• Non ci sono risultati.

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI FUNERARI. NECROPOLI A ENCHYTRISMÒS E A CREMAZIONE NELLA SICILIA NORD-ORIENTALE E ORIENTALE DELL'ETÀ DEL BRONZO.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI FUNERARI. NECROPOLI A ENCHYTRISMÒS E A CREMAZIONE NELLA SICILIA NORD-ORIENTALE E ORIENTALE DELL'ETÀ DEL BRONZO."

Copied!
655
0
0

Testo completo

(1)

Stefania Bruno

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI FUNERARI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI FUNERARI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI FUNERARI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI FUNERARI

NECROPOLI A ENCHYTRISMÒS E A CREMAZIONE NELLA SICILIA

NORD-ORIENTALE E ORIENTALE DELL'ETÀ DEL BRONZO

(2)

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

NECROPOLI A

SICILIA

NORD-Dottorando

Dr.ssa Stefania Bruno

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

FUNERARI

FUNERARI

FUNERARI

FUNERARI

NECROPOLI A ENCHYTRISMÒS E A CREMAZIONE NELLA

-ORIENTALE E ORIENTALE DELL'ETÀ DEL

BRONZO

ssa Stefania Bruno

Coordinatore

Prof. V. Fera

Tutor

Prof. G.F. La Torre

Co-tutor

Dr.ssa G. Tigano

Università degli Studi di Messina

Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne

DOTTORATO DI RICERCA XXX CICLO

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

DINAMICHE DI POPOLAZIONE E RITUALI

A CREMAZIONE NELLA

ORIENTALE DELL'ETÀ DEL

Prof. G.F. La Torre

Università degli Studi di Messina

Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne

(3)
(4)

«Poiché la vita finisce colla

morte, la monografia d'un

popolo non è compita se non

porge anche la descrizione

de' suoi sepolcri»

(Gaetano Chierici, 1879, Capanne-sepolcri dell'età della pietra, BPI, 7-9: 97)

(5)
(6)

I

INDICE GENERALE

INTRODUZIONE AL PROGETTO (1)

I. IL QUADRO DI RIFERIMENTO

(1) i.i. DINAMICA DI POPOLAZIONE E SCOPO DEL PROGETTO (1)

i.ii. MATERIALI, METODI E CAPITOLI (4)

i.ii.i. La prima sezione: dalla teoria alla pratica (4)

i.ii.ii. La seconda sezione: le dinamiche socio-culturali (6)

i.ii.iii. La terza sezione: le dinamiche etniche (13)

SEZIONE I - TRA TEORIA E PRATICA

CAPITOLO I -

L'AMBITO PIÙ CONSERVATIVO?

(27)

1.1. UN RAPPORTO COMPLICATO (27)

1.1.1. Emozioni e sentimenti (27)

1.1.2. Il fattore "memoria (35)

1.1.3. Rito e società (41)

1.2. ARCHIVIO DEGLI STUDI E DELLE TEORIE VS. NUOVE FRONTIERE (44)

1.2.1. Processualismo e Post-processualimo: il confronto (44)

1.2.2. La scomposizione teoretica del rito (46)

1.2.2.1. Ideologia, simbolismo e ritualità (46)

1.2.2.2. Punti di vista, approcci e analogie: il rito come linguaggio (58)

1.2.2.3. Semiotica funeraria (66)

CAPITOLO II -

QUESTIONI EMPIRICHE

(71)

2.1. LA SCOMPOSIZIONE EMPIRICA DEL RITO: PARTE I (71)

2.1.1. Performance sociale e funeraria (71)

2.1.2. Alcune precisazioni prima di procedere (76)

2.1.2.1. Sui generi e il sesso (76)

2.1.2.2. A che età? (89)

2.1.2.3. Dimmi chi sei (104)

2.2. LA SCOMPOSIZIONE EMPIRICA DEL RITO: PARTE II (107)

2.2.1. I cinque aspetti (107)

2.2.1.1. Il trattamento del corpo (108)

2.2.1.2. La posizione e l'orientamento del corpo (117)

2.2.1.3. Il corredo (119)

2.2.1.4. La tipologia della struttura funeraria e la distribuzione spaziale delle deposizioni (127)

(7)

II

SEZIONE II - DINAMICHE DI RELAZIONE CULTURALE

CAPITOLO III - IL RITO DELL'ENCHYTRISMÒS (153)

3.1. PROBLEMI "ORIGINALI" (153) 3.1.1.L'Anatolia (153)

3.1.2. Le Cicladi e Creta (168)

3.1.3. La Grecia continentale e le isole ioniche (174)

CAPITOLO IV - L'ENCHYTRISMÒS NELLA SICILIA DELL'ETÀ DEL BRONZO. SCOMPOSIZIONE DEL RECORD

ARCHEO-ANTROPOLOGICO (183)

4.1. LA SCOMPOSIZIONE DEL RECORD (183)

4.1.1. Il possibile precedente nell'Eneolitico: Castellazzo di Marianopoli (183)

4.1.2. Il Bronzo antico (185)

4.1.2.1. Naxos (185)

4.1.2..2. S.Andrea a Rometta, Messina (187)

4.1.2.3. Via Taormina-ex Molini Gazzi, Messina (188)

4.1.3. Il Bronzo antico/medio (Bronzo medio 1-2 peninsulare) (188)

4.1.3.1. S.Papino, Milazzo - Messina (188)

4.1.3.2. Is. 373-viale Boccetta, Messina (189)

4.1.3.3. Is. 141-via Cesare Battisti, Messina (191)

4.1.3.4. Is. 135-via dei Mille-via Camiciotti, Messina (194)

4.1.3.4. Thapsos, Siracusa (196)

4.1.4. Il Bronzo medio (Bronzo medio 3 peninsulare) (197)

4.1.4.1. Podere Caravello a Milazzo, Messina (197)

4.1.4.2. Contrada Paradiso, Messina (203)

4.1.4.3. Oltre lo Stretto (204)

4.1.5. Il Bronzo recente: Cava dei Servi, Ragusa (204)

4.1.6. Il Bronzo finale (205)

4.1.6.1. Piazza Monfalcone a Lipari, Isole Eolie, Messina (205)

4.1.6.2. Metapiccola di Lentini, Siracusa (207)

4.1.6.3. Mulino della Badia-Grammichele, Caltagirone, Catania (209)

4.1.6.5. Monte di Giove di Patti, Messina (218)

4.1.7. Appendice: l'età del Ferro a Monte Belvedere di Fiumedinisi, Messina (220)

CAPITOLO V - DINAMICHE CULTURALI. RICOMPOSIZIONE DEL RECORD ARCHEO-ANTROPOLOGICO (225)

5.1. EN POSITION FOETALE (225)

5.1.1. La "posizione" siciliana (236)

5.2. PERCHÈ IN ENCHYTRISMÒS? (242)

5.3. GLI ALTRI ASPETTI (252)

(8)

III

SEZIONE III - DINAMICHE ETNICHE

CAPITOLO VI -

DIFFICILE E PERICOLOSO È STORICIZZARE

LA PREISTORIA

(277)

6.1. LA SCOPERTA DELL'INVASIONE: DIARIO DEGLI SCAVI E DEGLI STUDI (277)

6.1.1. L'arcipelago conteso (277)

6.1.2. Da una sponda all'altra dello stretto I: l'Istmo di Milazzo (293) 6.1.2.1. Annotazioni di storia "ausonia" nella Sicilia nord-orientale e orientale

(296)

6.1.2.2. Da una sponda all'altra dello stretto II: la Calabria(307)

6.2. INCINERAZIONE: NECROPOLI REGOLARI E VASI FUNERARI FUORI POSTO (312)

6.2.1. Rapporti cronologici: Lipari e Milazzo tra ipotesi e ripensamenti (312)

6.2.1.1. I bronzi (314)

6.2.1.2. Aspetti tipologici e formali: Milazzo vs. Lipari (317)

6.2.1.3. Sepolture intramurarie (323)

CAPITOLO VII - PER COMPLETARE IL QUADRO (333) 7.1. SVILUPPI CULTURALI: OVVERO, LE FONTI ARCHEOLOGICHE (333)

7.1.2. Da una cultura all'altra (336)

7.1.3. "Cultural stuff"? (339)

7.1.3.1.Un problema di lettura (340)

7.2. VOCI DAL PASSATO: OVVERO LE FONTI ETNO-STORICHE (343)

7.2.1. Lipari, Milazzo e gli Ausoni: le versioni di Luigi Bernabò Brea e Cavalier

(343)

7.2.2. Storici antichi: il parere degli Storici moderni e degli Archeologi (344) 7.3. E NON ESISTE DELITTO SENZA MOVENTE (350)

CAPITOLO VIII - L'USO DI CREMARE I DEFUNTI E RACCOGLIERNE I RESTI (361)

