rito e della deposizione.

Il lavoro dei processualisti, come noto, è viziato fin dall'inizio dal presupposto che l'interpretazione dei record archeologici debba basarsi su teorie generali e in generale applicabili. A questo indirizzo si oppone la corrente del Post- 95 Saxe 1970: 4 96 Ivi: 7 97 Saxe, 1970: 9; Binford, 1972: 225-226 98 Binford, 1972: 225-226 99 O'Shea, 1984: 12 100 Tainter, 1978:125-126

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processualismo che tra le sue varie anime e ramificazioni da i natali a una delle posizione maggiormente condivise, quella della Contextual Archaeology che per l'appunto mette al centro dell'analisi il "contesto" e fa venire meno l'equazione "società dei morti"="società dei vivi" come valido e applicabile in modo universale. Altri argomenti entrano in campo nel vaglio delle forme assunte dalle deposizioni funerarie. Non è più solo l'aspetto socio-economico a farla da padrone, ma termini come "ideologia" e "simbolismo" cominciano a farsi strada di pari passo all'analisi delle dinamiche più intimistiche collegate alla elaborazione del lutto, come caldeggiato, tra gli altri, dall'archeologo inglese Ian Hodder101. Un interessante esempio di nuovo approccio e, in questo caso, anche di revisione di teorie informate all'isomorfia processuale, chiama in causa proprio la diffusione delle necropoli durante le fasi finali del Neolitico e ci è offerta dal paletnologo Andrea Dolfini che parte da una rilettura incrociata dei dati dagli abitati e quelli dalle necropoli. Lo studioso mette in evidenza come nel corso del Neolitico antico e medio le deposizioni formali, in fossa semplice, rivestite in pietra o con vere e proprie ciste litiche ma quasi sempre senza un corredo, avvengano ancora all'interno dei villaggi trincerati. I confini di questi creano il limite tra l'interno e l'esterno non solo in termini fisici ma anche sociali cosicché il rito funerario è di fatto una delle tante pratiche che definiscono le relazioni sociali, sia a livello rituale che "mondano"102. Le stesse, nel tempo, subiscono attività di disturbo, con probabilità non intenzionali ma determinate dalle attività quotidiane della comunità. In qualche caso si registra la deposizione secondaria formale di alcune ossa, forse in collegamento a specifiche cerimonie volte a creare o rafforzare il senso di appartenenza al gruppo sociale103. La situazione cambia alla fine del Neolitico e ancor di più nel corso dell'età del Rame (IV-III millennio a.C.) quando cambiano gli assetti insediativi e dal villaggio si passa a piccoli insediamenti sparsi. Questo segna il venir meno della stretta convivenza e coesistenza e, come ultima conseguenza, determina la perdita di luoghi domestici centrali nella riproduzione dell'identità del gruppo, rendendo necessario un nuovo modo per coagulare le relazioni sociali104. Modo individuato proprio nell'espressione funeraria e in un nuovo ruolo affidato alle sepolture e alla creazione necessitata delle necropoli, luoghi significanti in cui le comunità disperse si riuniscono periodicamente per seppellire i morti e venerare i propri antenati105. Un nuovo aspetto, una nuova e più complessa prassi argomentale a fronte di un immutato "programma" sepolcrale che ancora prevede la sepoltura in fossa e ancora prevede

101 Hodder, 1982: 201 102 Dolfini, 2015: 34

103 «The burying and scattering of human remains near houses, in ditches, and at other

inhabited locales would have strongly contributed to the self-representation of the group as a bounded social body (...). Importantly, these practices were fully integrated into the daily life of the village» (Ibidem).

104 Ivi: 35 105 Ibidem

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la manipolazione dei resti e la loro perdita di identità individuale a favore dell'acquisizione dello status collettivo di antenato come risposta alla necessità di affermare l'identità del gruppo e la comune genealogia106. In parallelo, secondo lo

studioso, si sviluppa una nuova idea del corpo, adesso ancora più "partibile" e rivestibile di specifiche qualità e significati107.

