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Cippo in calcare di Botticino in modesto stato di conservazione in quanto

visibilmente sbrecciato nella porzione superiore e scalfito nel margine inferiore (tale danneggiamento della pietra compromette infatti parzialmente la lettura del messaggio epigrafico). Al di sotto dell‘iscrizione, nello spazio anepigrafe, è scolpito, a bassorilievo e in maniera fortemente realistica, un cavallo: l‘animale è colto di profilo, al galoppo verso sinistra, con il corpo ben tornito, il muso espressivo, la coda e la criniera folta. 88 x 57 x 14; alt. lett. 3,4-2,6. - Il luogo, la data e le circostanze di rinvenimento dell‘iscrizione sono ignote; tuttavia, inserita in un primo tempo da T. Mommsen tra le Alienae di Verona313, fu in seguito ascritta, all‘interno del medesimo volume, tra i reperti provenienti dall‘area bresciana. La pertinenza dell‘epigrafe al territorio di Brescia sarebbe confermata dal fatto che essa fece parte della collezione privata del pittore F. Monti (1685- 1768)314 fino al 1720 data in cui, stando a quanto riferisce P. Gnocchi, P. Gagliardi, amico di S. Maffei nonché suo complice nel trasferimento di reperti bresciani a Verona, portò l‘iscrizione in città315 dove tutt‘ora è conservata, presso il cortile del Museo Maffeiano. - Autopsia effettuata nell‘aprile 2013. - CIL V, 429, 240*; CIL V, 4512; CLE 1177; InscrIt 10, 5, 308; Garzetti 1979, p. 207; Courtney 1995, pp. 194-195; EDR 090308; cfr. Herrlinger 1930, p. 50; Garzetti 1994, pp. 58-61; Garzetti - Valvo 1999, pp. 16- 17; Del Hoyo 2007, p. 40316.

313 Apud CIL V, 429, 240*: ―Inscriptiones latinae originis non veronensis, sed quae sunt fueruntve

Veronae [...]. servantur servabanturve in museo Philarmonico‖.

314

Su F. Monti si veda Serafini 2012 s.v. ―Monti, Francesco‖.

315 Apud CIL V, 4512: ―Civis noster clarus [Gagliardius Labus] misit a. 1720 Veronam ad Maffeium.

Gnocchi‖. Apud CLE 1177 : ―Brixiae inventum equi epitaphium cuius figura infra adiecta est, iam in Museo Veronensis‖.

316 Per una bibliografia in ordine cronologico antecendente al CIL si vedano le referenze presenti

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- - -

Coporusque tuli [- - - nec] [T]usci saltus, pascua nec Sicula,

5 [qui v]olucris ante ire vaga[s], qui flamina Chori

vincere suetus eras; hoc stabulas tumulo.

―[...] O Coporus, non ti generarono né i prati boscosi della Tuscia né i pascoli siculi; tu che eri avvezzo a superare gli uccelli erranti e a vincere le raffiche del Cauro; ora dimori nella stalla costituita da questo sepolcro‖.

1 TULIS CLE 1177; 5 SIC CIL; 7 ERAT EDR 090308; ductus regolare, modulo quadrangolare, solco poco profondo e lettere incise con scarsa accuratezza; l‘impaginazione del messaggio epigrafico è poco curata e non segue la scansione metrica del verso che tuttavia, se letto continuativamente come una successione di quattro versi completi, ovvero due coppie esametro - pentamentro, risulta regolare e rispettoso dello schema metrico sia per quanto riguarda la quantità

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delle sillabe che per quanto concerne le cesure all‘interno del verso; non sono presenti segni di interpunzione. - Si tratta di un‘iscrizione funeraria in distici elegiaci posta sulla sepoltura di un cavallo di nome Coporus il cui padrone, nonché dedicante dell‘epitaffio, resta anonimo. L‘iscrizione, di proporzioni considerevoli reca un messaggio elaborato sia a livello metrico che lessicale ed è ulteriormente arricchita, nella porzione inferiore, dal bassorilievo di un cavallo, destinatario precipuo della sepoltura. L‘animale, rappresentato in maniera fortemente realistica e verosimile, è colto in rapido movimento, al galoppo, con la criniera folta e mossa dal vento e le zampe muscolose e tornite rappresentate nell‘atto di correre. La raffigurazione oltre ad impreziosire il supporto, dona anche un‘immagine dell‘animale contribuendo così a farlo rivivere oltre che per

scripta anche per imagines.

