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2. MISURAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO DI CREDITO

4.2 Panoramica storica

4.2.1 Argentina

Il default argentino dichiarato nel 2014 non è altro che ‘l’ultimo’ episodio di una serie di turbolenze registrate dal 1930 ad oggi. Le principali cause delle crisi e delle inadempienze dello stato argentino possono essere ricondotte ad una cattiva gestione delle politiche economiche. Secondo uno studio svolto da Cerro e Meloni (2013), i principali fattori legati alle crisi argentine sono la cattiva gestione fiscale, le espansioni

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della spesa pubblica, i considerevoli aumenti del rapporto debito/PIL e il declino della crescita dei depositi bancari. Ancora, Thomas e Cachanosky (2016) nell’analizzare le cause del default argentino del 2014, dimostrano che le instabilità dell’Argentina, dal 1989 in poi, sono il risultato di politiche interne errate e non il risultato di fattori esterni. Il primo default risale al 1827, 11 anni dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Spagna. Dopo di che sono susseguite una serie di crisi che hanno portato il paese in default nel 1890, 1930, 1980, 2001 e 2014; portando a definire il paese come il “paese dai default seriali”. Per comprendere i fattori che hanno contribuito ai default argentini e delineare un quadro generale è utile ripercorrerne la storia, analizzandone gli eventi principali.

Il filo conduttore che negli ultimi 50 anni ha caratterizzato la politica argentina (e più in generale l’America Latina) è senza dubbio l’indebitamento pubblico, il quale ha occupato uno spazio importante nell’agenda politica ed economica di diversi paesi. Come riportato nel documento ‘El endeudamiento externo público argentino: naturaleza y funciones’ di Mauricio Follari Gorra (2008), un significativo aumento del debito pubblico si è registrato a partire dal 1976, anno in cui fu messo in pratica il “processo di riorganizzazione nazionale136

, capeggiato dal generale Videla e dai sui

successori, attraverso il colpo di Stato delle forze armate. Per l’intero periodo di dominio del regime si registrò un aumento del debito estero argentino che passò da 7800 milioni di dollari a 45100 milioni di dollari, volto soprattutto a finanziare le forze armate, fino al 1983, quando, attraverso le elezioni politiche democratiche, Alfonsín assunse la presidenza della Nazione.

Il nuovo governo si trova di fronte una situazione con elevati livelli di debito pubblico estero e l’impossibilità di rivolgersi a finanziamenti esterni, a causa dell’aumento dei tassi di interesse e la chiusura delle fonti di finanziamento internazionali. Di fronte a questa situazione fu attuato il ‘Piano Austral’. Questo prevedeva il congelamento dei salari e l’introduzione di una nuova valuta, l’austral, la quale fu all’origine di nuovi prestiti.

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91 Per un certo periodo queste riforme favorirono la riduzione dell’inflazione fino a quando gli investitori iniziarono a perdere fiducia nella valuta e si rifugiarono nelle valute straniere più forti. Inoltre, il governo faceva ricorso al Banco Central de la República Argentina (BCRA) per finanziare il deficit del Tesoro. Questo portò ad una rapida crescita dell’inflazione la quale arrivò, nel 1988, a 343% fino a toccare il massimo nel 1989 dove si registrò un processo di iperinflazione superiore a 3000%. Ovviamente questa situazione provocò l’aumento della povertà che si aggirava intorno al 47,3%.

Nel 1989 Alfonsín diede le sue dimissioni e fu eletto il nuovo presidente della Nazione, Menem, il quale governò fino al 1999. La situazione che si trovò di fronte era un paese con un economia chiusa ed un tasso di inflazione superiore a 3000%. Le principali riforme messe in atto da Menem furono37 l’apertura dell’economia al commercio internazionale, la privatizzazione di alcune società nazionali per finanziare il deficit fiscale e l’introduzione della ‘Ley de Convertibilidad’; ovvero un comitato valutario costituito per attuare, sotto la supervisione del Ministro dell’Economia Cavallo, la politica monetaria legata alla convertibilità del peso rispetto al dollaro. In particolare, il peso argentino è diventato convertibile al tasso di cambio 1:1 (1USD:1ARS). Diverse sono le opinioni espresse dalla letteratura sul comitato valutario; ad esempio Kulkarni e James (2009) sostengono come questo sia stato la causa del default argentino nel 2001 in quanto la parità del tasso di cambio ha portato ad una sopravvalutazione del peso rispetto ad altre economie frenando le esportazioni argentine, considerate più costose, ed aumentando le importazioni, delineando un apparato produttivo nazionale sempre più debole. Inizialmente però queste misure economiche contribuirono a migliorare la situazione economica argentina; il livello di inflazione si ridusse drasticamente ed aumentò il PIL registrando variazioni positive. Il secondo mandato di Menem, invece, delinea un panorama economico negativo, rappresentato dall’aumento della disoccupazione e della povertà; inoltre il mercato interno ha risentito anche delle crisi economiche internazionali come “l’effetto Tequila” nel 1995 o la crisi del sud-est asiatico del 1997 che hanno contribuito alla frenata della crescita economica argentina. ______________________________