1.2.2. La scomposizione teoretica del rito 1.2.2.1. Ideologia, simbolismo e ritualità

Fondamentale si rivela innanzitutto l'analisi dei termini "ideologia", "simbolismo" e "ritualità" al fine di comprendere il livello di articolazione interna di ogni manifestazione funeraria. Questo perché è anche plausibile che quanto noi rileviamo in un contesto archeologico, e siamo portati a interpretare come espressione rituale complessa, perché riteniamo scontato che a fondamento debbano esserci contenuti di particolare natura108, non sia piuttosto da leggere come semplice pratica sepolcrale.

Il significato da attribuire al termine "ideologia" fin dagli inizi viene a lungo dibattuto e ancora oggi non sembra si sia pervenuti a un accordo. L'accezione in cui viene usato varia a seconda delle prospettive adottate nell'analizzarlo.

Secondo lo statunitense Fredric R. Jameson109, teorico delle correnti culturali, l'ideologia può assumere l'aspetto di un sistema di valori e credenze, o può essere considerata una funzione, ovvero l'espressione concettuale della prassi di un gruppo o classe sociale. Entrambe le prospettive devono essere considerate unitariamente onde evitare di cadere nella errata interpretazione della prima come uguaglianza tra sistema di valori e concreta pratica sociale, e la seconda come "falsa coscienza" di vecchia matrice marxista, ovvero l'adesione acritica dell'individuo al pensiero elaborato dal gruppo di appartenenza (anche a livello basilare, la famiglia). Si passa, dunque, da una visione che cala l'ideologia nel campo delle illusioni e delle credenze personali, a una che identifica la stessa con le rappresentazioni che l'individuo ha della realtà in cui vive. Concezioni che possono coesistere e che concorrono a definire le individualità e la mentalità del gruppo attraverso l'interazione sociale (neutral conception). E allo stesso tempo concezioni che possono divenire strumento di assoggettamento tramite la creazione di un apparato di legittimazione sociale delle ineguaglianze, soprattutto

106 Ivi: 35 107 Ivi: 37

108 Perché passiamo il dato attraverso il filtro della mentalità moderna o perché, esulando

da quanto siamo abituati a conoscere, lo valutiamo in modo complesso.

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laddove non generate in modo spontaneo attraverso l'interazione, ma create e manipolate con intenzionalità da un segmento del gruppo sociale (critical conception)110. Per quanto quest'ultimo modo di intendere il termine non sia da

tutti condiviso111, è anche vero che viene utilizzato in modo diffuso in ambito archeologico per interpretare le evoluzioni sociali e le manifestazioni materiali a esse collegate. In questo senso l'ideologia viene vista in stretto rapporto con il simbolismo, con la capacità, cioè, di permeare un oggetto o un atto di un connotato di valenza in modo tale da rendere l'ideologia stessa "materiale", permettendone il controllo e il perpetuarsi. «Materialized ideology, like materialized culture, can achieve the status of shared values and beliefs. Materialization makes it possible to extend ideologies beyond the local group and to communicate the power of a central authority to the broader population»112. Viene però anche messo in evidenza il fatto che in una società possono esistere ideologie 'multiple' e che queste possono essere usate sia per dominare che per resistere113.

Per "simbolismo" si intende l'impiego dei simboli nella rappresentazione di concezioni e fatti reali, come anche la tendenza ad attribuire un valore simbolico. Il filosofo tedesco Ernst Cassirer nel 1923 scrive che «L'atto della determinazione concettuale di un contenuto procede di pari passo con l'atto del suo fissarsi in un qualche simbolo caratteristico»114. Secondo lo studioso il "complesso dei simboli sensibili" altro non è che l'espressione dell'animo umano. La possibilità di individuarne i caratteri generali, così come le "gradazioni e le intrinseche differenze", porterebbe a creare una "grammatica della funzione simbolica" con cui decifrare l'espressione umana nelle sue varie manifestazioni (dal linguaggio, all'arte, alla religione). In realtà, come puntualizza la linguista e antropologa legale americana Elizabeth Mertz, il simbolo è solo un tipo di segno115. L'affermazione della studiosa si inserisce in un più ampio dibattito che vede l'estendersi all'antropologia dei principi della semiotica elaborati dal filosofo americano Charles S. Peirce, uno dei cui temi è quello di considerare la cultura materiale e quindi gli oggetti come

