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Aretta funeraria in pietra calcarea in cattivo stato di conservazione, sbrecciata in

modo importante sul lato superiore e inferiore; nel margine laterale superiore sinistro e sul retro rimane una porzione di modanatura sagomata a gola diritta. 35,5 x 34,5 x 27,5; alt. lett. 2,5-2,2. - Rinvenuta nella seconda metà del XIX secolo presso i ruderi dell‘antica città di Ricina (Villa Potenza, frazione di Macerata), l‘epigrafe fu vista (descripsi) da T. Mommsen nel 1878 e fu in seguito trasferita nella sede della Biblioteca comunale ―Mozzi Borgetti‖ di Macerata per volere dell‘allora assistente bibliotecario don Cesare Capodacqua (nr. inv. 1081). Attualmente il reperto è conservato presso il deposito dei Musei Civici di Macerata255. - Autopsia non effettuata. - CIL IX, 5785; CLE 1174; Plessis 1905, pp. 277-278; Di Giacomo 1978, pp. 111-113; Storoni Mazzolani 19912, pp. 252-253; Porte 1993, pp. 102-103; EDR 015079; cfr. Kholodniak 1904, p. 368; cfr. Herrlinger 1930, p. 48. Raedarum custos numquam latravit inepte; nunc silet et cineres 5 vindicat um= bra suos. - - - ?

―Il custode dei carri mai ha abbaiato in modo inopportuno; ora tace e la tenebra rivendica le sue ceneri...‖.

255 Desidero ringraziare il dott. Renato Pagliari, dell‘ufficio per le referenze bibliografiche della biblioteca

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Il testo completo doveva occupare pressoché interamente il supporto; ductus regolare, discreta ordinatio (le prime due righe di testo risultano più compresse e addossate alla cornice superiore), modulo verticalizzante, leggermente irregolare e crescente, solco poco profondo, lettere ben distinguibili, segni di interpunzione triangoliformi, lettere apicate, tracce di linee guida. - La restituzione della parte oggi perduta non presenta difficoltà poiché l‘epigrafe fu vista e descritta da T. Mommsen nel 1878 in occasione di una ricognizione del materiale archeologico ed epigrafico dell‘antico sito di Ricina. Si tratta di un carme sepolcrale in onore di un cane consistente di un unico distico elegiaco distribuito in sei righe di testo. L‘esametro, in prevalenza costituito da spondei (ovvero composto tutto da elementa longa eccetto per il quinto metron dattilico), copre le prime due righe e mezzo, il pentametro le successive. Anche se non vi è certezza assoluta circa il fatto che il testo terminasse con il pentametro o viceversa che proseguisse con un ulteriore distico, si propende tuttavia per la prima ipotesi in quanto, nel secondo caso, sembra inverosimile che sia andata persa una porzione così consistente del supporto destinata ad accogliere un secondo distico e dunque almeno altre cinque o sei righe di testo. Questa ipotesi sembra maggiormente plausibile anche per il fatto che il contenuto espresso non sembra necessitare di completamento. D‘altro canto, gli argomenti a sostegno della continuazione del testo sono individuabili in prima istanza nella mancanza, non consueta nell‘ambito dell‘epigrafia funeraria, del nome del dedicante (in questo caso il padrone) e del dedicatario (il cane) elemento che potrebbe far ipotizzare che l‘iscrizione proseguisse nella sezione inferiore del supporto, andata perduta. Inoltre, se si tratta di una piccola ara, come sembrerebbe data anche per la presenza della porzione di coronamento superiore, l‘assenza dello zoccolo e l‘ampia sbrecciatura confermerebbe il prolungamento del testo256

. Essendo la

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Per quanto riguarda il supporto epigrafico esso ricorda nella forma e nelle dimensioni l‘aretta dedicata ad un altro catellus: si tratta della piccola ara funeraria dedicata al cagnolino Fuscus anch‘essa sbrecciata nella parte inferiore mentre risulta integra nel coronamento superiore (AE 1994, 699, scheda 4).

