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Arte e letteratura nel secolo della tecnica; furore o alienazione.

2- L'uomo del nostro tempo

2.1 Il sistema tecnico

2.1.1 Arte e letteratura nel secolo della tecnica; furore o alienazione.

I sentimenti che proviamo di fronte alla tecnica, che vanno dall‟accettazione acritica al rifiuto seppur non tout court, sono più evidenti nell‟arte. O meglio, l‟arte è in grado di mostrarci in maniera palese il rapporto tra l‟essere umano e la tecnica.

Prendiamo dapprima il mondo delle parole.

Filippo Tommaso Marinetti in L’uomo moltiplicato e il regno della

macchina (1910) scrive: “(...)noi sviluppiamo e preconizziamo una

grande idea nuova che circola nella vita contemporanea: l'idea della bellezza meccanica; ed esaltiamo quindi l'amore per la macchina, quell'amore che vedemmo fiammeggiare sulle guancie dei meccanici,

94 Morin E., Una politica di civiltà, Trieste, Asterios Delithanassis, 1999, pp. 112- 113.

aduste e imbrattate di carbone. Non avete mai osservato un macchinista quando lava amorevolmente il gran corpo possente della sua locomotiva? Sono le tenerezze minuziose e sapienti di un amante che accarezzi la sua

donna adorata. (...)

Avrete certamente udite le osservazioni che sogliono fare comunemente i proprietari d'automobili e i direttori d'officina: «I motori, dicono costoro, sono veramente misteriosi... Hanno dei capricci, delle bizzarrie inaspettate; sembra che abbiano una personalità, un'anima, una volontà. Bisogna accarezzarli, trattarli con riguardo, non maltrattarli mai, né affaticarli troppo. Se agite così, questa macchina di ferro fuso e d'acciaio, questo motore costruito secondo cifre precise, vi dà non solo tutto il suo rendimento, ma il doppio, il triplo, assai più e assai meglio di quanto fecero prevedere i calcoli del suo costruttore: di suo padre!» Ebbene: io attribuisco una grande importanza rivelatrice a queste frasi che mi annunciano la prossima scoperta delle leggi di una vera

sensibilità delle macchine!

Bisogna dunque preparare l'imminente e inevitabile identificazione dell'uomo col motore, facilitando e perfezionando uno scambio incessante d'intuizione, di ritmo, d'istinto e di disciplina metallica, assolutamente ignorato dalla maggioranza e soltanto indovinato dagli

Certo è che ammettendo l'ipotesi trasformistica di Lamarck, si deve riconoscere che noi aspiriamo alla creazione di un tipo non umano95 nel quale saranno aboliti il dolore morale, la bontà, l'affetto e l'amore, soli veleni corrosivi dell'inesauribile energia vitale, soli interruttori della

nostra possente elettricità fisiologica.

Noi crediamo alla possibilità di un numero incalcolabile di trasformazioni umane, e dichiariamo senza sorridere che nella carne

dell'uomo dormono delle ali.

Il giorno in cui sarà possibile all'uomo di esteriorizzare la sua volontà in modo che essa si prolunghi fuori di lui come un immenso braccio invisibile il Sogno e il Desiderio, che oggi sono vane parole, regneranno

sovrani sullo Spazio e sul tempo domati.

Il tipo non umano e meccanico, costruito per una velocità onnipresente, sarà naturalmente crudele, onnisciente e combattivo”.

Marinetti aspira alla fusione tra uomo e macchina, guarda alla forma umana come un fardello da cui occorre liberarsi per lasciare spazio alle qualità proprie della macchina come la velocità, il dinamismo, la potenza e la possibilità di sostituire le parti non funzionanti, vincendo in tal modo anche la morte; diventare un essere vivente intelligente e razionale più

dell‟uomo, un essere perfettamente in armonia con la carne e la tecnica, un “oltre” uomo.

Come asserisce E. Gentile, storico italiano ancora attivo, “il futurismo era il primo movimento artistico del Novecento che proponeva una rivoluzione antropologica per creare l‟uomo nuovo, identificata con il trionfo della macchina e della tecnica, (...) destinate a cambiare radicalmente l‟uomo stesso, fino a generare una sorta di antropoide meccanico, essere sovrumano e disumano insieme, partorito dalla simbiosi fra l‟uomo e la macchina”.96

Rileggere in questo secolo le parole di Marinetti fa gelare il sangue. Soltanto immaginare fin dove può spingersi questo uomo-macchina schiude scenari prettamente e desolatamente apocalittici.