110 Timothy Earle, antropologo dell'economia specializzato negli studi di archeologia

sociale, ritiene che l'ideologia sia «(...) a system of beliefs and ideas presented publicly in ceremonies and other occasions. It is created and manipulated strategically by social segments, most importantly the ruling elite, to establish and maintain positions of social power» (in Chapman, 2003: 62). L'approccio dello studioso in archeologia trova riscontro perché sposta il trattamento dell'ideologia dall'area del significato, che può essere vario e non ricostruibile, al suo utilizzo che, invece, può essere ricostruito (Hodder in Chapman, 2003: 63). Ancora, l'ideologia viene vista come un mezzo per la «(...) reproduction rather than the transformation of the social order, a strategy of containment and social closure» (Shanks, Tilley, 1992: 130).

111 Jameson 1978; Shanks, Tilley, 1987 112 Castillo et alii, 1996: 16

113 Chapman, 2003: 62 114 Cassirer, 1996: 20 115 In Preucel, 2006: 71

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complementari al linguaggio 'nel processo di mediazione semiotica'116. Anche se, diversamente dal linguaggio del quale non possiedono né la sintassi né la grammatica, gli oggetti hanno 'forma e sostanza'. In questo modo, afferma l'archeologo americano Robert W. Preucel, hanno la capacità di "fissare i significati" come lo stesso linguaggio non può fare117. Per l'antropologo, linguista e psicologo americano Michael Silverstein, questi mediatori culturali non linguistici sono portatori comunque di significati connotati da una combinazione di segni iconici, indicali e simbolici118.

Punto nodale è, dunque, l'identificazione del segno, ovvero del veicolo dell'informazione che si intende comunicare. Non è superfluo ricordare che i segni vengono definiti all'interno dell'interazione sociale che permette di stabilirne uso e significato. Gli stessi, poi, vengono raccolti in sistemi in cui la loro varia combinazione, effettuata sulla base di regole condivise e quindi note a tutti gli attori sociali, definisce un codice119. Tutto questo può essere messo alla base di quello che Peirce definisce 'ground'. Lo studioso ci dice, innanzitutto, che «A Sign, or Rapresentamen, is a First which stands in such a genuine triadic relation to a Second, called its Object, as to be capable of determining a Third, called its Interpretant, to assume the same triadic relation to its Object in which it stands itself to the same Object»120. «Firstness is the mode of being which consists in its subject’s being positively such as it is regardless of aught else», è quindi una sensazione pura, non ancora analizzata; «[Secondness is] a mode of being of one thing which consists in how a second object is», ovvero è lo stato nel quale si comincia a costruire qualche significato sulla base delle conoscenze acquisite; «[Thirdness is] the mode of being which consists in the fact that future facts of Secondness will take on a determinate general character», e quindi è la mediazione attraverso cui un Primo e un Secondo vengono messi tra loro in relazione121.

Lo studioso israeliano Mikko Louhivuori illustra come le tre categorie descritte agiscono quando applicate all'archeologia. La Primità si verifica quando l'archeologo si trova di fronte un oggetto/segno che non conosce e del quale non conosce il significato, sempre che ne abbia uno. La Secondità è il momento nel quale la cornice mentale dello studioso inquadra il segno attraverso un meccanismo di pre-comprensione. La Terzità, invece, resta un momento elusivo per il fatto che è in pratica impossibile arrivare a comprendere appieno il segno122.

