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Analisi della misurazione del rischio di credito di stati sovrani tramite credit default swap e rendimenti obbligazionari: un confronto tra il caso italiano e quello argentino.

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Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea in Banca, Finanza aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea Magistrale

Analisi della misurazione del rischio di credito di

stati sovrani tramite credit default swap e

rendimenti obbligazionari: Un confronto tra il

caso italiano e quello argentino

Relatore Candidato

Prof. Emanuele Vannucci Giada Barzotti

(2)

1

“Vedi, vedi che il buio è soltanto una breve

rinuncia del sole, e ciecamente, credi.”

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2

INDICE

INTRODUZIONE 5 1.TITOLI OBBLIGAZIONARI 7 1.1 Introduzione 7 1.2 Le obbligazioni (descrizione) 7

1.3 Fattori che ne determinano il prezzo 8

1.4 Categorie d’obbligazioni 12

1.4.1 Zero Coupon Bond 13

1.4.2 Fixed Coupon Bond 14

1.4.3 Floating Coupon Rate 15

1.5 Titoli di stato 17 1.5.1 BOT 18 1.5.2 CTZ 19 1.5.3 CCT 20 1.5.4 BTP 21 1.5.5 BTP€i/BTP Italia 22 1.5.6 Regolamentazione (cenni) 23

2. MISURAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO DI CREDITO 25

2.1 Introduzione 25 2.2 Le tipologie di rischio 25 2.2.1 Rischio di interesse 26 2.2.2 Rischio di liquidità 28 2.2.3 Rischio di cambio 29 2.3 Rischio di credito 30 2.3.1 Probabilità di default 31

2.3.2 Loss given default 41

2.3.3 Credit exposure 43

2.3.4 Modelli di misurazione del rischio di credito 48

(4)

3

2.5 Gestione del rischio di credito: i derivati creditizi 54

2.5.1 Contratti single-name 57

2.5.2 Contratti multi-name 59

2.5.3 Pricing dei derivati creditizi 61

3.CREDIT DEFAULT SWAP E MERCATO OBBLIGAZIONARIO 63

3.1 Introduzione 63

3.2 Credit Default Swap (CDS) 64

3.2.1 Negoziazione CDS 68

3.2.2 Regolamentazione 68

3.3 Modelli di pricing di un Credit Default Swap 70

3.3.1 Modello di O’Kane & Turnbull 70

3.3.2 Fattori necessari per l’esecuzione del modello 77

3.4 Legami tra Mercato obbligazionario e Credit Default Swap 78

3.4.1 CDS-Bond basis: confronto ed equilibrio dei due mercati 79

3.4.2 Fattori che influenzano la CDS-Bond basis 82

3.5 CDS sovrani 85

4.ANALISI DELLA MISURA DEL RISCHIO DI CREDITO TRA CREDIT DEFAULT SWAP E RENDIMENTI OBBLIGAZIONARI NELL'ESPERIENZA ITALIANA ED ARGENTINA 89

4.1 Introduzione 89

4.2 Panoramica storica 89

4.2.1 Argentina 89

4.2.2 Italia 98

4.3 Fenomeni che hanno dato vita all’importanza dei CDS come strumento assicurativo nei due mercati (cenni) 104

4.3.1 Argentina 104

4.3.2 Italia 106

4.4 Variazione dei CDS spread su bond argentini e su bond italiani: come viene influenzata la percezione del rischio di credito sovrano al verificarsi di eventi instabili 107

(5)

4

4.4.1 Dati 108

4.4.2 Argentina 110

4.4.3 Italia 119

4.5 Commento dei risultati ottenuti 127

4.5.1 Fenomeno di stabilità 127

4.5.2 Fenomeno di genesi finanziaria 128

4.5.3 Fenomeno di genesi macroeconomica 131

4.5.4 Fenomeno di genesi politica 132

4.5.5 Conclusioni 134

CONCLUSIONE 136

BIBLIORAFIA 138

SITOGRAFIA 142

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5

INTRODUZIONE

Quotidianamente si sente ormai definire il rischio italiano e sovrano in generale attraverso l’utilizzo di termini quali “spread”e “CDS”. Con l’introduzione negli anni ’90 di strumenti derivati in grado di poter assumere una copertura nei confronti del rischio sovrano (e non), il rischio di credito di un paese viene sempre più misurato attraverso tali strumenti. Gli strumenti in essere vengono definiti con il termine di “credit default swap”, i quali altro non sono che uno scambio della probabilità di insolvenza su un credito in essere. Altro strumento che permette, a fianco dei CDS, di comprendere la rischiosità percepita di un paese è lo “spread”. Con questo termine ci si riferisce al differenziale di rendimento esistente tra un obbligazione considerata rischiosa ed una considerata priva di rischio.

Il lavoro svolto ha l'obiettivo di andare ad analizzare il rischio di credito di stati sovrani ponendo a confronto i credit default swap ed i rendimenti obbligazionari dei titoli di stato. Nello specifico l'analisi è stata svolta nell'esperienza italiana ed argentina confrontando i risultati ottenuti dall’analisi dei CDS spread e dei rendimenti storici a 5 anni su diversi intervalli temporali individuati in trimestri ed evidenziando, in situazioni di instabilità per entrambi i paesi, la dominanza di una delle due curve rispetto all’altra e come varia quindi la misura del rischio di credito sovrano. Ciò significa che la differenza tra lo spread dei credit default swap e lo spread dei rendimenti obbligazionari (CDS-Bond basis) sia argentini che italiani risulta essere variabile e positiva/negativa a seconda del fenomeno di instabilità esaminato, portando le due curve ad allontanarsi dall'equilibrio teorico, nel quale si afferma come i CDS spread e i bond spread debbano essere coincidenti. Tale scostamento si registra anche in un situazione di stabilità, dove però l'ampiezza tra le due curve si riduce, fino a diventare quasi nulla nel caso italiano. Il lavoro si suddivide in quattro capitoli. Nel primo capitolo viene affrontato il tema dei titoli obbligazionari, definendone le caratteristiche e le tipologie di titoli esistenti per poi passare, nello specifico, all’analisi dei titoli di stato italiani. Nel secondo capitolo si affronta invece il tema del rischio derivante dal possesso dei titoli obbligazionari; dopo aver individuato i principali rischi connessi ai titoli, si fa particolare riferimento al rischio di credito. Vengono quindi individuati i fattori che compongono e definiscono il

(7)

6 rischio di credito per poi accennare alle metodologie di misurazione, gestione e copertura del rischio stesso attraverso strumenti derivati. Da qui si arriva al capitolo tre il quale pone l’accento su un particolare strumento derivato: il credit default swap. Anche in questo caso si analizzano le caratteristiche e le particolarità dello strumento, si cerca di capire come viene definito lo spread di un CDS, attraverso il ricorso al modello sviluppato da O’Kane & Turnbull (2003), ed il legame esistente tra CDS e mercato obbligazionario, attraverso la definizione della CDS-Bond basis. Infine, il capitolo quattro confronta i CDS spread con gli spread dei rendimenti obbligazionari per la misurazione del rischio di credito, nello specifico, italiano ed argentino, paragonando poi le due situazioni e definendo il comportamento delle due curve al verificarsi di fenomeni di instabilità.

Il confronto tra i due paesi nasce dalla volontà e dalla curiosità di andare a vedere come i mercati dei capitali di due paesi altamente differenti tra di loro percepiscono il rischio di credito legato al paese stesso. L’Argentina è ormai noto come sia un paese emergente ad alto rischio di credito con alle spalle numerosi default che rendono instabile ed insicuro il mercato; l’Italia invece è considerato un paese sviluppato e di conseguenza più sicuro, anche se determinati eventi hanno fatto indebolire tale sicurezza. Lo studio è stato svolto attraverso l’analisi di dati storici recuperati attraverso l’utilizzo della piattaforma “Datastream” ed è stato interessante vedere come il fenomeno che provoca maggior scompiglio nei mercati finanziario ed aumenta il rischio di credito percepito sia differente tra i due paesi.

(8)

7

CAPITOLO 1

TITOLI OBBLIGAZIONARI

1.1 Introduzione

In questo capitolo verrà affrontato il tema dei titoli obbligazionari, andando ad analizzare ciò che caratterizza un obbligazione, i fattori che ne determinano il prezzo e le diverse categorie individuabili; l’attenzione verrà poi focalizzata sui titoli di stato essendo questi oggetto di studio del presente lavoro con un piccolo cenno sulla disciplina vigente che regola l’emissione ed il collocamento di questi ultimi.