La cieca accettazione del sistema tecnico e la sua esaltazione, addiritttura evocando un cambiamento antropologico dell‟uomo verso la macchina all‟epoca di Marinetti, se non condivisibile, è però accettabile dato che ancora questo non aveva dispiegato la sua potenza.

C‟è da chiedersi se oggi, procedendo nella direzione in cui viaggiamo da più di un secolo, non ci siamo già spinti oltre la linea di confine tra il nostro mondo e quello delle macchine. Se questi non si sono già incontrati e abbiano cominciato il processo di fusione. E come dovrebbe

apparire evidente dall‟analisi fin qui svolta e ancor più da ciò che segue, purtroppo, questa incorporazione è cominciata.

Dall‟altra parte, Huxley con Il mondo nuovo e Orwel con 1984 ci mostrano in che modo e fino a che punto, portando il ragionamento agli estremi, le tecnologie possano controllare la società, che effetto devastante possano avere se il potere se ne appropria.

Lo scenario è, in entrambi i casi, quello di una società tecnologicamente avanzata che controlla la mente degli individui privandoli in tal modo della propria individualità: è la spersonalizzazione che le macchine hanno cominciato a rendere palese, come dapprima Marx disse e i successivi studi della scuola di Francoforte che portarono l‟attenzione sul rapporto tra capitalismo e sistema tecnico, portata alle estreme conseguenze. Il risultato di un sistema tecnologico messo nelle mani del potere consiste nel trasformare gli individui in soggetti non pensanti, non più liberi, non più adeguati all‟uso del pensiero razionale, completamente sottomessi al regime. E tutto ciò è reso possibile dalla tecnologia.

L‟occhio del Big Brother e la Psicopolizia con i suoi strumenti in 1984, la produzione in serie allargata perfino alle nascite che diventano in tal modo esclusivamente extrauterine in Il mondo nuovo cancellano l‟individualità per realizzare finalmente l‟uomo-massa che è più facile da

controllare. Con il condizionamento psicofisico fin dalla nascita, gli slogan, le parate, il lavoro per “il partito”, gli uomini diventano uniformi. Marciano nello stesso modo in ogni parte del pianeta.

In entrambi i romanzi emerge ciò che possiamo definire una vera a e propria colonizzazione della mente da parte del potere per mezzo della tecnologia: come Frantz Fanon ci insegna, la colonizzazione esige che vengano cancellate le tradizioni, il linguaggio, i costumi del popolo conquistato per essere sostituite con quelle del conquistatore. Il risultato, come ha mostrato in Pelle nera Maschere Bianche, consiste nella nascita del desiderio, in questo caso dei neri di diventare bianchi, consiste insomma nella spersonalizzazione. Inculcare nella mente dei principi che, per tradizione, non le appartengono, farli diventare dei bisogni primari è, in accordo con gli studi del martinicano, possibile.

Huxley e Orwel parlano di un‟esagerata seppur possibile colonizzazione tecnologica degli esseri umani, presentata in entrambi i casi ironicamente come necessaria per creare una umanità libera da preoccupazioni di ogni tipo, sana, felice; questa condizione ideale è ottenuta sacrificando il concetto stesso di umanità, sacrificando ciò che identifica l'essere umano in quanto tale, ossia il pensiero razionale e tutto ciò che per lui è importante come l'amore, la diversità culturale, l'arte, la religione, la letteratura, la filosofia e la scienza.

Il risultato, in entrambi i casi, è quello di una vera e propria spersonalizzazione ad opera della tecnologia.

Orwel e Huxley ci mostrano, in definitiva, ciò che potrebbe accadere se la tecnologia rimane incontrollata, preda del suo stesso potere, cosa potrebbe accadere se il “potere” decidesse di utilizzarla.

