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Stele funeraria a edicola in pietra tenera di Vicenza, in buono stato d

conservazione (salvo per l‘erasione che coinvolge le ultime due lettere della prima linea dell‘iscrizione), caratterizzata da un ricco ed elaborato apparato iconografico e ornamentale. Sullo zoccolo di base si ergono due pilastrini squadrati sormontati da un duplice ordine di capitelli tuscanici che a loro volta sostengono un frontone centinato sulla cui sommità si staglia centralmente un raffinato acroterio a palmetta, lateralmente due acroteri di dimensioni più ridotte, visibilmente rovinati. Nella nicchia appositamente levigata, modellata a guisa di conchiglia, è scolpito il busto di un uomo adulto ma di giovane età177 dai tratti fisiognomici ben delineati e riccamente abbigliato. Nella porzione inferiore, delimitata da una cornice a gola e listello, all‘interno dello specchio epigrafico, è ritratto un cagnolino di piccola taglia, accucciato, di profilo verso destra, con il muso abbassato, le orecchie piccole e ritte, il pelo raso, la coda colta nell‘atto di scodinzolare. Al collo porta un collarino che lo connota come il cane di casa178. Al di sotto dello zoccolo doveva aprirsi la cavità cineraria ricavata all‘interno di una base ―che conteneva poche esili ossa combuste ed una lucernetta fittile mancante del beccuccio con cratere stampato nell‘infundibolo‖179

. 92,5 x 45,5 x 26; specchio epigrafico 18,5 x 28; alt. lett. 3,8-2,8. - L‘epigrafe fu rinvenuta ad Este, in località Caldevigo (presso il fondo Rebato), tra il 1907 e il 1909. Fu successivamente trasferita presso il Museo Nazionale Atestino dove attualmente è conservata (nr. inv. 1521). - Autopsia non effettuata. - AE 1997, 671; SupplIt 15, 138; Alfonsi 1922, p. 35; Bazzarin 1956, p. 36; AA.VV. 1965 pp. 174-175; Gabelmann 1972, p. 89; Zerbinati 1982, p. 214; Lazzaro 1985, pp. 482-483; Pflug 1989, p. 246; Marengo 2013, pp. 9-16.

177 L‘età dell‘uomo ritratto nella nicchia ha diviso gli studiosi tra coloro che ritengono si tratti di un

fanciullo o di un adolescente (Alfonsi, Gabelmann, Pflug) e coloro che pensano invece sia un uomo adulto (SupplIt 15,138). Qualunque sia l‘età del personaggio raffigurato tuttavia è certo che non possa essere lo stesso menzionato nell‘iscrizione (l‘indicazione biometrica sarebbe infatti incoerente con i tratti fisici del busto qui ritratto).

178 Sui collari destinati agli animali si veda il contributo di Toynbee 1976, pp. 269-275. 179 Alfonsi 1922, p. 35.

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Nerant[u]s M(arci) Arri ann(orum) III.

―Neranto di Marco Arrio, di anni tre.‖

Lettere apicate, regolari, incise con cura; solco sottile; cravatta della E della stessa lunghezza dei bracci, occhielli della R chiusi; modulo prevalentemente quadrangolare, maggiore nella prima riga, inferiore nelle successive; impaginazione curata e dettata dallo spazio a disposizione nello specchio epigrafico; segno di interpunzione triangoliforme posto a separare il praenomen

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abbreviato dal nomen. - L‘interpretazione del destinatario della sepoltura non è immediatamente comprensibile per una serie di ragioni: in primo luogo la lettura combinata di elementi iconografici ed epigrafici presenta qualche notevole discordanza. Se infatti i monumenti funerari a edicola sono la sede privilegiata per eternare l‘immagine e dunque la memoria del defunto180