1.2 Le Obbligazioni (descrizione)

In ambito finanziario l’obbligazione può essere definita come un titolo di debito, emesso da ente pubblico o società che riconosce al suo possessore, a scadenza, il diritto al rimborso del capitale investito più un interesse calcolato su tale somma. Dal lato dell’investitore questo può essere considerato come un vero e proprio strumento finanziario e quindi una forma di investimento. Dal lato dell’emittente rappresenta invece un prestito obbligazionario utile a reperire la liquidità necessaria per finanziare la propria attività.

Il rimborso del capitale da parte dell’emittente avviene a scadenza al valore nominale (ovvero al valore teorico) mentre il pagamento degli interessi (o cedola) è periodico e può essere trimestrale, semestrale o annuale.

La prima fase di scambio avviene nel mercato primario dove il debitore, definito emittente, colloca il proprio prestito obbligazionario e la controparte, il sottoscrittore, sottoscrive il prestito. A questo punto il sottoscrittore può decidere di tenere il titolo fino a scadenza e godere dei flussi oppure rivenderlo sul mercato secondario, dove colui che acquista il titolo ne diventa il portatore.

(9)

8

1.3 Fattori che determinano il prezzo

È interessante capire da quali fattori il prezzo di un obbligazione sia influenzato per capire come le oscillazioni di tale valore abbiano ripercussioni sulle strategie di investimento e di copertura attuate da un ipotetico investitore ed il legame esistente con i derivati creditizi (argomento che verrà trattato nei capitoli successivi).

Il prezzo di un obbligazione è dato dal valore attuale, al tempo , del flusso di pagamenti futuri composto dal valore nominale del titolo pagabile a scadenza e, se previste, le cedole con scadenze periodiche. Questi flussi vengono attualizzati ad un tasso di sconto adeguato pari al tasso di interesse di mercato (r)

(1.1)

Si può dire che il prezzo di un obbligazione è generalmente influenzato da:

 Tasso di interesse di mercato

Scadenza dell’obbligazione (maturity)

 Cedola

 Rischiosità dell’emittente

Come si evince dalla formula, esiste una relazione inversa tra il prezzo (P) e il rendimento (r) del titolo. In particolare questa relazione può essere descritta come una funzione non lineare e rappresentata da una curva con inclinazione decrescente (grafico 1).

(10)

9 Dato un certo livello di rendimento e prezzo iniziale, più aumenta il tasso di rendimento dell’obbligazione più il prezzo diminuisce fino a tendere a zero con elevatissimi livelli di rendimento. La cosa inversa succede con la riduzione del tasso di rendimento del titolo. Minore è il rendimento dell’obbligazione e maggiore sarà il prezzo d’acquisto da pagare fino al punto in cui, con rendimento dello 0%, il prezzo sarà uguale alla somma dei flussi di cassa generati.

Da questa relazione inversa emerge l’influenza e l’importanza di un altro fattore quale la rischiosità. È evidente che il prezzo di un titolo dipenda molto dalla rischiosità attribuita all’emittente, la quale viene espressa sotto forma di merito creditizio, rappresentato dal rating.

Il rating è un elemento di giudizio che fornisce sia una valutazione sulla rischiosità dell’emittente che informazioni utili al mercato. Questo viene spesso espresso attraverso simboli alfa-numerici che permettono la semplice e chiara interpretazione del giudizio rendendolo accessibili a qualunque tipo

di investitore.

Le agenzie di rating più diffuse sono note come le tre sorelle (Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch). Nella tabella vengono riportati tutti i valori di rating, partendo dalla situazione ottima dove si ha la massima sicurezza del capitale (basso rischio) fino ad arrivare ad una valutazione negativa (default).

Il rendimento di un obbligazione è direttamente proporzionale alla rischiosità. Maggiore è la rischiosità dell’emittente e maggiore sarà il rendimento del titolo, questo perché un emittente valutato con rating inferiore rispetto ad un altro emittente dovrà

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10 essere disposto a pagare cedole più elevate per attirare investitori, i quali richiedono rendimenti maggiori per sopportare il maggiore rischio di credito (dafault) derivante dall’acquisto del titolo. Il differenziale di rendimento viene definito come “premio per il rischio”. Ne segue quindi che maggiore è la rischiosità, maggiore è il rendimento richiesto e minore sarà il prezzo d’acquisto del titolo in quanto c’è una probabilità maggiore per l’investitore, a scadenza, di non vedersi rimborsato il capitale. Nel grafico 2 viene illustrata, attraverso una piccola analisi, la relazione esistente tra rischiosità (rating) e rendimento.

Per dimostrare quanto affermato fino ad ora, ho preso come campione di dati 4 paesi dell’eurozona aventi tra di loro differente livello di rischiosità (espressa dal rating attribuito dall’agenzia Standard & Poor’s). I paesi in esame sono Germania, Spagna, Italia e Grecia ed i titoli presi a riferimento sono titoli di stato con scadenza 5 anni e stesse caratteristiche (dal 2014 al 2019). Riportando graficamente i rendimenti dei titoli dei 4 paesi (ottenuti tramite la piattaforma Datastream) e confrontandoli con i livelli di rating assegnati ai diversi paesi nei diversi periodi (vedi Allegato 1) si nota la relazione esistente tra rischiosità e rendimento.

Grafico 2: Rendimento dei titoli di Stato a 5 anni (2014-2019)

Ad esempio, prendendo a riferimento la Grecia si ha un elevato aumento del rendimento del titolo (con picchi che si avvicinano al 25%) nel periodo che va da marzo 2015 a

-5 0 5 10 15 20 25 30 n o v-14 feb -15 m ag -15 ago -15 n o v-15 feb -16 m ag -16 ago -16 n o v-16 feb -17 m ag -17 ago -17 n o v-17 feb -18 m ag -18 ago -18 n o v-18 feb -19 m ag -19 ago -19

(12)

11 luglio 2015, stesso periodo nel quale S&P ha modificato il rating declassandolo da B a CCC- . La successiva e graduale discesa del rendimento negli anni successivi, fino al 2019, va di pari passo con il miglioramento del rating, il quale è passato da CCC- (2015) a B+ (2019). Il rendimento greco rimane comunque più alto rispetto a quello tedesco. Questo perché la Germania è considerata un paese sicuro con un rating AAA che è rimasto da sempre costante nel tempo. I suoi rendimenti, infatti, dal 2014 al 2019 sono sempre oscillati intorno allo 0%.

Nella definizione del prezzo bisogna considerare anche la maturity del contratto e la presenza di cedole. Ritornando alla formula (1.1), è ovvio come maggiore è la durata (T) dell’obbligazione e minore sarà il prezzo al tempo . Questo perché l’investitore si trova a dover rinunciare al proprio capitale per un lasso di tempo maggiore. Questo effetto può essere in parte compensato dal pagamento di cedole periodiche. Anche in questo caso, a seconda che l’obbligazione sia senza cedole o con cedole varia il prezzo d’acquisto. Nel primo caso, se l’obbligazione è zero-coupon il prezzo iniziale sarà dato esclusivamente dall’attualizzazione del valore nominale a scadenza; se invece l’obbligazione prevede il pagamento di cedole, allora il prezzo iniziale terrà conto pure del valore attuale delle stesse. In questo secondo caso bisogna considerare poi la rischiosità derivante dalla variazione di tasso di interesse. In una situazioni in cui la cedola sia fissa, supponiamo che un obbligazione con prezzo di emissione pari a 100 paga una cedola annuale di 6, significa che il tasso di interesse è pari al 6% ottenuto dal rapporto: cedola/prezzo del titolo. Una variazione del tasso di interesse nel mercato pari a 2 punti percentuali (da 6% a 8%) provoca una variazione nel prezzo del titolo perché, a parità di cedola, la variabile che dovrà essere aggiustata sarà proprio il prezzo attraverso la formula inversa: prezzo titolo = tasso d’interesse/cedola. Si avrà quindi che il nuovo prezzo sarà pari a 75, a fronte dell’aumento del tasso di interesse, pari all’8%, e cedola costante pari a 6%.

