QUESTIONI EMPIRICHE
2.1. LA SCOMPOSIZIONE EMPIRICA DEL RITO: PARTE
2.1.1. Performance sociale e funeraria
Come detto, un rito funerario è connotato da un'azione di valenza, fine ultimo della sua performance, corredato da attanti che ne specificano lo scopo. Eppure la ricerca si concentra quasi in modo esclusivo sull'aspetto del rango e della rappresentazione politica del defunto. L'archeologo Nicola Laneri, a esempio, precisa che «Le ossa dei defunti hanno un potere politico anche dopo l'attuazione del rito funebre, perché rappresentano per la comunità di appartenenza un forte segno di identità con il passato e con i propri antenati»223.
Gli statunitensi Christopher S. Peebles, archeologo, e Susan M. Kus224, archeologa e antropologa sociale, per isolare le differenze di rango sociale all'interno del record archeologico, individuano due dimensioni delle persone sociali in un contesto sepolcrale: Una "dimensione superordinata" in cui le tombe sono in parte descritte sulla base della energy expenditure e l'uso di simboli, senza una correlazione diretta all'età e al genere. E una "dimensione subordinata" che invece è in parte basata sulle differenze di genere ed età con il condizionamento, materializzato in variabili, determinato dalla storia sociale dell'individuo. In termini più semplici, in una società stratificata ai livelli più alti il trattamento degli individui infantili e subadulti (per la categoria età) e femminili (per la categoria genere) possono ricevere un trattamento paritario rispetto ai soggetti adulti e maschili dello stesso livello e superiore a quelli del livello inferiore. Per i soggetti femminili, in particolare, Peebles e Kus aggiungono che alcune donne possono condividere con alcuni uomini i simboli status-specifici. Nei livelli più bassi, invece, i soggetti adulti (per la categoria età) ricevono un trattamento a richiesta di energy expenditure superiore rispetto ai soggetti subadulti, così come questi rispetto ai soggetti infantili, mentre i soggetti femminili (per la categoria genere) ricevono in corredo oggetti differenziati rispetto ai soggetti maschili. A ben guardare, in effetti, anche quando poco più avanti i due studiosi affermano che, in una visione piramidale dell'organizzazione sociale, la sommità apicale è occupata da un soggetto adulto di preferenza maschile, in parte confermano che anche nella dimensione superordinata il condizionamento del dato bio-culturale tende a emergere, seppure con caratteristiche diverse rispetto a quella subordinata. Ad ogni modo, soltanto in una società strutturata in ranghi o classi entrambe le
223 Laneri, 2013: 35 224 Peebles, Kus, 1977: 431
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dimensioni sono riscontrabili. Ma dal momento che una società si differenzia non solo nella sua proiezione verticale ma anche in quella orizzontale, come emerge anche dalle riflessioni dell'antropologo e storico statunitense Joseph A. Tainter225,
i due studiosi chiariscono che, per ogni livello, il soggetto che incarna il rango più elevato gode di un trattamento inferiore, in termini di impiego di risorse, rispetto al soggetto posto alla base della gerarchia del livello sociale superiore. Lo stesso Tainter manifesta grande fiducia nell'assunto che il grado di energy expenditure leggibile nel record archeologico rappresenti in modo fedele l'organizzazione in ranghi della relativa società. Di diverso avviso si mostra il paletnologo e antropologo americano John M. O'Shea, e dopo di lui altri studiosi secondo i quali, e a ragione, seppure questo criterio è stato ed è ancora applicato all'analisi dei tipi sepolcrali e agli elementi di corredo associati, è pur vero che la energy expenditure può essere convogliata in altri aspetti del rito funerario (a esempio nell'allestimento di banchetti funebri). Questi possono essere performati anche a distanza rispetto al luogo di sepoltura del defunto e non è possibile riconoscerli o conoscerli perché non rilevabili a livello archeologico226. Non va per altro dimenticato che in un rito funerario, come sottolinea l'archeologa Mariassunta Cuozzo, «La performace cerimoniale implica la possibilità di molteplici piani di significato e di una pluralità di letture, coinvolgendo a diversi livelli il defunto, il gruppo che celebra il rituale, diversi ambiti della comunità come partecipanti o « spettatori », esclusi dalla celebrazione in senso stretto, il rapporto con gli antenati e il soprannaturale in tutte le diverse fasi, sono soprattutto le strategie del gruppo del defunto ad acquistare un ruolo prioritario. In questa prospettiva, al concetto di social persona andrà preferito, piuttosto, quello di « selezione ›› e « costruzione ›› delle identità (...)»227.