, è difficilmente spiegabile come poter far combaciare l‘indicazione biometrica dichiarata nell‘epigrafe (tre anni) con il ritratto presente nella nicchia che, seppur riferito ad una persona giovane, non può essere un bambino di tale età. A questa discrepanza si potrebbe ovviare, come proposto da S. M. Marengo, considerando che il numerale sia errato e dunque sia frutto della disattenzione del lapicida (ad un primo esame della pietra, non sembra esserci lo spazio per un ulteriore cifra); in alternativa a ciò la studiosa propone anche di considerare l‘idea che il monumento, preparato per un adulto - la cui immagine clipeata sarebbe fissata sulla porzione superiore dell‘epigrafe - sia stato poi utilizzato per un bambino morto in tenera età. Un‘ulteriore problema posto dall‘esame iconografico è quello relativo alla combinazione di elementi onomastici e ritratto: se infatti si interpreta Nerantus come schiavo di Marcus Arrius181 (come d‘altra parte il semplice appellativo lascerebbe trasparire), sembra tuttavia inopportuna la raffigurazione di un busto togato in riferimento ad un personaggio di umile estrazione. Se invece si considera il ritratto come appartenente a Marcus Arrius, il dedicante, e il cagnolino come il compagno fedele del defunto nonché custos del monumentum, in un apparato iconografico così ricco e dettagliato, appare

180 Su questi aspetti si veda Compostella 1996, pp. 34-38 e Cresci - Tirelli 2010, pp. 127-146. 181

Quanto a Marcus Arrius, esso potrebbe essere il medesimo personaggio menzionato in altre tre iscrizioni funerarie rinvenute nella medesima località dell‘iscrizione in oggetto. Si tratta di tre epigrafi funerarie dedicate a Heros, Hiparcus e Lais, servi di Marco Arrio. Il confronto con l‘iscrizione in oggetto si farebbe più stringente se si considera che, nel caso di Heros e Hiparcus, l‘urna ossuario è sormontata da un coperchio sulla quale sono ritratti due leoncini in un caso e due cani accovacciati nell‘altro. Seguendo tale linea interpretativa si potrebbe interpretare dunque Nerantus come un ulteriore servo del medesimo dominus. La raffinatezza di tali monumenti funerari dedicati a servi del medesimo padrone sono inoltre indizio del milieu culturale, sociale ed economico del committente. L‘iscrizione oggetto del nostro studio tuttavia si discosta per qualche particolare rispetto a quelle sopracitate e pertanto è plausibile che non sia del tutto omologabile ad esse. Cfr. SupplIt 1997, 108, 122, 124 e Marengo 2013, p. 10.

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quantomeno bizzarra la scelta di escludere da esso proprio il ritratto del dedicatario della sepoltura182.

Tenuti presenti tutti questi elementi è necessario valutare un‘ipotesi fin qui ancora non considerata: coscienti del fatto che un apparato decorativo così particolareggiato e curato deve necessariamente essere portatore di un qualche valore e significato intrinseco, è d‘obbligo chiedersi il senso della presenza del cagnolino nella parte bassa dello specchio epigrafico. Dal momento che nessuna figura umana corrisponde, secondo quanto detto sopra, all‘età indicata per il defunto, rimane aperta la possibilità che il Nerantus citato in prima sede sia il secondo protagonista della scena figurata: il cagnolino.

A confortare tale ipotesi concorrono alcuni convincenti elementi: in primo luogo si considerino gli aspetti onomastici. Il nome Nerantus è un unicum: non si trova infatti altrove attestato. In tal senso sembra difficile che si tratti di un nome di persona: più probabile che si tratti di un nome di fantasia facilmente applicabile invece ad un animale domestico (la medesima riflessione si può applicare al già citato caso della cagnolina Cyras)183. Quanto alla semplicità dell‘indicazione onomastica, essa può sembrare insolita per un uomo ma non per un animale, il quale viene sempre definito da un unico appellativo. Inoltre non pare necessaria l‘indicazione esplicita che si tratti di un cane, come d‘altra parte avviene in altri testi epigrafici: qui, il protagonismo figurativo dell‘animale assolverebbe già a tale funzione184. La preminenza iconografica è tuttavia condivisa con la rappresentazione del padrone defunto, fatto insolito per le iscrizioni sepolcrali destinate precipuamente agli animali. In tal caso la compresenza di cane e padrone si può motivare ricorrendo al senso di fedeltà che intercorre indubbiamente tra i due. Inoltre, sono numerosi i monumenti funerari, specialmente stele e sarcofagi, destinati a esseri umani i quali tuttavia si fanno