8.1. PROMESSE DI UN ALDILÀ MIGLIORE VS. SFRUTTAMENTO POLITICO (361)

8.2. ORIGINI E DIFFUSIONE DEL RITO IN ITALIA (373)

8.2.1. L'Italia settentrionale e centrale (375)

8.2.2. L'Italia meridionale: aspetti tipologici e formali (377)

8.2.2.1. Campania: Bronzo recente/finale (378)

8.2.2.2. Calabria: Bronzo recente/finale (383)

8.2.2.3. Basilicata: Bronzo finale (385)

8.2.2.4. Puglia: Bronzo medio, recente/finale (390)

8.2.3. Sicilia: aspetti tipologici e formali (394)

8.2.3.1. La necropoli dell'Istmo (394)

8.2.3.2. La necropoli extramuraria di Lipari (397)

CAPITOLO IX - TALKING BONES I (400)

9.1. LO STUDIO ANTROPOLOGICO DEI RESTI CREMATI (400)

(9)

IV

9.1.2. I Metodi (405)

9.2. STUDI ANTROPOLOGICI (430)

9.2.1. Gli scheletri delle necropoli dell'Italia meridionale (430)

CAPITOLO X - TALKING BONES II E IL RITUALE DELLA NECROPOLI DI MILAZZO (433)

10.1. GLI SCHELETRI DEL SEPOLCRETO DI MILAZZO (433)

10.1.1. Materiali e metodi (433)

10.1.2. Le 23 tombe (439)

10.1.3. In sintesi (464)

10.2. IL RITUALE DEL SEPOLCRETO DI MILAZZO (467)

CAPITOLO XI - RITUALI A CONFRONTO (484) 11.1. LIPARI(484)

11.2. L'ITALIA PENINSULARE MERIDIONALE (492)

11.2.1. Campania E Calabria (492) 11.2.2. Basilicata (493)

11.2.3. Puglia (496)

11.2.3.1. Pozzillo di Canosa (496)

11.2.3.2. Torre Castelluccia (498)

11.3. Lipari e l'Italia peninsulare meridionale (498)

11.4.Milazzoe l'Italia peninsulare meridionale (500)

LA VISIONE D'INSIEME (505)

i. UN LUNGO VIAGGIO (505)

i.i. Tra teoria e pratica (505)

i.ii. Dinamiche di relazione culturale (507)

i.iii. Dinamiche etniche (509)

ii. CONCLUSIONI(515)

APPENDICE 1. TABELLE RIASSUNTIVE DELLE EVIDENZE PERTINENTI

AL RITO DELL'ENCHYTRISMÒS IN SICILIA (519)

APPENDICE 2. TABELLE RIASSUNTIVE DELLE EVIDENZE PERTINENTI

ALLA NECROPOLI A INCINERAZIONE DELL'ISTMO DI MILAZZO (537) APPENDICE 3. TABELLE RIASSUNTIVE DELLE EVIDENZE PERTINENTI

ALLE NECROPOLI A INCINERAZIONE DI LIPARI (548)

APPENDICE 4. TABELLE RIASSUNTIVE DELLE EVIDENZE PERTINENTI

ALLE NECROPOLI A INCINERAZIONE DELL'ITALIA MERIDIONALE (553)

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI (577)

(10)

V

INDICE DELLE TABELLE

LA MEMORIA NELLE SOCIETÀ PRE-LETTERATE E LETTERATE (37) SCHEMA CONCETTUALE DI TANATO-METAMÒRFOSI E TANATO-MORFÒSI (115)

ORGANIZZAZIONE SOCIALE NELLE SOCIETÀ PROTOSTORICHE (146) CRONOLOGIA COMPARATA DEL MEDITERRANEO ORIENTALE (181) DECUBITO E POSIZIONE DEGLI INUMATI IN ENCHYTRISMÒS IN SICILIA (237) CARATTERISTICHE DELLA NECROPOLI A ENCHYTRISMÒS DI GRAMMICHELE -

CATANIA (261)

RAPPORTO TRA NECROPOLI A ENCHYTRISMÒS, GEOLOGIA E ABITATI IN SICILIA (273)

FIBULE DELL'ITALIA MERIDIONALE E DELLA SICILIA TRA BRONZO RECENTE ED ETÀ DEL FERRO (318-319)

COMPARAZIONE TERMINOLOGICA E CRONOLOGICA DA BERNABÒ BREA AGLI STUDI PIÙ RECENTI (339)

PESO DEI DISTRETTI SCHELETRICI RISPETTO AL PESO TOTALE DELLO SCHELETRO DI ADULTO (414)

PESO DEGLI SCHELETRI PER FASCE DI ETÀ (415) EFFETTI DEL FUOCO SULLE OSSA (422)

EFFETTI DEL FUOCO SUI METODI DI STIMA DELL'ETÀ ALLA MORTE (428) CLASSI DI ETÀ (429)

CORRELAZIONE FASI DELLA COMBUSTIONE-PATTERN FRATTURALI RILEVATI SUI CREMATI DELLA NECROPOLI DELL'ISTMO (466)

CARATTERISTICHE TIPOLOGICO/FORMALI DI CERAMICHE E BRONZI NELLA NECROPOLI DELL'ISTMO (468-469)

PESO PER FASCE DI ETÀ DI INCINERATI DA NECROPOLI ITALIANE DELL'ETA' DEL BRONZO (472)

PESO PER FASCE DI ETÀ DI INCINERATI DA NECROPOLI TEDESCHE DELLA TARDA ETA' DEL BRONZO (Ufc) E DEL FERRO (Ha/LT) (472)

CORRELAZIONE TRA DATI ARCHEOLOGICI E ANTROPOLOGICI DELLE TOMBE DELLA NECROPOLI DELL'ISTMO (481)

CONFRONTO TIPOLOGICO/FORMALE TRA LE NECROPOLI DELL'ISTMO E DI LIPARI (488)

FIBULE DA TIMMARI (494)

CONFRONTO DEI RITUALI TRA LE NECROPOLI SICILIANE E LE NECROPOLI DELL'ITALIA MERIDIONALE (501)

(11)

VI

INDICE DEI DIAGRAMMI

GRIGLIA DI DOUGLAS (145) CATENA GROSS - TRIBÙ (147) CATENA GROSS - CHIEFDOM (148) CATENA GROSS - EARLY STATE (149)

RAPPRESENTATIVITÀ DELL'ENCHYTRISMÒS IN ANATOLIA TRA ABA E MBA (167)

INDICE DELLE FIGURE

CARTINA DEI SITI RICOLLEGATI AGLI IMPIANTI A INCINERAZIONE DI LIPARI E MILAZZO NEL CORSO DEI PRIMI STUDI DI BERNABÒ BREA E CAVALIER (19)

CARTINA DEI SITI CON SEPOLTURE A ENCHYTRIMÒS NEL MEDITERRANEO ORIENTALE (182)

TOMBE A ENCHYTRISMÒS DELL'IS. 141 - VIA CESARE BATTISTI A MESSINA (223-224) CARTINA DEI SITI A INFLUENZA CONTINENTALE IN SICILIA (306)

DISTIBUZIONE DEI CINERARI DELL'ACROPOLI DI LIPARI (329-332)

CARTINA DELLE NECROPOLI DELL'ITALIA MERIDIONALE E DELLA SICILIA CITATI NEL TESTO (399)

CARATTERISTICHE TIPOLOGICO/FORMALI DELLE STRUTTURE FUNERARIE DELLA NECROPOLI DELL'ISTMO. FOTO INEDITE DEGLI SCAVI TIGANO (482)

DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA DEI RESTI UMANI CREMATI DALLA NECROPOLI DELL'ISTMO (483)

(12)

1

INTRODUZIONE AL PROGETTO

I. IL QUADRO DI RIFERIMENTO

i.i. DINAMICA DI POPOLAZIONE E SCOPO DEL PROGETTO

Per Dinamica di Popolazione si intende, a rigore, lo studio delle variazioni della consistenza numerica e della densità distributiva di una popolazione all'interno di un territorio circoscritto. Questo tipo di analisi prende avvio dagli studi demografici e solo quando, nel XIX secolo, questi assumono un carattere quantitativo e a essi vengono applicati modelli matematici, la sua qualificazione viene ridefinita. Secondo il demografo Gian Carlo Blangiardo «(...) affinché si possa parlare di popolazione in senso demografico, deve trattarsi di un gruppo di individui che, accomunati da caratteristiche territoriali, o etniche, o sociali, o religiose, ovvero di altro tipo, risultino soggetti a un processo di rinnovamento sotto il profilo quantitativo e qualitativo, un processo riconducibile all’azione diretta di tre fondamentali fenomeni: la natalità, la mortalità e la mobilità»1. Esistono, infatti, delle strette relazioni tra le dinamiche di popolazione strictu sensu e altre forze che con queste operano in stretta interdipendenza. Le prime sono la manifestazione dei processi biologici degli individui che la compongono (struttura di popolazione - ovvero classi di età, rappresentatività dei generi, natalità, mortalità -, e mobilità quest'ultima intesa quale fattore altro rispetto a fertilità e mortalità a modificare la dimensione della popolazione). Le seconde possono essere interne alle popolazioni stesse, chiamando in causa i fattori sociali che rendono manifesto il comportamento della popolazione, o tanto interne quanto esterne e si ricollegano ai fattori culturali.