Ma che l'elaborazione di gesti simbolici sia un innesto su un preesistente complesso di manifestazioni ideologiche legate in prima istanza a un "sistema" di valori e/o credenze è reso evidente dal fatto che la controparte dell'ideologia, ovvero la "funzione", richiede una interazione sociale. Questa a livello basilare può essere legata al nucleo familiare, ma in gruppi umani complessi richiede il passaggio da una concezione "neutrale" a una "critica" per diventare strumento politico. Così a esempio, se a un livello di nucleo familiare si riconosce a un individuo una posizione di preminenza, la scelta di selezionare quell'individuo per essere destinatario di una deposizione formale non ha ricadute o ripercussioni esterne. Se invece in un gruppo allargato di individui si decide di dare risalto ad alcune figure attraverso un accordo sociale si può pervenire alla formulazione di un apparato simbolico e cultuale condiviso legato alle stesse. Ma è in effetti poco verosimile ritenere che si sia pervenuti alla seconda concezione, quella critica, senza passare attraverso la prima, quella neutrale. Non bisogna, d'altro canto,
225 in O'Shea, 1984: 16-17
226 Peebles, Kus, 1977: 431; O'Shea, 1984: 15-17. A tale proposito si rimanda anche a
d'Agostino, 1985; Kuijt, 1996
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dimenticare che, come puntualizza Ekengren, dal momento che la formalizzazione del rito impone un limite a come le cose possono essere espresse, la possibilità della manipolazione ideologica è ugualmente limitata228. Si deve quindi
considerare l'esistenza di una zona grigia di collegamento, poco riconosciuta, che introduce l'interazione tra la società umana e il rito funerario aldilà e precedente la formazione di élites. Il nodo centrale della questione è ben definito da Goldstein, secondo la quale è poco probabile che, a fronte della variabilità delle culture, alcuni gruppi ricorrano agli stessi mezzi simbolici e rituali allo stesso modo229. Per comprendere questi aspetti sembra opportuno riproporre una puntualizzazione elaborata dall'antropologo culturale americano Ward H. Goodenough230. Lo studioso in primo luogo conferma ancora una volta che ciascun individuo è portatore di diverse identità sociali. In secondo luogo afferma che è l'individuo stesso che opera tra di esse la scelta della identità con la quale presentarsi. Ma precisa anche che, per quanto riguarda alcune identità, la stessa scelta in alcuni casi è obbligata. Infatti, come membro di una società, in ogni interazione l'individuo ha il dovere di presentarsi in primo luogo sotto l'aspetto del genere e dell'età, mentre non è in alcun modo obbligato a presentarsi sotto l'aspetto del ruolo rivestito.
Per quanto gli studiosi sembrino considerare la social persona come una entità omnicomprensiva di tutte le identità sociali, si potrebbe invece dire che sia differenziata in almeno due livelli: 1) un livello di identità sociale "condivisa" che include gli aspetti bio-culturali di genere ed età; 2) un livello di identità sociale "personale" che è costituito da una set variabile di identità ognuna delle quali rappresentativa di un diverso ruolo o status. Se si considera, inoltre, che l'agire umano è da sempre condizionato da un lato da fattori biologici, che si rifanno alla necessità della sopravvivenza della specie e che determinano la necessità di una strutturazione basilare delle comunità umane (a esempio con la divisione collaborativa del lavoro per generi, anche se lo stesso genere è considerato un costrutto sociale)231, e dall'altro da fattori individuali che invece, come portato
228 Ekengre, 2013: 180 229 in Morris, 1991: 148 230 Goodenough, 1965: 4-5
231 Questo assunto viene criticato da Gero e Conkey (1991) per le quali considerare il
genere («(...) in the sense of gender beliefs, roles, etc.») quale base costitutiva degli assetti sociali di un gruppo umano equivale a sminuire la componente femminile. Sottolineare l'importanza del "genere" in questa dinamica, però, non equivale a dare importanza e prevalenza al solo genere maschile. Si deve tenere presente, come presupposto, che le relazioni di genere possono assumere differenti connotazioni, paritarie o meno, e modificarsi nel tempo (come del resto le stesse studiose sottolineano), a partire da un ordine primordiale in cui il solo aspetto biologico è prevalente ma al quale, a un dato momento della storia evolutiva umana, si aggiunge l'elemento culturale. L'obiezione sollevata non può allora che decadere perché questo postulato non implica la creazione di un singolo principio strutturante informato all'omogeneità, ma piuttosto evidenzia come la soluzione della tensione tra i due generi, risolvibile e risolta in modo
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culturale, sono determinati dagli scopi che ciascun individuo si propone di perseguire all'interno del proprio gruppo sociale, è lecito supporre che i primi possano lasciare un riflesso di sé in modo costante anche nell'ambito funerario. Essi rientrano tra quelle variabili accettate che si innestano su quella che l'archeologo Alberto Cazzella definisce «(...) una base ideologica collettivamente condivisa, [caratterizzata da] elementi in genere non soggetti a variazioni»232. I secondi, invece, variano sulla base di quelle che Cuozzo definisce "modalità di azione delle ideologie" che possono coesistere nel medesimo contesto con relativa manifestazione di conflittualità che materializza posizioni competitive di "gruppi di interesse" nella contrapposizione gruppo/i dominante/i e gruppi subalterni, ma anche gruppi etnici, generi, classi di età, attraverso la messa in scena di "dinamiche di potere, negoziazione o resistenza233.