92 Con la fine del mandato di Menem iniziò una fase di recessione che si trasformò nella recessione più lunga e distruttiva dell’Argentina.

Grafico 16: Evoluzione delle tre grandezze rispetto al PIL. L’entrate totali sono costituite da imposte, contributi sociali, contributi da ricevere e altre entrate; la spesa totale è costituita dalla spesa totale e dall'acquisizione netta di attività non finanziarie; Il debito lordo è costituito da tutte le passività che richiedono il pagamento o il pagamento di interessi e / o capitale da parte del debitore al creditore in una o più date future. (Fonte: FMI World Economic Outlook Database)

Nel 1999, con la fine del mandato di Menem, fu eletto il nuovo presidente De la Rua. La situazione che si presentava al nuovo governo era al quanto critica. Il livello del debito estero continuava a salire. Per far fronte agli impegni legati al debito pubblico collocato all’estero, l’Argentina aveva continuato a finanziarsi attraverso la sottoscrizione di nuovi prestiti concessi dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il tasso di cambio fisso rendeva le esportazioni costose e convenienti le importazioni, portando ad una fuoriuscita di capitali dallo stato verso paesi esteri e provocando la deindustrializzazione dello stesso, con conseguente riduzione del tasso di occupazione e del PIL. De la Rua si trovò quindi una situazione in cui vi era un elevato livello di tasso di disoccupazione ed un economia entrata in fase di stagnazione. Le politiche messe in atto dal nuovo governo però non aiutarono la ripresa economica ma piuttosto contribuirono ad alimentare la situazione di recessione del paese. Il vero tracollo iniziò

93 negli anni 2000 quando gli investitori iniziarono a perdere fiducia nei confronti dell’Argentina. In questo periodo si assisti alla fuga di capitali dall’Argentina all’estero; si scatenò la cosi detta corsa agli sportelli dove i risparmiatori iniziarono a ritirare i propri capitali dai conti correnti bancari e a convertirli in valuta estera. Questa situazione di sfiducia fu maggiormente alimentata da misure politiche adottate dal nuovo governo poco idonee, come ad esempio le ‘corralito’, ovvero misure che vietarono, per 12 mesi, il prelievo di grandi somme dagli istituti bancari, permettendo solo il prelievo di piccole somme e congelando quindi i conti correnti dei risparmiatori. Inoltre furono attuate forti pressioni fiscali, insostenibili per la popolazione che non era in grado di sostenerle, portando sempre più l’economia in recessione. Iniziarono da qui una serie di manifestazioni che portarono, nel 2001, alle dimissioni di De la Rua. Nello stesso anno fu nominato un governo ad interim (provvisorio) guidato da Saá il quale, di fronte alla mancata possibilità di ripagare il debito, dichiarò lo stato di default sulla maggior parte del debito pubblico argentino (132 miliardi). Lo stesso Saá, incapace di gestire la crisi di quel periodo, diede le sue dimissioni e fu nominato, ad interim, il nuovo presidente Duhalde, il quale rimase in carica fino al 2003.

La prima misura adottata dal nuovo governo fu quella di abbandonare la parità del tasso di cambio. Il pesos fu lasciato libero di fluttuare rispetto al dollaro. Ovviamente si registrò un deprezzamento della valuta argentina arrivando ad un rapporto di cambio di 1:4 con il dollaro. Questo inizialmente ebbe effetti negativi per l’economia argentina in quanto, ormai dipendente dalle importazioni, il deprezzamento del pesos aumentò il costo delle stesse. La disoccupazione e l’inflazione continuarono ad aumentare ed aumentò anche la povertà della popolazione. Una fase di stabilità si raggiunse nel 2003 con l’elezione del presidente Kirchner il quale rimase in carica fino al 2007 e succeduto da sua moglie.