In conclusione emerge come nella definizione del prezzo di un obbligazione diversi siano i fattori che entrano in gioco e che bisogna considerare nel momento in cui un soggetto intende approcciarsi a questi strumenti. È importante non soffermarsi solo sul rendimento del titolo ma anche sulle condizioni economico-generali che possono andare ad influenzare direttamente o indirettamente il valore del titolo.

(13)

12

1.4 Categorie di obbligazioni

Le obbligazioni di possono classificare sulla base di diversi parametri. Sulla base della gerarchia di risarcimento possiamo avere:

Bond senior = colui che lo possiede, in caso di fallimento dell’emittente, viene risarcito per primo;

Bond subordinato = il risarcimento avviene una volta risarciti i detentori dei bond senior.

In base al prezzo di emissione si può distinguere un’obbligazione emessa:

Alla pari (par bond): il valore nominale coincide con il prezzo d’emissione;

Sopra la pari: il valore nominale è inferiore al prezzo d’emissione;

Sotto la pari: il valore nominale è superiore al prezzo d’emissione. Dal punto di vista dell’emittente distinguiamo:

Titoli di Stato: emessi direttamente dallo Stato;

Corporate bond: l’obbligazione viene emessa da una società;

Obbligazioni sovranazionali: emesse da organizzazioni internazionali.

Esistono poi titoli che permettono di trasformare un’obbligazione in azione. Tra queste troviamo le obbligazione convertibili, che permettono di trasformare l’obbligazione in azioni dello stesso emittente e a condizioni predefinite; e le obbligazioni con warrant, le quali riconoscono il diritto al possessore del bond di acquistare azioni dell’emittente ad un prezzo predeterminato. In quest’ultimo caso però l’obbligazione rimane in vita anche dopo l’esercizio del diritto.

Infine, le obbligazioni possono essere classificate anche in base alla cedola, individuando 3 principali categorie di obbligazioni e sulle quale ci soffermeremo poiché utili allo svolgimento e alla comprensione dei temi trattati nei successivi capitoli. Le obbligazioni possono essere distinte in: zero-coupon bond, fixed-coupon bond e floating-rate note.

(14)

13

1.4.1 Zero-coupon bond (ZCB)

Un’obbligazione zero-coupon è un titolo emesso a sconto (ovvero sotto la pari) e per la quale non è previsto lo stacco di cedole periodiche. Il rendimento di un ZCB è quindi rappresentato dalla differenza tra il valore nominale (o valore di rimborso, somma che il sottoscrittore riceve a scadenza) ed il prezzo di emissione (somma che il sottoscrittore versa al momento dell’acquisto).

Dove:

Vn = valore nominale

Pv = prezzo di emissione (o present value).

Come sottolineato inizialmente, lo ZCB viene emesso sotto la pari il che significa che il present value (Pv) sarà inferiore rispetto al valore nominale.

Dato Vn (valore nominale) e r (rendimento o tasso di interesse), possiamo definire il prezzo d’emissione come

Dove T rappresenta il numero di periodi fino a scadenza.

Dalla formula si nota subito come maggiore è il valore T o r e minore sarà il prezzo d’emissione. Quando i tassi d’interesse (r) sono alti minore sarà il present value; ugualmente maggiore sarà la scadenza T e minore sarà il prezzo d’acquisto dell’obbligazione.

Dalla formula sopra si può ovviamente ricavare anche la formula che esplica il valore nominale. Dato Pv, r e T il valore nominale di uno ZCB sarà

(15)

14

1.4.2 Fixed-coupon bond (FCB)

La fixed-coupon bond (FCB) è un obbligazione a cedola fissa che riconosce all’investitore il diritto di ricevere periodicamente il pagamento di una cedola predeterminata per tutta la vita del titolo e, a scadenza, il rimborso del capitale (più l’ultima cedola).

Possiamo definire il prezzo d’acquisto (Pv) di un FCB come la sommatoria del valore scontato dei flussi di cassa futuri.

Dove:

 = cash flow al periodo i

 = periodo di ogni pagamento

 = numero di periodi fino a scadenza

Per tutti i valori prima della scadenza ( , altro non è che il valore della cedola periodica riconosciuta all’investitore. Dato c il tasso cedolare e Vn il valore nominale, si avrà che .

A scadenza ( ) invece il valore che si ha sarà cosi composto

(16)

15 Dove al valore nominale verrà sommato il valore dell’ultima cedola spettante all’investitore.

1.4.3 Floating coupon rate (FCR)

Il floating coupon rate (FCR) è un obbligazione a cedola variabile che, come per lo ZCB, riconosce all’investitore il diritto di ricevere periodicamente il pagamento di una cedola e a scadenza ottenere il rimborso del capitale dato dal valore nominale più l’ultima cedola. A differenza dello ZCB, però, il valore della cedola non è noto a priori ma è indicizzato a parametri di riferimento di mercato e può quindi variare nel tempo. L’investitore non conosce quindi a priori il rendimento dell’investimento.

I parametri di mercato con cui indicizzare la cedola posso essere molteplici; ad esempio alcune obbligazioni a tasso variabile sono legate all’ Euribor o al tasso dei fondi federali a 3 o 6 mesi mentre altre vengono indicizzate al LIBOR. Altro parametro utilizzato può essere l’inflazione, dove il rendimento dell’obbligazione varia al variare del tasso d’inflazione (inflaction linked bond).

In questo caso il valore della cedola sarà rappresentato dal tasso di riferimento di mercato scelto più uno spread quotato (o margine) che rimane costante nel tempo. Non è possibile calcolare quindi il rendimento esatto dell’obbligazione, ma esistono dei parametri che permettono di valutare il vantaggio di un obbligazione rispetto ad un'altra. Tra questi un riferimento è il discount margin, calcolato partendo dal prezzo, dalla scadenza e dall’indicizzazione del titolo utilizzata. Questo permette all’investitore di

(17)

16 fare confronti tra bond a cedole variabili (purché abbiano stesso rating) rilanciando un valore che rappresenta “quanto quel titolo pagherà rispetto al normale tasso di riferimento” (es. un discount margin di 20 significa che il titolo pagherà lo 0.20% del tasso di riferimento). Si possono poi prevedere tassi di interesse minimali (floor) e massimali (cap) definendo un intervallo di valori entro il quale si può muovere il rendimento del titolo.

È abbastanza evidente notare come il meccanismo dei bond a cedola variabile sia l’opposto dei bond a cedola fissa. In una situazione di aumento dei tassi d’interesse, i detentori di un obbligazione a cedola fissa saranno penalizzati poiché i bond di nuova emissione avranno un rendimento maggiore rispetto a quelli posseduti. Diverso sarà per coloro che possiedono obbligazioni a cedola variabile poiché il loro valore si aggiusterà in funzione della variazione dei tassi si interesse e quindi il rendimento si incrementerà di pari passo con i tassi di mercato. Discorso inverso si ha se i tassi di mercato diminuiscono, portando quindi beneficio ai detentori di bond a cedola fissa piuttosto che a coloro che detengono bond a cedola variabile, i quali vedranno diminuire il valore del proprio investimento.

Quindi i FCR offrono maggiore protezione rispetto alla volatilità in quanto hanno una duration pressoché pari a zero e quindi il prezzo non è influenzato dalle variazioni dei tassi di mercato poiché la cedola si aggiusta automaticamente a questi. D’altro canto bisogna sempre tenere in considerazione che variazioni in negativo dei tassi di mercato di riferimento hanno delle ricadute negative sul rendimento dell’obbligazione.

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17

1.5 Titoli di Stato

Come accennato nel paragrafo precedente, le obbligazioni si possono classificare in base all’emittente, distinguendo titoli di Stato ed obbligazioni societarie. In questo paragrafo ci soffermeremo sull’analisi dei Titoli di Stato cercando di capire come questi si distinguono tra loro, le diverse categorie di obbligazioni che possono essere emesse dal Dipartimento del Tesoro e il loro funzionamento.

