DINAMICHE DI RELAZIONE CULTURALEDINAMICHE DI RELAZIONE CULTURALE
L'ENCHYTRISMÒS NELLA SICILIA DELL'ETÀ DEL BRONZO SCOMPOSIZIONE DEL RECORD ARCHEO-ANTROPOLOGICO
4.1. LA SCOMPOSIZIONE DEL RECORD
La procedura prevede di partire dalla rilettura di ciascun sito analizzando il dato grezzo e rifacendomi alle descrizioni delle sepolture edite dagli scopritori, prendendo nota della possibile indicazione di decubito e posizione del defunto che viene riportata in apposite tabelle espositive (Appendice 1) ma riproponendo gli stessi descrittori usati nei testi, per quanto da considerarsi non esaustivi e in potenza fuorvianti. Questo a meno che l'esame delle foto e dei rilievi non permetta di farne una descrizione in termini antropologici da riportare nel paragrafo dedicato a ciascun sito. Allo stesso modo viene annotata la diagnosi di determinazione del sesso e di stima dell'età biologica alla morte per i siti per i quali si dispone dello studio antropologico. Per quanto riguarda le diagnosi proposte dagli studiosi attraverso l'applicazione del metodo archeologico, i dati vengono seguiti da un punto interrogativo in virtù delle considerazioni svolte in merito alla problematica sui generi. All'interno di ciascun impianto viene valutata la singola unità funeraria per la quale viene descritta la struttura, intendendo con questo i mezzi e le tecniche impiegate nella composizione del quadro di giacitura del vaso funerario, quest'ultimo descritto e valutato sulla base dell'edito, congiuntamente agli elementi dell'acconciatura, del corredo ed eventuali offerte. Infine, all'interno delle stesse tabelle vengono inseriti i riferimenti bibliografici mettendo in evidenza la presenza di foto o rilievi utili all'analisi delle stesse unità funerarie.
A questa prima fase di scomposizione, segue nel capitolo successivo una fase di ricomposizione e quindi di valutazione globale dell'espressione funeraria, sempre tenendo a mente che la parzialità, non solo dei rinvenimenti ma anche dell'edito, può essere un impedimento alla ricostruzione verosimile dei rituali espressi.
4.1.1. Il possibile precedente nell'Eneolitico: Castellazzo di Marianopoli (Tav. IV) All'Eneolitico è assegnata la necropoli a rito misto di Contrada Castellazzo di Marianopoli (Caltanissetta), a circa 5 chilometri a ovest dal Monte Castellazzo, in una zona di confine tra le province di Caltanissetta, Agrigento e Palermo215. Il sepolcreto è installato sul sito dell'antico villaggio neolitico di facies
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stentinelliana, localizzato sul pianoro a SE di Marianopoli (terrazzo III) e a SO della cinta muraria del centro indigeno ellenizzato di Mytistraton, «(...) protetto alle spalle dalla montagna e naturalmente difeso dal dirupo meridionale»216. L'archeologa
Graziella Fiorentini217 propone una localizzazione dell'abitato da collegare alla necropoli a SE di questa dove individua i segni di una occupazione risalente, però, al Bronzo antico di facies RTV con presenze castellucciane218. Ulteriori segni di uno stanziamento sono rinvenuti nei due terrazzi superiori al pianoro i cui rinvenimenti di ceramica piumata e incisa in stile S. Angelo Muxaro-Polizzello portano a ipotizzare una continuità insediativa dell'area fino all'età del Ferro. La studiosa riporta che 11 tra le tombe individuate, delle quali 5 a pozzetto subcircolare con dromos e 6 a enchytrismòs219 (tt. 4, 6, 11, 12, 13, 14), risultano fortemente danneggiate a seguito, ipotizza, dello sbancamento operato in età greca. Tanto che rimane ben poco sia dei resti scheletrici che dei corredi che, nel caso dell'enchytrismòs, dei pithoi220 stessi. Fa eccezione la t.6, ben conservata, il