Cazzella, dunque, introduce nel discorso le categorie di sesso, età del defunto e status sociale234 le cui variabilità colloca tra i fenomeni accettati in una visione verticale della struttura sociale, sia a livello individuale (in senso stretto e quindi in riferimento al singolo o al gruppo di individui che mette in scena il rito "modificato" in rapporto a quello comune ai membri della comunità che rispettano gli usi stabiliti e concordati), che a livello di gruppi di parentela interlocali. Ma deve comunque trattarsi di variabili minime, che non modificano in modo radicale l'equilibrio del rito. Lo studioso pone invece tra le differenze riscontrate su un piano orizzontale, sempre a livello individuale ma anche intralocale (ovvero tra comunità distinte ma che condividono lo stesso ambiente culturale), le variabilità non condivise235, e in questo caso parla di variabilità «(...) presumibilmente connesse con le modalità di svolgimento da parte di chi eseguì il rituale funerario (...) e vanno dalla conformazione e dalle dimensioni della struttura (...) al trattamento del corpo (...) alla qualità e quantità degli elementi di corredo (...)»236. Nizzo, a tale proposito, parla di «(...) aspetti "unitari" e/o di quelli "eccezionali" della performance rituale (...)»237, la cui analisi non può prescindere dalla valutazione dell'intero "scenario funebre". Intendendosi con questo non solo l'esame planimetrico del suo sviluppo (in senso sociale e/o ideologico) e della sua interazione con il territorio, ma anche dall'analisi di possibili tracce di attività rituale che potevano svolgersi al suo interno238. Risulta quindi importante capire se la variabilità nel trattamento degli individui sulla base di genere ed età come anche di status può essere parte integrante del rito, anche qualora a essere prioritari risultino non la struttura differente nel corso del tempo ma anche sincronicamente tra gruppi diversi, da vita a diverse realtà organizzative e sociali.
232 Cazzella, 1998: 434 233 Cuozzo, 2015: (22) 234 Ivi: 432-433 235 Ivi: 432, 434-435 236 Ivi: 438 237 Nizzo, 2015: 453 238 Ivi: 454-455
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sociale ma altri fattori quali quello privato o religioso239, e in questo senso essere prescritta, o se ci troviamo di fonte alla variabilità 'anomala' che è, per altro, l'unica a poter influire sui cambiamenti del programma rituale, operando sul breve come anche sul lungo termine240.
Secondo Cazzella, «(...) il procedimento di indagine dovrebbe essere diviso in due fasi: la prima volta al riconoscimento dei modelli socialmente accettati (...) [attraverso "una definizione degli elementi comuni a tale contesto"]; la seconda incentrata sull'analisi della variabilità riscontrabile nell'ambito dei modelli stessi [attraverso "un'individuazione dei fattori che determinano la variabilità socialmente accettata" e "un'analisi dei meccanismi di variabilità rispetto ai modelli di comportamento"]»241. L'esito di questa indagine può mettere in evidenza che proprio le caratteristiche della strutturazione sociale assumono un rilievo significativo, ma le possibili direzioni che queste prendono sono molteplici e ben descritte da Cuozzo, secondo la quale nel caso in cui «(...) gli interessi di uno o più gruppi (ceti/classi/segmenti sociali/individui) siano rappresentati come universali e il costume funerario sia indirizzato, in vari modi, alla distorsione dei rapporti sociali vigenti» è possibile che si registri un problema di rappresentatività della necropoli. Nel caso in cui «(...) le ideologie sono dirette alla << naturalizzazione ›› del sistema di relazioni sociali esistente che appare rappresentato, pertanto, in modo formalizzato e immutabile, (...) la produzione ideologica sarà diretta alla legittimazione del presente attraverso la costruzione e idealizzazione del passato (...)». Può, però, anche verificarsi il caso in cui dalle necropoli non è possibile ricavare informazioni sulle relazioni sociali perché «(...) l'ideologia dominante è diretta alla negazione nel costume funerario della stratificazione e/o del conflitto all'interno della società attraverso l'azione di ideologie di tipo « egualitario ›› (...)»242. Come sempre, non esiste l'esclusiva e ognuna delle possibilità esposte può trovare espressione nello stesso contesto.