I titoli di Stato sono obbligazioni che vengono emesse regolarmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con lo scopo di finanziare il debito pubblico (o direttamente il deficit1). Le categorie di obbligazioni che vengono emesse sono principalmente:

 Buoni Ordinari del Tesoro (BOT)

 Certificati del Tesoro Zero coupon (CTZ)

 Certificati di Credito del Tesoro (CCT)

 Buoni del Tesoro Poliennali (BTP)

 Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’inflazione europea/italiana (BTP€i/BTP Italia) TITOL O DURATA REMUNERAZIONE TAGLIO MINIMO MECCANISMO D’ASTA ALIQUOTA FISCALE RIMBORSO BOT 3, 6 e 12 mesi o inferiore a 12 mesi

Scarto d’emissione € 1.000 Asta competitiva sul

rendimento 12,5%

Alla pari, in unica soluzione a

scadenza

CTZ 24 mesi Scarto d’emissione € 1.000

Asta marginale con determinazione discrezionale di prezzo e quantità emessa 12,5% Alla pari, in un'unica soluzione a scadenza CCT 5 – 7 anni Cedole variabili semestrali, eventuale scarto d’emissione € 1.000

Asta marginale con determinazione discrezionale di prezzo e quantità emessa 12,5% Alla pari, in un'unica soluzione a scadenza BTP 3, 5, 7, 10, 15, 20, 30 e 50 anni Cedole variabili semestrali, eventuale scarto d’emissione € 1.000

Asta marginale con determinazione discrezionale di prezzo e quantità emessa 12,5% Alla pari, in un'unica soluzione a scadenza BTP€i 5, 10, 15 e 30 anni

Cedole reali semestrali, eventuale scarto

d’emissione e rivalutazione del capitale

a scadenza

€ 1.000

Asta marginale con determinazione discrezionale di prezzo e quantità emessa 12,5% In un'unica soluzione a scadenza

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18

1 All’investitore persona fisica che acquista i BTP Italia durante i giorni del periodo di collocamento e li detiene fino alla scadenza viene pagato il cd. “premio di fedeltà” che ha un valore del 4 per mille lordo sul valore nominale dell’investimento.

Tabella 1: Riassunto delle caratteristiche Titoli di Stato italiani (Fonte: MEF Dipartimento del Tesoro)

1.5.1 Buoni Ordinari del Tesoro (BOT)

I Buoni Ordinari del Tesoro (BOT) sono titoli senza cedola a breve termine con scadenza entro 12 mesi dall’emissione (3, 6 o 12 mesi). Essendo titoli zero-coupon la loro remunerazione ( è rappresentata dal cosiddetto scarto d’emissione, ovvero dalla differenza tra il valore nominale a scadenza ed il prezzo d’emissione, che sarà ‘sotto la pari’. Il capitale viene rimborsato a scadenza ‘alla pari’, ovvero coincide con il valore nominale del titolo.

Dove rappresenta la durata.

L’emissione dei BOT avviene attraverso aste competitive1

. Per i titoli trimestrali e annuali le aste si svolgono a metà mese, mentre per i titoli semestrali avvengono a fine mese. Una volta emessi, i BOT possono essere quotati nei mercati regolamentati, in particolare si ha il Mercato Telematico delle Obbligazioni dei Titoli di Stato (MOT) per ordini da 1.000€ o multipli, mentre per ordini superiori a 2.5 milioni di euro i titoli vengono negoziati sul Mercato Telematico a pronti dei Titoli di Stato (MTS).

______________________________

1

Un’asta in cui gli operatori inseriscono le proprie richieste in termini di rendimento, anziché di prezzo. Inoltre, l’asta competitiva prevede che ciascuna richiesta, se allocata, sia aggiudicata al tasso proposto. Pertanto l’asta competitiva si conclude con una molteplicità di tassi di allocazione, a fronte dei quali la Banca d’Italia calcola il rendimento medio ponderato e il corrispondente prezzo medio ponderato. Vengono soddisfatte in primo luogo le domande ai rendimenti più bassi e poi in ordine crescente le altre, fino al completo esaurimento della quantità offerta

BTP Italia

4, 6 e 8 anni

Cedole reali semestrali, rivalutazione semestrale del capitale e premio

fedeltà a scadenza1

€ 1.000

Collocamento diretto sul MOT, prezzo alla pari e prezzo cedolare reale annuo fissato

al termine del periodo di collocamento 12,5% In un'unica soluzione a scadenza

(20)

19 Come riportato anche sul sito del MEF, “i BOT presentano indubbi vantaggi in termini di gestione, poiché l’esborso finanziario richiesto per questo tipo di investimento è di norma inferiore al valore nominale di rimborso; inoltre non esiste l’esigenza di reinvestire i flussi percepiti periodicamente a titolo di interessi”.

Gli intermediari possono richiedere al cliente commissioni legate all’operazione le quali, dopo le norme sulla trasparenza nel collocamento dei Titoli di Stato (Decreto del 15 Gennaio 2015), vanno da un minimo di 0.3% ad un massimo del 0.15% in base alla durata residua del titolo oggetto dell’operazione (da 80 a 271 giorni). Tali commissioni vanno poi a sommarsi al prezzo applicato dall’intermediario al sottoscrittore.

1.5.2 Certificati del Tesoro Zero coupon (CTZ)

I Certificati del Tesoro Zero coupon (CTZ) possono essere assimilati ai BOT in quanto titoli di stato zero-coupon per i quali quindi la remunerazione è rappresenta esclusivamente dalla differenza tra il valore nominale ed il prezzo d’emissione (scarto d’emissione). Il rimborso del capitale avviene alla pari, in un'unica soluzione a scadenza. Si differenziano dai BOT per la durata, in quanto i CTZ hanno durata massima di 24 mesi.

L’emissione dei CTZ avviene attraverso asta marginale2

. con ‘determinazione

discrezionale del prezzo di aggiudicazione e della quantità emessa’. Questo prevede che le aste vengano aggiudicate tutte ad un medesimo prezzo, definito prezzo marginale3.

Solitamente l’astaviene svolta una volta al mese.

__________________________

2 L’importo di ciascuna richiesta non può essere inferiore a 500 mila Euro. Ognuna delle cinque richieste che il

singolo intermediario può effettuare deve indicare il nominale da sottoscrivere ed il relativo prezzo, con una differenza di almeno un millesimo di Euro fra le cinque offerte.

3

Il prezzo marginale viene determinato soddisfacendo le offerte, ordinate dal prezzo più alto, fino a quando la quantità domandata non è pari a quella offerta. Il prezzo dell'ultima domanda che viene soddisfatta determina poi il prezzo marginale.

(21)

20 Dalla loro emissione, questi possono essere quotati nei mercati regolamentati, in particolare si ha il Mercato Telematico delle Obbligazioni dei Titoli di Stato (MOT) per ordini da 1.000€ o multipli, mentre per ordini superiori a 2.5 milioni di euro i titoli vengono negoziati sul Mercato Telematico a pronti dei Titoli di Stato (MTS).

1.5.3 Certificati di Credito del Tesoro (CCT)

I Certificati di Credito del Tesoro (CCT) sono titoli di medio - lungo periodo con scadenza 7 anni dall’emissione. Questi sono titoli con cedola semestrale a tasso variabile il quale valore viene calcolato indicizzando la cedola al rendimento dei BOT semestrali nell’ultima asta che precede il pagamento della cedola stessa. Il rendimento quindi non è dato solo dallo scarto d’emissione ma anche dalle cedole periodiche, calcolate sommando al rendimento dei BOT in considerazione uno spread pari a 15 punti base (fissato nel 1996).

Dove

L’emissione dei CCT avviene, come previsto per i CTZ, attraverso asta marginale con ‘determinazione discrezionale del prezzo di aggiudicazione e della quantità emessa’, dalla quale si definisce il prezzo marginale. Le aste si tengono con cadenza mensile. Una volta emessi, i CCT possono essere quotati nei mercati regolamentati, in particolare si ha il Mercato Telematico delle Obbligazioni dei Titoli di Stato (MOT) per ordini da 1.000€ o multipli, mentre per ordini superiori a 2.5 milioni di euro i titoli vengono negoziati sul Mercato Telematico a pronti dei Titoli di Stato (MTS).

Nel 2010 è stato poi introdotto, a fianco dei CCT, una nuova tipologia di titolo di stato, ovvero il CCTEu. Questo titolo ha le stesse caratteristiche del CCT ma il tasso variabile è indicizzato non al rendimento del BOT semestrale ma al tasso d’interesse interbancario Euribor4 6 mesi. A questo si aggiunge poi uno spread che può variare da 0.6 a 1.0 a seconda della scadenza dell’obbligazione.