94 Grafico 17: Andamento valuta argentina (Fonte: The World Bank)

In questo periodo si registra un segnale di ripresa con la riduzione dell’inflazione e della disoccupazione. La politica fiscale del nuovo governo si basava su manovre volte ad aumentare la pressione fiscale; un esempio è stata la ‘Resolución 125’ con la quale fu aumentata la tassazione delle esportazioni del settore agricolo. L’incidenza fiscale è passata dal 26% nel 2003 al 51% nel 2013, collocando l’Argentina come uno tra i paesi con più alta incidenza fiscale al mondo. Un altro punto della politica di Kirchner riguarda l’aumento della spesa pubblica. Da sempre l’Argentina si è caratterizzata per un utilizzo della spesa pubblica maggiore rispetto alle risorse disponibili. Tra il 2003 ed il 2014 il tasso di crescita annuale della spesa pubblica è aumentato del 26% in termini nominali (5% in termini reali, rispetto all’inflazione). Il principale creditore dell’Argentina era il BCRA in quanto bisogna ricordare che dopo il default del 2001 il mercato argentino ha avuto un accesso limitato ai mercati del credito internazionali. Altra riforma introdotta è stato il controllo dei capitali nel 2011. Questo consisteva nella concessione di autorizzazioni da parte di organi statali nel trasferimento di dollari (USD). Come prima conseguenza si ebbe una forte riduzione delle riserve in valuta estera presso il BCRA. Il problema non erano gli USD in uscita dal paese quanto i dollari in entrata derivanti da investitori esteri. Con l’introduzione del controllo dei capitali sempre più investitori rinunciarono ad investire in Argentina in quanto vi era un

95 vincolo sul rimpatrio dei propri fondi che rendeva impossibile ritirare il capitale senza un permesso speciale dal parte del governo.

La situazione iniziò a sfuggire di mano quando, nel 2010, dopo aver ripagato l’intero debito nei confronti del FMI nel 2006 per evitare controlli periodici dello stesso, l’Argentina chiese aiuto al FMI nel raccogliere e trasformare i dati economici. I dati forniti dall’Argentina non rispettavano però la qualità dell’indice richiesta dal Fondo e, dopo un avvertimento nel 2011, il FMI decise di “censurare” l’Argentina nel 2013 in quanto non era in grado di fornire calcoli accurati del PIL e del IPC (indice dei prezzi al consumo). Questa rappresentò la prima censura in assoluto di uno stato da parte del FMI38.

Parallelamente a questo episodio, l’episodio che ha poi portato l’Argentina a dichiarare default nel 2014 è stata la sentenza di Griesa, giudice presso il tribunale del distretto sud di New York. Tutto iniziò con il default del 2001 quando l’Argentina propose di scambiare le obbligazioni in default con nuove obbligazioni con un valori di circa 30 centesimi per USD. Nel 2010 circa il 93% degli obbligazionisti accettarono l’offerta di ristrutturazione del debito (holdin); solo il 7% invece rifiutarono l’offerta e richiedevano il totale rimborso del capitale (holdout). Poiché l’Argentina, dal 2001 in poi, aveva continuato a pagare solo gli holdin, gli holdout fecero causa all’Argentina sostenendo che quest’ultima stesse violando la clausola ‘par passu’39

. La controversia fu quindi affidata al giudice Griesa il quale, dopo una serie di vicissitudini, nel 2012 ordinò all’Argentina il pagamento delle obbligazioni inadempiute nei confronti degli holdout. Nonostante ciò l’Argentina continuò a rifiutarsi di pagare gli holdout mettendo a disposizione fondi destinati soltanto agli holdin. La mancata osservanza della sentenza imposta dal giudice portò alla concessione di un periodo di grazia di 30 giorni prima del default e, nel 2014, l’Argentina si trovò a scegliere tra due opzioni: o pagare le partecipazioni degli holdout o dichiarare il default. Il 30 Luglio 2014 l’Argentina risulterà automaticamente inadempiente per un totale di $29 miliardi di debito.

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38 “Argentina’s post-2001 economy and the 2014 default”, Carolyn Thomas, Nicolás Cachanosky; 2015.