116 Ivi: 68

117 Preucel, 2006: 84. Il discorso è ulteriormente approfondito da Preucel (2006) nel

capitolo intitolato Material Meanings in Practice.

118 Preucel, 2006: 69 119 Menichella, 1993: 399 120 Peirce in Buchler, 1955: 100

121 Preucel, 2006: 52-53; Louhivuori, 2010: 41-42 122 Louhivuori, 2010: 42

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Peirce123, inoltre, elabora un triangolo semiotico in base al quale il segno nasce dall'interazione tra tre elementi:

1- il veicolo segnico (il significante, il 'rapresentamen'), ovvero ciò che rappresenta il referente;

2- il referente (la significazione, l'oggetto o l'atto, il contesto);

3- l'interpretante (il significato, il senso), posto al vertice del triangolo e in posizione di mediazione, ovvero il traducente che media il punto di vista o la prospettiva (ground124) dai quali e il come si interpreta il referente e quindi si connette il segno all'oggetto125.

123 Peirce, 1931-1958: 274; Vd. anche Cantoni, Di Blas, 2002

124 In effetti, la nozione di 'ground' è abbastanza discussa tra gli studiosi del pensiero di

Peirce e la sua definizione non è univoca. La filosofa Rossella Fabbrichesi Leo (1986: 19- 21 nota 8 -enfasi aggiunta-) commenta che «Se il ground definisce infatti la capacità (...), la qualità (...), la condizione di possibilità della relazione segnica, l'interpretante ne determina il riconoscimento, la legge, il significato incarnato, ne stabilisce la 'realtà'. (...) Il concetto di ground è però preferibilmente tradotto come punto di vista, significato, proposito interpretativo (...). Anche se esso viene distinto dal concetto di interpretante, (...) sembra nettamente privilegiata l'analisi che lo individua come attributo significativo dell'oggetto, come modalità di comprensione, e dunque di interpretazione, di un certo processo semiotico, basata sullo stabilire pertinenti alcuni aspetti previamente selezionati del contesto. Il 'pericolo' di questa prospettiva interpretativa mi sembra possa essere quello di appiattire uno sull'altro i dueconcetti (...). Cosi (...) mi sembra più fruttuoso metodologicamente impostare la questione nei seguenti termini: c'è sempre una circolarità tra ground e interpretante, succedentesi di relazione segnica in relazione segnica: il

ground appare già da sempre interpretato, e non è mai individuabile (...) come tale.

L'interpretante, per altro, non potrebbe porre in atto alcuna significazione se non mediando l'indefinita distanza del ground e andando a costituire, nel suo evolvere sinechistico, ground di future interpretazioni. (...) Il ground circola nei riconoscimenti, si

espande in pratiche comportamentali, dà luogo a relazioni segniche le quali, a loro volta, mutandosi in «abitudini inveterate», irrigidendosi negli abiti, danno spazio a nuove risposte. Peirce parla di «some respects or capacities»: esiste, dunque, una molteplicità di grounds, di possibilità di accadimenti: tanti quanti sono le interpretazioni».

«The ground», ci dice ancora il semiotico svedese Göran Sonesson (1996: 3 -enfasi

aggiunta-) «it appears, is a part of the sign having the function to pick out the relevant

elements of expression and content [i.e. “representamen” and “object”]». Può essere riportato all'indicalità, che «depends on there being a “real connection”, an “existential relation”, a “dynamical (including spatial) connection” and even, in one of its many conceivable senses, a “physical connection” between the items involved», può essere riportato all'iconicità o alla simbolicità: «Generally put, an indexical ground, or indexicality, would then involve two “things” that are apt to enter (...) into a semiotic

relation forming an indexical sign, due to a set of properties which are intrinsic to the relationship between them, such as it is independently of the sign relation. This kind of

ground, which is a relation, is best conceived in opposition to an iconic ground, which really consists of two sets of properties which happen to be of the same kind», per cui «[(...) two items share an iconic ground, being thus apt to enter (...) into a semiotic

function forming an iconic sign, to the extent that there are some or other set of properties

which these items possess independently of each other, which are identical or similar when considered from a particular point of view, or which may be perceived or, more