(22)

21

1.5.4 Buoni del Tesoro Poliennali (BTP)

I Buoni del Tesoro Poliennali (BTP) sono titoli a medio - lungo termine con scadenze che possono essere di 3, 5, 7, 10, 15, 20, 30 e 50 anni. I BTP rientrano nella categoria di fixed-coupon bond in quanto prevedono il pagamento di cedole periodiche fisse (semestrali), predeterminate. Il rendimento del titolo, anche in questo caso, è dato da due componenti. Allo scarto d’emissione (valore nominale meno prezzo d’emissione) si somma il valore della cedola semestrale il quale ammontare viene definito inizialmente e rimane costante per tutta la durata del titolo.

In questo caso è evidente come il prezzo del BTP è soggetto ad oscillazioni nel tempo in quanto sensibile ad oscillazioni del tasso d’interesse. Grazie alla formula di seguito riportata, la quale definisce il prezzo di un obbligazione, è intuitivo dimostrare come, data la cedola costante, a variazioni di tasso d’interesse il prezzo del BTP varia di conseguenza, in senso opposto.

Tali variazioni saranno più marcate quanto maggiore sarà la duration5 del titolo.

I BTP vengono emessi attraverso asta marginale con ‘determinazione discrezionale del prezzo di aggiudicazione e della quantità emessa’. La frequenza dell’asta avviene mensilmente. L’emissione dei BTP a 3, 7, 15 e 30 anni avviene nella seconda settimana del mese; per i BTP a 5 e 10 anni avviene durante l’ultima settimana del mese.

Come scritto dal MEF, il vantaggio dei BTP è che “sono particolarmente adatti per quegli investitori che richiedono pagamenti costanti ogni sei mesi”.

______________________________

4

EURo Inter Bank Offered Rate, tasso interbancario di offerta in euro, è il tasso interbancario di riferimento comunicato giornalmente e calcolato come media dei tassi d’interesse ai quali primarie banche attive nel mercato monetario dell’euro offrono depositi interbancari a termine in euro ad altre primarie banche.

5 Indica la media delle scadenze dei flussi del titolo (o del portafoglio) ponderata per i flussi scontati.

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22 Le varie scadenze esistenti sul mercato consentono agli investitori di programmare flussi di cassa regolari durante tutto l’arco dell’anno. Inoltre i BTP sono particolarmente apprezzati per la loro liquidità”. Infatti, oltre alla tradizionale occasione di negoziare i BTP sia sul mercato secondario MOT (per tagli minimi di 1.000€) che sul mercato regolamentato MTS (per tagli minimi di 2 milioni di euro), agli investitori istituzionali è riconosciuta la possibilità di negoziare tali titoli anche sul mercato non regolamentato (over-the-counter).

1.5.5 Buoni del Tesoro Poliennali indicizzati all’inflazione europea/italiana (BTP€i/BTP Italia)

Questi particolari titoli di stato sono stati introdotti nei primi anni del 2000. In particolare questi strumenti sono stati emessi con lo scopo di dare la possibilità all’investitore di proteggersi contro l’aumento del livello dei prezzi europei (BTP€i) o italiani (BTP Italia). La remunerazione del titolo è legata al livello d’inflazione, infatti sia le cedole semestrali che il capitale da rimborsare sono rivalutati periodicamente in base all’inflazione o europea o italiana (a seconda del titolo in esame). La rivalutazione del capitale avviene attraverso il Coefficiente di Indicizzazione6 (CI), il quale fa

riferimento all’inflazione rilevata dall’Istat (o Eurostat per l’inflazione europea) . Cosi facendo si garantisce all’investitore sia il ‘recupero della perdita del potere d’acquisto realizzatasi in quel periodo che un rendimento minimo costante in termini reali’7

, in quanto la cedola viene calcolata moltiplicando un tasso fisso (diviso per due), definito contrattualmente, al capitale rivalutato in base all’inflazione.

Queste sono obbligazioni di medio-lungo termine con cedola periodica a tasso variabile. I BTP Italia hanno una durata poliennale con scadenza a 4 anni mentre i BTP€i hanno scadenza di 5, 10, 15 e 30 anni; vengono emesse attraverso asta marginale.

______________________________

6

Permette di conoscere ad una generica data il valore del capitale nominale rivalutato sulla base dell’andamento dei prezzi.

(24)

23

1.5.6 Regolamentazione Titoli di Stato (cenni)

La regolamentazione che disciplina l’emissione, la gestione ed i limiti previsti per i titoli di stato avviene attraverso Decreti del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Entrando nello specifico, il “Decreto cornice 2019” (D.M. 02.01.2019) dispone una serie di direttive per ‘l’attuazione delle operazioni finanziarie’.

All’Art. 1, rubricato «l’emissione dei prestiti» vengono individuati gli operatori incaricati allo svolgimento delle operazioni di emissione prestiti e le tipologie di prestiti che possono essere emessi; in particolare si legge che:

«Il Dipartimento del Tesoro potrà procedere ad emissioni di Titoli di Stato in tutte le tipologie in uso sui mercati finanziari, a tasso fisso o variabile. …» (comma 2)

L’Art. 2 disciplina invece i «limiti dell’indebitamento» nel quale vengono poste delle limitazioni all’uso dell’emissione di Titoli come fonte di indebitamento, ponendo dei parametri di riferimento da rispettare. Entrando nel merito dell’articolo, il comma 2 afferma:

«I titoli potranno avere qualunque durata e nella determinazione della stessa, si dovrà contemperare l’esigenza di acquisire il gradimento dei mercati, con quella di mantenere il costo complessivo dell’indebitamento in un ottica di medio-lungo periodo,

considerata l’esigenza di protezione dal rischio di rifinanziamento e di esposizione a mutamenti dei tassi d’interesse.»

Anche qui si sottolinea come l’emissione dei Titoli di Stato debba avvenire secondo criteri che tengano in considerazione la necessità di proteggersi contro rischi che

possono sorgere nel medio-lungo periodo considerata l’incertezza del futuro. Al comma

3 vengono invece individuati dei limiti quantitativi rispetto all’emissione dei Titoli di

Stato, i quali vengono individuati come segue:

« … il Dipartimento del Tesoro effettuerà emissioni di prestiti in modo che, …, la quota dei titoli a breve termine si attesti tra il 3% e l’8%, la quota dei titoli “nominali” a tasso fisso a medio-lungo termine tra il 65% e il 78%, la quota dei titoli “nominali” a

(25)

24

all’inflazione e dei Certificati del Tesoro zero-coupon non dovranno superare rispettivamente il 15% e il 4% ... »

Infine, tra gli altri, il presente Decreto disciplina anche quello che è l’obbligo di comunicazione, e quindi trasparenza, dell’emissione dei prestiti (Art. 8). L’obbligo in capo al Dipartimento del Tesoro è quello di comunicare regolarmente le operazioni finanziarie poste in essere, indicandone i dati finanziari caratteristici.

Il concetto di trasparenza viene poi ripreso ed approfondito con il “Decreto per la

trasparenza nel collocamento dei Titoli di Stato” (D.M. 15.01.2015). Tale Decreto

dispone di una serie di articoli (10) volti a garantire la trasparenza nelle operazioni di collocamento dei prestiti (pubblicità degli avvisi) e tutelare gli investitori (pubblicazione dei prezzi d’asta, disciplina sulle commissioni applicabili).

(26)

25

CAPITOLO 2

MISURAZIONE E GESTIONE DEL RISCHIO DI CREDITO

2.1 Introduzione

In questo capitolo ci soffermeremo ad analizzare i rischi derivanti dall’utilizzo di strumenti finanziari. Prima di tutto verranno esposti i principali rischi legati a tali strumenti focalizzando poi l’attenzione sul rischio di credito, maggiormente connesso alle obbligazioni, accennando a quelli che sono i fattori che definiscono la perdita attesa derivante dal rischio. In secondo luogo si passa ad osservare il particolare rischio paese, legato all’acquisto di titoli di stato (analizzati nel capitolo precedente) ed il relativo concetto di rating sovrano. Per finire si individuano i diversi modi di copertura verso il rischio di credito (come riportati dalla letteratura).

2.2 Le diverse tipologie di rischio

L’acquisto di strumenti finanziari, quali le obbligazioni, porta con se, oltre la possibilità di ottenere rendimenti positivi, la nascita di rischi diversi connessi all’operazione stessa. Ragionevolmente, maggiore è la redditività dell’operazione e maggiori saranno le probabilità di rischi connessi.