cui vaso funerario era inserito in posizione verticale nel terreno. Per quanto riguarda la presenza nella fossa della t.6 di frammenti di due differenti tipi di pithoi, entrambi attribuiti alla facies di S. Cono-Piano Notaro221, è difficile dire se si trattasse di due vasi usati l'uno come camera sepolcrale e l'altro come copertura, o di due deposizioni sovrapposte. Il diametro medio delle fosse che accoglievano i pithoi, quasi sempre con un lastricato di piccole pietre piatte a foderare il fondo, è di 1-1,20 mt. Gli stessi sembrano allineati lungo un asse OSO-ENE a eccezione della t. 13 isolata a NO. Fanno eccezione anche le tombe a fossa terragna (tt. 19 e 20), collocate più a SE in un settore distinto, ma comunque considerate in continuità cronologica con le altre. Al loro interno vengono rinvenuti non solo gli elementi di accompagnamento (tra i quali una coppa biconica nello stile della Conca d'Oro), ma gli scheletri in buone condizioni. Per quanto riguarda l'inquadramento cronologico, l'impianto sembra avere una continuità di utilizzo dall'età del Rame antico (cultura S. Cono-Piano Notaro) al tardo Eneolitico (Malpasso-Piano Quartara)222. Fiorentini, inoltre, identifica una possibile struttura a scopo rituale connessa agli usi funerari a S della necropoli223, descritta come
216 Fiorentini, 1984-1985: 468 217 Fiorentini, 1980-1981 218 Vd. anche Guzzone, 2000: 4
219 Fiorentini (1980-1981) riferisce di una t.16 in cui rinviene frammenti riconducibili a
un pithos.La tomba non è però inserita nella numerazione degli enchytrismòs (né del resto delle altre tipologie sepolcrali). L'esame di Guzzone (2000: 9) ha, per altro, messo in evidenza come i due frammenti (sempre inseriti in catalogo come rinvenuti all'interno della fossa di t. 16) sono in realtà pertinenti a due differenti pithoi, uno a orlo semplice, l'altro con cordone decorato "a rilievo con serie di fossette".
220 Frammenti di un pithos a decorazione incisa a unghiate sono rinvenuti all'interno della
tomba a pozzetto t.15 (Fiorentini, 1980-1981).
221 Guzzone, 2000
222 Fiorentini, 1984-1985, 2012; Guzzone, 2000: 4 223 Fiorentini, 2012
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«(...) una ampia incisione nella roccia di sagoma pressoché circolare, con incassi per palificazione». Questa può forse indicare che il rituale funerario locale prevedeva il trattamento preparatorio del corpo (abluzione e vestizione?), ma non è possibile stabilire se vi fossero ammessi tutti i defunti a fronte della diversità nella deposizione finale. Oppure è testimone di cerimonie che si svolgevano prima, durante o dopo la deposizione dei cadaveri.
Ben più importante, e meglio documentata, si rivela la diffusione dell'uso della deposizione in enchytrismòs nella provincia di Messina, con l'unica problematica derivante dalla collocazione cronologica dei sepolcreti, come fase iniziale, nel Bronzo antico, non da tutti condivisa224. In effetti, l'archeologo Giacomo Scibona riporta anche la notizia di un enchytrismòs (t. 44), testimoniato dalla presenza di pochi frammenti ceramici, datato all'Eneolitico finale e inquadrabile forse nella facies Piano Quartara o della Conca d'Oro nell'Isolato 373 (Viale Boccetta) a Messina225.
4.1.2. Il Bronzo antico 4.1.2.1. Naxos (Tav. IV)
All'età del Bronzo antico è assegnata da Procelli226 quello che rimane di una necropoli a enchytrismòs impiantata a Naxos, zona considerata punto di incontro e confine tra le due culture del Bronzo antico siciliano, la facies di Castelluccio e la cultura RTV, all'interno della quale ultima il sepolcreto viene inserito227. All'impianto di Naxos è ricollegato l'insediamento individuato nell'area di Capo Schisò, in cui sembra prevalente un tipo di ceramica riferibile ai contesti RTV in associazione a materiali di importazione dall'area del Mediterraneo centrale 228. L'esame della documentazione allegata, e pertinente alle sole tt. 2 e 3, conferma che i vasi sono adagiati in posizione pressoché orizzontale all'interno di fosse scavate nelle sabbie. Queste con probabilità dovevano ricoprire i vasi funerari per soli "pochi decimetri"229, di quella che l'archeologa Paola Pelagatti230 descrive come una sorta di duna posta sulla sponda destra del S. Venera nei pressi della foce. Sulla sua sommità vengono in seguito edificati dapprima il sacello della
224 Alberti, 2004, 2008; Ardesia, 2013-2014; Veca, 2013-2014 225 Scibona, 1983: 14
226 Procelli, 1983
227 Bernabò Brea, 1985: 127
228 Nel secondo abitato, individuato a sud di S. Venera e a est del SS 114, viene
recuperato materiale di tipo castellucciano (Procelli, 1983: 67, 70-71).