Il bioarcheologo britannico Andrew T. Chamberlain mette, per l'appunto, in evidenza come il termine 'popolazione' risulti fluido a seconda che venga calato in un contesto biologico o socio-culturale. «Demography considers the population as a singular object for quantitative analysis, and seeks to explain variations in population size, structure and dynamics», mentre una sua definizione alternativa prevede l'analisi qualitativa che valuta la popolazione in quanto unità nella quale gli individui possono riconoscersi per la comunanza linguistica, culturale, ma anche per le vicende storiche2. I modelli qualitativi, in particolare, tendono ad accompagnare i cambiamenti nella dimensione delle popolazioni ai cambiamenti culturali, che siano da intendersi tecnologici, socio-economici e/o ideologici. Non esiste, però, accordo tra i vari studiosi se la priorità sia da attribuire alla crescita della popolazione o al cambiamento culturale3. Quanto a questa variabile un altro

1 Blangiardo, 1987: 9

2 Chamberlain, 2006: 1 (enfasi aggiunta). 3 Ivi: 4-5, 8, 183-184

(13)

2

argomento di discussione è la centralità o meno delle migrazioni rispetto a un modello di "diffusione" culturale o di innovazione locale.

In un contesto archeologico l'analisi demografica cerca sempre di avvantaggiarsi di entrambi i modelli, quantitativo e qualitativo. Per quanto riguarda il primo in particolare, all'analisi antropologica dei resti umani, resi disponibili dal rinvenimento di necropoli, applicata alla paleodemografia non va dimenticato di associare, anche al fine di un confronto, la stima della dimensione della popolazione ricavabile dal dato archeologico dei siti di abitazione (e quindi valutazione delle dimensioni delle unità abitative, dell'insediamento, dell'accessibilità e disponibilità della terra da sfruttare per la produzione economica)4. Le indagini paleodemografiche, in effetti, sono da tempo messe in discussione perché affette da una serie di errori di valutazione di tipo statistico determinato in primo luogo dai metodi di stima dell'età alla morte (il solito problema del trend secolare). Altra criticità è l'uso di modelli calibrati su popolazioni diverse applicati per la valutazione del tasso di mortalità delle popolazioni inumate in necropoli cronologicamente molto distanti5. Cosicché, secondo gli antropologi francesi Jean-Pierre Bocquet-Appel e Claude Masset, «Early mortality of adults, over-mortality of women, lack of old people in those populations, whether prehistoric or medieval: all these hackneyed notions were born from the misinterpretation of data. As they are in no way vindicated, we must get rid of them»6. Ma ai problemi, non risolti, dell'applicabilità dei metodi diagnostici dell'antropologia a campioni umani distanti nel tempo si associa la difficoltà che nasce dalla parzialità delle testimonianze giunte fino ai giorni nostri che pongono, in modo inevitabile, la questione della loro reale rappresentatività. Non secondario è anche il problema, per chi non disponga della possibilità di ricorrere ad analisi molecolari, o non disponga di un campione sufficientemente ampio per poter elaborare una "tabella di vita" calibrata sulla popolazione in esame, della necessita di postulare la similarità e la costanza nel tempo dell'entità del dimorfismo sessuale, della crescita, maturazione e degenerazione scheletrica tra popolazioni antiche e moderne7,

Secondo l'archeologa Mariassunta Cuozzo «Un primo indirizzo di ricerca che ha manifestato l'impossibilità di qualsiasi rapporto diretto e neutrale tra società e necropoli, è costituito dalla « rappresentatività ›› demografica e/o sociale delle necropoli e, dunque, dall'indagine sulle strategie funerarie discriminate che riservano il Formal Burial solo a determinati soggetti sulla base di una selezione basata solitamente sulla classe d'età e/o

4 Ivi: 12

5 Bocquet-Appel, Masset, 1982: 321 6 Ivi: 329

7 Ivi: 88. «Rates of skeletal maturation in children show some variation amongst human

populations (as evidenced by studies of long bone growth, which reveal slower rates of growth in some past populations) but the timing of stages of dental development appears to be relatively invariant, at least within the species Homo sapiens» (Ivi: 181).

(14)

3

sul genere e/o sulla condizione sociale»8. E questo perché, come già notato da altri studiosi, non è detto che la necropoli possa fornire informazioni attendibili sotto il profilo demografico e sociale. Questo dipende dal fatto che l'accesso poteva non essere garantito a tutti, per motivazioni di tipo sociale e politico, e aggiungerei per la possibile pratica di credenze ritenute inconciliabili in un unico sepolcreto. Ma soprattutto dipende dal fatto che quello che abbiamo a disposizione sono lembi di necropoli difficilmente rappresentativi del tessuto umano di un centro abitato, soprattutto nel caso in cui il loro utilizzo perduri per più secoli. Riportando il lavoro dello storico e archeologo inglese Ian Morris, Cuozzo9 ricorda che la rappresentatività di una necropoli trova riscontro in due dati. Vale a dire la variabilità funeraria, che rende conto della composizione sociale, e la composizione demografica attraverso l'analisi antropologica che, però, trova il limite oggettivo nel fatto che difficilmente tutti gli individui recuperati nei lembi di necropoli riportati alla luce vengono oggi studiati. Eppure, l'importanza e la "centralità del defunto" quale "vero protagonista della sepoltura" è riconosciuta da tempo10. E non bisogna dimenticare che prodromico a tutto questo, l'archeologo Renato Peroni docet11, è la seriazione cronologica dell'impianto. Lavoro non

semplice e non sempre fattibile soprattutto nel caso in cui le necropoli non restituiscono che resti umani e oggetti non chiaramente datanti, a esempio perché cross-culturali come nel caso dei pithoi funerari. La giusta conclusione di Cuozzo è, quindi, che «Se, infatti, è sicuramente utile trattare i dati che costituiscono la base di analisi con l'ausilio di statistiche multivariate, tuttavia oggi non può che essere rifiutata una prospettiva di carattere quantitativo adottando, al contrario, un approccio che può essere definito di tipo qualitativo e oppositivo con l'obiettivo di evidenziare l'esistenza di

differenze di comportamento che distinguono, oppongono o, al contrario, aggregano individui o gruppi»12.

Questo progetto si propone, dunque, di esaminare in senso qualitativo le dinamiche socio-culturali, intese come mobilità di conoscenze e ideologie, e le dinamiche etniche, intese come mobilità di persone, attraverso l'analisi dei rituali funerari performati nella Sicilia nord-orientale e orientale durante tutto il corso dell'età del Bronzo. In entrambi i casi il lavoro parte dallo spunto di riflessione offerto dal lavoro dell'antropologo sociale norvegese Fredrik Barth13, famoso per la sua analisi dei gruppi etnici e dei confini che, per quanto datato, è sempre alla base di qualunque nuova discussione e per molti versi resta valido. Tenendo a mente che non è l'appartenenza etnica a creare il gruppo, i gruppi etnici, ci informa lo studioso, sono una forma di organizzazione sociale cui i membri si

8 Cuozzo, 2015: (16) 9 Ivi: (18)

10 Nizzo, 2015: 507 11 Peroni, 1989: 264

12 Cuozzo, 2015: (32) (enfasi aggiunta). 13 Barth, 1969

(15)

4

auto-associano (ascrizione) e in cui si identificano, o a cui sono associati da altri. Elemento fondamentale diventa il dotarsi di caratteristiche che differenzino il gruppo dagli altri, creando un confine. Queste caratteristiche possono anche variare, dando vita ad altre forme culturali, perché alla base resta il concetto di differenziazione. Il confine è, quindi, di tipo sociale non definito, in ultima analisi, da quella che Barth definisce "cultural stuff", ma da comportamenti. La manifestazione materiale di una cultura, in questo senso, serve solo a esplicitare il confine, rappresentando l'identità. Nel momento in cui un gruppo entra in contatto con un altro e comincia a interagire con esso, pur ammettendo la creazione di codici e valori comuni, tende a mantenere un ambito di confronto e non-modificazione. Quest'ambito, bene inteso, non deve per forza essere permeato di alti valori simbolici o ideologici, ma riguardare i modi di organizzazione della società. Anche una drastica riduzione delle differenze culturali non si traduce automaticamente in una interruzione del processo di mantenimento del confine. In modo paradossale, si può ritenere che la stessa interazione contribuisca a definirlo. A tale proposito, l'archeologo tedesco Kerstin P. Hofmann propone l'uso del termine "identità geografico-culturale" in riferimento, dunque, allo spazio, che è «(...) prevalentemente una categoria politica e gioca un ruolo soprattutto nel confronto con “gli altri”. Essa viene espressa in simboli che vanno identificati»14.