I rischi tipici legati alle obbligazioni possono essere raggruppati in 4 categorie (Consob):

 Rischio d’interesse

 Rischio di liquidità

 Rischio di cambio

 Rischio di credito

In questo paragrafo verranno analizzati i primi tre tipi di rischio, mentre il rischio di credito verrà trattato nel paragrafo seguente (par. 2.3).

(27)

26

2.2.1 Rischio d’interesse

Il rischio d’interesse è un rischio legato a variazioni di tassi d’interesse di mercato che influenzano negativamente il valore (la redditività) di un titolo. I detentori di titoli obbligazionari sono particolarmente soggetti a questo tipo di rischio poiché, come ampiamente trattato nel cap. 1, una variazione del tasso di interesse ha delle ripercussioni sul prezzo del titolo. Maggiormente esposti a questo rischio sono coloro che possiedono obbligazioni con cedola a tasso fisso perché l’aumento del tasso di interesse genera un deprezzamento del titolo.

I fattori che possono portare alla modifica dei tassi d’interesse sono principalmente:

 Tasso di crescita di uno stato; considerando il livello di inflazione ed il livello di disoccupazione;

 Credibilità dell’emittente

Un indicatore che misura la sensibilità del prezzo ad oscillazioni del tasso di interesse è senz’altro la duration. Questa viene definita come ‘la misura che indica quanto tempo, in media, il possessore di un obbligazione deve attendere prima che il capitale inizialmente investito sia ripagato8’.

Dato il valore attuale netto (Van) dei flussi di cassa futuri (c) come:

Dove i rappresenta il tasso di interesse (ipotizzando una struttura piatta). La duration può essere cosi definita come

______________________________ 8

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27 È interessante notare che nel caso di un singolo flusso a scadenza (zero-coupon) la duration (D) coincide con la scadenza del titolo. Per obbligazioni con cedole, invece, la duration non coincide con la scadenza e si sposta a seconda del peso ( dei singoli flussi. Ovviamente questa sarà molto più spostata verso la data di scadenza poiché il valore finale, dato dal valore nominale e la cedola, pesa molto di più. Certo è che l’aumento del rendimento cedolare (o del rendimento a scadenza) o la riduzione della scadenza del titolo provoca la riduzione della duration poiché il capitale investito viene ripagato più velocemente. La duration è quindi influenzata da:

 Scadenza del titolo (relazione direttamente proporzionale);

 Rendimento cedolare (relazione inversamente proporzionale);

 Rendimento a scadenza (relazione inversamente proporzionale).

Graficamente, la duration rappresenta la derivata prima della curva prezzo-rendimento, fornendo una stima al quanto precisa in caso di variazioni di tasso. Un’ulteriore strumento introdotto come supporto alla duration, per ridurre l’errore di stima fornita dalla stessa, è la convexity (convessità), la quale considera il grado di curvatura della curva prezzo-rendimento, ottenuta attraverso il calcolo della derivata seconda. Come dimostrato graficamente, per variazioni di tasso di interesse positive, il prezzo del titolo si riduce ma in maniera inferiore rispetto a quanto rappresentato dalla duration. Viceversa, per riduzioni di tasso di interesse il titolo viene prezzato maggiormente rispetto a quanto individuato dalla duration.

Nella scelta tra due titoli obbligazionari con stesse caratteristiche è quindi importante andare a considerare non solo la duration del titolo ma anche la sua convexity, scegliendo titoli con una convexity maggiore rispetto ad altri.

(29)

28

2.2.2 Rischio di liquidità

Il rischio di liquidità si verifica nel momento in cui non si riesce a vendere un titolo in maniera rapida ed economica (senza sostenere costi o riduzioni di prezzo) prima della scadenza. Questo rischio ovviamente colpisce maggiormente i titoli non quotati rispetto a quelli negoziati sui mercati regolamentati. Il rischio di liquidità include9:

 Asset liquidity risk: impossibilità di vendere un attività a causa della mancata liquidità del mercato. (liquidità di mercato);

 Funding liquidity risk: le istituzioni non possono adempiere al pagamento dei loro obblighi.

Maggiore è l’illiquidità di un titolo e maggiore sarà il rendimento richiesto allo stesso. Esiste una relazione tra il rendimento del titolo ed il grado di rischio di liquidità connesso. Altra relazione la si evince tra il rischio di liquidità e la scadenza del titolo. Maggiore infatti è la durata del titolo e maggiore sarà il rischio di liquidità che un investitore può incontrare, a causa della maggiore sensibilità dei prezzi a variazioni di tasso di interesse rispetto ai titoli di breve termine.

Si introduce quindi il concetto di ‘premio per la liquidità’, il quale riconosce il grado di illiquidità del titolo e premia gli investitori che decidono di acquistare il titolo stesso. Infatti, a coloro che decidono di investire in titoli con scadenze maggiori, deve essere offerto un premio, che si aggiunge al rendimento del titolo, cosi che saranno disposti a sostenere un rischio maggiore rispetto coloro che investono in titoli di breve termine. I mercati illiquidi possono essere definiti come mercati nel quale le transazioni possono influenzare rapidamente il prezzo. Tra questi si possono individuare i mercati OTC (over-the-counter), in particolare i cosi detti ‘exotic OTC derivatives’, i quali sono contratti non standard negoziati nei mercato OTC e considerati più profittevoli dei contratti standard (plain vanilla); o ‘emerging-markets’; entrambi caratterizzati da bassi volumi di scambi.

______________________________ 9

(30)

29 La gestione del rischio di liquidità non è mai stato un tema semplice da affrontare poiché il problema della liquidità è meno suscettibile alle analisi formali rispetto agli altri rischi di mercato. tra gli altri, Bhaduri, Meissner e Youn hanno individuato 5 possibili derivati nella copertura e gestione del rischio di liquidità:

 Return swap

 Return swaption

 Withdrawal option

 Bermudan-style return put option

 Liquidity option

2.2.3 Rischio di cambio

Il rischio di cambio è un rischio di mercato che si incontra quando si decide di investire in titoli espressi in valuta diversa da quella domestica. In particolare il rischio è legato alla variabilità del rapporto di cambio tra le valute e misura quello che è l’impatto della variazione dei tassi di cambio sui flussi di cassa futuri di un titolo.

Il tasso di cambio può essere definito come ‘il prezzo a cui una valuta può essere scambiata con un'altra valuta (per esempio, euro contro dollaro statunitense) nei mercati valutari’10

.

Il rischio di cambio può svilupparsi nei seguenti casi11:

Pure currency float: la valuta è lasciata libera di flottare secondo le forze di mercato (apprezzamento o deprezzamento);

Fixed currency system: la valuta viene fissata ad un'altra valuta; in questo caso il rischio di cambio è legato ad operazioni di rivalutazione o svalutazione della valuta;

Change in currency regime: la valuta che era inizialmente stata fissata viene lasciata libera di flottare, o viceversa. Si assiste quindi ad un cambio di regime. ______________________________

10 Borsa Italiana. 11

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30 È intuitivo pensare come l’investimento in titoli denominati in valuta estera avviene con aspettative di apprezzamento, cosi da ottenere un rendimento aggiuntivo.

Il rischio di cambio è, anch’esso, collegato con il rischio di tassi d’interesse. Infatti, spesso, variazioni del tasso di interesse vengo messe in atto proprio per andare ad agire sul corso della valuta. Ad esempio, l’aumento dei tassi di interesse può essere legato alla volontà di arginare il deprezzamento della valuta, e viceversa.

Nell’ottica di investire in titoli denominati con valute estere è importante ricorre a qualche strumento di copertura che possa ridurre il rischio di cambio (variazioni di tasso di cambio) a fronte della forte incertezza che caratterizza i mercati ed il futuro in generale. Tra gli altri, utili strumenti di hedging sono gli strumenti derivati su valute, ad esempio:

Currency option: contratto che da la possibilità di scambiare denaro ad un tasso di cambio prestabilito inizialmente, in una data scadenza;

Currency future: contratto a termine che prevede un operazione di scambio tra due controparti, ad una data futura e ad un prezzo prefissato inizialmente. Al termine quindi, le parti si impegnano ad adempiere al contratto e questo si conclude attraverso la consegna fisica della valuta o attraverso il pagamento del differenziale.