229 Pelagatti, 1964: 152
230 Vd. in particolare Pelagatti, 1964: 152, fig. 7 in cui la prossimità del piano
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seconda metà del VII secolo a.C., e in seguito il tempio B dell'area sacra della metà-fine del VI sec. a.C.. Quello che rimane dell'impianto funerario protostorico, dunque, è compreso tra le mura del sacello A e il muro E edificato nella prima metà del VI secolo a.C.. Oltre questo, la studiosa suppone che terminasse il declivio settentrionale della duna che deve rappresentare un limite naturale per la stessa necropoli. Gli altri limiti, sempre nella ricostruzione di Pelagatti, devono essere rappresentati dal declivio ovest e sud corrispondenti, grosso modo, alla linea di fondazione del tempio B.Procelli ritiene che il sepolcreto vengainstallato nelle prime fasi del Bronzo antico (fine del III millennio). Esso sarebbe da attribuire a influenze esterne derivanti da intensi contatti commerciali, favoriti dalla strategica posizione di Naxos, anche in considerazione delle caratteristiche formali e di decorazione dei pithoi della tomba 1231.
Si tratta di tre tombe, una delle quali caratterizzata dalla deposizione di due pithoi convergenti alla bocca (t. 1) 232, per le quali esiste una buona documentazione grafica della ricostruzione dei vasi (rinvenuti in condizioni non ottimali, specie nel caso della t. 3) e fotografica (in riferimento alla t. 2, l'unica rappresentata da una grande olla e per questo collegata alla deposizione di un soggetto immaturo). Purtroppo data l'esiguità delle unità funerarie rinvenute, la possibilità di un'analisi è piuttosto limitata. Di certo è rilevante la posizione dei due vasi della tomba 1 che porta Procelli a ipotizzare che lo scheletro del defunto, del quale però non rimane traccia, fosse diviso tra i due vasi. Questo anche sulla base della constatazione che all'interno del pithos della tomba tre vengono rinvenute solo le ossa degli arti inferiori233. La descrizione offerta dallo studioso è, in effetti, piuttosto oscura e sembra quasi ipotizzare una possibile pratica di sezionamento del cadavere o di deposizione secondaria delle ossa234.
Procelli235 riporta che nella t. 3 vengono trovate solo le ossa degli arti inferiori presso la "parte anteriore" del vaso, e presumo che in questo caso lo studioso intendesse dire presso la bocca. In realtà, in mancanza di una descrizione esaustiva dei reperti e della loro posizione e/o di una documentazione grafica e/o fotografica che aiutino a collocare le estremità prossimali o distali delle ossa rinvenute, ma anche a stabilire quali delle ossa lunghe degli arti inferiori si trovassero presso la bocca del vaso, si apre a mio avviso una sola possibilità interpretativa. Per quanto da considerarsi solo argomentativa vista l'impossibilità
231 Per i quali Procelli (1983: 75-76) trova riscontri con i materiali coevi di Troia (IIg).
Ulteriore conferma proposta dallo studioso è la scodella/coperchio della tomba 2 confrontata con materiali della fase megalitica di Tarxien.
232 Procelli, 1983: 51 233 Ivi: 15
234 «La parte anteriore del vaso conteneva ossa lunghe appartenenti agli arti inferiori per
cui il resto dello scheletro avrebbe potuto essere collocato in un secondo recipiente, come nel caso della tomba 1 scoperta nel 1961 del quale tuttavia non si rinvenne alcuna traccia» (Ibidem).