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questione per il momento irrisolta, è sembrato opportuno segnalare con i dovuti segni diacritici l‘ipotetica continuazione del carme. Per quanto concerne l‘impaginazione, essa è da imputarsi principalmente alle restrizioni spaziali imposte dal supporto anche se comunque sembra sottendere una valutazione preventiva in proposito: la separazione di esametro e pentametro è infatti resa evidente in modo chiaro, a livello grafico e visivo, da uno spazio non iscritto tra inepte e nunc, espediente che permette dunque al lettore di distinguere la partizione metrica257. Questa cesura, oltre a segnalare il cambio di verso, riveste anche un altro valore: l‘esametro infatti si chiude sia metricamente sia contenutisticamente con la parola inepte; il pentametro che si apre con l‘avverbio temporale nunc, risulta anch‘esso un‘unità metrica e di contenuto in sé conclusa. Inoltre il nunc di inizio verso possiede una forte connotazione ―avversativa‖, di contrapposizione tra due status differenti: l‘animale in vita e l‘animale in morte. Lo spazio bianco dunque viene ad assumere un ulteriore, forse eccessivamente suggestivo, significato: è come se esso si identificasse idealmente con quella linea, con quell‘intervallo di spazio e di tempo che intercorre tra ciò che è vita e ciò che è mancanza, negazione della vita stessa. Tale antitesi, nonché ―ossimoro uditivo‖ (i rumorosi latrati da un lato, il silenzio della morte dall‘altro), è sottolineata anche dal lessico utilizzato: le parole custos, latravit, nella prima sezione del carme, rimandano alle mansioni svolte dall‘animale durante la sua vita; il verbo silet, e le espressioni nunc, cineres, e umbra rimarcano invece l‘eternità della morte. Come già accennato, l‘iscrizione non presenta il nome del dedicante, il padrone, il quale tuttavia è celato dietro all‘ ―io‖ che si rivolge al ―tu‖ dell‘animale domestico. Anche questo epitaffio, così come quello dedicato alla catella Patricia (CLE 1176, scheda 12) diventa quasi un dialogo a due, personalissimo e intimo. La diegesi della seconda persona singolare, a differenza della terza o della prima persona, è coinvolgente, compartecipativa

257 Sugli espedienti grafici relativi all‘impaginazione delle iscrizioni metriche si veda Massaro 2012, pp.

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e assolve ad un‘esigenza di prossimità e vicinanza258. Quest‘ultimo aspetto è

ancora più interessante se si considera il fatto che l‘iscrizione è dedicata ad un cane che non sembra essere a tal punto domestico e umanizzato come le cagnoline dei CLE 1512 (scheda 10), CLE 1175 (scheda 9), CLE 1176 (scheda 12), AE 1994, 348 (scheda 1). Egli è semplicemente custos, custode, guardiano ma, per l‘aver assolto al meglio le mansioni a lui richieste, è degno e meritevole di ricevere un locus sepolturae. Per quanto concerne il termine

custos, esso è frequentemente attestato nei CLE (20 attestazioni) ed è

accostato sovente ad un genitivo che può indicare oggetti concreti (custos

hortuli, limitis, terminus, sepulcri) o concetti astratti (custos amicitiae, iustitiae, castitatis).

Nell‘epitaffio il cane era dunque evidentemente posto a guardia di un deposito di carri (―raedarum custos‖): il termine dal sapore tecnico raeda, ae259

con cui essi vengono definiti fa riferimento ad un veicolo a quattro ruote di origine gallica normalmente trainato da muli e destinato al trasporto appenninico e alpino la cui gestione era affidata ai muliones, operatori specializzati, che assolvevano al compito di movimentare le merci su tracciati di terra260.

Il perfetto indicativo latravit, nella prima sezione del testo, indica un‘azione definitivamente compiuta che contrasta fortemente con il presente nunc silet, sottolineato anche dall‘avverbio nunc, della seconda parte. Il latrato per il

258 Circa l‘anonimato del dedicante presente in questa tipologia di iscrizioni vd. Infra (in particolare

scheda 12 e i riferimenti sviluppati in sede di osservazioni conclusive).