Currency swap: contratto con il quale avviene lo scambio di interessi, denominati in valute differenti, a date fisse fino al scadenza del contratto. Lo scambio di interessi può essere da fisso a fisso, da variabile a variabile o da fisso a variabile (o viceversa).

2.3 Rischio di credito

Lo studio del rischio di credito si è altamente intensificato negli ultimi anni portando a sviluppare modelli di analisi e quantificazione del rischio stesso.

Il rischio di credito può essere definito come la possibilità, di un soggetto, di non riuscire ad adempiere ai propri impegni, sia per quanto riguarda obbligazioni future che per obbligazioni in corso d’essere. Si parla infatti di ‘pre-settlement risk’ quando la

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31 controparte non è in grado di adempiere all’obbligazione durante la vita della transazione; mentre il ‘settlement risk’ si ha dal momento in cui la controparte effettua il pagamento fino a che il pagamento non è stato ricevuto.

Il primo è un rischio di lungo periodo che ha inizio con la stipula del contratto e termina con il settlement risk, il quale invece è un rischio di più breve periodo dovuto allo scambio di cash flow. Entrambe le due tipologie di rischio vanno a formare quello che è il rischio di credito in generale.

I fattori che vanno a definire il rischio di credito possono essere riassunti in12:

Rischio di default

Credit exposure (CE)

Loss given default (LGD)

Nei paragrafi seguenti verranno analizzate singolarmente le tre voci per poi unirle ed arrivare ad una definizione generica di perdita derivante dal rischio di credito.

2.3.1 Rischio di default

Il primo fattore che definisce il rischio di credito è il rischio di default legato ad un emittente. Il rischio di default riflette la possibilità dell’emittente di non essere in grado di rimborsare il capitale investito trovandosi in una situazione di default (fallimento). Il mancato rimborso può riguardare sia il valore finale che il pagamento delle singole cedole periodiche. Lo stato di default viene definito da Standard & Poor’s come:

«The first occurrence of a payment default on any financial obligation, rated or unrated, other than a financial obligation subject to a bona fide commercial dispute.» Questo rischio viene misurato dalla probabilità di default (PD) che viene attribuita a ciascun emittente e calcolata secondo diversi criteri. Maggiore è la probabilità di default assegnata ad un emittente e maggiore sarà il relativo rischio di credito.

______________________________ 12

(33)

32 Il rischio di default e la relativa probabilità possono essere misurati attraverso due approcci:

 Actuarial methods

 Market-price methods

Actuarial methods

L’approccio utilizzato da questo metodo è quello di definire la probabilità di default risalendo ai rating di credito assegnati dalle agenzie ai vari emittenti. Come già anticipato nel cap.1, i rating esprimono un giudizio sul merito creditizio dell’emittente individuando due grandi categorie rappresentate da ‘investment grade’, la quale sta a significare che tutti gi emittenti con un rating compreso tra AAA e BBB (S&P) hanno un basso livello di rischio o un rischio accettabile; e ‘speculative grade’, dove invece il rischio di default è alto ed il rating assegnato è compreso tra BB e D (S&P).

C’è una relazione inversa tra il rating assegnato e la probabilità di default. Infatti un elevato livello di rating sta ad intendere una bassa probabilità di default dell’emittente e viceversa, man mano che scende il livello di rating assegnato, la probabilità di default tende ad aumentare. È importante quindi conoscere quella che viene definita ‘ratings

migration’, ovvero la migrazione creditizia la quale rappresenta appunto la transizione

da un livello di rating ad un altro in un dato periodo. Questo ci permette di individuare quindi come varia la probabilità di default nel passaggio da un rating ad un altro e ci permette di calcolare il ‘tasso di default cumulativo’(cumulative default rate), definito come la frequenza totale di default che si manifesta in un certo intervallo di tempo.

Dove:

 è il rating assegnato in un determinato periodo;

rappresenta la probabilità di default al tempo t;

Lo strumento probabilistico che permette di definire una sequenza di migrazioni di rating è rappresentato dalle ‘catene di Markov’; ovvero un processo stocastico che rappresenta una successione equi - intervallata di variabili aleatorie discrete attraverso le

(34)

33 quali, nota la variabile al tempo , è possibile conoscere il valore della variabile al tempo . La catena di Markov si basa sull’assunto che l’andamento delle probabilità future dipende esclusivamente dalle condizioni attuali e non da eventi passati, per cui:

Dove:

 Ciascuna è una variabile aleatoria e , detto spazio degli stati;

 è una successione di v.a.;

 è il tempo;

 la probabilità

L’equazione permette di calcolare quindi la probabilità di trovarsi

al tempo n+1 nello stato j partendo dallo stato i al tempo n. Questa viene definita come probabilità di transizione al tempo n da i a j e indicata come ( ).

L’informazione che si ricava dall’applicazione della catena di Markov viene rappresentata dalla ‘matrice di transizione’.

P =

Tale matrice, nello specifico, è una matrice stocastica la quale somma degli elementi di ciascuna riga è pari ad 1. Infatti vengono rappresentate (per riga) le probabilità che la catena, trovandosi nello stato al tempo n, transiti, al tempo n+1, nello stato . Come si può notare, l’ultima riga relativa allo stato di partenza di default non è contrassegnata dalle probabilità. Questo perché l’ultimo stato viene definito “stato assorbente” in quanto assorbe tutti gli altri stati e l’emittente non può più abbandonare tale stato di partenza.

Nella Tabella 2 viene riportato un esempio delle probabilità di transizione e come queste variano al variare del rating creditizio inizialmente assegnato.

(35)

34

Aaa Aa A Baa Ba B Caa Default Aaa 91.89% 7.38% 0.718% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% Aa 1.13% 91.26% 7.09% 0.30% 0.20% 0.00% 0.00% 0.00% A 0.10% 2.56% 91.19% 5.33% 0.615% 0.205% 0.00% 0.00% Baa 0.00% 0.21% 5.36% 87.94% 5.46% 0.825% 0.10% 0.10% Ba 0.00% 0.11% 0.425% 4.995% 85.12% 7.33% 0.425% 1.59% B 0.00% 0.11% 0.11% 0.54% 5.97% 82.19% 2.17% 8.90% Caa 0.00% 0.44% 0.44% 0.87% 2.51% 5.895% 67.795% 22.05% Default 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 0.00% 100.00%

Tabella 2: Probabilità di transizione del rating creditizio (Moody’s)

La prima cosa interessante da notare è che la probabilità che il rating assegnato inizialmente rimanga invariato nel tempo è più alta rispetto alla probabilità che il rating si modifichi. Inoltre si nota anche come man mano che ci si sposta su livelli più bassi di rating, la probabilità che il rating resti invariato è si più alta delle altre ma diminuisce gradualmente (vedi caselle gialle). Infatti un rating Aaa ha una probabilità del 91.89% di rimanere nello stato iniziale, un rating Ba ha una probabilità di 85.12% e un rating Caa ha una probabilità del 67.79% di rimanere nello stato iniziale.

Un'altra nota importante da evidenziare è come il tasso di default aumenti con livelli di rating sempre più bassi. Infatti si passa da un rating A con probabilità di default pari a 0% circa ad un rating Ba con probabilità di default pari all’1.59%, fino ad arrivare a rating Caa che ha probabilità di default del 22.05%.

Alla migrazione di rating, sopra esposta, si accosta un altro fattore importante nella definizione del rischio di default: il tempo.

Si evince dalla letteratura e dallo studio di dati storici come il tempo influenza la variazione di probabilità di default di un soggetto, fissato il rating iniziale. Ciò significa quindi che per livelli di rating fissati inizialmente e lasciati costanti nel tempo, la probabilità di default non rimane costante nel tempo ma tende a variare. Questo concetto lo si può dimostrare in maniera più efficace andando a prendere ed analizzare i tassi di default storici (historical default rate).