182 Sulle discrepanze e incongruenze riscontrate a proposito dell‘epigrafe in oggetto si veda anche

Marengo 2013, pp. 10-11.

183

Molti nomi di animali sono rari nell‘onomastica personale ―umana‖ o addirittura sono unici. Per un panorama sull‘onomastica animale si vedano Mentz 1933, pp. 104-129, pp. 181-202, pp. 415-442 e Toynbee 1948, pp. 24-37.

184

Si veda il non dissimile caso di Helena, la cui preminenza iconografica contribuisce a sostenere l‘ipotesi che sia la cagnetta destinataria della sepoltura (scheda 5). Cfr. anche Aminnaracus (scheda 2);

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ritrarre assieme ai propri fedeli compagni di vita185. Il genitivo Marci Arri può a questo punto considerarsi come il padrone, non di uno schiavo, bensì del cagnolino destinatario della sepoltura. Ci troveremmo qui dunque di fronte al primo caso, tra quelli presi in esame, in cui viene espresso il nome dell‘animale e allo stesso tempo quello del proprio padrone (il quale, in altre iscrizioni, rimane il più delle volte anonimo, emergendo solo a livello secondario)186. Ai due nomi dunque corrispondono coerentemente due ritratti: è suggestivo pensare che la stele evochi, per scripta e per imagines, un legame che si protrae affettuosamente oltre la morte. Un‘ulteriore elemento iconografico che contribuirebbe a sostenere l‘ipotesi appena formulata è costituito dagli acroteri laterali modellati a forma di leoncini o palmipedi che, difficilmente inquadrabili nel simbolismo funerario canonico, potrebbero essere un semplice omaggio alle qualità di cacciatore di Nerantus187. Quanto all‘indicazione biometrica, non è insolito che per un animale essa venga espressa (altri casi in cui essa viene menzionata sono quelli del cagnolino Fuscus, della cagnolina Patricia e di

Cyras)188. Oltre a ciò è plausibile e coerente che il cagnolino abbia vissuto solamente tre anni189.

Se dunque l‘ipotesi formulata è corretta, oltre a trovare ulteriore conferma del fatto che nel mondo romano non era pratica insolita donare sepoltura e eternare la memoria dei propri animali domestici, si recupererebbe un‘ulteriore testimonianza del quotidiano sentimento di fedeltà e amicizia che da sempre ha legato l‘uomo e il cane. - Sulla base del contesto archeologico190

e degli aspetti paleografici e iconografici la forchetta cronologica nella quale è possibile collocare l‘iscrizione va dall‘età augustea alla giulio-claudia.

185 Per un riscontro letterario del fenomeno si veda Petron. 71.

186 Sull‘ipotesi che prevede si tratti del genitivo di possesso relativo al padrone si veda anche Marengo

2013, p. 13: ―La difficoltà si può superare se si abbandona l‘ipotesi di una formula onomastica - che sottointenderebbe la parola servus - a favore di un‘espressione di possesso: Nerantus, proprietà di Marco Arrio‖.

187 Cfr. Marengo 2013, nota 9. 188

Rispettivamente scheda 4; scheda 12; scheda 3.

189 Cfr. Marengo 2013, p 14.

190 L‘epigrafe fu rinvenuta in un sepolcreto in località Caldevigo, a Este, utilizzato in età augustea e proto

imperiale, a cui afferiscono una cinquantina di tombe e svariate iscrizioni (tra cui quelle citate in riferimento a Marcus Arrius) databili tutte grossomodo al medesimo arco cronologico.

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