Il progetto si articola in tre sezioni tematiche aventi a oggetto una revisione delle posizioni teoretiche e delle indicazioni empiriche applicate allo studio dei costumi funerari, l'analisi dei contesti siciliani a enchyrismòs all'interno delle dinamiche socio-culturali, e infine l'analisi dei contesti a cremazione della Sicilia e dell'Italia peninsulare meridionale all'interno delle dinamiche etniche. Una premessa importante alla presentazione delle sezioni è che, dal momento che questo lavoro non è destinato a essere letto da archeologi oppure da antropologi, ma cerca di mettere insieme le due discipline, ogni argomento viene approfondito quanto più possibile, in modo da rendere chiari a tutti i quadri e i metodi.

i.ii. MATERIALI, METODI E CAPITOLI

i.ii.i. La prima sezione: dalla teoria alla pratica

Le sepolture rappresentano la testimonianza dell’ideologia funeraria di gruppi umani e di popolazioni antiche e il loro studio può fornire informazioni utili alla ricostruzione delle società che le producono anche, talvolta, sotto l’aspetto socio-economico. Le modalità di trattamento dei corpi e di deposizione dei defunti sono diverse tra loro e risultano specifiche in relazione ai diversi ambiti cronologici e geografici. Eppure negli ultimi anni eccessivo risalto viene dato negli studi

(16)

5

all'aspetto sociale sia della rilevanza degli individui e quindi della sua manifestazione in ambito sepolcrale, sia dello sfruttamento di quest’ultimo a fini propagandistici. Il tutto dimenticando che questo è solo uno degli aspetti che concorrono a formare una necropoli e che può o meno essere parte di un rito funerario o diventarne l'aspetto dominante e quindi la valenza. Né bisogna sottovalutare il fatto che la ricostruzione della "personalità sociale" dell'inumato «(...) rischia di essere fuorviata dalle logiche, dai limiti e/o, ciò che è peggio, dai pregiudizi del'osservatore, come ha dimostrato, ampliamente, la riflessione teorica di matrice postprocessuale»15. Allo stesso modo, risalto viene dato alla rappresentatività dei generi intesa come differenza di trattamento o di concezione del valore dei due, mentre la categoria età viene valutata soprattutto nell'aspetto di inclusione vs. esclusione dei soggetti infantili alla sepoltura formale, quando non sia a priori ricondotta alla difficoltà di conservazione dei loro più fragili resti. Per questo il primo capitolo della sezione viene aperto da un lungo momento di analisi e riflessione dei diversi livelli di interazione, sentimentale/emozionale, rituale, di culto, sociale, riscontrabili, o meno, all'interno dei contesti di necropoli che possono convivere e/o prevalere l'uno sull'altro.

La mia riflessione parte dalla notazione, forse ovvia, che lo studio di una necropoli risulta complicato non solo dalla sua stessa natura, definita dall'interazione tra il fattore sociale, sacrale e ideologico di un gruppo umano che può essere caratterizzato al suo interno da differenze "etniche" o di stratificazione. Non meno rilevante è, infatti, la mancanza di linee guida interpretative che siano condivise e che, soprattutto, minimizzino l'impatto del bagaglio esperienziale e culturale dello studioso che si accinge ad affrontare l'analisi di società complesse e distanti nel tempo, la cui configurazione non per forza è assimilabile ai modelli a noi occidentali noti. Linee guida, bene inteso, che abbiano un fondamento scientifico e il cui scopo non è quello di stabilire cosa i record archeologico o antropologico debbano dire, ma quello di suggerire in quale chiave manufatti e gesti possono essere letti. Un approccio multidisciplinare all'analisi che chiama in causa non solo l'archeologia e il lavoro di raccolta e analisi dei dati del record, e non solo l'antropologia fisica imprescindibile nello studio dei contesti funerari. Chiama in causa anche l'antropologia culturale, quando si tratta di fornire indicazioni chiare su cosa dobbiamo intendere per rito e per rituale. La semiotica, inestimabile nel chiarirci quando un segno è un simbolo, perché è evidente che la tendenza all'interpretazione simbolica è sfuggita di mano a molti studiosi che attaccano il cartellino a qualunque gesto o manufatto risultato loro anomalo o non facilmente inquadrabile in schemi mentali consueti. E ancora, chiama in causa l'antropologia sociale ad ampliare e definire il ventaglio delle possibilità interpretative aprendo la mente alla conoscenza di altre forme di socialità e di altri modi di intendere i rapporti tra i generi e le classi di età.

(17)

6

In altre parole, si tratta di colmare la lacuna metodologica lasciata dal post-processualismo che, se da un lato ha ragione a porre il contesto al centro dell'analisi, dall'altro lascia una eccessiva libertà con il rischio di incorrere nella deriva pericolosa e fuorviante dell'interpretazione personale. Quello che serve allo studioso di archeologia funeraria non sono rigidi schemi entro i cui confini cercare di giostrarsi (questi sono i noti limiti del processualismo dai quali bisogna guardarsi bene). Servono una terminologia corretta, delle definizioni chiare e dei criteri certi e, una volta per tutte, serve il dotarsi delle conoscenze necessarie (mi riferisco in particolare alle competenze per leggere i resti umani) per affrontare un'analisi il cui fine è una ricostruzione verosimile, e si spera oggettiva, della realtà.

i.ii.ii. La seconda sezione: le dinamiche socio-culturali

La seconda sezione è per intero dedicata alle dinamiche socio-culturali e a questo proposito risulta utile seguire gli etruscologi Bruno d'Agostino e Luca Cerchiai che ricordano quali sono i criteri metodologici per condurre un'analisi delle dinamiche di relazione culturale, e dunque:

«(...) -il rifiuto del carattere etnico della nozione di cultura" (...);

- la critica del modello diffusionista secondo il quale il processo di interazione culturale consiste nella trasmissione di oggetti e (si potrebbe aggiungere) modelli recepiti secondo una funzionalità obiettiva e univoca;

- l'adesione a una definizione di cultura intesa come strategia attiva di relazioni sociali attuate attraverso la manipolazione di oggetti e di attività. Da ciò deriva che i processi di interazione non realizzano tanto una circolazione di manufatti quanto la comunicazione di informazioni (...)»16.

Lo studioso americano di lingue e civilizzazione del Vicino Oriente Scott B. Noegel, invece, analizzando il modo in cui e da chi vengono trasmesse le idee religiose dal vicino oriente al mondo greco, ci parla dei veicoli della trasmissione culturale e del ruolo svolto dai commerci, interni e internazionali, dalle migrazioni, dalle cerimonie religiose e dai contatti diplomatici come "contesti di scambio". Lo studioso sottolinea come «Even a cursory survey of the evidence reveals a long history of nearly constant international exchange by land and sea (...), which is likely to have stimulated exchange among the region's diverse religious traditions»17. Al tempo stesso, rimarcando il ruolo della mediazione di Creta nella formazione della Grecia micenea, e del vicino oriente nella definizione della civiltà minoica, Noegel riconosce come questa non ne sia una "copia carbone"18. Ma a un attento esame delle evidenze archeologiche e antropologiche anche di altri ambiti

16 d'Agostino, Cerchiai, 1999: XIX 17 Noegel, 2006: 26

(18)

7

culturali mai questa evenienza si verifica. La realtà è che è l'intero Mediterraneo ad essere un luogo "interattivo" di incontri e scambi, per cui «It is safe to assume that when these peoples took to the water they took their religious traditions along with them»19. Il contatto, però, non rende necessaria la condivisione, soprattutto in ambito rituale e religioso, in potenza frenata dalla paura della perdita dell'identità. Ragion per cui lo studioso ritiene che la possibilità di assimilare nuovi elementi non può che essere determinata dall'esistenza postulata di "tassonomie condivise", vale a dire di modi condivisi di classificare il mondo20. Non si tratta, però, di

capire solo quali siano i veicoli della trasmissione. Non meno importante, infatti, è chiederci quali siano le modalità di acquisizione.