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di procedere a un'analisi tafonomica puntuale. Ovvero che il defunto fosse inserito all'interno del pithos in decubito dorsale con arti inferiori estesi e quindi con parte del busto e del cranio sporgente dal vaso, come nei casi di una delle tombe dell'isolato 135 comparto tre (via dei Mille-Via Camiciotti) a Messina (in tabella denominata t. 1), della tomba 21 del sepolcreto di Grammichele composta da due olle situliformi abboccate, e sempre in quest'ultimo impianto, delle tombe 46 e 97bis (nel primo caso Bernabò Brea e colleghi riportano che gli arti inferiori sono estesi e che il cranio è collocato entro la olla situliforme di copertura236
, nel secondo caso Albanese Procelli precisa che costato e cranio sono all'interno dell'olla situliforme di copertura). Nel caso della t. 3 dell'impianto di Naxos, in particolare, è facile supporre che le ossa dello scheletro dal cinto pelvico al distretto cranio-facciale non si siano conservate a causa, probabilmente, del successivo impianto del sacello della seconda metà del VII sec. a.C., il cui battuto pavimentale risulta a contatto con la metà superiore della deposizione protostorica237
. La sua edificazione, inoltre, con il muro perimetrale E a ridosso delle sepolture protostoriche238
, probabilmente determina l'asportazione di un possibile secondo vaso usato a copertura della metà prossimale dello scheletro. Del resto anche l'archeologo britannico Robert Leighton non pare avere dubbi circa il fatto che sia la t.1 che la t.3 siano tombe monosome di adulti239.
Caratteristica è, invece, la scelta di un tipo diverso di contenitore per l'inumazione del soggetto non adulto, così identificato anche dal recupero al suo interno di alcuni denti decidui240, cui è associato l'unico elemento di corredo della necropoli (una tazza-attingitoio).
4.1.2..2. S.Andrea a Rometta, Messina
Attribuite al Bronzo antico sono anche le 4 tombe rinvenute nel 2008 a Rometta in località S.Andrea a circa 6-7 metri di profondità rispetto all'attuale piano di calpestio. L'area della necropoli è sistemata sul banco di arenaria che in antico digradava verso il letto del torrente S.Andrea. Proprio per questa posizione, a causa delle alluvioni, l'impianto nel corso del tempo ha subito gli effetti dei crolli e delle frane dei terreni argillosi e sabbiosi dalle colline sovrastanti. Nell'arenaria vengono scavate delle fosse con parete aggettante a formare una sorta di grotticella artificiale all'interno delle quali vengono inseriti i pithoi cordonati, alti fino a 1,50 metri e provvisti di anse, con inzeppatura di pietre a sostegno, chiusi
236 Vd. a tale proposito Bernabò Brea et alii, 1969: figg.65-66.
237 «(...) essendo la metà superiore a contatto con il battuto del sacello, questa era stata
erosa dal piano di calpestio» (Procelli, 1983: 15-16).
238 Pelagatti, 1964: 152 239 Leighton, 2009: 129 240 Ibidem
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da una teglia e sigillati da pietre a copertura. Solo la t.2 non risulta in vaso, ma il cadavere in decubito laterale con flessione degli arti e cranio che guarda a E (e questo è l'unico scheletro ben conservato), è adagiato direttamente all'interno della fossa poi ricoperta di pietre241.
4.1.2.3. Via Taormina-ex Molini Gazzi, Messina
Ultimo in ordine di rinvenimento nel territorio urbano di Messina è l'impianto funerario con deposizioni entro pithoi di via Taormina-ex Molini Gazzi242, in un'area interna alla foce del torrente Gazzi. Si tratta di quattro deposizioni, articolate su due livelli, una pertinente a un soggetto adulto le altre riferite a individui giovani, entro pithoi cordonati e olle coperti da tegole e sormontati da pietre che dovevano affiorare in superficie come segnacoli. Le tombe, che si addensano attorno a una struttura complessa a tholos costruita di tipo egeo, sono assegnate, insieme a quest'ultima, a una fase avanzata del Bronzo antico siciliano. Non viene rintracciato l'insediamento collegato, ma Tigano suggerisce che la collocazione di questa necropoli a 2 km più a sud dei sepolcreti impiantati tra la piana e la zona falcata porti a supporre l'esistenza di un approdo minore.