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A un primo livello di analisi, i segni sono inquadrati in tre tricotomie, che dividono il veicolo segnico in qualisegno, sinsegno, legisegno; il referente in icona, indice e simbolo; l'interpretante in rema, dicisegno e argomento. La seconda126, in particolare, «(...) according as the relation of the sign to its object

consists in the sign's having some character in itself, or in some existential relation to that object, or in its relation to an interpretant»127, prevede una tipologia che comprende l'icona (segno iconico), l'indice (segno indicale) e il simbolo (segno simbolico). L'icona128 è un segno che si riferisce all'oggetto che denota per caratteristiche

intrinseche indipendentemente dall'esistenza dell'oggetto e può rappresentarlo per similitudine o analogia. È quindi un segno di carattere imitativo129. L'icona si differenzia in tre livelli: 1) l'immagine, ovvero il significante ha una relazione di tipo qualitativo con ciò che rappresenta; 2) il diagramma, ovvero il significante ha una relazione di tipo relazionale con ciò che rappresenta; 3) la metafora, ovvero il significante ha una relazione di parallelismo con ciò che rappresenta. Ogni broadly, experienced as being identical or similar, where similarity is taken to be an identity perceived on the background of fundamental difference], and the symbolic

ground, which is a non-entity, since the motivation of the sign has no existence

independently of the sign itself. [In sum, then, iconicity begins with the single object; indexicality starts out as a relation]. This is the sense in which indexicality is Secondness, iconicity Firstness, and symbolicity Thirdness (...)».

125 L'interpretante è, a tutti gli effetti, un segno che deriva dalla traduzione di un oggetto

percepito in una rappresentazione mentale. In altre parole l'interpretante è un secondo significante che evidenzia in che senso si può dire che un certo significante veicola un certo significato. Non va quindi confuso con l'interprete che è la persona che sta compiendo un atto semiotico e che coglie il legame tra significante e significato. Sebbene l'interpretante sia soggettivo, una parte degli interpretanti si poggia su un codice condiviso (ground) ed è su questa base che si costruisce la comunicazione tra gli individui. Ne consegue che uno stesso oggetto, sulla base del ground, che può essere diverso tra gruppi sociali ma anche tra gruppi di individui all'interno degli stessi, e può avere differenti interpretanti. Così, «In archaeological studies an intricate network of knowledge of the subject guides the researcher both in asking the questions and in choosing the methods that provide answers and allow the giving of meaning to the findings; the process of meaning-making. The analytical point is that the interpretant is formed in the context of Ground and in this case the understanding and experience correlates to the subject‘s, the archaeologist‘s, Ground» (Louhivuori, 2010: 45-46).

126 Ho scelto di illustrare solo la seconda tricotomia perché uno dei suoi tre membri è

quello più citato nella letteratura che ha a oggetto lo studio delle necropoli protostoriche: il simbolo. Dal momento che, comunque, è anche l'unica utilizzata dagli archeologi che decidono di applicare il modello peirceiano, anche in ragione di una maggiore chiarezza e della necessità di snellire ragionamenti altrimenti troppo tortuosi, non riporterò nel dettaglio la spiegazione delle altre due tricotomie, né delle dieci classi in cui le tre tricotomie dividono i segni (per un approfondimento Vd. Peirce in Buchler, 1955; Preucel, Bauer, 2001; Signorini, 2009).

127 Peirce in Buchler, 1955: 101 (enfasi aggiunta). 128 Peirce in Buchler, 1955: 102, 104-105, 114

129«The Icon has no dynamical connection with the object it represents; it simply happens

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comunicazione, diretta o indiretta, di una idea avviene attraverso l'uso di una icona o di un set di icone.

L'indice130 è un segno che si riferisce all'oggetto che denota per via di una

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