In questo senso il rito dell'enchytrismòs, che caratterizza la prassi sepolcrale della Sicilia nord-orientale e orientale per tutta l'età del Bronzo, viene analizzato come esemplificativo delle dinamiche culturali, anche in relazione alla valutazione dei famigerati fenomeni di "acculturazione" che, sebbene più volte messi in discussione, sembrano ancora oggi influenzare le conclusioni di molti studiosi. Tradizionalmente, infatti, in archeologia per acculturazione si intende un fenomeno per il quale il contatto prolungato tra gruppi umani a diverso grado di sviluppo tecnologico/culturale comporta un'assimilazione acritica dei modelli importati, con conseguenti modificazioni radicali della cultura "inferiore" di usanze, costumi, tecnologie, riti, credenze. Di recente, comunque, risulta diffusa una visione attenuata dello stesso concetto che parla di "adattamento" che ha, in genere, un effetto bidirezionale e viene valutato in termini di "innovazione". Ma anche così non si rende giustizia all'attività di selezione e di rifunzionalizzazione consapevole operata dalle comunità ricettrici. Quindi, più che parlare di acculturazione sarebbe più appropriato parlare di "contatti culturali", gli esiti della cui interazione devono essere valutati di volta in volta. Proprio Barth torna di nuovo utile per mettere in evidenza questa differenza. Lo studioso, infatti, ci spiega che «Si parla di 'contatto culturale' quando individui appartenenti a due (o più) gruppi con differenti culture si incontrano e interagiscono, innescando processi di mutamento culturale. Tale contatto può portare all'appropriazione e all'adozione di elementi di una cultura da parte dell'altra, all'introduzione di idee che stimolano sviluppi

endogeni nella cultura ricevente, o ad altre forme di risposta che provocano mutamenti in

una delle due culture o in entrambe»21. E ancora, Barth ci ricorda come la stessa locuzione sia spesso sovrapposta ai e sostituita dai termini "diffusionismo" (inteso come ricerca dei "complessi culturali primari" a partire dai quali seguire gli influssi e ricostruire i tratti di somiglianze e mescolanze attribuite in primo luogo a flussi migratori) e, per l'appunto "acculturazione" (che tratta "congiuntamente il meccanismo del trasferimento e il corso del mutamento culturale" attraverso le fasi della determinazione -tratti del "gruppo donatore-, della "selezione" e della

19 Ivi: 28 20 Ivi: 32

(19)

8

"integrazione/accettazione/adattamento/reazione" -da parte del gruppo ricevente-). A quest'ultimo «(...) 'contatto culturale' è forse preferibile, in quanto pone l'accento sulle precondizioni del mutamento culturale e si riferisce, senza ambiguità, a un fenomeno condiviso e collettivo, mentre il termine 'acculturazione' potrebbe essere frainteso, poiché sembra indicare a priori solo un particolare tipo di mutamento culturale (come se il mutamento culturale consistesse necessariamente in un processo di

appropriazione, adozione e, infine, di assimilazione) e sembra confondere i due livelli

dell'acquisizione culturale individuale (spesso indicata col termine specifico 'inculturazione') e dell'acquisizione collettiva di nuovi elementi in una cultura»22. Secondo lo studioso, infatti, a fronte di una ricca raccolta documentale, che ha quale unico esito felice quello di portare prove indirette dell'importanza del contatto nello sviluppo culturale, i precedenti approcci finiscono con il rivelarsi delle generalizzazioni che descrivono le "forme esteriori del mutamento". Non si confrontano, per altro, con le "forze che le avevano causate o guidate" o si limitano a postulare le fasi logiche attraverso le quali l'adozione di un tratto culturale avviene. Quello che serve, in poche parole, è "un'accurata individuazione di meccanismi e processi"23. Lo studioso, quindi, si concentra sui fattori di ordine sociale, tra i quali l'etnicità opera in modo da creare un collegamento tra culture diverse che interagendo imparano a conoscersi e così "finiscono per creare degli stereotipi" («(...) cioè complessi di caratteristiche impiegati come segnali di identità e come indicatori di tratti, rispettivamente apprezzati e disprezzati, della propria e dell'altrui cultura»24, sulla base delle tassonomie condivise di Noegel). Un aspetto sociale, che si collega bene al discorso portato avanti in questo progetto, è quello dell'imprenditoria dal momento che il contatto commerciale è il più verosimile veicolo del contatto. Barth, in questo caso, ci dice che l'analisi si svolge al "microlivello" di interazione tra i protagonisti. Da un lato, dunque, abbiamo l'imprenditore/mercante che «(...) a) è coinvolto nella conduzione di un'impresa; b) agisce in maniera innovativa; c) cerca di ricavare un profitto», e l'esito della cui azione, per quanto non suo fine primario né scopo-guida, è quello del determinare «(...) mutamenti sociali e culturali di un certo tipo: nuove forme organizzative o nuove tecniche, nuove forme di transazione, nuove scale di valori e nuove usanze»25. Dall'altro, direi, abbiamo la comunità ricevente all'interno della quale il/i referente/i se ne può/possono giovare anche in vista dell'acquisizione di una preminenza sociale favorendo, in qualche caso, una sorta di "colonizzazione culturale" controllata. Per quanto riguarda la Sicilia protostorica, per l'appunto, le informazioni attualmente a disposizione sembrano escludere che l'introduzione del rito dell'enchytrismòs, che ha origini anatoliche ma che con probabilità viene recepito dalle comunità locali tramite la mediazione delle comunità dell'Egeo, sia da attribuire all'arrivo e stanziamento di gente esogena sull'isola. Piuttosto è da

22 Ibidem (enfasi aggiunta). 23 Ibidem

24 Ibidem 25 Ibidem

(20)

9

attribuirsi a un contatto culturale. Che le influenze transmarine abbiano un ruolo importante nello sviluppo culturale di quest'area è noto da tempo, tanto che l'archeologa Madeleine Cavalier sottolinea come «(...) l'évolution des cultures dans les îles Éoliennes, en Sicile et en Italie méridionale a eu un cours tout à fait parallèle à celui de la Grèce»26, evidente ancora di più nel corso dell'età dei metalli. Già la facies eoliana di Piano Quartara, alla fine dell'età del Rame, ma anche le facies siciliane di Malpasso, Chiusazza e Conca d'Oro portano a guardare verso il Mediterraneo orientale, e l'Anatolia in particolare27. Mentre la successiva facies

eoliana di Capo Graziano, nel corso del Bronzo antico, risente di influssi egei, inizialmente ben localizzabili nell'Elide e Acarnania (Olympia e Lefkas)28, tanto che si arriva a proporre un vero e proprio movimento di prima colonizzazione29. Per poi passare, nel Bronzo medio con la cultura eoliana del Milazzese, a intensi contatti con l'area micenea testimoniati da un fiorente scambio commerciale. Di derivazione anatolica del rito, sia per la datazione alta all'Eneolitico che per i successivi sviluppi nell'età del Bronzo, parla l'archeologa Maria C. Pagano30. La studiosa parte dal contesto funerario di Contrada Castellazzo di Marianopoli (Caltanissetta), per il quale il confronto con l'Anatolia occidentale, più che altro, si richiama a un fattore cronologico. Pochi elementi di contatto rituale, anche per via della lacunosità dei rinvenimenti siciliani, sono riscontrati nell'impianto extramurario, nell'allineamento delle tombe e nell'uso di vasi di corredo. Secondo la studiosa, si tratterebbe di un fenomeno culturale conseguenza dell'intensificarsi dei contatti tra le due aree del Mediterraneo i cui influssi, che si rinvengono anche nella cultura materiale (soprattutto nella facies S. Cono-Piano Notaro), potrebbero essere frutto della mediazione della Grecia continentale (in particolare Tessaglia - Larissa- e Peloponneso -Corinto-) e isolana31. Sempre all'ambito anatolico Pagano riporta la diffusione del rito nella cuspide nord-orientale della Sicilia nel corso del Bronzo antico32, senza ravvisare influssi secondari. Pagano riscontra allo stesso tempo analogie nell'allineamento, nella giacitura orizzontale e nella copertura dei vasi funerari con segnacoli, e differenze nella produzione vascolare a soli fini sepolcrali dei pithoi anatolici, fortemente standardizzati, nel loro costante (-?-) orientamento a E, nell'essere destinati anche a deposizioni plurisome, e nella composizione dei corredi che oltre a prevedere vasi per liquidi comprendono oggetti in bronzo. Allo stesso tempo, la studiosa instaura un parallelo tra la Sicilia e alcuni siti del Mediterraneo orientale e centrale con particolare attenzione posta sulle evidenze dall'isola di Creta dove però, ancora una volta, l'adozione del rito 26 Cavalier, 1969: 320 27 Ivi: 330-331 28 Ivi: 339 29 Ivi: 342 30 Pagano, 1991: 317-321 31 Speciale, 2011: 490

(21)