4.1.3. Il Bronzo antico/medio (Bronzo medio 1-2 peninsulare) 4.1.3.1. S.Papino, Milazzo - Messina
Una introduzione alta della pratica della sepoltura entro pithoi viene per la prima volta ipotizzata dall'archeologo Giuseppe Voza243 per la necropoli di contrada S. Papino a Milazzo. Non tutti gli studiosi244 sono concordi con questa lettura, anche in considerazione del fatto che il rito rappresentato risulta in maggior misura, e con più solide evidenze, diffuso nel corso del Bronzo medio. Accettando una datazione più alta si dovrebbe supporre che il rito abbia una comparsa precoce in questa necropoli e in genere nel messinese245. Voza parla del rinvenimento di una
241 Anselmo, 2008; S.ANDREA (n.d.) 242 Tigano, 2012: 348-358
243 Voza, 1980-1981: 689
244 Ardesia, 2013-2014b; e, d'altronde, Vd. anche Alberti, 2004: 119; Vd. anche Albanese
Procelli, 1992: 46 nota 23.
245 In realtà, anche la necropoli del Monte Castellazzo di Marianopoli (Caltanissetta),
datata all'Eneolitico antico con una continuità di frequentazione fino all'Età del Rame finale (Guzzone, 2000), come visto, restituisce sei tombe entro pithoi. La collocazione cronologica, in questo caso, non è da tutti considerata attendibile, mancando i dati stratigrafici (Veca, 2013-2014). Del resto, lo stesso Bernabò Brea (1985) non ha dubbi
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trentina di tombe, completate da pochi elementi di corredo246, quasi tutte inedite a eccezione delle tt. 10 e 25247. Su quest’ultima si riscontra una decorazione a cordoni plastici impostati a festone sulla spalla e schema a riquadri su doppi registri alternati sul corpo che, superati i limiti del Bronzo antico, perdura nell'età successiva248. Di altre sei sepolture, delle quali lo studioso pubblica la foto dei vasi249 (tt. 8, 19, 20, 21-?-250, 23, 24), Voza individua una collocazione cronologica riferibile alle "facies culturali di Vallelunga e Thapsos" sulla base delle forme e delle decorazioni. Il che prospetta una continuità di utilizzo a cavallo tra l'età del Bronzo antico e medio siciliano. Revisioni successive portano a posizioni contrastanti tra chi conferma quanto da Voza valutato251 e chi ritiene invece che l'intera necropoli sia da assegnare al Bronzo medio in via esclusiva252. Poche informazioni preliminari ci dicono che le sepolture entro pithoi prevedono in alcuni casi la copertura offerta da grandi teglie-scodelle, vengono deposte, secondo lo schema classico, in posizione inclinata all'interno di fosse in parte foderate da pietre, queste ultime poste anche a copertura del vaso a formare una sorta di tumulo253. Le sepolture sono ritrovate riunite in un "gruppo compatto"254, e quindi con modalità diversa da quanto registrato nell'altra necropoli nota a Milazzo, quella del Podere Caravello, non mostrando una particolare progettualità nella definizione dell'impianto.
4.1.3.2. Is. 373-viale Boccetta, Messina (Tav. V)
Diverso è il caso del sepolcreto dell'isolato 373-viale Boccetta a Messina. La necropoli è inquadrata da Scibona nel Bronzo antico sulla base di caratteri morfologici dei vasi che lo studioso accosta, tra l'altro, a quelli di contrada S.Papino. Secondo Scibona, diagnostico in questo senso sarebbe un vaso a clessidra biansato privo di decorazioni associato alla t.40. Per esso lo studioso trova riscontro nella tomba di Vallelunga (Caltanissetta)255 inquadrata, seppure mancanti i dati sul rinvenimento, in un contesto di tipo RTV con forti influenze nel collocare l'introduzione del rito, testimoniato lungo tutta la cuspide nord-orientale dell'isola, al Bronzo antico.
246 Albanese Procelli, 1992: 46
247 Vd. Tigano, 2011: 91-92 (figg. 28-31); Alberti, 2004: 119 248 Tigano, 2011: 91
249 Voza, 1982: 109, fig. 16
250 Il numero attribuito a questo pithos non risulta leggibile in modo chiaro (Voza, 1982:
109, fig. 16).
251 Tigano, 2011: 91-92
252 Ardesia, 2013-2014b, sulla base della tipologia del pithos cordonato, che trova
puntuali riscontri a Thapsos, rappresentato nella t.25 di contrada S. Papino.
253 Tigano, 2011
254 Bernabò Brea, 1985: 51 255 Scibona, 1983, 1984-1985