Per quanto riguarda le immagini, vorrei partire, come spunto di riflessione, dalla video arte, ovvero la riproduzione di immagini in movimento tramite strumentazioni video che si allarga in più campi: videopoesia, videoscultura, le ormai vetuste istallazioni, videoambienti. Un‟arte che si presenta nel tempo e non nello spazio, dematerializzata. Un‟arte prodotta dello spirito del tempo del nostro secolo. Un‟arte che si trasforma, che utilizza in maniera positiva gli strumenti tecnologici per mostrarsi con un volto nuovo.

Tra i tanti accenno a Bill Viola e ad una delle sue, a mio parere, opere migliori: Emergence (2002), dove la compenetrazione tra arte classica e moderna e tecnologia è in perfetta armonia: il risultato eccezionale è quello di un quadro in perfetto stile classico che prende vita, i personaggi sono vivi e si muovono. La perfezione dei particolari, soprattutto delle vesti, è sconvolgente.

Questa è la forma d‟arte del nostro secolo. In video. Le emozioni che un tempo lo spettatore provava davanti un quadro adesso le prova davanti un clip di videoarte. Sono sensazioni diverse ma il risultato non cambia a livello percettivo. La videoarte suscita emozioni e sensazioni; è, in definitiva, il video che diventa opera d‟arte e non lente, mezzo, strumento.

Un esempio opposto, un esempio cioè di non salubre fusione tra arte e tecnica è, a mio parere, quello del Cleveland Museum of Art (CMA), dove a maggio del 2013, è stata inaugurata la Gallery One, che si configura come punto di contatto tra i contenuti delle collezioni permanenti e gli strumenti tecnologici più coinvolgenti.

Il progetto nasce dalla sfida di utilizzare la tecnologia per coinvolgere gli spettatori in maniera attiva, verso nuovi tipi di esperienza con le opere d‟arte. L‟interazione ha l‟obiettivo di esaltare i contenuti delle collezioni permanenti presenti nel museo.97 Eppure, per esaltarne i contenuti, li si guarda attraverso un tablet, sul proprio strumento si leggono informazioni, attraverso il proprio aggeggio si ammirano le particolarità dell‟opera d‟arte proprio quando vi si è davanti.

Non c‟è, a mio avviso, spazio in questa maniera per l‟estasi che si prova nell‟ammirare un‟opera, la sindrome di Stendhal scomparirebbe, in quanto tra l‟oggetto d‟ammirazione che ci sta proprio davanti in quel preciso momento e il soggetto vi è uno strumento. È come guardare un quadro stando comodamente seduti a casa ingrandendo questo o quel particolare con il computer. Le sensazioni sono diverse e non paragonabili. Eppure questo tipo di museo, i musei, in generale, più interattivi sono, più visitatori attraggono. Sarebbe interessante studiare a livello approfondito in un campo multidisciplinare le sensazioni che un visitatore ha nel museo di Cleveland, che cosa gli trasmette, e se lo fa, la singola opera d‟arte. Se, con il mezzo tecnologico, l‟opera riesce a comunicare e a suscitare emozioni nell‟osservatore.

Personalmente credo che in questo modo si perda il rapporto tra i due soggetti, che non ci sia interazione alcuna ma solo mediazione; il mezzo ci fornisce le lenti, ci dà informazioni ma non percezioni. Certo, il visitatore può scegliere se usare i mezzi tecnologici e fino a che punto usarli. Ma siamo all‟inizio della compenetrazione tra arte e tecnologia nel museo; chissà come si può evolvere la situazione e come e se può cambiare il concetto di percezione artistica.

Penso ad esempio all‟‟artista coreano Kim Dong-Kyu,98

il quale riproponendo fedelmente quadri di artisti famosissimi come Van Gogh, Manet, Cézanne e molti altri, esprime la sua critica nei confronti del sistema tecnologico, e in particolare nell‟uso dei cellulari, tablet ecc, introducendo in questi famosi quadri uno strumento tecnologico.

L’urlo di Munch con un iphone caduto a terra con lo schermo

completamente spaccato, l’Infinito di Friderich con un cellulare in mano in atto di scattare una foto (o di farsi un selfie). Quest‟ultimo soprattutto fa riflettere su come stiamo perdendo il piacere di osservare la natura, la bellezza o la bruttezza di un‟opera d‟arte, essendo questo rapporto mediato dal mezzo, come se fosse solo importante scattare una foto ad un bel tramonto e non sentirlo sulla pelle.