10

non risulta puntuale in ogni suo aspetto ma manifesta degli adattamenti33. Pagano, quindi, conclude che «Le affinità con l'Anatolia occidentale, più consistenti rispetto a quelle riscontrate per l'età eneolitica, e la presenza di necropoli di questo tipo, seppur con adattamenti locali, lungo un itinerario comprendente le Cicladi, Creta, Leucade e la Calabria, indurrebbe a sospettare che nella Sicilia del Bronzo antico si sia verificata, se non una reintroduzione di questo rito funerario, almeno una sua "rivitalizzazione"»34. Di influenze mesoelladiche parlano l'archeologo Luigi Bernabò Brea e Cavalier. Influenze che non solo hanno effetto sulla costituzione delle facies di Castelluccio e Capo Graziano, ma che favoriscono l'introduzione del rito nella Sicilia nord-orientale «(...) dove si mantenne in vigore anche quando nell'Egeo alla cultura mesoelladica si era ormai sostituita quella micenea»35. Per il Bronzo medio, invece, Pagano individua una coerenza maggiore, rispetto al periodo precedente, sempre con le necropoli dell'Anatolia occidentale sia nell'uniformità tipologica dei pithoi (anche se in Sicilia non di produzione mirata all'ambito sepolcrale), che nella loro chiusura, nella presenza di bottiglie tra i vasi di corredo nella necropoli di Predio Caravello a Milazzo, e nella sistemazione interna del cadavere con la testa verso la bocca. Ma allo stesso tempo vede anche segni di una possibile influenza dalla Grecia continentale, soprattutto per la copertura a tumuli individuata da Bernabò Brea e Cavalier nella stessa necropoli dell'Istmo36. Ancora diversa la situazione del Bronzo recente in Sicilia, allo stato attuale testimoniata dalla sola necropoli di Cava dei Servi (Ragusa). Ma Bernabò Brea e Cavalier ritengono che «Il rito dell'inumazione entro pithos (...) fosse il normale tipo di sepoltura nella cultura eoliana del Milazzese (...) e che sia rimasto in uso anche attraverso l'Ausonio I»37. E ancor più nel corso del Bronzo finale, durante il quale al rito dell'enchytrismòs si associano altri riti e prassi sepolcrali, come attestato a Lipari nella necropoli di Piazza Monfalcone (dove però la situazione è complicata dal fatto che l'introduzione dell'incinerazione è conseguenza di una invasione ma dove, secondo Bernabò Brea e Cavalier «(...) la sepoltura ad enchytrismòs corrisponde (...) ad un rito tradizionale vecchio di parecchi secoli»38). E come attestato nella necropoli di Madonna del Piano a Catania dove una pluralità di pratiche sepolcrali si sovrappone sia sincronicamente che diacronicamente a indicare apporti diversificati (sepoltura in vaso e incinerazione -che secondo Pagano rimandano a Lipari- e in tombe a fossa -quest'ultima riportata dalla studiosa a influenze dalla Campania e dalla Calabria-39), tanto che, secondo Pagano si può «(...) parlare di una

33 Pagano, 1991: 319 34 Ivi: 320

35 Bernabò Brea, Cavalier, 1960: 161 36 Ivi: 320-321

37 Bernabò Brea, Cavalier, 1960: 161 38 Ivi: 162

(22)

11

koiné italico-meridionale dovuta all'intensificarsi del commercio del metallo nel

Tirreno»40.

Il discorso, incentrato sull'aspetto del rituale sepolcrale, in questo progetto passa attraverso l'esame dei segni e dei simboli che lo compongono mettendo in evidenza elementi di comunanza formale e semantica o di differenziazione di destinazione e rifunzionalizzazione. L'archeologo statunitense Lewis R. Binford, infatti, ricorda che «(...) when considering the degree that symbolic forms are held in common among a number of independent socio-cultural units, it becomes a matter of investigating the degree that communication systems are isomorphically distributed among socio-cultural systems, and/or the degree that there is an identity between the symbol systems and the referent units symbolized. For instance, groups may share the

same set of mortuary symbols but employ them antagonistically (...). That the form of

symbols may vary independently of their referents, and that forms may be shared but in a situation of contextual contrasts, are features of cultural variability which obviate the normal diffusionists' interpretive frame of reference41. The diffusionists would view

forms shared among a number of social units as evidence for the "diffusion" of that particular trait among the societies and hence a document of mutual "influences." Similarly, the presence of symbols unique to each socio-cultural unit, would be viewed as evidence for a lack of mutual cultural influences among the groups compared»42. Anche se i contesti in esame sono ravvicinati, tanto sotto l'aspetto cronologico, che geografico, che del rito, non si deve escludere che le diverse comunità assorbano gli aspetti materiali e contenutistici in modo selettivo e differenziato andando di fatto a definire rituali differenti.

Il lavoro parte dalla raccolta dei dati del record archeologico e antropologico, in primo luogo a operare una critica aperta della teoria tradizionale. Teoria che vuole vedere nella posizione dei defunti all'interno dei vasi funerari un richiamo a quella fetale e sulla base di questa legge una analogizzazione del corpo del vaso al ventre femminile, il tutto in una visione simbolica di morte e rinascita attribuita agli inumatori. Teoria sviluppata senza una adeguata lettura tafonomica delle evidenze e che decade già solo a una analisi macroscopica della documentazione grafica e fotografica degli scheletri delle necropoli edite. E questo a riprova ulteriore del fatto che un sepolcreto non può essere indagato attraverso un'analisi minuziosa dei manufatti tralasciando i resti umani. Qualunque archeologo decida di cimentarsi in modo autonomo, e quindi senza ricorrere alla collaborazione di un antropologo fisico, in questo tipo di studio ha il dovere di dotarsi di una solida cultura

40 Ivi: 323

41 L'archeologo statunitense Lewis R. Binford (1971: 16, 25) si riferisce all'assunto

interpretativo classico dei "diffusionisti" che «(...) presupposes that knowledge and ideas are sufficient causes of cultural change and variability (...)», assunto «(...) rooted in the idealists' assumption that knowledge and sharing of ideas are responsible for the formal similarities», ma ignora il fatto che «Selective forces may favor or limit the implementation and incorporation of knowledge as the bases for action in cultural systems experiencing different systemic histories».

(23)

12

antropologica che non si riduce alla capacità di riconoscere un osso e sapere come si chiama, ma che necessita anche di approfondite conoscenze dei cambiamenti cui va incontro un corpo dopo la morte e di tutti quei fenomeni utili a ricostruire la storia di formazione di una sepoltura. A ragione, l'archeologo Valentino Nizzo ricorda che già l'archeotanatologia interviene a dimostrare che «(...) solo l'osservazione autoptica delle esatte condizioni di giacitura dello scheletro e delle sue dinamiche tafonomiche poteva consentire di cogliere l'essenza oggettiva dei "gesti" dell'uomo o di quelli della natura, rendendo possibile discernere ciò che può essere effettivamente identificato come rito da ciò che, invece, è frutto del caso». E questo perché è solo «Nel dispositivo della "ripetizione" intenzionale statisticamente riscontrata [che] si cela (...) l'essenza della ricerca archeotanatologica e della sua capacità di distinzione tra ciò che può essere oggettivamente identificato come «gesto» rituale e ciò che, invece, non lo è»43. Ma anche la sua capacità di identificare gli aspetti atipici o devianti dalla norma rappresentata, riscontrabili nel trattamento del cadavere e «(...) per tutta una serie di fattori dipendenti dall'individualità del defunto e/o dalle credenze e dalle superstizioni dei sopravvissuti»44 che si possono riconoscere in comportamenti che distinguono in modo netto le sepolture interessate dalla maggioranza. Non meno importante è la padronanza dei metodi per la determinazione del sesso e per la stima dell'età alla morte, nella speranza di poter accedere al materiale osteologico. E non solo perché questi sono gli unici metodi scientificamente validi per questo tipo di analisi che, sembra ovvio dirlo, devono essere fatte sullo scheletro e non a partire dagli elementi del corredo e dell'acconciatura, ma anche perché da decenni ormai è riconosciuta la fallibilità del metodo archeologico nel proporre diagnosi di questo tipo. È bene precisare che questa critica non nasce con l'intento di mettere in risalto le lacune metodologiche e conoscitive di chi finora si è accostato a questo tipo di espressione funeraria, ma deriva dalla consapevolezza che una lettura corretta delle evidenze è necessaria alla comprensione dei rituali allo scopo di non inficiare la possibilità di una ricostruzione verosimile della realtà.