39 Clausola con la quale tutti gli obbligazionisti vengono trattati egualmente; non ci sono diritti di prelazione tra gli

96 Diverse sono state le discussioni sul default del 2014. Si è discusso se si possa parlare di default vero e proprio o piuttosto di un default ‘tecnico’. Se, in assenza della sentenza, l’Argentina fosse risultata comunque inadempiente oppure la sentenza ha bloccato il trasferimento dei fondi provocando il default argentino. Certo è che il default del 2014 è legato al default del 2001 per via del mancato pagamento di una piccola quota di partecipazioni (7%) e alla mancata volontà del governo di adempiere alle obbligazioni in essere. Nel dicembre del 2015 Macri vince al ballottaggio diventato il nuovo Presidente dell’Argentina. La situazione ereditata dai Kirchner è abbastanza drammatica. Elevati livelli di inflazione e disoccupazione sono di nuovo i protagonisti dell’economia argentina. Inoltre le riserve in valuta estera presso il BCRA sono esaurite, continua ad aumentare il deficit pubblico ed il mercato argentino è caratterizzato da barriere protezionistiche (con controlli sui capitali) e controllo sui prezzi; senza tralasciare la pressione fiscale elevata. Le manovre poste in essere dal nuovo governo Macri vengono delineate in contrasto con le misure che hanno caratterizzato i precedenti governi. La nuova amministrazione ha attuato una serie di politiche di austerità, ad esempio attraverso la riduzione dei sussidi statali nei confronti dei trasporti, dell’elettricità e del gas e cercato di non aumentare il livello di pressione fiscale già troppo elevato. Inoltre, si è assistito alla rimozione dei controlli valutari, il quale ha favorito le importazioni sfruttando la svalutazione del peso del 30% rispetto al dollaro, e alla riduzione delle tariffe sui beni, in particolar modo quelle relative all’esportazioni. Furono abbandonate le politiche sulla fissazione dei prezzi sul alcuni servizi, portando i prezzi ad aggiustarsi al loro valore di mercato, registrando incrementi anche del 100%. Tutte queste manovre però non hanno avuto conseguenze positive sul livello di inflazione del paese, arrivando, nel 2019, al livelli pari al 54.4%. Si è registrato un livello di impoverimento in crescita. Nello stesso periodo, gli USA hanno aumentato il livello dei tassi di interesse il quale ha potato alla fuga di capitali dall’Argentina e all’aumento dei tassi di interesse fino al 70%, nella speranza di attirare nuovi capitali esteri e ricostituire le riserve in valuta estera, nel 2018 quando il peso si svalutò del 6% in un giorno.

97 Grafico 18: Andamento grandezze economiche argentine dal 1970 al 2019 (Fonte: Datastream)

Questi episodi portarono alla concessione di un prestito da parte del FMI pari a 57 miliardi di dollari, registrato come il più grande nella storia del Fondo. Si certificò quindi cosi il fallimento del governo Macri, dove si è registrato complessivamente un aumento del livello di povertà della popolazione, aumento del livello di disoccupazione, l’aumento dell’inflazione, l’aumento del debito pubblico e un peso argentino svalutato con un tasso di cambio di $1:60 pesos. Con le elezioni del 2019 è stato sancito il fallimento di Macri che ha perso le elezioni contro Fernandez, il nuovo Presidente argentino.

La possibile vittoria del nuovo presidente, appartenente al peronismo, sembra aver spaventato i mercati già prima delle elezioni, i quali hanno reagito e portato alla svalutazione del peso rispetto al dollaro. Alla caduta del peso ha fatto seguito la caduta della borsa, la quale ha registrato una sequenza di ribassi, accendendo i timori di una nuova fuga di capitali dal paese e portando all’aumento dei tassi di interesse da parte della Banca centrale argentina. I timori dei mercati sono legati soprattutto alle politiche che possono essere messe in atto dal nuovo governo, il quale segue il filone del protezionismo posto in essere dall’amministrazione di Kirchner.

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ARGENTINA (Valori %)

98 La prima sfida che dovrà essere affrontata dal nuovo governo sarà quella di gestire la svalutazione del peso rispetto al dollaro. Infatti più aumenta il cambio e maggiore sarà la difficoltà nel ripagare il debito estero espresso in dollari. Inoltre dovrà essere gestita la nuova ristrutturazione del debito. Il governo uscente di Macri, in Agosto, aveva infatti annunciato la riorganizzazione del debito a breve, medio e lunga scadenza andando ad agire non sulle quote di interessi ma sull’allungamento delle scadenze delle obbligazioni emesse, con l’obiettivo di ridurre l’inflazione e controllare il tasso di cambio. Questa ristrutturazione viene indicata con il termine di “selective default” e riguarda 110 miliardi di dollari.

Il destino dell’economia argentina è di nuovo sospeso su un filo che sembra oscillare intorno al default.

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