Il testo inizia ex abrupto con la menzione del nome del cavallo; segue poi la definizione, ―in negativo‖, delle sue origini geografiche: esso non è infatti natio né dei pascoli toscani né di quelli siculi, celebri per ospitare l‘allevamento di pregiate razze equine. La competenza relativa a aspetti geografici e meteorologici emerge inoltre dalla menzione, al quarto verso, del Cauro, vento che spira da nord ovest. Il riferimento al vento, oltre a ostentare una certa erudizione317, si rende necessario per stabilire la similitudine con il cavallo: il

topos della velocità nella corsa e la rapidità dell‘equino che è pertanto pari alle

raffiche di vento è ricorrente nelle descrizioni relative a questi animali. Anche

Spendusa viene paragonata infatti ai soffi del vento per la sua velocità (cursando flabris compara)318. L‘estrema celerità è evocata anche dal paragone che viene implicitamente istituito tra il cavallo e gli uccelli erranti nel cielo. L‘immagine del volo degli uccelli e quella delle raffiche del Cauro sono inoltre così pregnanti che il compositore dell‘epitaffio ha scelto di evidenziarle sia sfruttando

317 La medesima espressione (―Nemo miratur flamina Cori‖) ricorre curiosamente in Boezio (Boeth. cons.

4, 13). Anche se è evidente che non possa intercorrere un rapporto di dipendenza tra le due attestazioni, tuttavia è sostenibile l‘idea che la locuzione appartenga ad linguaggio e ad un dominio lessicale alto che pertanto renderebbe conto del milieu culturale nel quale l‘epitaffio è stato prodotto. Non si può tuttavia escludere a priori, sfruttando un ragionamento di tipo filologico, che l‘espressione citata, ricorrente nel testo epigrafico in oggetto e in Boezio, fosse presente in un apografo oggi perduto dal quale dipenderebbero a loro volta entrambi i testi. Non essendo verificabile, la proposta espressa rimane una congettura.

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l‘impaginazione (sono infatti impiegati due versi) sia servendosi della figura retorica dell‘anafora la quale mette in luce anche il soggetto portatore di tale qualità (qui). L‘iscrizione si chiude con la breve constatazione della dimora ultima del cavallo: con un raffinato gioco lessicale, l‘animale è metaforicamente accolto nella stalla che lo tratterrà per sempre (raro e desueto è il verbo stabulo,

as, are)319. La funzione che l‘animale aveva potuto rivestire in vita non è

specificata ma si può supporre che esso fosse compagno di caccia, o utilizzato in ambito bellico piuttosto che vincitore nelle gare circensi (in tal caso infatti è più probabile che ciò venga precisato, come nel caso di Aegyptus, per dare risalto, di riflesso, anche all‘auriga)320

.

Il testo del messaggio epigrafico segue dunque una scansione precisa: iniziando con il nome, prosegue con la menzione dell‘origo senza tuttavia specificarla, seguono poi le caratteristiche dell‘animale e infine la breve chiusa riguardante la dimora estrema di Coporus. Il medesimo schema si ripete anche nell‘iscrizione dedicata a Spendusa: la chiarezza espositiva e la scansione tematica rivelano in entrambi i casi una notevole competenza testuale. Quanto al lessico e alle espressioni utilizzate, si può notare un certo discernimento nella scelta dei vocaboli e nella composizione di frasi e sintagmi. Sono sfruttate inoltre alcune figure retoriche come la metonimia, l‘anafora, e immagini suggestive che arricchiscono e innalzano il tono dell‘epitaffio.

Circa l‘integrazione delle parti di testo perdute, gli editori non si sono sbilanciati nel proporre soluzioni, per quanto metricamente compatibili, che completassero le parti di testo lacunose: l‘intervento sul messaggio epigrafico, perlopiù concorde tra tutti gli studiosi, si limita pertanto ad un‘integrazione di qualche lettera la cui sicurezza è garantita dalla correttezza grammaticale e dal senso del

319 Quanto alla locuzione ―hoc tumulo‖, essa risulta essere un‘espressione formulare che ricorre

frequentemente nei CLE (58 attestazioni) accompagnata sovente da verbi di stasi (iacere, ponere,

quiescere, tegere...). La scelta del vocabolo stabulas trova soltanto due paralleli epigrafici rispettivamente

dalla Dalmazia e dalla Thracia (ILjug 3, 1735 e AE 1961, 318). Più attestato è invece il termine

stabularius/ia, presente 7 volte nelle iscrizioni.

320

Per le funzioni principali e gli ambiti di impiego rivestiti dal cavallo nel mondo romano (caccia, guerra, lavoro ordinario, cerimonie pubbliche, giochi e corse) si veda DA, p. 803 e Toynbee 1973, pp. 167-185.

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testo. Per quanto concerne gli aspetti onomastici, il nome Coporus è, come accade altre volte per i nomi di animali, un unicum.

Riassumendo, il monumentum risulta, considerando al contempo le componenti riguardanti il messaggio epigrafico (gli aspetti metrici e lessicali) e l‘iconografia, di notevole importanza visiva e contenutistica, frutto della libera scelta di un committente dotato di un gusto raffinato nonché di notevoli possibilità economiche. - Per quanto riguarda la datazione, considerati gli aspetti iconografici e paleografici, sembra di poter propendere per la fine del II secolo d.C.

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