In questo caso si tratta, dunque, di uno studio complesso che parte dalla lettura tafonomica delle deposizioni in enchytrismòs documentate nell'edito (disponibili quelle dell'Is. 135-via dei Mille-via Camiciotti, Messina -BA/BM-, della Metapiccola di Lentini, Siracusa -BF- e Mulino della Badia-Grammichele, Caltagirone, Catania -BF/F), cui si aggiunge l'esame di alcune foto inedite delle tombe dell'Is.141 (via Cesare Battisti, Messina -BA/BM-) fornitemi da Gabriella Tigano, archeologa responsabile dell'Unità Operativa Archeologica della Soprintendenza di Messina, e passa attraverso l'analisi della composizione interna degli impianti. Dal momento che uno studio antropologico completo del materiale osteologico umano rinvenuto è limitato a pochi casi, né per lo studio attuale è prevista l'analisi diretta degli scheletri recuperati, quest'ultima lettura prescinde da

43 Nizzo, 2015: 508 44 Ivi: 513

(24)

13

una discussione complessiva del trattamento post-mortale dei resti da inserire in un discorso sui generi e le classi di età. La lettura viene effettuata in via esclusiva nell'ottica della differenziazione interlocale e intralocale, sia in termini geografici che cronologici, da condursi in sinergia con l'analisi delle caratteristiche degli abitati, quando disponibili. Non si propone, è evidente, di tornare a una visione isomorfa di relazione ma di valutare possibili influenze degli assetti sociali nella definizione spaziale degli impianti funerari. Il limite enorme è costituto dal fatto che, a fronte di una disponibilità di informazioni preliminari nell'edito, descrizioni dettagliate delle necropoli in oggetto, sia da un punto di vista archeologico che antropologico, non risultano curate nella loro interezza. Questa stessa analisi può essere considerata, quindi, un punto di partenza per successive ricerche ma al tempo stesso, e per gli scopi del progetto, si rivela funzionale anche in vista della terza sezione. Questo perché la necropoli di piazza Monfalcone a Lipari, che viene riletta in questo momento, è come noto a rito misto, enchytrismòs e incinerazione, e la compresenza delle due espressioni funerarie e la loro interrelazione devono essere inquadrate al di là dell'aspetto macroscopico.

i.ii.iii. La terza sezione: le dinamiche etniche

Questa parte del progetto si propone, dunque, di rileggere i dati disponibili nell'edito sulle caratteristiche tipologico/formali e antropologiche dei contesti a cremazione dell'Italia peninsulare meridionale e della Sicilia dell'età del Bronzo recente e finale, al fine di ricostruire nel modo più completo possibile il rito adottato e i rituali performati. Questo anche attraverso l'analisi condotta dalla scrivente sui reperti osteologici umani sigillati all'interno dei cinerari recuperati nel corso della campagna di scavi del 1996, condotta a Milazzo sotto la direzione di Tigano. Lo scopo è quello di valutare in questo modo le dinamiche etniche e contestualmente di tentare di arrivare a una migliore comprensione dell'annosa questione dell'invasione e/o occupazione delle Isole Eolie e dell'Istmo di Milazzo nel corso di queste età.

In questo caso, si può partire dalla considerazione che i processi di "acculturazione" (per quanto, ripeto, questo termine così come contenutisticamente corredato, è in generale poco convincente) possono essere pacifici e avere esiti parziali, oppure essere violenti e determinati da invasione e conversione forzata ma anche colonizzazione. Oggi i fenomeni associati al contatto tra culture differenti conseguenti a migrazioni risulta di particolare attualità e vengono per questo a fondo indagati. Lo psicologo e psicoterapeuta Paolo Palmeri e colleghi45 ci dicono che, se da un lato bisogna distinguere la

socializzazione (che avviene all'interno del proprio gruppo di appartenenza)

(25)

14

dall'acculturazione (che comporta un cambiamento culturale e variazioni nel comportamento), bisogna dall'altro distinguere tra un'acculturazione di gruppo (che porta a mutamenti nella "struttura sociale, nella base economica e nell'organizzazione politica"), che non comporta una uguale partecipazione di tutti i suoi membri nella misura e nei modi, e una individuale (con cambiamenti quali "l'identità, i valori, gli atteggiamenti"). In una interazione positiva gli esiti sono il "biculturalismo" (in cui il prevalere di una delle due culture può essere dettato da necessità contingenti) e l' "assimilazione" (che si configura come una omologazione alla nuova cultura). Il contatto può, però, risultare in una interazione negativa e determinare uno shock culturale e il manifestarsi di conflitti e strategie di resistenza che portano alla mancata integrazione. Questa si evidenzia secondo due direttrici: la "separazione" che è un rifiuto parziale o totale della nuova cultura (e che può portare a irrigidimenti nei costumi del paese di origine), e la "marginalità" con il rifiuto tanto della cultura di origine quanto di quella nuova. Il discorso, è evidente, viene letto solo a partire dal punto di vista del migrante e non della comunità che si trova a ospitarlo o a includerlo nel proprio tessuto sociale. Questa, in effetti, può ugualmente subire uno shock causato dalla destabilizzazione identitaria determinata dall'introduzione, spesso anche imposta, di tratti delle culture ospiti all'interno della cultura locale, e può reagire rifiutando l'integrazione e mettendo in atto strategie di resistenza/opposizione e di marginalizzazione della cultura estranea, contribuendo così alla formazione della "ghettizzazione", sociale e urbana.

D'altra parte, abbiamo poi i processi violenti, "tragiche situazioni ricorrenti, che possono condurre alla distruzione di intere culture e al genocidio46". Barth ci ricorda che «Talvolta nelle zone periferiche delle antiche civiltà e spesso all'epoca delle esplorazioni e dell'espansione in tutto il mondo delle potenze occidentali, grandi popolazioni organizzate in Stati si sono scontrate con popolazioni meno numerose e più frammentate politicamente, contendendo loro un territorio. Ciò ha portato alla conquista e alla colonizzazione (...) accompagnate dalla distruzione sistematica e indiscriminata di culture e società indigene (...). Altre volte sembra che società pluralistiche fondate sulla coesistenza relativamente pacifica di culture diverse vengano sconvolte dal sorgere di conflittualità e da un progressivo deterioramento dei rapporti tra le varie componenti - etniche, religiose o locali - (...)»47. Gli antropologi inglesi Christopher Knüsel e Martin J. Smith ritengono che per le società più antiche l'origine della guerra, o comunque della violenza intercomunità, sia da ricercare in primo luogo nella necessità di nuova terra, beni e forza lavoro, il cui esito può essere la perdita delle credenze e la rovina delle istituzioni sociali cui è affidata la difesa e il successo in caso di conflitto48. A livello archeologico, la presenza di strutture difensive dell'abitato e la diffusione delle armi è chiaramente indicativa di comunità

46 Barth, 1992 47 Ibidem

(26)

15

coinvolte in attività belliche. Al tempo stesso, si tende a leggere il cambiamento nella cultura materiale anche come segno di invasione49. Conseguenza di quest'ultima può essere lo sterminio degli indigeni o il loro assoggettamento e in questo caso può essere interessante cercare di capire quali tipi di dinamiche possono instaurarsi all'interno della comunità, una volta pacificata. L'archeologo Alfredo Gonzáles-Ruibal ritiene che sia necessario, in primo luogo, operare una distinzione tra resilienza, resistenza e ribellione. La prima opera in genere a un livello non-attentivo della coscienza degli individui come moto adattativo e può essere una costante. La ribellione, invece, richiede una coscienza politica e sfocia in una esplosione possibile in qualunque momento in cui la pressione della dominazione diventa insopportabile. «L'appartenenza a un gruppo etnico», ci ricorda Barth, «può costituire la base comune per mobilitarsi come gruppo di interesse. (...). Ciò che conta, nella competizione fra gruppi etnici, è il valore emblematico delle differenze culturali, non le proprietà intrinseche di ciascuna cultura; perciò lo scambio di idee tra culture diverse può essere molto più attivo se vengono mantenuti i loro peculiari indicatori di identità. Sicché, paradossalmente, le situazioni di contatto culturale dominate dalla competizione tendono a produrre un crescente isomorfismo fra le opposte culture, attraverso processi di 'dicotomizzazione' e di 'complementarizzazione' (...): le varie componenti di ciascuna cultura vengono modellate in modo da risultare distinguibili ma analoghe»50. Tutto questo, ritengo, si può estendere dalla competizione all'ostilità latente conseguente all'assoggettamento. La resistenza, infine, si manifesta più spesso nei gruppi subordinati relegati ai margini della società conquistata che cercano di sottrarsi alla incorporazione nel sistema delle gerarchie sociali e politiche imposte51. Si tratta, quindi, di una resistenza "strutturale" che si sostanzia

di gesti minimi, azioni velate, nella produzione e nell'uso degli oggetti e soprattutto in "memorie" che diventano il mezzo di mobilitazione per resistere e, allo stesso tempo, riprodurre valori egalitari anche nelle relazioni52.