259 Per l‘etimologia di raeda, ae si veda il Dictionnaire étimologique de la langue latine a cura di Ernout

– Meillet, 1932, p. 811. A proposito del termine raeda,ae, Quintiliano scrive (Quint. inst. 1,5,57): ―Plurima Gallica evaluerunt, ut „raeda‟ ac „petorritum‟ , quorum altero tamen Cicero, altero Horatius

utitur‖. ―Numerosissimi sono i termini gallici da noi usati, come raeda (carrozza) e petorritum (carretta),

adoperati rispettivamente da Cicerone e da Orazio‖ (Traduzione di R.Faranda - P.Pecchiura). Questo termine ricorre anche in Hor. sat. 2,6,42; Mart. 3,47, 5 e Mart. 10,14,1; Cinna carm. frg. 9,2; Auson.

epist. 14,18 e Iuv. 3, 236 con il significato di carrozza per il trasporto di cose o persone. Mommsen nella

voce del CIL dedicata a questa iscrizione afferma che questo ―epitaphium elegantissimum‖ ―utile est quod

redae vocabuli orthographiam post Diocletiani edictum denuo firmat‖.

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Il mulo, animale creato ―artificialmente‖ mediante la riproduzione forzata di un cavallo e di un asino, fu l‘animale per eccellenza deputato al trasporto via terra e come tale, oggetto delle trattazioni agronomiche di Varrone, Plinio e Columella. Si veda Cresci Marrone - Rohr Vio 2005, pp. 249-265.

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cane, così come la parola per l‘uomo, è una prerogativa vitale ed è una caratteristica ―canina‖ che ricorre altrove261

.

L‘espressione nunc silet ricorre anche in altri due carmina sepolcrali riferita questa volta ad esseri umani262. Molti CLE presentano attestazioni del vocabolo

umbra; il sintagma umbra suos si trova anche in Ovidio e in un epigramma

attribuito a Seneca263.

Un ulteriore aspetto sul quale vale la pensa concentrare l‘attenzione è la modalità di deposizione dell‘animale: il testo iscritto infatti offre un‘indicazione interessante utilizzando il vocabolo cineres (il sintagma ―cineres vindicat‖ non è attestato altrove). Ciò permette di dedurre che il corpo del cane sia stato sottoposto all‘incinerazione qualora il testo vada interpretato alla lettera e non come una mera espressione di circostanza. In tal caso è utile aprire e stabilire un confronto con il già citato caso dell‘iscrizione dedicata al catellus Fuscus (AE 1994, 699; scheda 4) il quale, da parte sua, sembra essere stato oggetto di un differente trattamento funerario (―corpus et eiusdem dulcia mella tegunt‖) ovvero l‘imbalsamazione264

. Questa discrepanza, ma anche la volontà di sottolineare nel testo epigrafico tale aspetto, è degna di nota in quanto getta luce sulle pratiche funerarie legate alla deposizione animale, aspetto finora indagato solo parzialmente e prevalentemente dal punto di vista archeozoologico265. Ad un esame preliminare sembra sussistere varietà e diversificazione nelle modalità di trattamento del corpo dopo la morte: inumazione, incinerazione, imbalsamazione sono infatti tutte e tre pratiche attestate per l‘animale. Non esisterebbe pertanto una prassi consuetudinaria, abituale e dunque si può dedurre non ci fosse probabilmente neanche una legislazione deputata a regolare tale

261 Si veda CLE 1175, v. 10: ―nulli latratus pertimuere meos‖ e CLE 1512, v. 5: ―latrares modo si quid

adcubaret rivalis dominae licenziosa‖.

262 CIL VIII, 2401 (CLE 573): ―qui post tantum onus, multos crebros latore / nunc silet et tacito

contentus sede quiescit‖; CIL V, 6464 (CLE 1368; ILS 2952): ―quantos iste fores, mundi caelebrator in hortu / nec silet occidui cardinis oceanus‖.

263

Ov. trist. 5, 14, 12: ―Nil feret ad Manes diuitis umbra suos‖; Anthologia Vossiana 13 Z: ―Attribuit:

tumulos uindicat umbra suos”.

264 Sulla questione cfr. scheda 4. 265

Si vedano in proposito i contributi di De Grossi Mazzorin 2001a, pp. 85-87; De Grossi Mazzorin 2001b, pp. 77-82; Colonnelli-Mannino 2012, pp. 331-340; AA.VV. 2014, pp. 145-151; Teegen 2014, pp. 111-121.

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aspetto della convivenza uomo - animale e della presenza di quest‘ultimo nella vita (e nella morte) quotidiana. - In base alle caratteristiche paleografiche si propone una datazione che rimonta al II secolo d.C.

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