Di differenze nel comportamento funerario parla anche O'Shea243 introducendo, però, una importante variabile, condivisa per altro da Cazzella244, vale a dire il "tempo" di utilizzo di un impianto funerario. In base a questo, le differenze, più che essere il riflesso di difformità sincronica, possono essere il frutto di mutate concezioni la cui materializzazione si accumula in diacronia. Più di recente, pur rimanendo invariato il problema cambia la terminologia. Per rappresentare il fenomeno, infatti, molti studiosi preferiscono usare i termici dicotomici di egalitarismo/disuguaglianza sociale il cui manifestarsi in un impianto funerario può essere con buone speranze risolto attraverso metodi di indagine applicabili,
239 Cuozzo, 2015: (25) 240 Vd. Nilsson Stutz, 2015: 7 241 Nizzo, 2015: 433-434 242 Cuozzo, 2015: (26)-(28) 243 O'Shea, 1984: 14 244 Cazzella, 1998:435
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per chi se li può permettere in modo estensivo, alle ricerche archeologiche e antropologiche, ovvero la datazione assoluta dei resti umani245.
2.1.2. Alcune precisazioni prima di procedere 2.1.2.1. Sui generi e il sesso
Quello che merita di essere precisato è il livello bio-culturale e, in primo luogo, la separazione del lavoro che la tradizione individua all'interno delle società primitive tra soggetti maschili e femminili, che non può e non deve essere considerata in altro modo se una prassi suscettibile di infinite variabili. Gli studi condotti in materia, almeno a partire dalla fine degli anni '60 del secolo scorso, interessano vari campi del sapere, dalla sociologia, alla psicologia evolutiva, all'antropologia culturale, rivedendo, in primo luogo, anche la terminologia. Così, a esempio, non si tende più a parlare di sesso ma di genere. Nel 1972, la sociologa Ann Oakley246 scrive infatti che «“Sesso” è un termine biologico; “genere” è psicologico e culturale».
Gli studiosi che esaminano il fenomeno, lo affrontano o da un punto di vista evoluzionistico o da un punto di vista sociale, collegando in particolar modo l'emergere delle differenze di sesso/genere in via esclusiva il primo alle necessità procreative, il secondo considerando tali differenze come costrutti artificiali. Il problema fondamentale di questi studi, già imperfetti perché in gran parte viziati in partenza da pregiudizi da lungo tempo acquisiti sulle differenze tra generi e divisione del lavoro, è che, una volta assorbiti dall'archeologia, si risolvono in una sorta di guerra a distanza tra archeologi arroccati sulla posizione difensiva del maschio dominante e archeologhe agguerrite che rivendicano il diritto ad apparire nel record anche per i soggetti femminili sulla scia di uno scalciante femminismo. Quest’ultimo se da un lato cerca, e a ragione, di riportare un equilibrio tra maschile e femminile anche nella preistoria, dall'altro finisce col creare soggetti femminili ai quali nega la realtà biologica in tutto rigettata come se davvero si potesse concepire un genere senza ammettere che anche la realtà organica ha il suo peso. In altre parole, riconoscere il genere come "un atto sociale", e riscontrarlo nel dato archeologico, non può essere sufficiente a ricostruire un quadro verosimile dei rapporti tra generi nella preistoria se ci priviamo della possibilità di confrontarci con la realtà fisica. Tale prospettiva viene a tal punto esasperata da portare alcuni a ritenere che lo studio di genere della preistoria possa
245 Quinn, Beck, 2016: 27 246 in Díaz-Andreu, 2000
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fare a meno del parallelo contributo dell'antropologia fisica247. Il che può andare bene se facciamo del termine "genere" un concetto astratto da mettere al centro di uno sviluppo teorico della scienza archeologica. Ma fatto questo bisogna riconoscere che il genere è incarnato in una forma materiale, il corpo, base per altro della socialità umana248 che lascia traccia di sé (gli scheletri, per l'appunto). E allora non si può prescindere dal tenere in considerazione ogni singolo aspetto attraverso il quale il soggetto/genere si manifesta, sia culturalmente che biologicamente249.