A livello di espressione funeraria e/o di culto è possibile che si verifichino fenomeni di sincretismo, ma l'argomento è trattato in letteratura soprattutto come fenomeno religioso. L'antropologo e sociologo inglese John D.Y. Peel scrive che «A superficial view of what happens when a large number of people forsake their former religion for a new one is that some of the old beliefs become mixed with the new»53. Lo studioso sottolinea come per molto tempo gli antropologi che si occupano di acculturazione cercano di indagare in quale misura in una credenza o in una pratica si manifestano i poli opposti della tradizione e dell'acculturazione e come invece fondamentale sia cercare di capire la funzione della religione e gli effetti della commistione. Uno di questi può essere che la pratica religiosa cessa di essere un collante sociale e all'individuo viene lasciata libertà di scelta, il che può 49 Ivi: 5, 7 50 Barth, 1992 51 Gonzáles-Ruibal, 2014: 19 52 Ivi: 20, 21 53 Peel, 1968: 121

(27)

16

avvenire solo in società in cui i limiti all'espressione individuale sono meno stringenti,54 con la conseguenza che si scinde la sfera religiosa da quella sociale55. Per l'individuo sincretista, spiega Peel, esiste del "buono" tanto nelle credenze che nelle pratiche di entrambi i sistemi religiosi che tenta di armonizzare in un atto di scelta volontaria56. Ma quando, ci dicono gli studiosi di religione Anita M. Leopold e Jeppe Sinding, si realizza a seguito di una conquista, il sincretismo può essere letto «(...) as a result of a resistance to power and a means to preserve indigenous gods in the clothing of the gods of the dominant culture»57.

Entrando nel merito del progetto, la complessità dell'argomento richiede una preliminare delineazione delle vicende per fornire una quadro sintetico, ma anche completo, delle premesse da cui prende avvio questa ricerca e che viene dettagliato nei capitoli dedicati. Sappiamo, infatti, che le fiorenti civiltà che caratterizzano le isole Eolie e la Sicilia nel corso dell'età del Bronzo medio cessano all'improvviso di esistere intorno alla metà del XIII secolo a.C.. Segnali di una minaccia proveniente dalle coste della penisola italiana sono leggibili nei comportamenti e nelle scelte insediative delle comunità dell'arcipelago eoliano di questo periodo, mentre l'apparente sicurezza delle comunità stanziate lungo le coste sud-orientali della Sicilia è contraddetta dall'inaspettato abbandono degli insediamenti. È Diodoro Siculo a parlarci della discesa dalla penisola di Liparo, figlio del re Ausone, e a narrarci del suo arrivo nelle Eolie e della successiva dispersione dei suoi discendenti in Sicilia e Calabria. Tutto questo, per Bernabò Brea e Cavalier, trova conferma quando, all'inizio del 1950, rinvengono sull'acropoli di Lipari i testimoni di una cultura estranea tanto alle isole Eolie quanto alla Sicilia, cultura cui gli studiosi danno il nome di Ausonio I ma che altro non rappresenta che quel subappenninico che connota in modo pressoché omogeneo gran parte dell'Italia dell'età del Bronzo recente. A Lipari la comparsa della nuova facies continentale è segnata in modo tragico da potenti strati di incendio e da crolli rimasti a denunciare un atto bellico e violento quale ragione della sua presenza. Manca, però, ancora qualcosa per completare il quadro.

«Nel Maggio 1953, dopo quasi quattro anni di intensi scavi condotti nell'isola di Lipari», raccontano Bernabò Brea e Cavalier nel 196058, «eravamo pervenuti ad identificare e ad esplorare ampiamente gli abitati preistorici, protostorici e greci dell'isola (...) avevamo delimitato l'estensione della necropoli greca e romana e ne avevamo messo in luce centinaia di tombe (...) ma non eravamo riusciti ad identificare una sola delle tombe preistoriche. (...) Ci eravamo quindi formati la convinzione che le necropoli preistoriche di Lipari dovessero trovarsi esattamente nel sito ora occupato dalla città moderna, e precisamente dai suoi quartieri più vecchi addossati alle pendici della Civita e del Castello (...). Decidemmo quindi di eseguire una serie di sondaggi per ricercarle. (...) Solo

54 Droogers, 2005:468 55 Peel, 1968: 124 56 Peel, 1968: 129

57 Leopold, Sinding, 2004: 4 58 Bernabò Brea, Cavalier, 1960: 89

(28)

17

un sesto sondaggio, più fortunato degli altri, portò alla scoperta della necropoli ausonia». La necropoli di piazza Monfalcone, per l'appunto, caratterizzata in modo anomalo dall'essere a rito misto, enchytrismòs e incinerazione. E mentre il primo sembra rappresentare un attardamento del costume funerario dell'età del Bronzo medio (per quanto proprio per questa età manca la testimonianza diretta della sua pratica sull'isola), il secondo corrisponde in pieno all'espressione funeraria del subappenninico continentale. L'ostinazione di Bernabò Brea e di Cavalier nel voler rintracciare la necropoli liparota è, del resto, giustificata dall'importante scavo che già nel 1950 mostra l'estensione di un altro impianto a incinerazione, riemerso nella penisola di Milazzo59, la cui esistenza viene suggerita dal rinvenimento, nel 1938, di un unico cinerario che l'archeologo Pietro Griffo presenta così in un articolo apparso nel 1942 negli Atti della Reale Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo: «In una sera piovosa del dicembre 1933, alcuni operai, che lavoravano alle fondazioni della nuova cattedrale, rinvennero, alla profondità di m. 1,60 di profondità dal piano di campagna risultante dalle demolizione del vecchio teatro comunale che sorgeva in quest'area, il vaso-ossuario che riproduco (...)»60. Da

allora le due necropoli sono lette sempre in relazione reciproca, entrambe assegnate alla facies ausonia, entrambe di difficile collocazione cronologica ma quasi considerate espressione di un rapporto di continuità filetica del tipo "primo impianto-esaurimento-secondo impianto". Bernabò Brea61, a esempio, scrive nel volume dal titolo La Sicilia prima dei Greci che «La necropoli di Milazzo probabilmente incomincia quando quella di Lipari finisce». E nonostante a distanza di tempo si levino le voci degli archeologi Pietro Villari (nel lontano 1981) e Alessandro Zanini (nel 2006 ma pubblicato nel 2012) a evidenziare profonde diversità negli esiti "estetici" (nelle scelte, quindi, tipologiche e formali), chiara denuncia del fatto che, a fronte di un unico rito espresso, i rituali rappresentati sono differenti, la discussione si concentra solo sulla definizione della relazione cronologica relativa dei due impianti. Così, nel 1979 l'archeologa Anna Maria Bietti Sestieri62 ribalta la posizione bernabeiana affermando che «Se tuttavia consideriamo il fatto che la più importante caratteristica dell'Ausonio I è che si tratta di una facies di tipo continentale, che non sembra essere modificata dal contatto con le culture locali, dobbiamo tener presente che esiste almeno un altro complesso che, da un punto di vista culturale, può essere considerato Ausonio I, e cioè la necropoli a incinerazione di Milazzo (...)». Questa attribuzione contrasta però la sequenza proposta da Bernabò Brea e Cavalier per le due necropoli da essi attribuite all'Ausonio Il e per la quale «(...) la necropoli di Piazza Monfalcone, nella quale, come vedremo subito, è già evidente la commistione di elementi tipologici di origine locale e continentale propria dell'Ausonio II, viene infatti considerata più antica di quella di

59 Del quale l'archeologo Bernabò Brea fornisce le prime scarne informazioni nel 1951

nel notiziario della Rivista di Scienze Preistoriche.

60 Griffo, 1942: 491

61 Bernabò Brea, 1960: 144 62 Bietti Sestieri, 1979: 606

Riferimenti

Documenti correlati

Va subito chiarito che non si tratta dell’unico personale utilizzato nei lavori forestali, perché ad esso andrebbe aggiunto anche il personale dipendente dalle Pubbliche

‘Circuit Children’: The experiences and perspectives of children engaged in migrant smuggling facilitation on the US-Mexico border..

According to respondents, migrants most commonly decide to keep the passport of their country of origin because it is seen as an asset in the country of destination (as in the case

Purpose: the aim of this study was to present the results of a conservative treatment for adhesive capsulitis based on an original protocol of combined pharmacological

Tra i centri di ricerca internazionali che si occupano più genericamente del tema della trasformazione del mondo romano e del processo di insediamento dei barbari vanno

E’ un vasto complesso di 420 ettari di super- ficie, di cui 370 ettari sono occupati dal faggio, governato a ceduo, mentre le aree rimanenti sono costituite da circa circa 40 ettari

-Salvia microphylla (Lamiaceae) native to Mexico and cultivated in Italy as omamental, was known to be naturalized in Sicily only near Palermo. After recent spec- imens review, this

La cultura e la tradizione inglese dei giardini si manife- sta a Taormina in diversi impianti, uniti da un comune deno- minatore sia nell'aspetto stilistico, sia in quello