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35

Year Aaa Aa A Baa Ba B Caa

1 0.000% 0.000% 0.000% 0.103% 1.594% 8.903% 22.052% 2 0.000% 0.004% 0.034% 0.274% 2.143% 8.664% 19.906% 3 0.001% 0.011% 0.074% 0.441% 2.548% 8.355% 17.683% 4 0.002% 0.022% 0.121% 0.598% 2.842% 8.003% 15.489% 5 0.004% 0.036% 0.172% 0.743% 3.051% 7.628% 13.421% 6 0.008% 0.053% 0.225% 0.874% 3.193% 7.246% 11.554% 7 0.013% 0.073% 0.280% 0.991% 3.283% 6.867% 9.927% 8 0.019% 0.095% 0.336% 1.095% 3.331% 6.498% 8.553% 9 0.027% 0.120% 0.391% 1.185% 3.348% 6.145% 7.416% 10 0.036% 0.146% 0.445% 1.264% 3.340% 5.810% 6.491% 11 0.047% 0.174% 0.499% 1.331% 3.312% 5.496% 5.743% 12 0.060% 0.204% 0.550% 1.387% 3.271% 5.203% 5.141% 13 0.074% 0.234% 0.599% 1.435% 3.218% 4.930% 4.654% 14 0.089% 0.265% 0.646% 1.474% 3.157% 4.678% 4.258% 15 0.106% 0.297% 0.691% 1.506% 3.092% 4.444% 3.932% 16 0.124% 0.329% 0.733% 1.532% 3.022% 4.229% 3.662% 17 0.143% 0.362% 0.773% 1.552% 2.951% 4.030% 3.435% 18 0.163% 0.394% 0.810% 1.567% 2.878% 3.846% 3.241% 19 0.184% 0.426% 0.845% 1.578% 2.806% 3.676% 3.074% 20 0.206% 0.457% 0.877% 1.585% 2.735% 3.519% 2.928%

Tabella 3: Marginal Default Rate (arco temporale 20 anni; Moody’s)

Nella tabella 3 vengono illustrati, per ogni livello di rating, i ‘tassi di default marginali’, definiti come l’inadempimento (espresso in percentuale) di un emittente, inizialmente classificato al tempo t con rating R, al tempo T.

Si nota subito, scorrendo lungo l’arco temporale, che il tasso di default marginale tende a crescere per quei livelli di rating che rientrano nella categoria investment-grade (Aaa-Baa). Per i rating che rientrano nella categoria di speculative-grade (Ba-Caa), si nota invece un inversione di tendenza. Il rating Ba cresce nel tempo fino al 17-esimo anno circa, nel quale si nota l’inversione di tendenza ed il tasso di default marginale inizia a decrescere. Per il rating B e Caa invece l’inversione si nota sin da subito. Il tasso di default del rating Caa arriva a decresce, in 20 anni, fino al 42% rispetto al valore iniziale. Le ragioni che spiegano questo fenomeno consistono nel fatto che per fallire nel secondo periodo, è necessario che l’emittente sia sopravvissuto al primo; per fallire nel terzo periodo l’emittente deve essere sopravvissuto sia nel primo che nel secondo

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36 periodo e cosi via. Si intuisce quindi come, con il passare del tempo, la probabilità che un soggetto fallisca tende a diminuire e quindi il tasso di default marginale decresce. Questo effetto viene definito ‘survival effect’. D’altra parte, invece, a soggetti che hanno rating Aaa-Baa viene riconosciuta sin da subito un alta percentuale di possibilità di sopravvivenza la quale però, con il passare del tempo, non è detto che rimanga costante, ma può tendere a diminuire. Questo viene definito come ‘reversion effect’ ed ecco spiegato perché i tassi di default marginali crescono.

Elaborando i dati della tabella 3 all’interno di un foglio Excel è possibile rappresentarli graficamente per rendere più intuitivi gli effetti sopra citati.

Grafico 4: Marginal Default Rate (Tabella 3)

Per ultimo, è corretto soffermarsi un attimo sull’influenza che ricopre la situazione

economica generale nel quale interagiscono i soggetti. Si può dimostrare come i tassi di

default tendono ad aumentare nei periodi di recessione dell’economia. In particolare, i tassi di default subiscono rialzi durante i periodi di recessione. Inoltre, tali rialzi colpiscono soprattutto gli speculative-grade, evidenziando variazioni maggiori rispetto agli investment-grade, i quali hanno dei rialzi nelle fasi in evidenza ma abbastanza contenuti. 0 0,05 0,1 0,15 0,2 0,25 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 Def au lt (v alo ri a ss o lu ti) Aaa Aa A Baa Ba B Caa

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Market-price method

Un'altra soluzione nella definizione del rischio di default è quella di dedurlo dai prezzi di mercato dei titoli, i quali valori sono influenzati dalla probabilità di default.

Se si assume quindi piena validità del livello di rating assegnato, attraverso l’osservazione delle oscillazioni del prezzo di mercato è possibile dedurre la probabilità di default (PD) dell’emittente.

Partendo dall’esempio più semplificato, ipotizzando che l’arco temporale di riferimento sia un periodo, cedola annuale e Vn=100, il prezzo dell’obbligazione può essere scritto come:

Dove è il rendimento del titolo.

La situazione che si può verificare dopo un periodo è quella rappresentata di seguito. Si può verificare la situazione in cui l’emittente vada in default, con probabilità π, oppure non vada in default, con probabilità 1-π.

Nel caso in cui non ci sia default, il payoff a scadenza sarà dato dal valore nominale più la cedola.

Se invece si verifica il default, il payoff risulterà pari al valore nominale scontato per il tasso di recupero α (verrà illustrato nel paragrafo successivo).

Il prezzo corrente deve quindi essere espressione del valore atteso in entrambi gli stati, scontato ad un tasso risk-free r seguendo un approccio risk-neutral pricing.

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Risolvendo algebricamente la formula come segue (semplificando ponendo 100=1 e c=0): Si ottiene che: Dalla quale è possibile ricavare il valore π:

Questa rappresenta la probabilità di default dopo un periodo. Avanzando di un ulteriore passo è possibile ottenere anche che:

(2.1) La differenza tra ed r rappresenta il credit spread ( ; questo si ha nel momento in cui un titolo è considerato più rischioso di un altro (in questo esempio il rendimento del titolo viene paragonato con un titolo risk-free) e richiede quindi un rendimento maggiore. In particolare è data dal prodotto tra la probabilità di default (π) e la perdita derivante dal default (1-α); sta a significare che una probabilità pari a zero o una perdita pari a zero annullano il rischio di credito. Nel momento in cui ci si allontana dall’ipotesi di risk-neutrality e si considera l’avversione al rischio dell’investitore, il credit spread includerà il premio per il rischio assunto (risk premium: rp):

(2.2) Questo sarà tanto maggiore quanta più alta è l’avversione al rischio del soggetto.

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39 I fattori che influenzano il credit spread sono sia di natura soggettiva ma anche di natura oggettiva, tra i quali possiamo trovare:

 Volatilità del mercato; maggiore è la volatilità e maggiore sarà il premio per il rischio richiesto, facendo aumentare quindi il credit spread;

 Condizioni economiche generali; situazioni di espansione o recessione dell’economia influenzano il credit spread, rispettivamente portano alla riduzione o all’aumento dello stesso.

 Decisioni politiche.

Un esempio che può essere utile alla comprensione è proprio la relazione tra i rendimenti italiani e quelli tedeschi. Il cosi detto ‘spread BTP-Bund a 10 anni’. Questo altro non è che un valore che riflette il grado di rischiosità delle obbligazioni italiane rispetto a quelle tedesche (considerate sicure). Un aumento del livello di spread significa che gli investitori considerano i titoli italiani più rischiosi e quindi con maggiori probabilità di default. Per far fronte a ciò viene quindi richiesto un maggior rendimento per continuare ad investire in titoli italiani.

Grafico 5: Confronto rendimenti BTP10Y e Bund10Y

Il grafico 5 mostra chiaramente il differenziale di rendimento tra i BTP italiani a 10 anni e i Bund tedeschi a 10 anni. I grafici 5 e 6 sono stati realizzati attraverso l’elaborazione dei dati mensili (recuperati dal portale Datastream) relativi ai rendimenti dei BTP

-2 0 2 4 6 8 ge n -06 ago -06 m ar -07 ott -07 m ag -08 d ic -08 lu g-09 feb -10 se t-10 ap r-11 n o v-11 giu -12 ge n -13 ago -13 m ar -14 ott -14 m ag -15 d ic -15 lu g-16 feb -17 se t-17 ap r-18 n o v-18 giu -19 Re ndi me nti %

BTP-Bund 10Y

Riferimenti

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