L'archeologo svedese Fredrik Fahlander e l'archeologo norvegese Terje Oestigaard250, in questo senso, elaborano per esteso il concetto di materialità251
come corporealità. Secondo gli studiosi, infatti, il corpo nella sua apparenza (sesso, età, postura, colore della pelle o dei capelli) è un agente nel processo di soggettivazione e categorizzazione e per questo ha spesso un effetto significativo sugli esiti delle pratiche sociali. É quindi impossibile pensare di comprendere antiche società, per le quali le relazioni sociali avvenivano, come oggi, anche attraverso una interazione fisica, senza tenere in considerazione ciò che di quelle realtà corporale abbiamo a disposizione. Del resto, già le archeologhe Elizabeth M. Perry e Rosemary A. Joyce, seguendo il lavoro della filosofa post-strutturalista Judith Butler, puntualizzano come la rappresentazione di genere, «(...) as repetitive activity, is strongly material. Its material dimensions in archaeological contexts include architecture, human figural representations, distributions of artifacts, indications of
247 «(...) genders can be studied in archaeology, even deep in prehistory and even without
the “smoking gun” (i.e. indirect gendered evidence) of skeletal remains» (Gero, Conkey, 1991: 17).
248 Sofaer, 2004: 169
249 Un nodo cruciale che lega i due aspetti, fisiologico e culturale, risiede a esempio
nell'importanza della categoria "età" come descritta dall'archeologa britannica Joanna Sofaer (2004: 166): «The investigation of age highlights the nature of the boundary between the biological and the social (...) as changes to the body that occur throghout the lifecourse become key sites for social engagement and are incorporated into social life through a process of cultural negotiation». Del resto, che la separazione tra sesso biologico e genere culturale sia un artificio statico e non aderente alla complessità di quella che è, invece, una dialettica, è da tempo noto (Vd. in Gilchrist, 2007: 147; Sofaer , 2004; ma in generale qualunque testo o articolo che tratti di bioarcheologia). Nonostante questo, e nonostante negli ultimi anni la bioarcheologia tenda a riportare in evidenza l'importanza del corpo per la comprensione delle dinamiche sociali, la mancanza di studi antropologici continua a penalizzare i tentativi di una ricostruzione verosimile della realtà antica. L'antropologo americano Marshall J. Becker (2007: 284), a tale proposito, ama definire i resoconti degli scavi di necropoli che non riportano riferimenti al materiale scheletrico "boneless cemetery". Sembra quasi che quella stessa separazione che si tenta di superare a livello teorico continui a condizionare una prassi consolidata che vede giustapposto, ma non complementare, il lavoro di archeologi e antropologi. Sofaer (2004: 168), a tale proposito conclude che «Thus though both osteoarchaeologlsts and material culture archaeologists may be studying the same people, they identify them in very different ways».
250 Oestigaard, 2008: 4
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repetitive action or differences in habits discernible from human skeletal remains,
treatment of human burials, and in some times and places, contemporary written documents»252. Il problema, dunque, è forse anche capire cosa alcuni studiosi intendono per biologico. Se diamo uno sguardo alla letteratura il leitmotif è, al richiamo del soggetto femminile, a una minore forza fisica e alla procreazione. È possibile trovare espresse posizioni di compromesso, come quella presentata dalle psicologhe americane Wendy Wood e Alice H. Eagly253 che avanzano la teoria di una origine bio-sociologica della differenziazione di genere, in base alla quale quello che le studiose definiscono il sex-typed behavior è il prodotto delle caratteristiche fisiche e riproduttive degli individui in correlazione alle necessità organizzative delle società nei diversi ambiti ecologici254. Ma anche se l'analisi mette insieme il contesto sociale e gli "attributi fisici"255, alla fine questi vengono ricollegati solo a problemi ormonali. Il merito di questo contributo è, comunque, quello di evidenziare come né il solo dato biologico, così inteso, né solo quello culturale sono sufficienti a ricoprire la vasta gamma delle espressioni di